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Autore: Girl_on_fire    01/09/2012    2 recensioni
Katherine. L'indiscutibile regina del sarcasmo, della bellezza mozzafiato, della pazzia di molti, sia umani che vampiri. Katherine nella sua quotidianità a Chicago, lontana da Mystic Falls, da Damon, da Stefan e da tutti i problemi che ne derivano. Katherine, sempre in cerca di divertimento. La sua storia non vi annoierà, statene certi. "Il modo in cui parlava, con fare disinvolto, il suono della sua voce, i movimenti del suo corpo, tutto faceva pensare agli atteggiamenti di una dea, troppo perfetta per essere umana." Lei è Katherine come non l'avete mai vista: descritta attraverso l'occhio umano.
Tanto bella quanto letale.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non era entrato da neanche un minuto, e già l’aveva notata.
Beh, non era l’unico in fondo.
Come si poteva non notarla?
Era bellissima.
Una creatura struggente, piena di fascino.
Il modo in cui rovesciava all’indietro la testa mentre rideva, facendo incrociare le traiettorie di ogni singolo rimbalzante boccolo nocciola scuro, il bicchiere di prosecco stretto in un’elegante morsa fra il pollice e l’indice, che veniva portato alle labbra furtivamente, quasi fosse stato un peccato socchiuderle e lasciare intravedere quella letale fila di denti porcellana.
Tutto in lei era tremendamente sexy, anche se osservata da molto lontano.
Decise di avvicinarsi per avere una visuale più aperta, in modo da poterla studiare al meglio, quasi fosse stata una preziosissima pietra bramata da milioni di cercatori di pepite.
Era appoggiata con il gomito libero al bancone, un po’ inclinata all’indietro, in una posa provocante  che accentuava la già eccessiva scollatura della camicetta color rubino, sulla quale era adagiata una collana, quasi con disinvoltura, il cui ciondolo poteva essere visto solo da molto vicino, e con un’estrema attenzione…
Ogni cosa in quel locale scarsamente illuminato sembrava ruotare attorno a lei, e non certo perchè era l’unica donna presente.
Era come se tutto e tutti fossero attratti da quell’unica creatura, senza la quale sembrava che nemmeno gli orologi avrebbero potuto battere i loro frenetici ticchettii, né l’antiquato juke box continuare a proporre gli abituali vecchi brani.
Si fece coraggio e si avviò verso il bancone, certo che se non fosse riuscito ad ottenere il nome di quella meravigliosa creatura nemmeno lui sarebbe più riuscito a continuare la sua patetica vita in modo normale.
Si fermò a pochi passi, bloccato.
Ce l’avrebbe fatta a parlare con lei?
Lui, John, il barbiere più timido di tutta Chicago?
Era talmente assorto nel dilemma che gli faceva attorcigliare lo stomaco e tremare le ginocchia, che non si accorse che lei gli stava venendo incontro.
Quando alzò lo sguardo, rimase fulminato, folgorato da tanto splendore.
Notò il viso perfetto, incorniciato dai boccoli sinuosi e caratterizzato dagli enormi ed enigmatici occhioni scuri, che lo fissavano, a volte socchiudendosi, facendo frusciare le lunghe e folte ciglia.
La ragazza ora era vicinissima, e sembrava aver puntato proprio lui.
Nonostante fosse stata lei a proporsi a John lo fece comunque aspettare un tempo che gli parve infinito mentre, quasi divertita, si portava il calice alle labbra e sorseggiava lentamente il prosecco, senza però distogliere lo sguardo da quello del ragazzo.
Quando finalmente lo finì, dopo attimi che parvero secoli al poverino, posò il bicchiere al bordo di un tavolo da biliardo al quale si appoggiò, assumendo la stessa provocante posa di prima.
John racimolò tutte le sue forze e formulò un breve “ciao”, seguito da un flebile sospiro di sollievo, evidentemente sorpreso dall’esito positivo dello sforzo.
