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Autore: TheFirstMrsHummel    01/09/2012    3 recensioni
Kurt riusciva a vedere le lacrime che si stavano formando negli occhi di lei. Oh, merda, in che cosa mi sono immischiato? pensò.
Dave continuò a parlare con la stessa freddezza, senza alcuna inflessione particolare. “Non ti voglio qui. Te l’ho detto migliaia di volte, non ti voglio vicino a me.”
“Questa volta è diverso, David,” spiegò, mentre una goccia salata le scivolava lungo la guancia. “Non sono qui solo per una visita. Ho lasciato L.A. e sono tornata a Lima. Voglio provare a riaggiustare le cose con te e so che ci vorrà del tempo. Sono tornata per restare, David. Non significa niente per te?”

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All'inizio dell'ultimo anno, compare una donna sconosciuta che chiede di David Karofsky. Kurt la aiuta a trovarlo e strada facendo scopre qualcosa sul passato dell'ex-bullo.
[Fic Kurtofsky tradotta da LaGrenouille | Traduzione rivista il 6/11/15]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Dave/Kurt
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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MOTHER’S DAY

 

 

Non credo proprio che faranno qualcosa del genere con la madre di Dave nella serie, ma questa ideuzza mi si è insinuata in testa e non sono riuscita a liberarmene.

 

 

Non appena Kurt posò lo sguardo sulla donna nel corridoio, ebbe la chiara sensazione che non fosse di quelle parti. Non era solo la sua espressione mentre scrutava i volti degli studenti che le passavano davanti, sebbene quella fosse certamente un indizio. Il suo guardaroba era di tutt’altro livello; Kurt sapeva il fatto suo nell’ambito degli stilisti alla moda: jeans skinny scuri slavati della Seven, una camicetta Missoni in seta a stampe vivaci e un adorabile paio di sandali di Prada decorati con false pietre. La sua postura suggeriva che potesse essere una modella o una ballerina: mento in alto, spalle indietro e cassa toracica sollevata. I capelli le cadevano ben oltre le spalle in una cascata lucente e il trucco era applicato in modo esperto. L’ultima volta che aveva visto una persona così, da che si ricordasse, era quando era stato a New York per le Nazionali. Tutto di lei emanava raffinatezza e savoir-faire.

Le si avvicinò e la donna gli sorrise con fare interrogativo. “Mi scusi,” cominciò. “Spero di non sembrarle maleducato, ma mi sembra un po’ disorientata. La posso aiutare a trovare qualcosa? La segreteria, forse?” Dall’altro lato del corridoio le aveva dato dai venticinque ai trent’anni, al massimo, ma ora che le si era accostato vide che ne aveva di più di quanto non avesse creduto. C’erano delle sottilissime linee agli angoli dei suoi occhi nocciola che suggerivano che la sua età si avvicinasse addirittura alla quarantina.

Il sorriso si allargò. “Oh no, non sei affatto maleducato,” gli assicurò. “Grazie per aver avuto pietà di me, non ho idea di dove sto andando. Sto cercando una persona, però, non un posto.”

“Un insegnante?” chiese.

Lei abbassò lo sguardo, perdendo la curvatura felice alle labbra. Poi però lo guardò di nuovo e anche il sorriso tornò al proprio posto. “A dire la verità, no. Sto cercando uno studente. So che è una scuola grande e sarà poco probabile che tu lo conosca, ma non è che magari sai chi è David Karofsky?”

Spalancò gli occhi. Cosa avrebbe avuto a che fare una persona come lei con Dave? Superando la sorpresa, rispose. “A dire la verità, sì. Non sono sicuro di dove sia adesso, però. Abbiamo solo una lezione in comune quest’anno ed era la prima ora.” Il volto della donna si velò di delusione e a Kurt venne in mente una cosa. “Potrei mandargli un messaggio, però. Chiedergli di incontrarci da qualche parte…”

Lei s’illuminò. “Oh, sarebbe meraviglioso! Voi due siete amici, allora?”

Una pausa di silenzio. “Beh, no, non esattamente amici.”

“Ma… tu hai il suo numero di telefono,” affermò l’altra, chiaramente confusa.

“Lui, ehm…” tacque per un secondo, pensando a come poter rispondere al meglio. “Mi ha aiutato con dei problemi di bullismo che mi tormentavano l’anno scorso. Faceva parte di una squadra apposita, tipo. Mi ha dato il suo numero in caso ci fosse un’emergenza.”

