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Autore: darkronin    01/09/2012    4 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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33. Evviva il re


->Avviso ai lettori: dalla seconda metà, ritengo opportuno che questo capitolo abbia rating Rosso. Non ci sono descrizioni dettagliate ma la vicenda potrebbe infastidire i più sensibili. Quindi, chiunque lo desiderasse può saltare la parte e aspettare tranquillamente il capitolo conclusivo. <-

Vi saluto qui e vi do appuntamento alla prossima settimana per l'ultimo capitolo.
E ricordate: nulla è come sembra.




Tutto cambiò all'improvviso.
Ma prima dei suoi occhi, furono le sue orecchie a registrare il mutamento. I passi allegri non suonavano più ovattati e distanti: un rimbombo leggero che sapeva di umidità anticipò ciò che gli occhi, così abituati all'oscurità di quella strana notte boschiva, ancora non riuscivano a inquadrare. La strada bianca, polverosa e accidentata che stava percorrendo in una leggera corsa, trottando dietro alla piccola sfera opalescente, divenne improvvisamente un lungo corridoio di pietra scura, solido, liscio e compatto.
Toby si fermò di colpo, lasciando che la sfera continuasse a rotolare per inerzia. Dov'era finito? Perché così all'improvviso?
Non ebbe il tempo di interrogarsi ulteriormente sulla natura del luogo che, dal fondo del tunnel, sentì arrivare delle urla isteriche molto simili a quelle di sua sorella quand'era all'apice del nervosismo. Di quando, cioè, sarebbe stato meglio essere ovunque, tranne che a portata di mano.
Riprese il cammino e si affrettò a raggiungere la sfera. La recuperò al volo e se la infilò nuovamente in tasca, dove avrebbe dovuto rimanere dall'inizio. Arrivato in fondo al corridoio si ritrovò affacciato su una grande balconata il cui parapetto era traforato da oblò così grandi che lo facevano sembrare solo un accessorio estetico più che una struttura funzionale. Sotto di sé, c'era una vasca ovale scavata nel terreno e uno scanno avente come schienale un paio di corna zigrinate. Qualcosa, in quel posto, gli sembrava vagamente familiare. Poi si ricordò delle immagini che erano apparse, distorte, nella sfera. Lui era già stato lì, anche se nelle immagini l'ambiente era più scuro e tetro mentre ora aveva un aspetto pulito, ordinato... sano.
Alle sue spalle avvertì un leggero movimento d'aria. Si voltò lentamente e, dal corridoio da cui aveva appena fatto capolino lui stesso, vide comparire un uomo dai capelli scuri con la tipica aria del secchione. O del prof. Attorno all'uomo, una schiera di ometti grigi e verdastri sembravano scortarlo, stretti attorno alle sue gambe.
Qualcosa, nell'intero quadretto, stonava. Forse perché era già stato lì. In ogni caso, si sarebbe aspettato un comportamento più chiassoso e caotico, da parte di quelle creature ora stranamente silenziose, ordinate e compite. E tristi. Qualcosa nei loro sguardi gli diceva che erano abbacchiati e che attendessero, come lui, un qualche evento cruciale. Spostò nuovamente lo sguardo sull'uomo che, a sua volta, lo scrutava interrogativo. Quindi, si volsero entrambi ad osservare il gruppo nella sala sotto di loro.



Allucinazioni. Era indubbio. Doveva avere avuto allucinazioni acustiche. Ne era più che convinta. Non poteva spiegarsi in altro modo.
“Non è vero, Rajeth?” aveva detto
Eppure, alzando lo sguardo spaurito e confuso sul suo accompagnatore, aveva notato il mondo circostante cambiare vorticosamente aspetto. Si era allontanata da lui d'impulso.
“Non è vero, Rajeth?”
Qualcosa non quadrava... tante cose non lo facevano. A partire dai loro vestiti. Perché mai lei si trovava vestita come un'odalisca e lui, invece, era tornato agli abiti stravaganti e appariscenti di dieci anni prima? Rajeth... un nome che ora, stranamente, le suonava troppo familiare ed evocava dolcezza e dolore. La testa le scoppiava, affollata di pensieri.
“Cosa vuol dire?” domandò in un alito angosciato concentrandosi sul qui e ora. Erano forse in combutta? Da Jareth avrebbe dovuto aspettarsi un tiro mancino simile. Ma perché? Non lo capiva, gli stava restituendo il suo trono. Quale motivo aveva per ingannarla?
