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Autore: Black Drop    01/09/2012    0 recensioni
Non si giudica un libro dalla copertina. Eppure Elena sembra dimenticarlo completamente, una volta fatta la conoscenza del fidanzato di quella che per lei è come una sorella maggiore.
Il suo obbiettivo? Separarli.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tattoo Disaster

 


Faceva un caldo terribile quando uscii di casa. Scrutai strizzando gli occhi il cielo illuminato dal basso sole pomeridiano, non c’era una nuvola. Osservai il ragazzo davanti a me passarsi una mano sui capelli neri, mentre raggiungevamo la macchina metallizzata parcheggiata proprio fuori dal recinto del piccolo giardino.
Quando salimmo sull’auto e mi accomodai nel sedile del passeggero mi passai stancamente una mano sulla fronte, constatando con fastidio che lì dentro faceva ancora più caldo.
“Ti prego spalanca i finestrini, accendi l’aria condizionata, fa’ qualcosa!” esclamai, voltandomi verso il mio interlocutore, seduto al volante.
Lui sorrise e infilò la chiave nel quadro, per poi girarla, accendendo con un rombo la macchina. In un attimo i finestrini erano completamente abbassati e noi percorrevamo velocemente la strada verso il centro città.
“Allora, dove abita la tua amica?” chiese Kirk con aria vagamente annoiata.
“Vicino alla fontana del barbone.” Spiegai con un minuscolo sorriso. Da quando quel barbone si era installato al lato di una fontana in centro, noi eravamo soliti usarlo come punto di riferimento.
Passavamo di lì abbastanza spesso, io soprattutto per andare a lavoro.
In un attimo fummo davanti alla fontana e Kirk accostò.
“Arrivati!” esclamò con un sorriso allegro. “Paghi in contanti?”
“HA!” lo canzonai, prima di stampargli un veloce bacio sulle labbra e scendere dall’auto.
Mi affrettai verso la porta di legno scuro, a cui ero diretta, mentre vedevo con la coda dell’occhio l’auto argentata del mio ragazzo allontanarsi. Automaticamente mi chiesi dove fosse diretto. A fare un giro, aveva detto lui.
Sospirai e suonai il campanello.
“Dana!” sentii pronunciare il mio nome da dietro e mi voltai per squadrare una ragazzina assurdamente familiare, mora, piccola di statura e magra da far paura, con un grosso zaino sulle spalle.
Mi venne quasi un colpo, riconoscendo la mia cuginetta. Per qualche ragione la prima cosa che mi chiesi fu come facesse a tenere quello zaino senza cadere o sbilanciarsi.
“Elena! Che ci fai qui?” domandai, scacciando le stupide domande nella mia testa e facendo spazio ai pensieri più importanti.
Intanto  la porta a cui avevo suonato si apriva con uno scatto dietro di me che osservavo perplessa Elena barcollare verso di me, sotto il peso dell’enorme bagaglio sulle sue spalle.
“Ciao, sei arrivata!” esclamò raggiante la mia amica Juliet, comparsa da dietro la porta di casa sua, mentre mia cugina perdeva l’equilibrio.
La afferrai al volo, impedendole di finire a faccia in terra, schiacciata dal suo stesso zaino e si strinse a me in tutta la sua piccolezza, sotto lo sguardo perplesso di Juliet.
“Ti ho trovata!” strillò Elena tutta contenta e in quel momento realizzai  che c’era qualcosa che non andava.
 
 
“Ok, ora che siamo sole a casa possiamo parlare chiaramente.”
Elena, smise di guardarsi intorno ammirata e mi scrutò curiosa dal divano dove era seduta.
“Cosa ci fai qui?” chiesi, forzando un sorriso. Durante il viaggio in macchina, gentilmente offerto da Juliet, non avevo ascoltato il suo racconto estremamente evasivo e confuso su come era arrivata nella mia città, ma avevo tristemente captato alcune parole tra cui ‘scappata’ e ‘autostop’.
“Mi ci hai portato tu.” Fece lei con naturalezza, cercando di distrarmi. “Così questa è casa tua? È davvero bella!” esclamò mentre riprendeva a guardarsi intorno.
“No, no! Io parlo di Pasadena!” esclamai, cercando di mantenere un tono di voce moderato. Per qualche ragione mi sentivo nervosa. “Che ci fai in questa città? Tu non vivi qui.”
“Solo perché mia madre se n’è voluta andare dopo il divorzio.” Precisò annoiata.
“Mmh…” mi mordicchiai il labbro inferiore, ragionando. “E tua madre è a casa vostra?” Avevo quasi il timore di sentire la risposta.
Lei annuì con un sorriso innocente.