Una strana espressione comparve sulla sua faccia. Felice, ma anche… fiera? “Davvero?” chiese. “David faceva parte di una squadra anti-bullismo?”

Lui annuì, chiedendosi di nuovo chi diavolo fosse questa donna e come facesse a conoscere Dave. “Allora, che cosa devo scrivere nell’SMS per dirgli che lei è qui?” domandò.

Quella abbassò di nuovo lo sguardo. Quando lo risollevò verso Kurt, il sorriso era nuovamente saldo sulle sue labbra – ma questa volta riuscì a capire che fosse forzato, in qualche modo. “Volevo fargli una sorpresa, a essere sincera,” rispose. “Siamo parenti, ma non lo vedo da tantissimo tempo. Ti dispiacerebbe chiedergli solo di incontrare te? Poi potrei farmi vedere non appena arriva.”

C’era qualcosa di molto strano in quella situazione, ma la sua curiosità gli impedì di rifiutarsi. “Certo, si può fare,” affermò. “A proposito, io mi chiamo Kurt. Kurt Hummel.” Le porse la mano.

La donna gliela strinse e lui fu rincuorato di vederla sorridere calorosamente. “Sandra Girard. Ma puoi chiamarmi Sandy, praticamente tutti mi chiamano così.” Lo lasciò andare, sorridendo in modo smagliante. “È un piacere conoscerti, Kurt. Non so come ringraziarti per il tuo aiuto.”

Fece spallucce, estraendo il telefonino. “Andiamo in sala musica, lo contatterò lì. La prossima ora è comunque buca per me e, se riceve il messaggio, magari ha anche lui una lezione che può saltare.”

 

Meno di cinque minuti dopo, Dave sentì il cellulare vibrare in tasca. Tirandolo fuori, rimase di stucco vedendo che l’SMS era da parte di Kurt Hummel. Si erano visti a malapena, dopo il fiasco del ballo scolastico. I Bully Whips erano stati sciolti: Santana aveva perso ogni interesse dopo che il suo piano per diventare reginetta era fallito. Lui tuttavia continuava a intervenire tutte le volte che vedeva qualcuno che veniva preso di mira – ora semplicemente non era obbligato a indossare quella stupida giacca di satin e quel ridicolo berretto. Comunque non l’aveva visto molto, in giro, nelle ultime settimane del loro terzo anno; sembrava che Kurt e gli altri membri del Glee avessero passato ogni momento in cui non erano a lezione riuniti nell’aula di musica o nell’auditorium a fare le prove per quella grande competizione a New York. Una volta tornati, aveva saputo attraverso la rete di pettegolezzi degli studenti che erano arrivati dodicesimi, una posizione di tutto rispetto, e la settimana seguente erano cominciate le vacanze.

Il loro ultimo anno al McKinley era iniziato da un mese, ormai, e l’unico contatto che aveva avuto con Kurt consisteva nel cercare di non farsi sgamare a fissarlo ardentemente durante l’ora di educazione civica. Kurt si era tagliato i capelli, durante i mesi estivi, in un modo che non aveva mai esibito prima. Erano cortissimi ai lati ma ancora lunghi al centro e spesso li acconciava col gel, arruffandoli con cura. Gli davano un aspetto più maturo e sexy da morire.

Con le dita che tremavano leggermente, sfiorò l’icona per leggere il messaggio: Potresti incontrarmi il prima possibile nell’aula di musica? Ho bisogno di mostrarti qualcosa. Cercò di non pensare subito a tutti i sottintesi maliziosi, ma fallì. Tutto ciò che immaginava che gli volesse mostrare era completamente a luci rosse e pervertito, tanto che dovette fermarsi in un bagno e sciacquarsi la faccia con l’acqua fredda per non arrivare con le guance in fiamme. Proseguì verso la sua destinazione con una miriade di pensieri in testa. Aveva passato settimane intere a cercare di capire come avvicinare l’altro ragazzo; gli mancava potergli camminare accanto nei corridoi o sedersi con lui in mensa, come era successo in quei momenti brevi ma celestiali in cui era di turno per la sua protezione. Voleva parlargli e vedere ancora una volta il perdono e la comprensione in quei bellissimi occhi. Ora, però, era stato Kurt a fare la prima mossa e lui era allo stesso tempo terrorizzato e colmo di gioia all’idea di incontrarlo di nuovo da solo.

