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Autore: Stratovella    01/09/2012    5 recensioni
"Volendo evitare ogni conseguenza negativa, la lucertola seguì il cane al piano superiore, dove si trovava l’area principale del locale: un ampio bar notturno di nome Devil’s Nest.
Un appellativo perfetto, se ci si pensava. “Il covo del diavolo”, un rifugio dove il Signore delle Tenebre ospitava gli sventurati che, per un motivo o per un altro, non avevano potuto accedere alle porte del Paradiso. [...]
In un posto del genere, Bido avrebbe dovuto sentirsi tranquillo, e in fondo, un po’ lo era.
Tuttavia, la scarsa fiducia in se stesso lo faceva tentennare anche di fronte all’evidenza dei fatti."
Un racconto che parla di Greed e di uno dei personaggi meno considerati di tutto il manga: Bido.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Dolcetto, Greed, Martel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La storia di Greed'
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Il Diavolo e la lucertola

 

“Levati dai piedi. Non ho spiccioli per te, vecchio!”

 

L’uomo scansò malamente il mendicante, proseguendo nel suo cammino con aria scocciata.

L’individuo incappucciato sospirò. Dopo l’ennesimo rifiuto, non riuscì a trattenere la rabbia, che sempre accumulava dentro di sé, incassando ogni colpo senza reagire.

 

“Potrebbe essere più gentile!” urlò, con gli occhi lucidi di tristezza “E comunque non sono un vecchio!”

 

La sua esclamazione si perse inutilmente nell’aria, come un soffio di vento nel deserto.

Fiato sprecato. Per quanto urlasse e per quanto cercasse di sembrare minaccioso, Bido veniva sempre bistrattato alla stregua di un animale indifeso. Ma in fondo, non c’era poi da stupirsi tanto di questo fatto; perché un animale indifeso, Bido la chimera, lo era per davvero. Mezzo uomo, mezzo lucertola; il frutto di un esperimento andato a buon fine, se così si può dire.

Già. Perché di tutti gli altri che come lui avevano subito il medesimo trattamento, Bido poteva sicuramente considerarsi il più sfortunato.

Sfortunato perché debole; sfortunato perché piccolo. Sfortunato perché brutto.

 

“Non avete il diritto di trattarmi così solo per il mio aspetto!”

 

Lo aveva urlato. Oh, quante volte lo aveva urlato alla gente. Eppure, non era mai servito a nulla. Per quanto si sforzasse di far capire alle persone il suo disagio, sembrava che nessuno se ne rendesse conto, o peggio: sembrava che non gliene importasse niente. Giravano i tacchi, e se ne andavano. Alcuni, facendo finta di non vederlo, altri insultandolo senza ritegno.

In fondo, un po’, era anche colpa sua. Farsi rispettare non era mai stato il suo punto forte. E ora che il suo corpo era stato modificato in quel modo, la situazione non sembrava migliorare.

Teoricamente, una chimera dovrebbe avere maggior forza e resistenza di un comune essere umano. Ma Bido, sebbene fosse conscio di non trovarsi proprio nell’ultimo anello della catena alimentare, si sentiva alla pari di un insetto. Il corpo piccolo, la testina calva ricoperta di macchie verdognole e la grossa coda che si trascinava dietro erano la causa principale della sua insicurezza. Con un aspetto del genere, nessuno sarebbe riuscito a guardarsi allo specchio con la convinzione di essere forte; con la certezza, cieca e assoluta, che tutti lo avrebbero rispettato.

Per questo motivo, Bido si sentiva profondamente arrabbiato, e triste.

Anche se negli ultimi anni aveva trovato un posto in cui stare, in fondo al suo cuore, il piccolo rettile viveva nel timore che un giorno, anche coloro che più gli erano vicini, lo avrebbero lasciato indietro, perché stanchi della sua debolezza.

E questo pensiero lo tormentava. Perché Bido odiava essere solo. Si era sentito solo da umano, e ora, non aveva la minima intenzione di finire allo stesso modo. Perché la vita gli aveva dato una seconda chance, una possibilità che non poteva permettersi di smarrire, ma che, inconsciamente, stava perdendo a causa di quei pensieri che costantemente lo colpivano a ogni ora del giorno e della notte.

E così, anche quel giorno, quando la sera calò sulla ridente cittadina di Dublith, la piccola chimera, vestita di stracci e senza un centesimo, fece ritorno alla sua tana, con gli abiti intrisi dalla pioggia che insistente si era scagliata su tutta la città.

Mentre l’acqua precipitava a dense gocce dal cielo, Bido correva, arrampicandosi sui tetti delle case, sfruttando quel solo vantaggio che il suo lato animale gli offriva: mani e piedi appiccicosi come ventose. Di grande utilità, ma orribili al tatto.

Quando finalmente arrivò a destinazione, s’intrufolò in un vicoletto, dove una piccola porticina di legno spuntava inosservata sul muro, quasi interamente circondato da casse e scatoloni di varie dimensioni.