“Che ora sono di nuovo il Re, non è vero, fratello?” disse il biondo andando a fronteggiare il moro. Sulle labbra un sorriso di vittoria, ma non di sfida, nei suoi confronti. Aveva vinto. Anzi, avevano vinto: i due fratelli. Non loro due. Non lui e lei.
Sarah batté le palpebre un paio di volte per schiarirsi la visione, fattasi improvvisamente confusa.
“Ma...” balbettò, incapace di articolare un suono concreto. Strinse i pugni e digrignò i denti, frustrata “Cosa significa?” strepitò infrangendo quel muro di confusione che la circondava.
Jareth si voltò, andando ad affiancare il fratello, guardandola perplesso, come se fosse stupida “Te l'ho appena detto, my dear. Mi hai reso i miei poteri e quindi il mio ruolo. Rajeth è ora esentato dal fare le mie veci.” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo
Lascia solo che io ti domini. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo” recitò lei come inebetita “Giusto? Mi hai condotto fin qui, comportandoti a quel modo solo per...” era incredula e non ce la faceva nemmeno a terminare la frase “Ti dissi, dall'inizio, che ti rendevo i tuoi poteri e il tuo trono. Che io non li volevo!” Disse alzando la voce di un'ottava
“Ma non funziona semplicemente così...” replicò lui incrociando le braccia al petto “Ad ogni modo, ora che sono nuovamente re, posso essere il tuo schiavo...dimmi, Sarah, c'è qualcosa che desideri particolarmente?” La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi, nervosa. Avrebbe voluto rispondergli che avrebbe tanto desiderato ammazzarlo di botte per il suo comportamento scorretto. Ma tacque. “Non trovi divertente il fatto che, proprio perché ho riavuto i miei poteri ora possa servirti al meglio?” Jareth era convinto della bontà delle proprie azioni. Rise, insieme al fratello, quasi non fossero mai stati avversari.
“Già che ci siamo tutti...” si intromise Rajeth “Direi che possiamo anche spicciarci a chiudere tutta la faccenda...” e con un movimento del capo indicò il balcone dove Toby e Immanuel stavano rannicchiati a osservare, apparentemente non visti, la scena. Detto fatto i due comparvero, inspiegabilmente e improvvisamente, accanto a Sarah.
“Allora...” continuò il moro fissando Immanuel “Tu sei stato chiamato qui come testimone. Dovrai documentare fedelmente, come compito della vostra famiglia...”disse sottolineando l'aggettivo e lasciando che lo sguardo vagasse sui tre componenti, cui faceva riferimento “...da generazioni, quello che accadrà oggi.”
L'uomo lo guardò perplesso. Avrebbe voluto puntualizzare che non era stato chiamato ma che aveva macchiato la propria anima logica e laica con un atto di stregoneria.
Toby protestò debolmente dicendo di non conoscere quell'uomo e Rajeth sbuffò impaziente
“Ma veniamo a te, piccola peste! Lo sai che non si parla senza il permesso dei grandi?” ridacchiò folgorando Toby coi suoi occhi rossi “Ad ogni modo, tanto per rispondere alla vostra domanda...” disse guardando Sarah “Lui è vostro cugino, non lo sapevi? In realtà cugino di Sarah, tu sei solo un parente acquisito, come è regola, in questi casi. Ma...volevo farti i miei complimenti: sei riuscito a liberarti...”
“Tu sei un bugiardo!” sbottò il bambino dimenticando ogni rispetto per gli adulti: quei due disgraziati erano tutto fuorché gente matura e responsabile. Non si parla senza il permesso dei grandi? Beh, stava parlando con lui e l'aveva pure interpellato, quindi... “Hai mentito spudoratamente! Credi che io ti creda?”
“Che gli hai fatto?” sibilò Jareth al fratello guardandolo in tralice
“Solo giocato le mie carte al meglio...” gli rispose l'altro sorridendo
“So tutto!” Bluffò il biondino. Si frugò nelle tasche, ne estrasse la sfera e la mostrò con orgoglio agli astanti
“E quella?” domandò scettico Rajeth levando un sopracciglio. Sarah gli aveva fatto eco sbalordita
“E' il mio portafortuna...ce l'ho sempre avuto...” aggiunse guardando la sorella di sottecchi. Lei, a sua volta, si girò verso Jareth che le sorrise compiaciuto. Allora ricordò che nella sala di Escher lui, dopo averla accusata di insensibilità, gli aveva mostrato il lattante lanciandogli una di quelle dannate sfere. Poi aveva perso di vista il marmocchio...e la sfera! L'aveva rivisto direttamente nella culla. “Mi ha mostrato cos'è successo realmente!”
“Ma davvero?” ridacchiò Rajeth per nulla impressionato. “Va bene, allora... possiamo fare veramente in fretta... Devi scegliere...”