“E sa che tu sei qui?” sibilai , cercando di mascherare il panico che stava iniziando a invadermi. Pregai con tutta me stessa che non avesse davvero fatto ciò che pensavo.
Lei sembrò esitare. “Be’, te l’ho accennato prima in macchina, no? Abbiamo litigato e io… ho deciso di venire a trovare la mia cugina preferita. Non ci vediamo da almeno quattro anni dopotutto.”
“Non cambiare discorso!” le puntai contro un dito con fare brusco. “Sei scappata di casa? Andando in un’altra città, per di più! Sei impazzita?!”
Lei abbassò il capo con aria vagamente colpevole. Esasperata afferrai la mia borsa e cercai il cellulare.
“Che fai, ora?” mi chiese in un filo di voce, mentre componevo il numero di telefono.
La guardai per alcuni secondi, portandomi il telefono all’orecchio e pregando che mia madre rispondesse in fretta.
“Pronto?”
“Ciao, mamma.” Sussurrai facendo scattare in piedi Elena.
Mi dileguai in cucina, ignorando le urla di mia cugina e chiudendo la porta in modo che non potesse entrare.
“Ascolta, Elena è a casa mia.” Cominciai a spiegare frettolosamente. Grave errore con mia madre. “Devi chiam…“
“Chi è a casa tua?” urlò dalla cornetta, sovrastandomi.
Sbuffai. Con mia madre era sempre così. Io le volevo un bene immenso, ma parlare al telefono con lei era terribilmente snervante. Kirk diceva sempre che ero io ad avere poca pazienza, forse era anche un po’ vero, ma nessuno ne avrebbe avuta molta dopo aver avuto una telefonata con quella donna.
“Elena, mamma. Tua nipote.” Sentii solo silenzio come risposta. “La figlia di zia Bernardette.”
“Aaaah!” gridò nuovamente mia madre. “Elena, la piccola Elena!”
Sospirai di sollievo. “Ecco, devi chiamare Bernardette, appunto. Dille che…“
“Aspetta, aspetta!” mi interruppe nuovamente, facendomi sbuffare nervosamente. “Perché devo chiamarla?”
Mi morsi il labbro. Forse avevo davvero troppa poca pazienza e in situazioni come quella – chiusa in cucina, ignorando le urla isteriche di mia cugina provenienti dal soggiorno – non era una cosa buona.
“Ok, te lo spiego di nuovo.” Dissi velocemente. “Elena è a casa mia. È scappata di casa ed è venuta da me. Chiama zia Bernardette e diglielo, così non si preoccupa.”
Ci fu qualche attimo di silenzio.
“Mamma, hai sentito?” domandai, notando che anche Elena si era zittita. Che si fosse fatta male?
“Sì, ora la chiamo.” Rispose mia madre con voce leggermente tesa. “Poi ti faccio sapere quando può venire a prenderla.”
E terminò così la telefonata.
Quando tornai in salotto trovai Elena accoccolata sul divano con le lacrime agli occhi, impegnata a cercare di accarezzare il gatto, che invece la fissava diffidente.
“Glielo hai detto?” chiese in un soffio.
Mi sedetti al suo fianco, separata da lei solo dal gatto. “Ovvio. Hai idea dello spavento che si sarà presa tua madre?”
Lei non rispose. Tirò su col naso, tentando di accarezzare il manto nero di Randy. Lui si ritrasse con uno scatto.
“Questo gatto non vuole essere accarezzato?”
Non capii se fosse una domanda o meno, comunque sorrisi. In un certo senso era vero. In generale sembrava non fidarsi mai delle persone, con la sola eccezione di me e Kirk.
“Non sapevo che avessi un gatto. L’ultima volta che ti ho visto non ce l’avevi.” Mormorò.
“No. Diciamo che l’ho acquisito.” Passai dolcemente una mano sulla testa dell’animale. I suoi occhi freddi mi scrutarono per diversi secondi.
“Acquisito?” mia cugina mi lanciò un’occhiata perplessa.
Annuii. “Quando ho iniziato a vivere col mio fidanzato,” Ammisi con un sorriso dolce. “Il gatto era di un suo amico in realtà, ma non poteva più prendersene cura, quindi l’ha ceduto a noi.” Mormorai, accarezzando delicatamente il diretto interessato.
“Il tuo fidanzato?” chiese Elena. “Hai un fidanzato?”
Risi. “Tesoro, non ci vediamo da quattro anni, io nel mentre ho cambiato lavoro, ho cambiato casa e mi sono fidanzata.” Conclusi compiaciuta. “E ho pure avuto un gatto gratis.”
Grattai il collo dell’animale, mentre lui si acciambellava sulle mie gambe. Dopo alcuni secondi di silenzio alzai lo sguardo su mia cugina, sembrava scioccata.
