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Autore: Alessandra S    01/09/2012    4 recensioni
Salii il primo gradino, salii il secondo, il terzo e il quarto, ma, al quinto, la verità m'investii e la sua onda d'urto mi fece traballare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Miranda, la tigre del due.'
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Io non ho paura.

 

"Io non ho paura" pensavo mentre m'infilavo le scarpe e mi stringevo io il vestito in vita.

Guardai l'immagine riflessa nello specchio di camera mia, quella vera, quella sopra la farmacia.

"Io non ho paura" ripetevo convinta nella mia testa.

Raccolsi distrattamente i capelli in un morbido chignon e presi la lettera dalla scrivania, la nascosi sotto la fascia blu del vestito.

"Io non ho paura" continuavo a dire imperterrita cercando di sorridere.

"Io non ho paura" rimuginavo mentre mia madre mi truccava.

"Io non ho paura" ripetevo mentre scendevo le scale per uscire, per andare in piazza.

Aprii la porta e l'immagine di Phil seduto sul gradino della farmacia m'invase gli occhi e mi colpì come un coltello in pieno petto.

"Io non ho paura" bofonchiai tra me e me.

Guardai la sua schiena, attraverso la camicia bianca si poteva intravedere la sua muscolatura dorsale, era teso e pronto a scattare.

«Ti togli o ti devo scavalcare ?» dissi sorridendo e pensando che, in fondo, no, io non avevo paura.

Lui scattò in piedi, si voltò e mi sorrise.

«Sei bellissima» disse dopo qualche minuto.

Questa frase mi scaldò il cuore e mi fece sorridere.

Non volevo perderlo.

«Grazie, l'altro mi è diventato piccolo, questo è di mamma» «Andiamo ?» mi chiese porgendomi il braccio.

Mi aggrappai a lui, come fosse un'ancora di salvezza.

"Io non ho paura".

«Andiamo» dissi decisa e c'incamminammo fino ad arrivare al palazzo di giustizia.

Ci separammo silenziosamente e io mi sedetti sulla prima sedia libera.

Cassya era tranquillamente seduta sulla sua sedia, aspettando che tutti arrivassero per iniziare.

Neanche lei aveva paura, perchè avrebbe dovuto averne ?

Lei non era quella che andava a morire, lei sapeva di essere al sicuro.

Ma neanche io avevo paura.

All'improvviso Cassya si alzò e annunciò l'inizio della mietitura.

"Io non ho paura" pensai ancora.

Cassya si mosse verso la boccia delle ragazze, non volevo rischiare di perdere il posto sul treno di sola andata per Capitol.

Mi mossi anche io.

"Io non ho paura" continuavo a sussurrare mentre sfilavo sotto lo sguardo di tutti.

"Io non ho paura".

Arrivai ai gradini ai piedi del palco, lanciai uno sguardo fugace alla platea, cercando Phil.

Lo vidi tra la folla, cercai i suoi occhi, io non avevo paura.

Salii il primo gradino, salii il secondo, il terzo e il quarto, ma, al quinto, la verità m'investii e la sua onda d'urto mi fece traballare.

All'improvviso vedevo le cose come stavano.

Io avevo paura.

«Mi chiamo Miranda Prisly, ho quindici anni e voglio partecipare ai quarantottesimi Hunger Games».

Tutto il resto fu come un treno veloce che mi correva davanti agli occhi.

Gaison, l'inno, il video e i pacifictori che ci scortavano all'interno del palazzo di giustizia.

"Io non ho paura" continuavo ostinatamente a ripetermi, nonostante fossi totalmente consapevole che non era così.

Mi chiusero in una stanza dai mobili verdi e morbidi.

La mia famiglia entrò, accadde tutto troppo in fretta.

Le pacche sulle spalle di mio padre, i baci di mia madre e le lacrime di mia nonna.

Forse lei era l'unica che poteva capirmi, l'unica che sapeva a cosa stavo andando incontro.

Uscirono, uscirono troppo presto per i miei gusti, uscirono per lasciare spazio a mio fratello.

Lui mi parlava ma le sue parole giungevano ovattate alle mie orecchie.

Mi abbracciò forse.

Ma anche lui uscì troppo presto.

E poi entrò lui.

Lui che avevo aspettato e che speravo con tutto il mio cuore di vedere.

«Ciao» sussurrai flebilmente.

«Ciao» rispose lui.

E poi non ci fu bisogno di parole, cercai rifugio tra le sue braccia e lo trovai, un rifugio caldo e accogliente, un posto familiare.

«Ascoltami - dissi, questa volta con più decisione - abbiamo poco tempo e devo dirti tante cose ...» «No - m'interruppe lui - non dobbiamo dirci niente, hai fatto la tua scelta, non la capisco ma la rispetto, e sappi che io sarò qui, ad aspettarti, sempre».

Scossi la testa, in segno di disapprovazione e intanto tirai fuori la lettera da sotto la fascia.

«Sapevo che non avresti capito, quindi ti ho scritto questa, leggila con calma, più volte magari, allora comprenderai».

Phil la guardò per un po', poi, titubante, la mise in tasca.

Entrò un pacificatore a dirgli che doveva uscire, lui chiese ancora qualche secondo.

«Perché ?» chiesi «Perché cosa ?» «Perché sei ancora qui ? Pensavo mi odiassi da quando ti ho detto che avrei partecipato» lui sgranò gli occhi sorpreso «Io ? Odiarti ? Non posso, è vero, penso che questa sia una decisione stupida, ma tu sarai sempre la mia tigre, quella che correva da me quando di sbucciava le ginocchia per farsele curare, quella che mi svegliava di notte perchè aveva fatto un incubo e quella che, ogni volta che sbagliavo mira, mi tirava un cazzotto sulla spalla e mi diceva che ero un incapace».

Il pacificatore bussò di nuovo, con forza.

«Devo andare ...» «Non mi lasciare» «Sappi che io credo in te» disse e poi i strinse tra le sue braccia e posò le sue labbra sulle mie.

Mi mancò il fiato, le lacrime invasero i miei occhi e il cuore fece un sonoro "CRACK".

Ora non me ne volevo andare.

Ora avevo ancora più paura.

Ma almeno ora avevo una ragione per tornare.

 

***

Scusate se vi rifilo questo obbrobrio ma dovevo assolutamente pubblicarla prima di pubblicare la lettera altrimenti non l'avreste capita.

Mi scuso ancora.

Un bacio,

Emy McGray

 

 

   
 
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