“Lo so...” ringhiò il bambino “Me l'ha detto … una persona importante...” aggiunse vedendo lo sguardo scettico dei due fratelli
“Benissimo, allora!” Continuò Jareth “Allora avrai già la tua idea... chi scegli?”
Il bambino rimase interdetto, sospettando, all'improvviso, un tranello. Chi avrebbe scelto...per cosa?
Per sua fortuna, Immanuel decise di intervenire, per la prima volta, proprio in quel momento “Scegliere cosa? Dovere di cronaca...” precisò quando si accorse di aver calamitato su di sé tutta l'attenzione
Jareth sbuffò “Ora che siamo in condizione di parità, il prescelto deve indicare il legittimo erede del titolo che governerà, in sua assenza, fino al compimento dei diciott'anni. Da quel momento, la discendenza tornerà a lui.”
“E per quale motivo è così importante?” incalzò il professore, il cui spirito di ricercatore si era appena ridestato
“Perché nelle mani di uno c'è, oltre il titolo effettivo seppur a tempo determinato, la vita dell'altro. Le leggi che verranno promulgate fino ad allora potrebbero compromettere la sua ascesa, arrivando a modificare il regolamento. Siamo vicini allo scioglimento della maledizione e bisogna ristabilire l'ordine.” rispose Rajeth stancamente
Toby, che in tutto quel lasso di tempo non aveva mai abbassato lo sguardo, fingendo abilmente di essere a conoscenza di tutte le implicazioni della sua scelta, parlò con voce sicura e impaziente, quasi la spiegazione fornita non fosse altro che un'inutile perdita di tempo. “Ovviamente, non scelgo nessuno di voi due ciarlatani” disse stizzito.
I due fratelli sorrisero bonariamente alla sua esternazione, probabilmente pensando fosse troppo giovane e sprovveduto per poter prendere una decisione tanto importante. “Tu devi scegliere...non puoi esimerti...”
“Allora scelgo...” Toby soppesò la scelta che aveva già in testa, a suo parere la migliore in assoluto “Sarah! Lei è la mia tutrice e continuerà a curare i miei interessi fino alla maggiore età. Lei ha i requisiti e le conoscenze per governare questo posto in mia vece”
“Ma sei impazzito?” sbottò la sorella, resasi conto di quello che aveva appena detto il bambino. Istintivamente, strinse il medaglione che aveva ancora al collo, l'emblema del potere. Medaglione che non era ancora tornato a Jareth, il suo legittimo proprietario.
“Ciò che è detto è detto...” biascicò mesto Jareth “Come dice giustamente il ragazzino, Sarah ha i requisiti adatti.” con un ampio movimento del braccio constatò la realtà dei fatti. Immediatamente, Sarah si rese conto che il suo vestito era cambiato ancora una volta. Non che a Jareth servissero gesti particolari per fare magie. Era semplicemente più scenografico e teatrale.
Si sentiva la schiena nuda, accarezzata solo da qualche ciocca di capelli, evidentemente raccolti in un elegante chignon fermato da una tiara che le pizzicava la cute. Le braccia scivolarono sul lucente raso avorio dandole una sensazione di freschezza. Mai come in quel momento avrebbe desiderato uno specchio.
“Io non voglio saperne di questo potere!” replicò poco convinta.
“Desideri avere qualcuno al tuo fianco che regga tutto questo peso?” domandò sardonico Rajeth
“Qualcuno che sia...abituato?” rincarò il biondo re di Goblin mentre Rajeth metteva il muso e arricciava le labbra, probabilmente infastidito per quell'ingerenza
“Ora sarei io a dover scegliere?” rispose con un ghigno nervoso
“Non preoccuparti...se l'imbarazzo della scelta è tale, possiamo vedercela tra noi...” replicò Jareth mellifluo. “Non ho ragione?” chiese senza nemmeno voltarsi
“Proprio così” confermò Rajeth con un sorriso tirato e triste, le parole che si incastravano in gola.



Si udì un sibilo frustare l'aria. Quindi il rumore lacerante di carni che vengono straziate. Il crepitare di ossa disarticolate o tranciate. Lo zampillìo di un liquido in pressione che schizza fuori dal proprio contenitore.
Sarah, sconcertata, abbassò lo sguardo sul proprio abito candido. Era macchiato di spruzzi rossi, caldi e freschi. Il terrore le annebbiò la vista e i ricordi di corpi martoriati in una pozza di sangue ritornarono violenti alla memoria, mozzandole il respiro. Il suo corpo sembrava essere in bilico tra due reazioni ugualmente forti ma così diverse: vomitare o svenire.