“In quattro anni è successo tutto questo? Io ho semplicemente quasi finito le superiori e tu in quattro anni…?”
“È normale. Sono adulta, a volte penso che tu lo dimentichi.”
Lei sembrò seccata. Sospirò e iniziò a guardarsi intorno diffidente.
“Quindi vivi con il tuo ragazzo?”
Osservai, deglutendo, l’espressione circospetta che aveva assunto il suo volto.
“Sì.” Risposi con un filo di voce.
Sapevo cosa stava succedendo. E avevo anche una vaga idea di quello che sarebbe successo più tardi, quando il soggetto di quella conversazione sarebbe tornato a casa.
La mia cuginetta era sempre stata un po’ troppo severa e superficiale coi ragazzi. Ma non superficiale come possono essere le oche che si vedono nei film, quelle che pensano solo al bell’aspetto, fregandosene del cervello.
No, Elena era superficiale nel senso che giudicava unicamente dall’aspetto esteriore e sembrava ricordare solo le cose negative di ogni persona. Un uomo poteva anche essere la persona migliore del mondo, ma se aveva qualcosa che a lei non piaceva allora veniva classificato come il male.
E la ciliegina sulla torta era proprio la sua famiglia abbastanza bigotta, se si tralascia il divorzio dei miei zii.
Perciò io sapevo che sicuramente il mio ragazzo non le sarebbe piaciuto. Per niente. Ne ero sicura.
“E dov’è adesso?” chiese sempre più sospettosa.
Bella domanda. Guardai l’orologio e mi chiesi anch’io dove fosse. Non era un po’ troppo tardi per fare solo un giro? Mi domandai se fosse il caso di preoccuparmi. Magari era stato scippato oppure coinvolto in qualche altro casino. Cercai di tranquillizzarmi pensando che Kirk si sapeva difendere discretamente. Era adulto e vaccinato e patentato e chi più ne ha più ne metta.
“È andato… a fare un giro.” Mormorai debolmente.
Lei sembrò notare la mia insicurezza. “Siamo tornate da un bel po’ di tempo ormai.”
Sollevai un sopracciglio leggermente irritata.
“Non è un po’ troppo per fare un giro?” chiese lei con sguardo eloquente.
Capii cosa stava pensando. Non si fidava minimamente di lui ancora prima di vederlo. Mi chiesi come avrebbe reagito quando lui sarebbe tornato.
“Questi non dovrebbero essere affari che ti riguardano.” Sbottai d’un tratto, passandomi nervosamente una mano sui capelli. “Piuttosto tu hai idea di cosa hai scatenato? Non hai ancora compiuto diciotto anni, sei ancora minorenne!”
Lei deviò lo sguardo con aria imbronciata.
“Non ne potevo più di stare lì con quella.” Borbottò alludendo a sua madre. “E comunque manca solo una settimana al mio compleanno.”
Alzai gli occhi al cielo esasperata. Possibile che non capiva.
“Ma come pretendevi che andasse tutto come nei tuoi piani? Scappi di casa, vai in un’altra città, tutta sola, a diciassette anni. Credevi forse che tua madre non avrebbe mosso un dito?” sentivo la testa pulsare. “Magari aveva già chiamato la polizia, non ci hai pensato?”
Gli occhi verdi di Elena si spalancarono posandosi su di me. Sembrava esterrefatta.
“Ma io… credevo… io…” balbettò improvvisamente insicura.
Sospirai, massaggiandomi le tempie con le dita. Iniziavo a sentire un leggero mal di testa. “Non hai pensato minimamente alle conseguenze, lo so.”
Parve indispettirsi.  
“Credevo che tu avresti capito! Sei sempre stata dalla mia parte, mi hai sempre aiutato!”
“Questo è molto più grave di qualsiasi altra cosa tu abbia mai fatto! E quattro anni fa tu eri molto più piccola, ora mi aspettavo un po’ più di maturità da parte tua!”
Osservai i suoi occhi. Erano lucidi. Stava per scoppiare a piangere ed era tutta colpa mia.
“Aspetta” mormorai. “Lo dico per te. Hai idea di cosa poteva succederti?”
Elena parve calmarsi lievemente. Si morse il labbro scrutando con insistenza la vetrata che dava sul giardino.
In quel momento sentii le chiavi entrare nella toppa della porta di casa. Mi alzai di scatto, facendo balzare Randy sul pavimento, per osservare il mio fidanzato che, notai con un sorriso, era tutto intero.
Fu solo dopo che mi ricordai della situazione in cui mi trovavo e sentii mia cugina trattenere il respiro mentre lo guardava.
