IL
PARCO DEI RICORDI
Angela
sapeva di essere in anticipo, ma non le importava. Era stata lontana dal paese
a lungo, e nell'attesa si sarebbe guardata in giro per riscoprire quei luoghi a
lei un tempo familiari, in particolare quello, il parco dietro casa dove aveva
trascorso l'infanzia.
Percorse
il sentiero acciottolato, una bianca via serpeggiante che nei suoi ricordi
spiccava tra il verde del prato, anche se questo nel presente era ricoperto
delle foglie che il clima autunnale aveva fatto cadere. Queste scricchiolarono
sotto le sue scarpe, non appena si allontanò dal sentiero per giungere ad una
panchina. La sua panchina, tra due betulle. Era rimasta immutata, dopo tutti
quegli anni. Il legno che costituiva lo schienale era traballante esattamente
come nei suoi ricordi, e , con un po' di fatica mista alla memoria e
all'immaginazione, riusciva a leggere addirittura le scritte di cui lei e gli
amici l'avevano ricoperta, da adolescenti. Erano sopravvissute solo quelle fatte
con lo sbianchetto; quelle scarabocchiate con
l'indelebile o con l'Uni-Posca erano man mano
scomparse fino a lasciare un leggero alone, cui si sovrapponevano i messaggi
della generazione di adolescenti successiva a quella di Angela.
Sedeva
spesso lì, da ragazzina. Quella panchina era stata teatro di decine di
chiacchierate tra lei e le sue amiche, di appassionate letture di romanzi, di
studio febbrile prima di una verifica o di un'interrogazione e di molte
confidenze al proprio diario segreto. Per un periodo, era stata il suo mondo;
d'altronde doveva solo uscire di casa e percorrere pochi metri, per arrivare
lì. In generale, quel parco era stato un luogo molto importante per Angela, e
non solo da ragazzina. Da bambina, infatti, era solita trascorrere lì interi
pomeriggi a giocare con i propri vicini di casa.
Sorrise,
a quel pensiero, a quei ricordi. Tra i suoi compagni di svago infantile c'era
anche lui, Stefano, che di lì a poco l'avrebbe raggiunta, in quel luogo per
loro tanto significativo. Lì si erano incontrati, conosciuti, innamorati, e
infine detti addio, anche se all'epoca entrambi credevano fosse solo un
arrivederci.
Angela
si alzò dalla panchina, irrequieta. Non riusciva a stare seduta, non poteva.
C'era tanto da riscoprire, da ricordare. Si diresse alle due altalene, e fu
tentata di salire su quella a sinistra, come sempre. Osservò i seggiolini e
vide che erano stati ridipinti di uno spiccante verde acido. Si sorprese di non
averlo notato prima, talmente risaltava, specialmente sul manto marrone-aranciastro di foglie ai piedi delle altalene. Notò
tuttavia che la vernice in certi punti era scrostata, e al di sotto poteva
intravedere lo sbiadito azzurro una volta brillante.
Venne
una folata di vento, e Angela si strinse nel cappotto grigio di panno,
constatando che qualcuno doveva aver oliato di recente le altalene, perché non stridettero.
Ricordò con un sorriso lo spavento che si era presa una sera, quando aveva
tredici anni. Era seduta in cerchio sul prato assieme a Stefano, Alice, Carlo e
Francesco. Come avevano proposto i ragazzi, si stavano raccontando inquietanti
storie dell'orrore, quando un improvviso alito di vento aveva fatto cigolare le
altalene in modo sinistro, proprio nel mentre in cui Carlo stava descrivendo,
con ricchezza di particolari, una casa infestata dai fantasmi. Alice e Angela,
a quel rumore, si erano messe a strillare per lo spavento e si erano
abbracciate, suscitando l'ilarità dei ragazzi, che per via di quell'episodio le
avevano prese in giro a più riprese. E quello era solo uno dei tanti ricordi
legati a quel posto.
Guardò l’orologio e constatò che
Stefano sarebbe arrivato di lì a dieci minuti. Non stava più nella pelle, del
resto non lo vedeva da quasi quattro anni, e in quel lasso di tempo le era
mancato molto.
Il loro era stato un amore che lei
definiva strisciante, perché si era insinuato tra loro senza che nemmeno se ne
accorgessero. Di frequente amore e guerra vengono accostati, e Angela riteneva
che il termine ‘strisciante’ si adattasse bene ad entrambi. Per lei e Stefano
soprattutto.