Si rese conto di stare quasi correndo e di respirare affannosamente quando raggiunse l’aula. Non riusciresti a essere più patetico neanche se ci provassi, si disse. Controllati, la disperazione è la cosa meno attraente che esista. Stai calmo, sai come fare. Si fermò proprio di fronte alla porta e strattonò la giacca della squadra, cercando di metterla a posto. Schiaffandosi un ghignetto disinvolto in faccia, entrò con una specie di camminata sciolta, strascicando un po’ i piedi. Vide l’altro di fianco al pianoforte, bello come il sole, e per poco non inciampò. Recuperò subito l’equilibrio. “Com’è, Hummel?” chiese, sollevando una spalla con fare noncurante. “Volevi mostrarmi qualcosa?”

Sul volto di Kurt sbocciò un enorme sorriso e unì le mani di fronte al petto, pieno d’emozione. Si avvicinò a lui. “Proprio così,” rispose con voce acuta e dolce. “È una sorpresa. Spero che tu sia pronto.”

Sebbene lui sapesse per certo che fosse impossibile, non riuscì a sopprimere i suoi pensieri: È così emozionato, chissà cosa mi vuole far vedere… Non mi ha mai sorriso in quel modo, prima, mai. Oddio, non mi starà per baciare? Si accorse di star sollevando le braccia in automatico, convinto di stare per abbracciarlo, ma l’altro si spostò di lato con una piroetta e indicò a gesti il fondo della stanza, che Dave non aveva neanche degnato di un’occhiata da quando era entrato. Guardò in quella direzione e ogni parte del suo corpo s’immobilizzò, quasi si fosse congelato sul posto.

Fu una questione di secondi prima che Kurt seppe per certo che ci fosse qualcosa di molto sbagliato. Sandy si stava avvicinando cautamente al suo compagno, come se stesse tentando di accostarsi a un cane pronto a mordere. Dave era pallidissimo, non l’aveva mai visto così, neanche quando nell’ufficio di Figgins aveva temuto che il suo segreto stesse per venire rivelato. Era totalmente sgomento e non in un modo positivo.

“Ciao, David,” iniziò Sandy, con giusto un pizzico di tremolio nella voce. Sorrise, ma gli occhi rimasero titubanti. “Sorpresa…”

Il viso dell’altro si accartocciò in quell’espressione aggressiva e piena d’odio che Kurt conosceva fin troppo bene. “Che cazzo ci fai qui?” chiese con tono piatto.

“Sono venuta a trovarti. È il tuo ultimo anno, poi partirai per il college. Ho pensato che forse sarebbe stato un buon momento per… cercare di aprire di nuovo i contatti.” Riusciva a vedere le lacrime che si stavano formando negli occhi di lei. Oh, merda, in che cosa mi sono immischiato? pensò.

Dave continuò a parlare con la stessa freddezza, senza alcuna inflessione particolare. “Non ti voglio qui. Te l’ho detto migliaia di volte, non ti voglio vicino a me.”

“Questa volta è diverso, David,” spiegò, mentre una goccia le scivolava lungo la guancia. “Non sono qui solo per una visita. Ho lasciato L.A. e sono tornata a Lima. Voglio provare a riaggiustare le cose con te e so che ci vorrà del tempo… Sono tornata per restare, David. Non significa niente per te?”

“Per me significa che sei troppo vecchia e malandata per fare la ballerina professionista a L.A. o a New York.” Kurt rimase senza fiato alle parole dell’altro, simili a stilettate di ghiaccio, e Sandy si coprì la bocca con una mano. Continuò, duro come pietra. “Puoi farti sentire meglio dicendoti che sei tornata per me, ma se fossi ancora giovane e ti stessi ancora esibendo regolarmente non saresti neanche a cento miglia da Lima. Lo sappiamo bene entrambi.”

Lei abbassò lo sguardo e Kurt fu turbato dal fatto che Dave avesse evidentemente fatto centro con le sue accuse. Lei guardò di nuovo il ragazzo, con una supplica negli occhi e le lacrime che le solcavano il viso. “Ti prego, David,” lo implorò. “Ti prego, dammi solo quest’ultima possibilità. Ho fatto degli errori orribili e me ne pento immensamente. Ti prego, dammi una chance di rimediare.”