Sapevo benissimo cosa avrebbe pensato dei suoi capelli lunghi, della sua maglietta dei Cannibal Corpse, della catena appesa ai suoi jeans stretti neri, del tatuaggio sul suo braccio che si intravedeva dalla manica della maglietta. E di tutto l’insieme, in generale.
Guardai Kirk alzare gli occhiali da sole sulla testa e osservare perplesso Elena che dal divano lo fissava ad occhi sgranati, scioccata. Quasi terrorizzata, pensai con un brivido.
Notai che lui a quel punto assunse un’espressione a metà tra il confuso e l’offeso. Poi spostò gli occhi chiari su di me.
“Ciao.” Salutò, avvicinandosi. Scavalcai il divano per raggiungerlo e lui tornò a guardare Elena confuso.
Mi schiarii la gola e mi permisi di colpire delicatamente la nuca della mia cara e bigotta cuginetta. Lei mi lanciò un’occhiataccia e tornò a scrutare orripilata Kirk che probabilmente ai suoi occhi doveva sembrare una specie di teppista di strada. Se non peggio.
“Lei è mia cugina, Elena, è scappata di casa ed è venuta a Pasadena senza dire nulla a sua madre.” Spiegai sentendomi come una guida in un museo. “Ovviamente ho fatto sapere a mia zia che lei è qui. Non so cosa faranno ora.” Aggiunsi a bassa voce.
“Ah.” Disse lui con gli occhi puntati su Elena. “Ciao.” Le disse.
Lei fece una smorfia e si appiattì contro lo schienale del divano, come se avesse paura anche solo di guardarlo in faccia. Come se sparasse raggi laser dagli occhi.
Sospirai e presi per mano il mio fidanzato, trascinandolo in cucina. Dopo aver chiuso la porta lo guardai mortificata.
“Prima che tu possa dire qualcosa, ti spiego subito.”
Kirk parve un attimo confuso. “Be’, innanzitutto, perché mi guardava come… come… se avessi una pistola in mano?”
Pensai a come spiegarmi, corrugando leggermente le sopracciglia.
“Vedi, lei è molto superficiale, tu le devi sembrare una specie di criminale. È stata cresciuta con la convinzione che le persone per bene non vanno in giro con tatuaggi o i capelli lunghi.”
Lui sollevò un sopracciglio, leggermente infastidito.
“Fammi capire, una sorta di esagerazione dei luoghi comuni?” chiese seccato.
Sorrisi mortificata, annuendo. Speravo che non si infastidisse troppo, avrebbe solo peggiorato le cose. Drasticamente.
“Come può una persona simile essere parente tua?” domandò lanciandomi un’occhiata eloquente.
Risposi con uno sguardo inceneritore, facendolo scoppiare a ridere. Mi diede un pizzicotto sulla guancia con un sorriso stupido stampato sulle labbra. Sospirai di sollievo constatando che non sembrava tanto seccato.
Mi diressi verso la porta per sporgermi sul salotto e chiamare Elena. “Vuoi qualcosa da mangiare? O da bere?” chiesi mentre la guardavo alzarsi dal divano.
Comparve sulla soglia subito dopo, alzando le spalle.
“Cosa c’è da bere?”
Aprii il frigo e studiai ogni minima bottiglia.
“Mmh… birra, ma tanto non te ne do , acqua, succo all’ananas, the alla pesca e Cocacola.”
Lei sembrò pensarci su. “Succo.” Mormorò.
Presi la bottiglia e chiusi il frigo. Quando vidi le occhiate scioccate che Elena lanciava in direzione di Kirk, che mangiava innocentemente un dolcetto, capii che non sarebbe stato facile farglielo accettare. Sperai che mia madre chiamasse presto.
 
*
 
“Ecco il tuo succo.” Dana poggiò il bicchiere sul tavolo dove sua cugina si era seduta e mi squadrava come se dovessi tirare fuori da un momento all’altro un fucile o qualche altra arma.
Mi chiesi se la mia faccia fosse davvero così malvagia.
Poi Dana tornò in salotto, lasciando me e la ragazzina soli, in silenzio. L’aria si fece estremamente pesante.
In un primo momento decisi di ignorare lei e le sue occhiatine e pensare solo al mio dolcetto. Non ci riuscii e alzai lo sguardo su di lei, studiando la sua espressione. Notai con fastidio che oltre alla diffidenza o paura che fosse, i suoi occhi mi scrutavano con un velo di superiorità.
Sospirai, passandomi una mano sul viso e andando alla pattumiera per buttare la carta del mio spuntino. Voltandomi notai che la situazione non era cambiata minimamente. Indietreggiai fino a toccare il bancone e poggiarmici riflettendo.
Cosa potevo dirle per rompere quell’atmosfera?
“Dana  non mi aveva mai detto di avere una cugina così piccola.” Dissi cercando di ignorare il suo sguardo e tentando di mantenere un tono o un’espressione neutra.