I due fratelli avevano eliminato il terzo incomodo per vedersela tra di loro? Ma lei non la voleva quella responsabilità!
Alzò lo sguardo, cercando gli occhi dei suoi assassini. E incontrò quelli azzurri, spaiati e sbarrati di Jareth. Avrebbe voluto urlargli i peggiori insulti, di come si sentisse stupida a essersi fidata così di lui. Avrebbe voluto sbattergli in faccia un “E io cosa avevo sempre detto? Tu mi volevi morta dall'inizio!”.
Qualcosa nello sguardo dell'altro la fece demordere. Qualcosa nel suo improvviso pallore verdastro le disse che c'era un dettaglio che non aveva ancora messo a fuoco.
Dolore.
Non aveva provato alcun dolore fisico. Quindi... le armi magiche non facevano male come quelle umane? Jareth non aveva assestato un colpo abbastanza preciso da tranciarla in due di netto e non aveva potuto riappropriarsi di quel potere che lui stesso, a quanto aveva detto, le aveva donato chissà quando? Era preoccupato per quello? Di perdere qualcosa che era suo e che, come tutte le creature dell'Underground, a detta sua, smaniavano per ottenere?
No. Era qualcos'altro.
Ma lo capì troppo tardi.
Quando lui si accasciò al suolo, rivelando l'orribile squarcio che lo percorreva dalla base della nuca fino alla cintola. Gli eleganti abiti azzurri erano neri del suo sangue, i suoi capelli impastati in nodi grumosi. Il taglio, non riusciva a vederlo bene... non voleva vederlo, in realtà. Doveva avergli trapassato la cassa toracica o il corpo molle delle viscere perché arrivasse fino a lei.
Incapace di ragionare, paralizzata da un nuovo orrore, alzò meccanicamente lo sguardo sul moro che ora svettava davanti a lei.
Rajeth avanzava a passi misurati, sicuro e tranquillo, come se non fosse successo nulla. Come se suo fratello non fosse appena morto. Come se lui non lo avesse appena ucciso.
Nella mano, se ne accorse solo in quel momento, brillava una strana spada zigrinata, simile a un kriss1. La lama, ma a ben vedere anche l'elsa, era di una strana pietra scura, paradossalmente luminosa quanto un diamante ma per niente trasparente. Quella che reggeva in mano era uno squarcio di sublime oscurità.
“Il diamante nero2 è decisamente resistente...non trovi?” disse rimirando la lunga lama sottile mentre calpestava il cadavere del fratello, come se fosse stato soltanto un'estroflessione del terreno. “Dunque, mia cara...vogliamo procedere?” disse inginocchiandosi davanti a lei. Le prese la mano, rigida lungo i fianchi, e se la portò alle labbra, fissandola con mal celato desiderio.
Quegli occhi rossi, così innaturalmente rossi, le davano solo fastidio, in quel momento. Ma sentiva anche una profonda attrazione. Come poteva averli amati, trovati caldi e rassicuranti un tempo?
“Capisco come puoi sentirti...” disse lui, sbuffando e rialzandosi “Ma ho solo anticipato le sue mosse. Mors tua, vita mea. Avevo previsto che Toby non avrebbe scelto nessuno di noi due... e ho anticipato le sue mosse. Anche perché c'ero io, prima di lui. Mi sarebbe proprio seccato farmi portare via, ancora una volta, ciò che è sempre stato mio...”
“Non mi toccare...” sibilò Sarah liberando il polso dalla sua mano “Assassino...”
“Quante storie...” sbuffò il moro
“E non sono un oggetto!” replicò ancora la ragazza, cercando in se stessa la forza per non crollare. Toby e Immanuel, alle sue spalle, insieme a Marking, non si muovevano, forse intrappolati da qualche muro invisibile.