Arrivato ai piedi dell’uscio, Bido vi bussò, e una voce all’interno disse qualcosa.

 

“Parola d’ordine?”

 

Il piccolo rettile tirò un profondo sospiro, dopodiché parlò.

 

Niente è impossibile.” Asserì, e in un attimo la porta si spalancò.

 

Bido varcò la soglia e si tolse il cappuccio, incontrando gli sguardi dei presenti.

Quello in cui si trovavano era un magazzino pieno di scorte di vario genere, dalle bottiglie del miglior whisky ai vini della più pessima annata. Il pavimento, interamente fatto di legno, si estendeva per una buona metratura, rendendo quel posto apparentemente invivibile adatto ad ospitare almeno cinque o sei persone.

Fradicia e infreddolita, la lucertola si lasciò sfuggire uno starnuto, attirando l’attenzione di una ragazza, che se ne stava poggiata contro il muro a braccia conserte.

 

“Si può sapere dove sei stato ancora?” domandò questa, con sguardo accigliato.

 

Bido abbassò il capo, come un bambino rimproverato dalla maestra.

 

“In giro a raccogliere informazioni per il signor Greed.” mentì, sperando di farla franca come al solito.

 

Quando udì la sua risposta, la ragazza si spinse in avanti, staccandosi dal muro.

Era un mezzo serpente, lei. Come Bido e tutti gli altri presenti in quel luogo, Martel - questo era il suo nome - era stata sottoposta allo stesso esperimento, diventando una chimera.

Tuttavia, a differenza del piccolo compagno, lei aveva imparato ad accettarsi per quello che era, senza crogiolarsi nella disperazione di aver perso la sua umanità e il suo reale aspetto.

 

“Datti una lavata, sei tutto sporco.” aggiunse la ragazza, prima di varcare la porta che conduceva al piano superiore.

 

Quando Martel sparì dalla scena, Bido tirò un sospiro di sollievo.

Lo faceva sentire a disagio. Ogni volta che lei lo interrogava su dove fosse andato o su cosa avesse fatto, il suo corpo veniva invaso dalla paura, che scorreva nelle sue vene proprio come il veleno di una serpe.

Era strano: in quel posto pieno di uomini nerboruti, quella che più spaventava il piccolo rettile era una donna, l’unica presente in quel luogo, e decisamente la più debole del gruppo.

 

“Lasciala stare, oggi è un po’ su di giri.”

 

All’improvviso, la voce di un terzo individuo risvegliò Bido dai suoi pensieri.

Poco distante dalla lucertola, infatti, la chimera Dolcetto fumava una pipa lunga e sottile, intimandolo di non dare troppo peso al tono duro che Martel aveva usato.

 

“È tutto il giorno che ha quell’aria scocciata, e nessuno di noi ne capisce il motivo. Bah! Donne…

 

A quelle parole, Bido si sentì più tranquillo. Forse, non era ancora giunto il momento che tanto temeva, quello che lo vedeva lasciato da parte come qualcosa che non serve più e di cui nessuno ha bisogno.

 

Grazie…

 

Fu ciò che il rettile disse, senza guardare negli occhi il suo interlocutore.

Dolcetto alzò un sopracciglio, aspirando un altro tiro della sua pipa.

 

“Puoi guardarmi in faccia mentre ti parlo, non mordo mica… anche se per metà sono un cane.” disse con tono pacato, nella speranza di smuovere l’altro dal suo evidente disagio.

 

Bido alzò il capo di scatto e lo guardò negli occhi, interpretando il suo invito come un ordine.

 

S… sì! G-grazie.”

 

Il mezzo cane inclinò leggermente la testa in avanti con aria furbetta.

 

“… Dolcetto.” suggerì come aggiunta ai suoi ringraziamenti.

 

Bido deglutì, e ripeté la frase completamente rosso d’imbarazzo.

 

Grazie… Dolcetto.” quando pronunciò il nome del compagno, spostò lo sguardo altrove, concentrandosi sulla parete bianca del muro.

 

Dolcetto sorrise.

 

Ahah! Beh, dovremo lavorarci un po’ su…” disse ridacchiando. Con un balzo, scese dalla cassa di legno su cui era seduto e fece per dirigersi verso la stessa porta che aveva imboccato Martel un attimo prima.

Prima di varcare l’uscio, il cane si girò verso la lucertola, invitandola a seguirlo.

 

“Che fai lì immobile? Il signor Greed ci aspetta. Non vorrai farlo arrabbiare, vero?”

 

Bido scosse la testa terrorizzato. Se stuzzicare la rabbia di Martel era pericoloso, irritare quella del signor Greed equivaleva a garantirsi un abbandono più che assicurato, se non qualcosa di peggio. O almeno, queste erano le supposizioni del rettile, che nonostante il profondo sentimento di stima nei confronti del suo capo, non era mai stato totalmente convinto di ciò di cui fosse capace.