Lei si mosse nervosamente sulla sedia. Sembrava un tantino a disagio.
“Ah no?” domandò con voce tesa. Poi parve incupirsi. “Da quanto state insieme tu e lei?”
Mi chiesi il perché di quella domanda in quel momento. Cosa c’entrava con il resto del discorso?
“Quattro anni.” Mormorai senza pensarci troppo.
Mai l’avessi fatto!
Lei fece una smorfia. “Oh. E in quattro anni lei non ti ha mai parlato di me?” chiese col capo chino sul suo bicchiere di succo.
Immediatamente mi resi conto del casino in cui avevo appena infilato Dana. Se prima ero a disagio, ora mi sentivo un completo idiota. Dovevo riparare il danno. E in fretta.
“Uhm… be’ sì l’ha fatto!” mi affrettai a ribattere, scrutando il frullatore come se dovessi trovare lì l’ispirazione. “Solo… non ha mai accennato alla tua età. Insomma, tu sembri una delle superiori ancora.” Conclusi con un mezzo sorriso, forse un po’ nervoso.
Lei parve soddisfatta della mia risposta, quindi tornò a scrutarmi torva.
Alzai gli occhi al cielo. Ora ero punto e a capo. Tirai un sospiro di sollievo quando Dana rientrò in cucina.
“Kirk posso parlarti?” chiese, afferrandomi un braccio e trascinandomi fuori dalla stanza, senza troppi preamboli.
“Che succede?”
Lei alzò le spalle e mi sorrise con aria colpevole. “Ecco, mia zia può venire a prenderla solo domani e io non me la sento di lasciarla sola, è ancora piccola.”
Ragionai su quel ‘è ancora piccola’. “Quanti anni ha?”
“Diciassette. Fra una settimana diciotto.” Mormorò chinando il capo.
“Io alla sua età andavo in giro da solo in tutta tranquillità.” Constatai con una risata, prima di ricevere un pugno sulla spalla.
“Lo so, ma non posso mica lasciarla…” sibilò lei indispettita. “E poi tu sei un altro discorso.”
Le lanciai un’occhiataccia e la vidi ghignare.
“Farò finta di non aver sentito.” Decretai stizzito. “Va bene. Rimarrà qui, ovviamente.”
“Ok, ma non dirle che arriverà sua madre. Scapperebbe di nuovo, perciò le diremo che può rimanere.”
Annuii.
Quando tornammo in cucina la ragazzina aveva finito il succo e aveva cominciato a fissare con spiccato interesse la ciotola dei croccantini di Randy.
Si voltò con uno scatto e ci osservò come fossimo le guardie di una prigione con una carcerata.
“Hai parlato con mia madre?” chiese in un filo di voce, stringendo gli occhi puntati su Dana a due fessure. “Avete deciso di mandarmi via?”
Non riuscii a trattenere una risata e mi guadagnai così un’occhiataccia da parte della ragazzina.
Mi ero già dimenticato il suo nome.
“No.” Dana sostenne lo sguardo di sua cugina. “Puoi stare qui per un paio di giorni.”
Lei mostrò un’espressione vagamente stupita e compiaciuta al tempo stesso. Mi schiarii la gola.
“Ok” esordii, chiedendomi se fosse indelicato fare quella domanda. “Scusate ma mi sono dimenticato il suo nome.”
“Elena.” Dana mi sorrise dolcemente. Era stata carina. Tutto il contrario della diretta interessata che invece aveva ricominciato a guardarmi male, probabilmente lanciandomi maledizioni.
Sospirai, seccato da quella situazione. Perché diavolo questa ragazzina ce l’aveva con me?
Va bene, avevo i capelli lunghi e un tatuaggio. Cose a cui lei non era abituata probabilmente, ma non si può giudicare una persona dalla lunghezza dei suoi capelli. Non si fa.
E poi i miei arrivavano appena alle spalle.
“Tu ti chiami Kirk, giusto?” sibilò Elena, mostrando di nuovo paura mista a superiorità.
E di nuovo provai fastidio.
Annuii meccanicamente.
“Dana prima sembrava preoccupata, dove eri tutto questo tempo?” sbottò con aria sospettosa.
Cos’era un interrogatorio?
Mi voltai verso la mia ragazza. “Eri preoccupata?”
Lei fece spallucce, ma capii lo stesso che non era rimasta del tutto tranquilla. Conoscendola, aveva sicuramente dato retta a qualcuna delle sue strane paranoie, che la maggior parte delle volte includevano criminali e assassini.
“Comunque, dov’eri?” chiese anche lei piano, molto più gentilmente di sua cugina.
