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Autore: Cali F Jones    02/09/2012    4 recensioni
Nel 1985 Arthur Kirkland è giovane uomo d'affari inglese che ricorda la sua esistenza da punk apatico nella Belfast degli anni '60 e l'incontro con Alfred, un ragazzo americano trasferitosi nell'Irlanda del Nord. Ricorderà i momenti più belli, ma anche i più dolorosi rivangando un passato fatto di ombre, rimpianti e peccati mai confessati.
[Avvertenza! Arthur è in versione punk]
Più avanti con i capitoli ci sarà una scena lemon. A tempo debito alzerò il rating.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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{Chapter 1: Child is slowly taken ~


Mi chiedo spesso in quale preciso momento la mia vita abbia cominciato ad andare a puttane. Pensandoci bene, non sono mai stato fortunato. Si potrebbe dire che la mia vita sia finita nel preciso istante in cui sono nato. O, forse, ancora prima, quando sono stato concepito. Quale donna sana di mente, sposata ad uno scaricatore di porto bevitore, giocatore d'azzardo e violento, con già tre figli a carico e povera in canna avrebbe fatto nascere un quarto figlio in una vecchia catapecchia nei Docks di Londra? Nessuna, direte voi. Ma mia madre non è mai stata sana di mente.
Non ricordo molto bene la mia infanzia; la mia strizzacervelli mi aveva spiegato, una volta, che è una cosa normale, soprattutto quando, come nel mio caso, si vive un lungo e continuato periodo di abusi, che il cervello cancelli dei ricordi, di solito i più dolorosi, in una sorta di meccanismo di autodifesa. Secondo me è una stronzata. Oppure il mio cervello era talmente pieno di brutti ricordi che è riuscito a cancellarne solo alcuni, mentre altri sono ancora lì. Ottimo. Così saprò con chi prendermela quelle volte che la notte mi sveglierò urlando a causa di un incubo. Dannato cervello. L'uomo non starebbe meglio senza quel fottuto stronzo, sempre lì a dirti cosa fare e cosa non fare? Sarebbe tutto incredibilmente più semplice, se l'uomo nascesse senza materia grigia. Tutti idioti. Oppure, ancora meglio, solo alcuni dovrebbero averlo! Così a loro spetterebbero le decisioni più importanti e gli altri sorriderebbero ed annuirebbero come comuni caproni. E...oh, aspettate un momento! Ah ah, che buffo! La realtà non è poi molto diversa, non è vero?
Allora, si vede che la mia famiglia non è mai stata destinata a prendere decisioni importanti. Nessuno di loro poteva vantare una spiccata intelligenza. Oh, beh, me ne farò una ragione.
Avevo tre fratelli maggiori: Darren, James e Gabriel. Mio padre era uno scaricatore di porto. Usciva alla mattina presto e tornava dopo mezzanotte, quando io e i miei fratelli eravamo già a letto. Mamma spesso ci dava un bicchiere di gin per farci addormentare, prima che papà rientrasse. E quei giorni che il gin era finito, ci raccomandava di tenere gli occhi chiusi e di continuare a fingere di dormire, anche se sentivamo dei rumori. E noi, i rumori, li sentivamo. Eccome se li sentivamo!
Papà tornava a casa, dava della "puttana" alla mamma per circa due o tre minuti, poi la picchiava. Ogni mattina, la vedevamo alzarsi con un nuovo livido. Mi faceva un po' pena, a dire il vero; almeno quando ero bambino. Ricordo che ero l'unico dei miei fratelli che si preoccupava ogni volta per lei, che le chiedeva cosa avesse fatto e a cui lei rispondeva con: "Non è niente, sono solo scivolata". All'epoca sapevo che non era vero, che era colpa di papà. Ma ero solo uno stupido ragazzino di sei anni, cosa potevo fare io? Già, cosa potevo fare?