Così, volendo evitare ogni conseguenza negativa, la lucertola seguì il cane al piano superiore, dove si trovava l’area principale del locale: un ampio bar notturno di nome Devil’s Nest. Un appellativo perfetto, se ci si pensava. “Il covo del diavolo”, un rifugio dove il Signore delle Tenebre ospitava gli sventurati che, per un motivo o per un altro, non avevano potuto accedere alle porte del Paradiso. Una sorta di piccolo Inferno, ma che di tale aveva solo il nome. Perché lì dentro, sebbene vivessero gli energumeni peggiori del quartiere, nessuno alzava mai le mani sull’altro. Andavano tutti d’amore e d’accordo, proprio come bravi coinquilini che condividono la stessa casa. In un posto del genere, Bido avrebbe dovuto sentirsi tranquillo, e in fondo, un po’ lo era.

Tuttavia, la scarsa fiducia in se stesso lo faceva tentennare anche di fronte all’evidenza dei fatti. In cuor suo, lui sapeva di trovarsi in un luogo sicuro. Ma l’insistenza di quei pensieri così paurosi non lo scostava minimamente dall’idea di sentirsi comunque diverso e inferiore a tutti loro, che almeno potevano vantare un aspetto minaccioso e un carattere forte.

Quando le due chimere giunsero nella sala, Dolcetto si ricongiunse a Martel e ad altri due omoni, mentre Bido ne approfittò per starsene in disparte. Il signor Greed non era ancora arrivato, così, non avendo ordini a cui obbedire o persone con cui parlare, il rettile si mise ad osservare il quotidiano via vai di coloro che popolavano il locale.

Alla sua sinistra, un ampio tavolo da biliardo era occupato da due loschi figuri, che non accettando mai di perdere, rinnovavano la rivincita al termine di ogni partita. Bido li osservò, facendosi passare il tempo tra una buca e l’altra. Ma dopo un po’, fissare quella superficie verde gl’infastidì gli occhi, i quali si accorsero in un istante che qualcuno di importante stava facendo ingresso dall’entrata principale.

Immediatamente, il bruciore che Bido aveva avvertito svanì, e il suo cuore cominciò a palpitare sempre più forte.

Non era paura, né un segno d’amore. Semplicemente, ammirazione. Un’ammirazione profonda ed intensa, che mai aveva provato per nessun’altra cosa o persona.

Eccolo, era là: il Signore delle Tenebre, l’uomo che non è un uomo. Il signor Greed era entrato nella stanza e tutti avevano interrotto le loro attività, riservandogli un saluto. Come spesso accadeva, anche quella volta il capo del Devil’s Nest non era solo: a fianco a sé aveva due belle fanciulle, truccate di molto e vestite di poco.

Bido sorrise, e i suoi occhi brillarono. Era sempre il solito sciupa femmine, il signor Greed. Non tornava mai senza portare qualcosa di nuovo. D’altronde, era per questo che viveva: ottenere. Per quante cose avesse, niente gli bastava mai. Il capo bramava ogni giorno cose sempre diverse, e poi, come un buon cacciatore, otteneva ciò che aveva desiderato, tenendo a bada il suo stomaco, nell’attesa che la fame si rinnovasse, lamentando altra selvaggina. E di cosa aveva bisogno tutti lo scoprivano a fine giornata, quando rientrava con il suo bottino di guerra.

Quel giorno, aveva avuto voglia di donne. E le aveva prese, e portate con sé nella sua tana. Quella tana dove poi le faceva cadere vittime del suo fascino maturo, di quel corpo così bello a cui nessuna di loro sapeva resistere.

Ah… il signor Greed era veramente degno di chiamarsi uomo. I capelli dritti, neri come la pece; lo sguardo deciso e sensuale; il fisico muscoloso ed asciutto; i lineamenti squadrati e il sorriso accattivante…

Bido avrebbe potuto elencare ogni singola dote del capo riempiendo enormi pile di fogli, ma voleva che quel sentimento di profonda stima rimanesse un segreto. Nessuno avrebbe capito ciò che provava. Tutti, lì dentro, mostravano rispetto per il loro superiore, ma nessuno aveva negli occhi la stessa luce che brillava nei suoi, ogni volta che il Diavolo tornava nel suo covo, degnandoli della sua presenza.

Dopo neanche un minuto dal suo ingresso, il capo s’accomodò su uno dei morbidi divani posti al centro della sala e cominciò a ridere e scherzare insieme al suo bottino.

Bido lo guardava da lontano, vedendolo interagire tranquillamente anche con Martel e Dolcetto.

La lucertola sospirò malinconica. Come invidiava quel loro coraggio: nessuno si poneva alcun tipo di scrupolo nel parlare col signor Greed. Tutti si comportavano come se il capo fosse esattamente sul loro stesso livello. E questo, di contro, faceva lo stesso.