“Sono andato a casa dei miei genitori.” Risposi semplicemente, soffiando via una ciocca nera che ricadeva insistentemente davanti agli occhi.
Elena sembrò quasi delusa dalla mia risposta. Magari stava già pensando che avessi qualche affare losco da mandare avanti oppure un’amante.
Mi trattenni dal ridere al pensiero delle sue possibili supposizioni.
Dana la scrutò riflettendo per alcuni secondi.
“Vieni ti faccio vedere dove dormirai. Non è un granché, è solo una stanza che abbiamo in più, ma dovrebbe andare bene.”
Uscimmo tutti e tre dalla cucina, Elena prese un enorme zaino che prima non avevo notato dal divano e seguì Dana al piano di sopra.
Io mi buttai sul divano accendendo la tv con un sospiro e lasciando che Randy si accoccolasse sulle mie gambe.
Non sarebbe stato facile. Per niente.
 
 
Quando Dana si chiuse in cucina dicendo che doveva preparare la cena capii che qualcosa non andava.
Scrutai poco convinto la ragazzina seduta sul divano, chiedendomi se fosse la sua presenza a renderla così nervosa.
Lei probabilmente si sentì osservata, perché ricambiò il mio sguardo, a metà tra l’essere impaurita e seccata da quelle attenzioni.
Pensai che fosse meglio tenermi fuori dalle loro questioni familiari, mi sarei risparmiato anche un mucchio di seccature. Puntai gli occhi sulla tv cercando di concentrarmi sul programma.
“Kirk, dai da mangiare a Randy!” fu il soave strillo delle mia dolce fidanzata dalla cucina.
Con un sospiro mi alzai dal divano guardandomi intorno, in cerca del gatto.
“Per caso hai visto…?” iniziai rivolto a Elena, ma mi fermai quando notai il suo sguardo scioccato, puntato dritto sul mio braccio destro.
Abbassai la testa, seguendo la direzione dei suoi occhi e mi ritrovai a fissare il mio tatuaggio. Come ero seduto nel divano la manica si doveva essere alzata e ora era ben visibile dalla sua posizione.
Non sarebbe dovuto succedere! Mi rendevo conto io stesso che qualcuno che non mi conosceva poteva fraintendere. Il tatuatore aveva fatto quel disegno e a me dopotutto era piaciuto. Era l’unico motivo per cui un teschio con due stelle sataniche nelle orbite faceva bella mostra di sé dal mio braccio. Non ero un satanista, anche se dallo sguardo di Elena potevo capire che era quello che stava pensando.
Alzai gli occhi al cielo e mi dileguai in cucina, richiudendomi la porta alle spalle.
Dana trafficava frettolosamente davanti ai fornelli e sembrava estremamente irritata.
“Tua cugina ha visto il mio tatuaggio.” Iniziai indignato.
“E perché tu glielo hai fatto vedere?” chiese, mentre girava il contenuto di una pentola col mestolo.
“Non l’ho fatto apposta, mi si è alzata la manica.” Mi lamentai andando davanti alla dispensa. “Mi sa che ha peggiorato le cose.”
Dana sbuffò esasperata.
“Credo che ce l’abbia anche con me.” Disse mentre cercavo i croccantini per gatti.
“Perché?” mormorai, afferrando la scatola blu e avvicinandomi alla ciotola di Randy. Sentii il tintinnio di qualche cucchiaio poggiato sul bancone.
“Che ne so.” Dalla voce Dana sembrava estremamente stanca e seccata al tempo stesso. “Improvvisamente ha iniziato a rispondermi male e fare l’acida.” Concluse a bassa voce.
Riempii la ciotola di croccantini e rimisi la scatola al suo posto. Mi avvicinai a lei.
“E ti lasci trattare così?” domandai scettico.
Sembrò esitare. Strinse gli occhi a due fessure, mentre afferrava un uovo dalla scatola e lo avvicinava a una padella.
“Che vuoi che mi importi di quello che pensa una ragazzina?” chiese con voce stridula, rompendo l’uovo con molta più violenza del dovuto.
Gettò malamente il guscio nella pattumiera, imprecando poco finemente.
“Oh, certo.” Dissi, inchinandomi a raccogliere i pezzetti di guscio finiti sul pavimento solo perché a Dana non importava nulla di come si comportava sua cugina.
Tornai in soggiorno con uno sbuffo, attirando le occhiatacce della causa di tutto quel casino.
Ricordai nuovamente il mio pensiero riguardo il fatto di non mettermi in mezzo alle loro questioni e lo mandai beatamente a quel paese.
“Che hai fatto?” sbottai brusco, senza pensare alle conseguenze.
Elena deglutì e si fece piccola piccola contro il bracciolo del divano. Mi diedi dello stupido pensando a come rimediare.