“No,” ribatté quello, freddo. “Non voglio avere niente a che fare con te. Mai l’ho voluto e mai lo vorrò. Ora levati dalla mia vista prima che chiami la presidenza e ti faccia sbattere fuori, come merita un’egoista senza cuore come te.”

Sandy emise un lamento, senza fiato, quindi si girò e corse fuori dall’aula.

Kurt rimase lì imbambolato, muto, osservando le mani dell’altro stringersi e riaprirsi. D’un tratto, Dave si voltò e lui dovette combattere l’istinto di fare una smorfia impaurita e indietreggiare. Nell’attimo in cui quello incontrò il suo sguardo, però, la rabbia svanì dal suo viso, sostituita dalla tristezza. “Come hai potuto…” Si sfregò gli occhi. “Come hai potuto farmi questo, Kurt?” gli chiese, la voce che si ruppe sul suo nome.

Si sentì attraversare dal dolore e dal rimpianto. “Non lo sapevo,” spiegò. “Non sapevo che ti avrebbe ferito. Ha detto che era una sorpresa e si è comportata come se tu saresti stato felice di vederla. Non l’avrei fatto, se avessi saputo che sarebbe finita così, davvero.” Avvertì i suoi stessi occhi cominciare a pizzicare. Gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. “Chi è, Dave?” domandò, sebbene fosse piuttosto sicuro di averlo capito.

Il suo viso si fece rosso e chiuse gli occhi – le lacrime sgorgarono fuori. Ricordò a Kurt il giorno in cui era scoppiato a piangere in corridoio e si era scusato, e il suo cuore si ruppe di nuovo vedendo l’angoscia dipinta sul suo volto. Dave sollevò le palpebre e lo osservò con una tristezza così profonda da fargli dolere il petto. “È mia madre.”

Nonostante l’avesse già dedotto, cercò di ricacciare indietro l’ansito sconvolto causato da quelle parole. “Oh Dio, Dave,” iniziò a dire. “Mi dispiace, mi dispiace così tanto! Non lo sapevo.” Avvertì una fortissima pulsione di allungare le braccia e avvolgergliele attorno, ma non sapeva come far breccia nella complessità del loro passato. Al posto dell’abbraccio si limitò a stringere la mano ancora sulla sua spalla.

Quello sospirò. “Ti credo,” rispose. Sollevò la mano e la mise sopra quella di Kurt, dandole una breve stretta prima di allontanarla da sé. “Non… non farlo mai più e basta. Ora lo sai, okay? Non aiutarla mai più, in assoluto, ad avvicinarsi di nuovo a me, a prescindere da quello che dice.” Fece un passo indietro, guardandolo seriamente negli occhi.

“Lo prometto.” Vedendo che l’altro aveva tutta l’aria di credergli, chiese: “Stai bene?”

Sbuffò una risata. “No, non direi. Ma presto andrà meglio. Penso che bigerò per il resto della giornata, intanto.” Si diresse verso la porta, quindi si voltò a guardarlo un’ultima volta. “Ci vediamo in classe domani,” disse, quindi uscì.

“Sì,” mormorò Kurt, fissando la soglia vuota. “Ci vediamo.”

 

 

V.d.T. (Vaneggiamenti della Traduttrice)

Ecco qua la fic di cui vi ho parlato. ^__^ È stata scritta tra la seconda e la terza stagione, quindi sarà un’AU completa. Non è a rating rosso come le altre, ma in quanto a trama e introspezione non ha niente da invidiare a nessun’altra storia, quindi fidatevi quando vi dico che vi piacerà dove vi porterà.

Grazie a LaTum e dolce_frafri per aver messo TFMH tra gli autori preferiti!

Come al solito, le note in grassetto e corsivo sono quelle originali di TFMH.

A sabato prossimo, pirati!

 

- TheFirstMrsHummel (qui la sua pagina su FF.net) è un’autrice statunitense e io gestisco questo account, traducendo con il suo permesso le sue storie.

- Il primo capitolo in inglese lo trovate qui.

- Se qualcuno volesse pubblicare su questo sito una traduzione di una sua storia, avendone il permesso, dovete inviarmi almeno il primo capitolo della traduzione (nel caso di one-shot, la fic intera). Allora vi fornirò la password per accedere all’account.

   
 
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