Forse, non era poi così pericoloso rivolgersi al signor Greed come a un loro pari. O almeno, non lo era se si trattava degli altri. Ma Bido, che era oltretutto penalizzato dal suo complesso d’inferiorità, non se la sentiva di interagire con lui senza essere interpellato. Così, passavano giorni in cui non ci scambiava neanche mezza parola. Perché se non era il capo il primo a chiamarlo, lui non osava farsi avanti nemmeno sotto costrizione. Non aveva paura di ciò che avrebbe potuto fargli, quanto di cosa avrebbe potuto dirgli. Bido non voleva essere giudicato da lui, perché sapeva che ciò gli avrebbe spezzato il cuore. Se n’era convinto, e ormai ci credeva. Per questo, anche quando era lui a chiamarlo, le gambe gli tremavano e il cuore non cessava di battere rumorosamente nel suo petto.

Inoltre, come se non bastasse, ad aggravare la situazione c’era la questione della razza: sebbene il signor Greed avesse tutti gli attributi per definirsi un vero uomo, di lui tutto si poteva dire, meno che fosse tale. Perché di un uomo Greed aveva l’aspetto, le molecole e il cuore. Ma era un essere dalle capacità inumane, in grado di rigenerare ogni ferita del suo corpo in brevissimi istanti. Era addirittura capace di farsi ricrescere arti e organi interi, senza l’intervento di nessuno. Era, in un certo senso, quasi immortale.

E questo fatto tanto affascinava Bido quanto lo intimoriva. Sapere che colui dal quale prendeva ordini non era altri che un homunculus, un uomo artificiale, dotato di poteri e capacità fuori dal comune, era una consapevolezza allo stesso tempo straordinaria e spaventosa.

Ah! Anche solo quella breve, ma incisiva definizione gli calzava a pennello: “uomo artificiale”. Suonava importante, e decisamente fuori dal comune. Quel termine, “artificiale”, conteneva un insieme di lettere che unite in una sola parola facevano schioccare la lingua sul palato, producendo un contrasto di consonanti che suscitavano un senso di potenza e rispetto. A Bido piaceva pronunciare quella parola, ma lo faceva sempre di nascosto, quando nessuno poteva sentirlo, né vederlo.

Mentre la chimera fantasticava in disparte, al centro della sala, Martel sussurrava qualcosa all’orecchio del capo, rendendolo partecipe di un fatto che si ripeteva ormai da tempo.

 

Bido ha un atteggiamento strano ultimamente…” disse, seriamente preoccupata della cosa “Esce spesso fuori dal locale senza che gli sia ordinato. Sospetto che vada a fare qualcosa che vuole tener segreto.”

 

Seguilo.”

 

La risposta del Boss fu più che esaustiva. Non si sarebbe occupato personalmente della cosa, perché non ne aveva desiderio, né voglia. Però, la questione lo incuriosiva già da un po’. Sì, perché Bido aveva sempre avuto un comportamento molto strano. A differenza di tutti gli altri reietti che ospitava, lui era l’unico che non gli dava soddisfazione. Perché non rideva, né mostrava alcun tipo di emozione che potesse simboleggiare un senso di gratitudine nei suoi confronti, per averlo salvato; per averlo reso parte di qualcosa in un mondo troppo crudele per ospitare creature come loro, che non erano uomini, né animali, ma mostri.

Greed stesso, per quanto abusasse con piacere delle sue capacità, non si definiva un uomo, ma qualcosa che aveva fallito nello scopo di essere perfetto. Perché la sua immortalità era pura apparenza. Lui non moriva, ma poteva farlo dieci, cento, mille volte. Finché il suo corpo si sarebbe rigenerato, lui avrebbe continuato a vivere senza saper attribuire alla morte il giusto valore che le spetta. E questo, più che un privilegio, rappresentava una condanna. La condanna di non saper distinguere l’esistenza dalla non esistenza; la pena di non capire per quale ragione gli uomini siano tanto attaccati alla vita, e altrettanto intimoriti all’idea di morire. Perché Greed aveva visto la morte, ma non la conosceva. E questo, lo rendeva l’essere più incerto del mondo, che nel dubbio viveva e moriva in egual misura, senza mai intraprendere una scelta concreta.

In fin dei conti, nessuno può realmente conoscere la vera sofferenza che si nasconde nel cuore degli altri.

Neanche Bido, che vedeva il suo capo alla stregua di una divinità, poteva immaginare quanto, in realtà, lui e l’homunculus fossero simili.

Perché anche Greed, nel lento scorrere dei suoi duecento anni, era stato rifiutato, escluso, ritenuto feccia e maltrattato da chi come lui portava sulla pelle quel simbolo rosso come il sangue: un drago che si morde la coda; la rappresentazione simbolica dell’infinito ripetersi degli eventi, del morire e del resuscitare senza mai uscire da quel cerchio, senza mai conoscere la vera realtà delle cose.