“Tutto quello che vuoi, mia preziosa...” disse allargando le braccia
“E non usare le sue parole!” ringhiò, tremante di rabbia
Lui si voltò a scrutarla con sufficienza “Non mi era sembrato che ti dispiacesse le usassi...quando stavamo assieme...” sputò velenoso
“Non siamo mai stati assieme!” replicò lei più piccata
“Ah no, certo...solo perché non te l'ho mai chiesto. Se con te non si è più che espliciti la cosa non gira!” ringhiò infastidito “Degno della principessa...Ma, se la memoria non mi gioca strani scherzi... quella volta tu non ti sei tirata indietro, anzi...” La cattiveria con cui le rinfacciò il passato la stordì permettendo a Rajeth di continuare “E' stato già abbastanza...” si volse di lato, mordendosi le labbra e arricciando il naso in cerca del termine che meglio esprimesse i suoi sentimenti “...frustrante... vederti fare la civetta con lui per tutto questo tempo...” ringhiò rancoroso “Fare a lui gli occhi dolci, arrossire alle sue parole...baciarlo, addirittura...” Quando tornò a posare lo sguardo su di lei la vide confusa. Quindi aggiunse “I tuoi sogni... quelli che hai rivissuto poco fa... non erano sogni.” la informò con una nota nostalgica nella voce. Sembrava avesse un groppo in gola per l'emozione “Quelli...erano il nostro passato, Sarah. Tuo e mio.” Aveva moderato i toni e ora la guardava con così tanta dolcezza e struggimento da farle quasi dimenticare l'orribile azione di cui si era macchiato.
“Potevi evitarmi tutto questo...affrontare ancora il labirinto!” rispose lei sulla difensiva, confusa da quel cambiamento repentino
“Non potevo, come non potevo restare con te nell'Aboveground. Queste sono le responsabilità di chi è chiamato a regnare.” la informò ancora, paziente “Inoltre, il mio labirinto era diverso da quello di Jareth. Il suo mette il concorrente nelle condizioni di affrontare difficoltà esterne al sé. Ne testa le capacità -logiche, adattive, emotive- obbligandoti a evolvere e maturare per poter procedere. Se tu hai vinto, è perché eri una persona tutto sommato completa. Nel mio labirinto, invece, devi affrontare te stesso. I tuoi desideri, le tue paure e la tua coscienza” Sarah ricordò il primo incontro con lo specchio, il cubo claustrofobico e lo spazio interdimensionale e le sabbie mobili. “Un bravo regnante...” continuò Rajeth “Deve saper affrontare se stesso. Deve sapersi mettere da parte per uno scopo più grande. Nel tuo caso, dovevi solo rendere i poteri a Jareth. E anche lui, ovviamente, doveva dimostrarsi nuovamente degno di ambire al titolo.” E Sarah rivide il biondo mentre affondava, in un'irreale compostezza regale, nella melma fangosa, di come l'ansia l'avesse attanagliata. L'aveva creduto morto già quella volta. Probabilmente, si disse, come nei romanzi che tanto amava, il protagonista non era morto davvero. Era solo svenuto o era in uno stato di morte apparente. Doveva esserci il trucco! Quello era un mondo magico, tutto era possibile e niente era come sembrava. Ripeté quelle parole nella sua testa fino a convincersi della loro verità. Jareth non poteva andarsene in un modo tanto poco grazioso.
Ma un nuovo senso di panico la invase. E se, invece, fosse morto davvero? Se quel senso di sicurezza fosse solo la confusione di quando voleva credere che un personaggio tanto amato non fosse davvero morto? Il duro contraccolpo sarebbe arrivato solo alla fine dell'avventura. Ma qual'era la fine della sua avventura? Avrebbe mai scoperto la verità? Anche avesse visto il corpo decomporsi immediatamente sotto i suoi occhi, avrebbe pensato a un qualche trucco. Maledisse quel mondo assurdo in cui nessuna regola poteva essere data per buona e definitiva. Qual'era la verità?
Rajeth lesse il conflitto nei suoi occhi. Stirò un sorriso e quando parlò, Sarah pensò di vivere un incubo “Mia cara... è tutto vero. Tu sei regina e Jareth...” disse dando un calcio sul costato del cadavere in modo da voltarlo supino “E' solo un uomo. Un mago non è altro che un uomo con poteri illimitati. Non è immortale. E' solo dieci volte più longevo. E ora è morto stecchito.”
Il calcio al corpo inerme. Gli arti, che si mossero in modo innaturale, troppo fluido e scomposto. Lo squarcio sul petto. La pelle tirata sugli zigomi. Gli occhi sbarrati.
L'orrore della morte si palesò in tutta la sua sconvolgente essenza. Il rifiuto dell'accaduto, protratto fino a quel momento, e il rifiuto dell'azione dell'uomo che le porgeva la mano amorevole, così stridente con il contesto, esplosero violentemente nel petto della ragazza, squarciandolo di un dolore incommensurabilmente più straziante di qualunque altro sentimento avesse mai provato in vita sua.
Jareth era morto.







1    Uno dei miei punti deboli e ricorrenti sono le armi. Certe armi in particolare. Non ricordo nemmeno più quando nacque il mio amore per il Kriss, questo pugnale malese a doppia lama ondulata. E' terribile!

2    Per saperne di più Carbonado e Diamante Nero.
   
 
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