Erano praticamente cresciuti insieme, e
la loro era stata una storia come tante: i due classici migliori amici, vicini
di casa, che un giorno improvvisamente iniziano a guardarsi con occhi diversi,
per la gioia di tutti i loro amici e conoscenti che lo avevano predetto da
tempo.
Angela lo ricordava bene, quel giorno.
Lei e Stefano avevano entrambi
diciassette anni, ed era estate. Il sole volgeva al tramonto, anche se
l’ambiente era ancora ben illuminato. Come tutte le sere dopo cena, si erano
trovati al parco. Ormai erano gli unici ad onorare la vecchia tradizione, le
circostanze avevano voluto così: Francesco si era trasferito in un altro paese,
Alice, diciottenne, preferiva altre compagnie ai suoi vicini di casa, e Carlo
usciva praticamente tutte le sere con la sua ragazza. Erano rimasti solo Stefano
e Angela, che continuavano a restare uniti come da bambini, pur essendo
cresciuti. Quest’ultima si era resa conto che l’eterna amicizia che li legava
aveva preso tutt’altra piega, per quel che la riguardava, ma aveva troppa paura
di rovinare tutto per fare qualcosa. Quella sera, però, era cambiato tutto.
Lei e Stefano erano seduti sulla
panchina tra le due betulle e stavano giocando a carte, ridendo e scherzando
come avevano sempre fatto.
- Non è giusto, hai vinto di nuovo tu!
– si lamentò il ragazzo, dopo che Angela ebbe scartato l’ultima carta che le
restava in mano.
- A scala quaranta sono fortunata, lo
sai – aveva detto lei, con un’alzata di spalle. – E sai come si dice, no?
“Fortunata al gioco…”
Aveva lasciato la frase in sospeso, non
appena si era resa conto della frecciatina che aveva involontariamente
lanciato. Che cretina!
- Smettila, sono solo stupidi detti! –
l’aveva rimproverata lui, mentre sistemava le carte. – Vuoi fare un’altra partita?
Angela aveva fatto cenno di no con la
testa e aveva girato la faccia dall’altra parte, per paura che lui capisse
tutto, o per lo meno che qualcosa l’aveva turbata. Era brava a giocare a carte,
sì, ma non aveva ancora imparato a simulare una perfetta faccia da poker. Lo
sguardo le si era posato sullo scivolo, che si stagliava, rosso, contro i grigi
palazzi condominiali, pochi metri più avanti. Il fondo, costituito da una
lastra di metallo, rifletteva i raggi del sole morente, e dopo qualche secondo Angela
aveva dovuto distogliere gli occhi. Aveva sorriso e si era alzata, colta da
un’improvvisa voglia di fare un tuffo nel passato.
- Vado sullo scivolo – aveva annunciato
a Stefano, dopodiché si era diretta ad esso e aveva salito la scaletta.
- Io ti aspetto giù, come sempre – le
aveva detto il ragazzo, prima di alzarsi e andare a posizionarsi all’estremità
dello scivolo, proprio come facevano sempre da bambini.
Angela si era seduta, si era data una
bella spinta, e nel giro di pochi istanti si era ritrovata alla fine dello
scivolo, con il viso di Stefano a pochi centimetri di distanza dal proprio. Era
avvampata, ma non si era mossa di un millimetro, e poco dopo lui l’aveva
baciata, sorprendendola. Mai avrebbe creduto, infatti, che i suoi sentimenti fossero
ricambiati. Mai.
Da quella sera lei e Stefano, se
possibile, erano diventati ancor più inseparabili, e tutto era filato liscio
fino alla fine delle superiori, quando si erano detti quell’arrivederci che
però era diventato un addio.
Anche in quell’occasione era estate, ma
quell’anno la bella stagione tardava ad arrivare. Angela e Stefano ritenevano
quel fatto provvidenziale, perché in tal modo avevano avuto modo di dedicarsi
ai propri ripassi pre-maturità senza che la voglia di stare all’aria aperta sotto
il sole avesse la meglio sulle loro già labili intenzioni di studiare. Erano
usciti entrambi con dei buoni risultati, e per l’occasione erano usciti a
festeggiare con una bella coppa di gelato. Tornando a casa, avevano poi deciso
di fare tappa al parchetto, che restava per loro un luogo affezionato. Non
appena furono arrivati, si erano seduti alla panchina di Angela, che ormai non
era più solo sua, ma era diventata loro. La ragazza aveva fatto un respiro
profondo, con un peso nel cuore. Doveva parlare a Stefano, ma non sapeva da
dove iniziare. Lo aveva fatto nel modo più semplice possibile, dopo un po’ di
esitazioni.