Gli homunculus erano così: inseguivano la loro coda e il loro istinto. E questa era la loro natura e la loro condanna. Perché mentre continuavano a vivere, tutto intorno a loro cambiava e moriva. Nascevano nuove civiltà e tutto si evolveva, mentre loro rimenavano sempre allo stesso punto, per mesi, anni, e secoli.

Non era bello vivere nell’incertezza. Ma se Greed avesse potuto scegliere tra la vita eterna o la morte eterna, sicuramente avrebbe optato per la prima. Perché il pensiero dell’oscurità e del silenzio lo terrorizzava come nessun altra creatura vivente. Non conoscendo affatto la vera identità della morte, questa rappresentava per Greed la più grande minaccia dell’universo. Perché la morte eterna era la morte vera, quella da cui non si può tornare indietro e la stessa che tutti fuggono aggrappandosi alla vita.

Ottenere la vita eterna era dunque l’unica via di fuga dal conoscere la vera essenza della morte, che lui assimilava alla solitudine, in quanto priva di suoni e di rumori.

Perché per Greed essere soli era come essere morti. La morte che lui aveva sperimentato, quella da cui ogni volta risorgeva come il drago che aveva tatuato sulla mano, non somigliava a quella che lui definiva la morte eterna. Ciò che più riteneva simile a un tale trionfo dell’oscurità era invece la solitudine, quel sentimento triste che ti isola dal mondo e dalle cose; quello stesso mondo e quelle stesse cose che lui bramava e voleva ottenere più di ogni altra cosa.

Non avrebbe accettato di morire. Non prima di aver riempito quel vuoto che gli lacerava il petto dal giorno della sua nascita. Quella voragine interiore che i suoi simili avevano allargato e che lui, con tanta fatica e sudore, cercava ogni giorno di restringere sempre di più, nell’attesa di tirare quel tanto agognato e profondo sospiro di soddisfazione.

 

***

 

Il giorno successivo, in una delle tante vie secondarie della piccola città di Dublith, Bido si guardava intorno.

Quel giorno aveva avuto l’impressione che qualcuno lo stesse osservando. Non sapeva spiegarsi con precisione il motivo di quella sensazione, ma da quando aveva messo piede fuori dal Devil’s Nest, un’ansia incontrollabile aveva cominciato a scorrere sulla sua pelle, facendolo rabbrividire come in preda a un forte gelo. Deglutì, e cercò di scacciare quell’orribile fastidio, determinato a portare a termine il compito che si era imposto di svolgere, come tutte le mattine.

Lentamente, si coprì col cappuccio della sua veste sgualcita, badando a nascondere bene le sue sembianze animalesche, e si diresse fuori dal vicoletto.

Dietro di lui, a una discreta ma giusta distanza, Martel lo spiava nell’ombra, aggrottando le sopracciglia confusa dal suo atteggiamento.

 

“Cosa ha intenzione di fare?” si domandò fra sé e sé la donna serpente, mentre si sporgeva con cautela da un muretto, osservando la scena più da vicino.

 

Bido si era messo in un angolo di strada e teneva fra le mani un barattolo di latta, invocando l’attenzione dei passanti con le seguenti parole:

 

“Donate uno spicciolo a un povero mendicante, fate un’opera di bene.”

 

Nell’udire quelle parole, Martel spalancò le palpebre shockata: Bido stava chiedendo l’elemosina, o era solo una sua impressione?

Sperò di essersi sbagliata, ma la verità continuò a manifestarsi sotto ai suoi occhi.

 

“Vi prego, non siate insensibili, donate una moneta ai meno fortunati.”

 

Non appena il piccolo rettile disse così, un passante lo insultò pesantemente, guardandolo con aria sprezzante.

 

“Trovati un lavoro, straccione!”

 

Di fronte a quella scena, Martel digrignò i denti infuriata. Ce l’aveva a morte, non con l’uomo che aveva bistrattato il suo compagno, ma con Bido stesso.

Ogni giorno, quando la lucertola lasciava il locale di nascosto, era quello ciò che faceva: si metteva in ridicolo sotto gli occhi dei cittadini, subendo insulti e talvolta anche calci e sputi.

Era così che Bido aveva in mente di ringraziare il signor Greed di tutto ciò che aveva fatto per lui?

Non poteva passarla liscia. Bido avrebbe dovuto scusarsi personalmente col capo per quell’atteggiamento imperdonabile e poco ortodosso. Lo avrebbe portato da lui, subito. E il Boss avrebbe deciso per lui la giusta punizione.

La donna serpente uscì dal suo nascondiglio e afferrò il compagno per un lembo dei suoi stracci, sollevandolo alla sua altezza.

Bido rabbrividì ancora, e deglutì intimorito.

 

S… signora… !”

 

Lo sguardo di lei era accigliato e ardente come il fuoco.

 

“Ora tu vieni subito con me. Ti porto a fare due chiacchiere con il signor Greed. Temo che dovrai dargli delle spiegazioni.”

 

La lucertola inghiottì ancora un po’ di saliva e il suo cuore cominciò a battere ancora più forte: il signor Greed lo avrebbe giudicato e, con molta probabilità, gli avrebbe riservato una punizione più che terribile e definitiva.