-Ehi, novellino- esclamò lei, quasi con fare scocciato, socchiudendo gli occhi  -Non ti avevo mai visto da queste parti-
Lui arrossì violentemente.
-E’…è perché abito un po’ lontano da qui…signorina…-
La ragazza scoppiò a ridere, rovesciando all’indietro la testa.
-Nessuno mi aveva mai chiamata in quel modo- disse, fra le risate.
-Sono Katherine, comunque-
Katherine.
Ora che era riuscito a dare un nome a tanta bellezza, si sentiva finalmente realizzato.
Il modo in cui parlava, con fare disinvolto, il suono della sua voce, i movimenti del suo corpo, tutto faceva pensare agli atteggiamenti di una dea, troppo perfetta per essere umana.
-Piacere, John- sussurrò con le labbra secche e il cuore in gola.
Lei prese in mano il bicchiere vuoto, accarezzandone l’elegante silhouette lentamente, quasi volesse far impazzire il ragazzo mentre aspettava una parola, un commento, qualsiasi cosa.
-Allora, John- si decise finalmente a dire –Ti andrebbe un drink?- chiese alzando il bicchiere.
Lui annuì, rosso in volto, ed insieme si diressero al bancone.
Dopo il quinto o il sesto bicchiere di bourbon, al ragazzo era venuta una smisurata parlantina.
Aveva raccontato della sua penosa vita, del suo stupido lavoro come barbiere, della sua irrefrenabile timidezza, facendo divertire Katherine.
E più lei rideva più lui raccontava, e più le sue storie si facevano patetiche e confuse.
Ad un certo punto, mentre ormai tutto il locale era radunato intorno ai due a sentire le storielle di quel povero sfigato, la ragazza si avvicinò al viso arrossato di John (questa volta non per l’imbarazzo ma per la sbronza) e gli sussurrò qualcosa in un orecchio, socchiudendo le labbra e facendo rimanere tutti con il fiato sospeso.
Un secondo dopo i due erano fuori dal bar, diretti all’appartamento di John che Katherine avrebbe tanto desiderato “ammirare”.
Il silenzio della notte li avvolgeva mentre prendevano un vicolo non illuminato, diretti ad un angolo buio in cui la ragazza avrebbe voluto sostare perché si sentiva stanca.
Arrivati al punto prestabilito lei si appoggiò al muro con la schiena, e con i palmi delle mani attirò a sé il viso del ragazzo, fino a quando sentì che i loro nasi si sfioravano.
Il respiro affannato di John era l’unico rumore a isolati di distanza, erano nel punto più solitario di tutta Chicago.
Si sentiva davvero in paradiso, riscaldato dall’alcol e dalle mani di Katherine, che ora lo fissava negli occhi ed era a un palmo da lui.
Sapeva che stava per succedere, che per qualche assurdo motivo quella fantastica creatura aveva scelto proprio lui, e che lo stava per baciare.
Ma non successe.
Lui aspettava, e aspettava, ma non succedeva niente.
Vedeva la bocca della ragazza muoversi, sussurrare, ma il suo cervello era inibito, e non riusciva a cogliere il significato del fiume di parole che scuotevano le labbra carnose di Katherine in modo così sensuale.
Poi lei si fermò.
Sorrise.
Mostrò la fila di denti bianchissimi, appuntiti, sempre più appuntiti.
E fu quella l’ultima cosa che John vide.
Non sentì dolore, mentre lei gli affondava i canini nella giugulare.
Non urlò.
Fu pervaso da un senso misto di piacere e terrore.
Sapeva che non avrebbe più riaperto gli occhi, ma non poteva evitare di chiuderli.
I sensi gli si appannarono del tutto, gli arti si afflosciarono al suolo.
E morì.
Katherine si pulì la bocca con una manica, e sorrise.
Quel John le aveva suscitato un ricordo lontano, e lei l’aveva scelto per cena.
Strinse la collana di lapislazzuli e si allontanò, inghiottita dalle tenebre che l’avevano generata, tanto bella quanto letale.
 
  
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