“Scusa, sono stato troppo…” non trovai un aggettivo adatto e lasciai in sospeso la frase.
Lei sollevò un sopracciglio, confusa e io presi fiato. Per qualche strana ragione il suo sguardo mi rendeva nervoso. Non ero abituato a fare quell’effetto alle persone.
“Ok” iniziai lentamente. “Sei arrabbiata con Dana?”
Elena sbatté le palpebre nervosamente.
“Non sono fatti tuoi.” Bisbigliò aspra, lanciandomi uno sguardo di fuoco.
Non so come la guardai, i muscoli della mia faccia si mossero automaticamente, ma mi resi conto che non doveva essere un’espressione molto amichevole.
Lei distolse immediatamente lo sguardo, stringendosi le ginocchia al petto e mordendosi nervosamente le labbra. Sbuffai per l’ennesima volta e ringraziai mentalmente Dana quando gridò senza farsi troppi problemi che la cena era pronta.
Una volta seduti a tavola smisi di pensare e iniziai a mangiare, fregandomene di tutto il resto. Nonostante tutto, mi resi conto che Dana fece di tutto per ignorare sua cugina. Teneva lo sguardo basso, puntato sul suo uovo fritto e mangiava in silenzio.
Fu quando i suoi occhi si posarono sulla saliera, posizionata a fianco del piatto di Elena, che vidi un’ombra passare sul suo volto.
“Kirk.” Mormorò con voce roca.
“Mmh?” muggii gustando la mia bistecca.
Dana sbatté nervosamente le palpebre. “Mi passi il sale?”
Con un sospiro feci ciò che mi aveva chiesto. Quella ragazzina era riuscita a fare tutto questo casino in sole due ore?
Continuai a mangiare, guardando di sottecchi Dana che sembrava estremamente nervosa mentre tagliava con troppa foga e troppa poca pietà la sua bistecca.
Cercai di ignorarle entrambe, inutilmente. L’aria si era fatta troppo pesante e io non riuscivo più a sopportare quella situazione. Persino la tv era spenta, contrariamente al nostro solito.
Non appena finii di mangiare mi alzai dal tavolo, sparecchiando la mia parte e infilando tutto nella lavastoviglie.
Tornai in salotto e mi accomodai nel divano, accarezzando Randy. Lui mi osservò curioso per alcuni secondi, poi si accucciò al mio fianco, lasciandosi accarezzare il manto nero.
Non passò molto tempo da quel momento a quando entrambe tornarono in salotto, Dana visibilmente seccata e Elena imbronciata.  Si sedettero sul divano, la prima al mio fianco, l’altra il più lontano possibile da me.
Randy balzò sul pavimento con grazia e fissò la nuova arrivata con insistenza. La ragazzina ricambiò il suo sguardo, leggermente nervosa.
Si schiarì la gola. “Come… come si chiama questo gatto?”
“Randy.” Rispondemmo in coro io e Dana.
“Ma è un nome di persona.” Protestò Elena.
Dana le lanciò un’occhiata irritata. “Non fare la pignola.”
Lei sembrò offendersi.
Scossi impercettibilmente il capo, dicendomi che avrei patito l’inferno a sopportare quella situazione. Mi passai una mano sul volto con un sospiro.
“E perché Randy?” chiese in un soffio, tenendo lo sguardo fisso sul gatto.
Non capii la domanda.
“In che senso?” domandai sentendomi estremamente stupido.
“Perché si chiama Randy?” specificò spazientita.
Provai l’impulso di mollarmi io stesso un ceffone. Quella ragazzina mi stava facendo passare per l’idiota di turno.
“Per Randy Rhoads.” Risposi senza pensare troppo, afferrando il telecomando.
Elena mi squadrò perplessa. “Chi?” chiese in un soffio.
“Randy Rhoads. Era il chitarrista di Ozzy Osbourne.” Spiegai come se fosse una cosa ovvia.
Fu solo quando sentii Dana ridere al mio fianco che realizzai che probabilmente sua cugina non aveva neanche la minima idea di chi fosse Ozzy Osbourne.
Perciò non poteva fare altro che sbattere le palpebre e osservarci confusa. Era normale, dopotutto. Se lei avesse iniziato a parlare di musica latina io avrei avuto la sua stessa reazione.
“Sono musicisti, Elena.” Precisò Dana tra le risate. “Ozzy Osbourne è un cantante e Randy Rhoads era il suo chitarrista.”
Lei tornò a fissare il gatto con aria vagamente stranita.
“E perché hai chiamato il tuo gatto come un chitarrista?” balbettò sempre più confusa.
Che razza di domanda era?
“Scusa, non hai mai dato a un animale il nome di un musicista che ti piacesse?” ribattei stizzito.