 

***

 

Quando le due chimere entrarono nel locale, il signor Greed era comodamente rilassato sul divano, con le gambe incrociate sul tavolino e lo sguardo serio.

Bido non lo aveva mai visto così: accanto a lui non sedeva nessuno. Gli altri abitanti del Devil’s Nest erano dietro di lui, in piedi, nella penombra in attesa di ordini.

Martel fece sedere il compagno sul divano di fronte a quello del capo, dopodiché, si ricongiunse agli altri rimanendo in silenzio a braccia conserte.

Bido deglutì ancora. In quel momento, dietro al signor Greed avrebbe potuto esserci chiunque, ma la presenza del Boss davanti a lui era l’unica cosa che contava.

L’homunculus aveva ancora lo sguardo basso, e Bido non sapeva che espressione avessero i suoi occhi che, come nella maggior parte delle occasioni, erano occultati dalle lenti scure dei suoi piccoli occhiali da sole.

Non se li toglieva quasi mai. E se accadeva, voleva dire che si era verificato qualcosa d’importante, che signor Greed riteneva valesse la pena osservare direttamente con i suoi occhi.

Bido cominciò a stringere le dita dei piedi. Il silenzio della scena era angosciante. Sentiva che presto avrebbe detto “addio” a quel tetto che lo aveva protetto per diversi inverni, assicurandogli un luogo caldo in cui passare la notte e un posto in cui vivere.

All’improvviso, quando ritenne che la staticità della scena fosse stata sufficientemente lunga, il signor Greed disse qualcosa, rompendo il silenzio circostante.

 

“Il cappuccio.”

 

Bido alzò lo sguardo confuso.

Il capo tirò un sospiro e si spiegò meglio.

 

“Sarei felice di vedere la tua faccia quando ti parlo. Pensi che si possa fare?”

 

Parole pronunciate con tono secco, le sue. Tanto secco e provocatorio che la lucertola non esitò un attimo a obbedire.

Si scoprì il volto, mettendo in mostra quelle sembianze animalesche di cui tanto si vergognava.

Greed lo guardò per un po’, dopodiché, fece qualcosa di totalmente inaspettato. Lentamente, portò la mano destra al volto e si sfilò gli occhiali, lasciando Bido completamente di stucco.

Non si sarebbe mai aspettato un gesto simile. Era come se, ora che si era spogliato del suo prezioso cappuccio, Greed volesse mettersi al suo stesso livello, privandosi di quella che solo e soltanto lui sapeva essere nient’altro che una maschera pronta a difenderlo nei momenti più difficili.

Dopo qualche altro secondo di silenzio, il capo riprese a parlare, giungendo all’argomento principale del loro colloquio.

 

Ebbene… non credi che sia il caso di dirmi dove vai la mattina senza il mio consenso?”

 

Sebbene le sue parole non fossero ancora quelle forti e taglienti che Bido immaginava, il tono del capo era profondamente risentito. Nella sua voce… si poteva percepire una certa delusione.

Bido deglutì e abbassò nuovamente lo sguardo. Con le mani, stringeva due lembi del suo mantello nel tentativo di reprimere le lacrime che insistenti spingevano nei suoi occhi.

Pian piano, dalla sua bocca cominciarono ad uscire le prime, tentennanti parole, che lo vedevano rivelare ciò che aveva fatto con profonda vergogna e risentimento nei confronti di se stesso.

 

I-io… ho cercato di… m-mettere da parte qualche soldo… per il signor Greed.”

 

Il capo schiuse le labbra e inclinò la testa da una parte, continuando ad ascoltarlo.

 

C-credevo che… così facendo… vi avrei dimostrato la mia gratitudine…

 

Mentre la voce balbettante della lucertola si perdeva flebile nella stanza, le chimere osservavano prima Bido, poi il signor Greed, cercando di leggere nei suoi occhi la reazione che avrebbe avuto.

 

M… mi dispia-ce…

 

Bido continuava a scusarsi. Ormai le lacrime gli avevano completamente rigato il volto come le cascate di un fiume in piena.

Si vergognava. E più le parole uscivano dalla sua bocca, più si sentiva meritevole di una punizione severa.

 

“Tutti qui… sono così utili al signor Greed…” continuò il piccolo rettile, tirando in ballo la vera origine del suo comportamento “Tutti… sono così capaci e forti… invece io… io…

 

Non riuscendo a concludere quel discorso, la chimera alzò nuovamente lo sguardo, gridando le ultime parole di sfogo.

 

“Io volevo solo… volevo solo rendermi utile in qualcosa! Per voi: per il signor Greed!”

 

Ci fu silenzio. Ancora un silenzio lungo e angosciante.

Bido era tornato a fissare le proprie mani, che mai avevano smesso di stringersi alla sua veste, preparandosi a subire l’aspra sentenza che ormai era convinto di ricevere.