- Ho deciso che andrò a studiare
all’estero – aveva esordito. – Parto sabato per Londra, inizierò a guardarmi in
giro da lì.
- Perché? – aveva semplicemente chiesto
Stefano.
- Oh, lo sai benissimo perché. Qui in
Italia rischio di studiare anni e anni per cosa? Per finire a fare la cassiera
in un supermercato o a lavorare in un call center?
No, grazie. Voglio ampliare i miei orizzonti, e voglio costruirmi un futuro
come si deve.
Stefano non aveva preso bene quelle
affermazioni. Avevano discusso, e a lungo. Avevano perso le staffe, se n’erano
urlate dietro di tutti i colori, poi si erano calmati e ne avevano riparlato,
con ragionevolezza. Angela lo aveva rassicurato dicendogli che sarebbe tornata
in Italia non appena le fosse stato possibile. E poi, aveva aggiunto
scherzando, non era detto che avrebbe trovato un’università adatta a lei, c’era
poco da preoccuparsi.
Angela sorrise amaramente. Alla fine
c’era rimasta quattro anni, a Londra. Aveva studiato, si era laureata e aveva
trovato lavoro ancor prima di discutere la tesi. E lei e Stefano avevano perso
i contatti praticamente subito. Ricordava bene il giorno in cui lui le aveva
mandato una mail, a novembre. Diceva di non farcela, che gli sembrava di stare
con un fantasma. Era meglio chiuderla lì, per entrambi. Si sarebbero
risparmiati un sacco di dolore, a quel modo. Angela non gli aveva nemmeno
risposto, non ne valeva la pena. Aveva lasciato passare le feste natalizie, in
modo da sbollire la rabbia, ma soprattutto la delusione. A mente fredda,
dunque, ci aveva ragionato su, e non poteva dargli torto. Come potevano mandare
avanti una relazione, a milletrecento chilometri di distanza l’una dall’altro?
Non l’aveva più sentito fino ad una
settimana prima, quando le avevano offerto lavoro in Italia. Sarebbe tornata a
casa, finalmente, dalla sua famiglia. Con un lavoro stabile e con una
prospettiva di futuro che si fondava su basi solide. Prima di fare le valigie
si era armata di coraggio e aveva scritto a Stefano quella mail che avrebbe
dovuto mandargli anni prima. Si era scusata per essere sparita e gli aveva
proposto di vedersi non appena sarebbe tornata, al loro posto.
Angela guardò l’orologio, ormai era
ora. Stefano, però, ancora non si vedeva. Le aveva risposto affermativamente,
certo, ma poteva benissimo aver cambiato idea all’ultimo momento. Si sedette
sullo scivolo con un sospiro, contemplando per la prima volta quella
possibilità.
Il sole stava tramontando, tingendo il
cielo di rossastro, e iniziava a fare freddo. Angela si strinse nel proprio
cappotto, con un brivido. Nel mentre, sentì il manto di foglie scricchiolare
sotto dei passi. Il cuore le mancò di un battito, si alzò dalla scivolo e si voltò,
speranzosa. Stefano si fermò a pochi metri da lei, sorridendole.
- Ciao – la salutò.
Angela non rispose, perché sapeva che
se avesse aperto bocca anche il più semplice saluto avrebbe rischiato di farla
scoppiare in lacrime, tanta era l’emozione nel rivederlo. Si limitò ad
annullare quei pochi metri di distanza, e non appena gli fu di fronte lo
abbracciò, lasciando parlare i fatti. Stefano la prese tra le braccia con
impeto, come se fino al quel momento non avesse creduto che lei fosse di nuovo
lì, con lui, e ora avesse bisogno di una conferma tangibile.
Rimasero stretti l’uno all’altra per
quelli che parvero minuti interminabili.
Quei quattro anni passati separati
l’uno dall’altra parvero solo pochi minuti.
Spazio dell’autrice:
Ciao a tutti!
Questa storia l’ho trovata tra le
cartelle del mio pc, l’avevo scritta più di un anno e
mezzo fa come compito di un corso di scrittura che ho seguito. Ho quindi deciso
di pubblicarla per vedere un po’ che ne pensate. Spero che vi sia piaciuta e
che mi lasciate un commento^^
Baci,
Pikky91
Ps: Colgo l’occasione per pubblicizzare la mia long in corso (che
ho ripreso dopo molto tempo che non aggiornavo) “Una rondine non fa Primavera”.
Se avete tempo e voglia dateci un’occhiata, la trovate qui:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=527263&i=1