Lei fece spallucce. “Del tipo?”
Dana si intromise facendo un gesto vago. “Paris Hilton?” tentò poco convinta.
Non riuscii a trattenere un accenno di risata.
“A me non piace quella drogata!” esclamò Elena indignata.
A quel punto scoppiai a ridere, mentre Dana al mio fianco si copriva la bocca con una mano, cercando di nascondere il ghigno divertito.
“Andiamo, chi ti piace?”
Elena ci pensò su. “Lady Gaga. Ma solo la musica, lei è strana.”
Riuscii a calmarmi abbastanza per intervenire nuovamente.
“Ecco, è come se tu chiamassi il tuo cane Lady Gaga.”
Lei non sembrò convinta. Continuava a guardare incerta Randy.
“Però io non ho un cane.”
Alzai gli occhi al cielo, mentre Dana si copriva il viso con una mano.
“Lasciamo perdere.”
 
*
 
Quando mi distesi sulla brandina mi maledii per non aver pensato prima al fatto che Dana poteva anche non avere un posto dove farmi dormire comodamente. Così mi accontentai della brandina, nonostante fosse stretta, rigida, e puzzasse di chiuso.
Chiusi gli occhi, cercando di mettermi più comoda, inutilmente.
Sentivo dal piano di sotto le voci di Dana e del suo fidanzato che parlavano. Non riuscivo a distinguere le parole.
Pensai a che razza di persona era quel Kirk. Come poteva mia cugina frequentare uno del genere?
Ripensai con un brivido al teschio tatuato sul suo braccio. Se non ricordavo male quelli che aveva nelle orbite erano simboli satanici.
Mi rigirai nervosamente nella brandina, facendola scricchiolare pericolosamente.
Dopotutto Kirk non sembrava così malvagio, forse era solo suggestione. Eppure c’era qualcosa di estremamente sbagliato in lui. A partire dalla sua maglietta. Perché mettersi una maglietta con su scritto Cannibal Corpse? Cadaveri cannibali… cos’era una specie di setta?
E Dana viveva con questo tizio da quanto tempo?
Deglutii, pensando che ora mi trovavo anch’io in casa sua. Mi guardai intorno, studiando nei minimi dettagli la stanza in cui mi aveva sistemato mia cugina.
Era abbastanza piccola, con due finestrelle che davano sulla strada. C’era un armadio, un divano e una scrivania ingombra di giornali e riviste. Sotto tutta quella carta intravedevo un portatile nero.
Il divano aveva tutta l’aria di averne passate di tutti i colori. Era vecchio, visibilmente sfondato e il tessuto aveva un colorito marroncino-rossastro. Dana aveva accennato al fatto che un tempo era un bel divano rosa, ma mi dissi che avevo sicuramente capito male.
Per il resto la stanza era solo occupata dal mio grosso zaino e dalla brandina dove ero coricata.
Sbuffai spazientita. Magari il divano era più comodo, nonostante il suo aspetto poco invitante.
Provai a coricarmi sui cuscini bordeaux e per un attimo credetti di essere stata infilzata da qualcosa di estremamente appuntito che mi si stava infilando tra le costole.
Tornai nella brandina, decisa a non voler indagare su ciò che aveva ridotto a quel modo il divano.
Chiusi nuovamente gli occhi.
Sentii la voce di Dana e mi innervosii. Come aveva potuto farmi questo?
Lei era sempre stata buona con me, mi aveva sempre aiutato. Perché ora si comportava in quel modo? Stava diventando noiosa come gli altri adulti?
Mi morsi il labbro, cercando di pensare a qualcos’altro e ricordai gli occhi freddi, color ghiaccio di Kirk. Rabbrividii e pensai che se non fosse conciato in quella maniera sarebbe stato anche un bel ragazzo. Eppure nel suo volto c’era qualcosa che mi metteva inquietudine, non so se fossero gli occhi così chiari, la pelle così bianca o i capelli lunghi e neri come la pece. Però c’era un qualcosa che mi turbava.
Per non parlare della catena nei suoi jeans.
Mi girai su un fianco, spostandomi i capelli dalla faccia.
Avrei dovuto convincere Dana a liberarsi di lui. Ovviamente quando lei si sarebbe resa conto del suo errore.






Non ricordo come mi sia venuta in mente questa idea, comunque spero non sia una completa schifezza, come mi è sembrata un attimo prima di pubblicarla. E spero che vi strappi almeno un sorriso.
Inoltre mi scuso con gli eventuali fan di Paris Hilton, Lady Gaga, e Cannibal Corpse. Non ho niente contro di loro, mi servivano per la storia. :)
Bene, direi che ho preso abbastanza del vostro tempo.

See ya! :D
  
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