 

“Ah, ho capito…” riprese il capo “quindi era solo questo… e io che immaginavo chissà che.”

 

Ma in un attimo, tutto sembrò cambiare radicalmente. Il tono sollevato del signor Greed era giunto alle orecchie di Bido, liberandolo in un istante da quel mattone di paura che aveva avuto sullo stomaco per tutto il tempo. Il capo non era arrabbiato? Com’era possibile? Che Bido avesse dato troppa importanza al suo gesto, finendo per immaginarsi il peggio senza accorgersi che stava esagerando? Possibile… oppure no.

 

“Questa cosa…

 

Il tono dell’homunculus si fece nuovamente più scuro, per poi diventare forte e infuriato quando con un pugno colpì la testa del sottoposto, digrignando i denti colmo di rabbia:

 

“… MI FA INCAZZARE DA MORIRE!”

 

Bido si portò le mani alla nuca, cercando di placare il dolore.

Greed era furioso, e non smetteva di urlare, mentre con voce indiavolata inveiva contro di lui, cercando d’impartirgli una lezione che evidentemente non aveva ancora appreso.

 

“Ascoltami, idiota!”

 

Con furia, lo prese per il collo del mantello, fissandolo negli occhi con attenzione. Le sue iridi erano infuocate e non smettevano di bruciare, neanche di fronte allo sguardo indifeso e spaventato della povera chimera.

 

“Qui siamo tutti dei rifiuti. Chiamarci mostri o scherzi della natura non fa differenza: siamo tutti uguali, è questa l’unica cosa certa.”

 

Le sue parole rimbombarono nelle orecchie della lucertola, illuminandole la mente come non era mai accaduto prima d’allora.

 

“Qui dentro ognuno cerca di essere orgoglioso di se stesso, quando non avrebbe alcun motivo di esserlo, è questo che ci fa essere un gruppo. Essere tutti uguali è un privilegio, perciò vedi di non renderti diverso con le tue stesse mani!”

 

In quel momento, quando il signor Greed disse quelle parole, Bido si rese conto di una cosa a cui non aveva mai fatto caso: nessuno in quel posto lo aveva mai trattato come un essere inferiore. Quella che aveva avuto sino a quel momento non era altro che una sua convinzione. Perché Bido era sì insicuro, ma anche cocciuto: credeva quello che voleva credere e si rassegnava a quell’unica verità senza lottare o pensare che, qualche volta, la sua opinione potesse rivelarsi sbagliata.

 

“Tu hai la possibilità di far parte di qualcosa senza sentirti inferiore o frustrato perché gli altri ti ritengono una nullità, ti sembra cosa da poco?! Apri gli occhi e guardati intorno:”

 

Greed protrasse la mano verso il resto dei presenti, invitando il subordinato a osservarli senza timore.

 

“Guarda le facce di chi come te cerca una ragione per cui vivere. Ti senti davvero così diverso da tutti loro?!”

 

No. Non c’era differenza fra lui e quelle altre creature. Tutti erano stati vittime dello stesso esperimento e della crudeltà umana. Nessuno in quel posto poteva dire di essere stato più fortunato dell’altro, perché se lui si considerava uno scherzo della natura, allora significava che anche tutti gli altri lo erano.

E invece no. Perché nonostante il loro mostruoso aspetto, Bido li aveva sempre visti come degli esseri superiori, quasi da invidiare per le loro doti e per lo spirito che li univa in quanto uguali e perfettamente in sintonia fra loro. Ed era così che doveva essere: se Bido aveva quell’opinione di loro e se era vero che poteva considerarsi sul loro stesso livello a tutti gli effetti, questo voleva dire che anche lui era, in un certo senso, una creatura munita di doti uniche e che, nonostante le difficoltà della vita, poteva affermare di far parte di un gruppo.

 

“Chi viene rifiutato non rifiuta. Casomai si rifiuta, ma di essere qualcosa che non vuole!”

 

Quando il signor Greed pronunciò quella frase, Bido non poté fare a meno di notare come la mano con cui lo teneva stesse tremando.

Tremava. E non era rabbia. Perché nei suoi occhi era visibile qualcosa di diverso, qualcosa che Bido conosceva bene, ma che non aveva mai visto nello sguardo del capo.

 

“Se davvero pensi che questo non sia il posto giusto per te, allora vai! Cerca la tua libertà altrove e lascia indietro tutto quello che non serve a soddisfare la tua sete, di qualunque natura essa sia. Abbi il coraggio di fare la tua scelta e se serve levati dai piedi! L’importante è che non dimentichi una cosa: o accetti te stesso, o muori. Perché vivere senza accettarsi equivale a morire!”

 

A quel punto, le lacrime che solcarono nuovamente il volto della lucertola furono inevitabili.

Quelle parole, pronunciate sì con rabbia, ma anche con una profonda consapevolezza, gli colpirono il cuore, facendogli realizzare, frase dopo frase, quanto sciocco era stato ad assumere un simile atteggiamento, non prestando la dovuta attenzione a tutto quello che effettivamente aveva e che i suoi occhi avevano occultato a causa della sua cocciutaggine.

 

L… lei… ha ragione… sono un completo idiota!”

 

Bido urlò fra le lacrime, profondamente risentito con se stesso, e speranzoso di essere perdonato per quella sua sciocca distrazione.

 

“Mi dispiace… l’ho delusa. Ho deluso lei! Lei aveva fiducia in me, lei contava su di me, e questo è stato il mio ringraziamento! L’ho fatta arrabbiare al punto di tremare senza avere alcun rispetto della sua persona…

 

Greed spalancò gli occhi. Stava veramente tremando? Lasciò lentamente la presa dal mantello di Bido e osservò le sue mani. Era vero: tremavano. Tutti quei discorsi avevano rievocato nella sua mente i ricordi che aveva sempre voluto dimenticare. Nel parlare così al suo sottoposto, Greed aveva ripercorso la stessa strada che lo aveva spinto a lasciare la sua casa, quella originaria; quella dove gli homunculus erano nati e cresciuti.

Non voleva tornarci. Per nessuna ragione. Qualunque altra scelta sarebbe stata migliore, persino quella della morte eterna.

Già. Forse, l’unico caso in cui avrebbe scelto di morire veramente era quello che lo vedeva altrimenti costretto a tornare alle sue origini. E lui non voleva, perché temeva quel posto quanto la solitudine. Quel luogo era l’unico pensiero in grado di urtare la sua tenacia; in grado di ricattare il suo spirito ribelle desideroso di libertà.

Greed sospirò, e abbassò lo sguardo.

Tutti coloro che avevano preso parte a quel discorso avevano abbandonato la stanza uno dopo l’altro, lasciando da soli il Diavolo e la lucertola.

Dopo un po’, quando il pianto di Bido si fece più calmo, Greed pose una mano sulla sua nuca e vi appoggiò la testa, parlando con tono tranquillo.

 

“Nessuno è così forte da non temere niente. C’è sempre qualcosa che ci fa paura.”

 

Sia per il gesto, che per le parole del capo, la chimera rimase di stucco, ascoltandolo in silenzio.

 

Ma… se veramente sei determinato a sopravvivere, allora devi andare avanti e scoprire di cosa hai bisogno per non sentirti mai debole.”

 

Detto ciò, Greed si alzò in piedi e si diresse verso la porta. Giunto qui, si mise di nuovo gli occhiali e aggiunse dell’altro.

 

“Non dovresti mai farti vedere mentre piangi.”

 

Dal divano, Bido lo guardava, prestando attenzione alle sue parole.

 

Questo è il primo segreto per farsi rispettare.” Il capo fece una pausa, poi, voltandogli di nuovo le spalle, concluse il discorso “Se nessuno ti vedrà mai versare una lacrima, allora, nessuno penserà che tu sia capace di farlo.”

 

In quel momento, proprio nell’istante in cui Greed disse così, Bido sentì le lacrime premere ancora nei suoi occhi. Ma si trattenne, perché quella che aveva imparato era una lezione che intendeva custodire fino alla fine dei suoi giorni.

Si sforzò con tutto se stesso di non piangere, ma poi, si accorse di qualcosa: la porta della stanza era stata aperta e poi chiusa di nuovo.

Bido era solo. Ora, poteva dare libero sfogo alle lacrime.

 

Grazie… signor Greed.”

 

 

***

 

Angolo dell’autrice

 

Ciao a tutti. Finalmente sono riuscita a completare una delle tante one-shot che avevo in programma, evvai! Sono molto contenta del risultato, e spero che il racconto sia piaciuto anche a voi.

Trovo molto interessante il legame che unisce tutta la combriccola del Devil’s Nest, e mi piacerebbe tanto scrivere ancora su di loro (per esempio su Martel e Dolcetto, ce li vedo così bene insieme <3).

Ma ora bando alle ciance e veniamo alla storia!

Nel manga, sono stata profondamente colpita dalla scena in cui il secondo Greed, ancora ignaro dei suoi ricordi, uccide Bido a sangue freddo, capendo solo dopo di aver eliminato un suo amico. È una scena proprio toccante e piena di dolore. E visto che, se non s’era capito, scrivere cose struggenti mi piace parecchio, ho voluto scrivere un racconto proprio su questi due personaggi, dando un po’ di spazio anche a questa lucertolina un po’ bistrattata.

Tornando al manga, mi piace immaginare che nel momento in cui Greed urla in preda al dolore stringendo il corpo di Bido fra le braccia, quest’ultimo non sia ancora definitivamente morto, e che fosse in grado di sentire il pianto del suo amico, morendo con la consapevolezza che egli è pentito del gesto che ha compiuto.

AWFH! Ora basta, sennò piango pure io.

A presto, e grazie per essere passati di qui!

 

Strato.

 

 

  
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