Una notte, Darren -quel grandissimo pezzo di stronzo- venne a svegliarmi. "La mamma ti ha chiamato" mi disse "Presto! Potrebbe aver bisogno di te! Corri!". Ero solo uno stupido ragazzino di sei anni, l'ho già detto, no? Entrai in camera dei miei genitori. Mamma era accasciata a terra, si copriva il viso con le mani. Papà, in piedi, la sovrastava. Con una mano si teneva i pantaloni, con l'altra agitava per aria la cintura, sferzando feroci cinghiate contro mia madre. Si accorse che ero entrato. Ghignò e mi si avvicinò.
Dieci ore dopo mi svegliai in un letto d'ospedale. Naso rotto, polso sinistro rotto, insieme ad una costola destra. Il tutto corredato da un vistoso ematoma violaceo attorno all'occhio destro. Sentii mia madre che parlava al dottore.
"Signora, com'è successo?"
"È stato un incidente".
"Questi sono evidenti segni di violenza perpetrata da terzi. Il bambino subisce abusi in famiglia, magari da uno dei fratelli o dal padre?"
"No no, è stato...ehm...un suo compagno di scuola".
"Vuole sporgere denuncia?"
"No, non è necessario".
Da quando mio padre era diventato un compagno di scuola, non lo sapevo.
Rimasi in ospedale qualche giorno, giusto per degli accertamenti. Nessuno della mia famiglia venne mai a trovarmi. Solo una volta venne Darren. Mi minacciò di non raccontare a nessuno che era stato lui a mandarmi nella camera dei miei nel bel mezzo della notte, altrimenti mi avrebbe fatto ancora più male di quanto già non avesse fatto papà. Ero ancora uno stupido ragazzino di sei anni. E lui era ancora uno stronzo.
James e Gabriel non vennero mai a trovarmi. Loro due erano piuttosto strani, vivevano per conto loro, in un mondo a parte. Esistevano soltanto l'uno per l'altro. Spesso e volentieri mi dimenticavo di loro. E loro di me. Andavamo molto d'accordo, nel senso che non litigavamo mai. Era già tanto se ci rivolgevamo una parola al giorno. Gabriel non superò mai il vecchio vizio del cicchetto di gin prima di dormire. Iniziò a bere. Pesantemente. Aveva sedici anni quando morì per avvelenamento da alcool. Tre giorni dopo il suo funerale, James tentò il suicidio, impiccandosi. Ma Darren entrò giusto in tempo nella sua stanza per salvarlo. All'ospedale nessuno di noi lo andò mai a trovare.
I medici che lo avevano in cura, consci della morte di Gabriel e memori di tutte le altre volte che mi avevano visto coperto di lividi su una di quelle fredde sedie in metallo del pronto soccorso, chiamarono i servizi sociali. Mentre le due assistenti sociali parlavano con James in ospedale, venimmo a sapere, questi tentò nuovamente il suicidio, gettandosi dalla finestra. Unico danno: lesione alla spina dorsale a livello lombare. Sarebbe rimasto paraplegico per il resto della vita. Poi lo rinchiusero in un istituto per malati mentali. Nessuno di noi lo andò mai a trovare.
La mamma portò via me e Darren e si trasferì a Belfast. Trovò lavoro come donna delle pulizie. Anche Darren iniziò a lavorare, sebbene, credo, fosse entrato in un brutto giro, di quelli delle droghe, in cui entri, ma da cui non esci.
James, per quanto ne so, è ancora oggi rinchiuso in manicomio. Forse dovrei andare a trovarlo.
Di papà non ho più avuto notizie. Penso sia morto. Non lo so, non mi interessa.
Belfast era parecchio diversa da Londra. O, perlomeno, l'aria era diversa. Si sentivano i primi, importanti moti. I giovani volevano cambiare. Volevano una rivoluzione. L'Inghilterra era il nemico. Bisognava combattere. Combattere per la libertà, per l'indipendenza. Io avevo quindici anni quando arrivai in Irlanda del Nord.
Ne avevo diciannove quando commisi il più grave errore della mia vita.
Io ne avevo quindici, lui undici, quando lo incontrai.



*Angolo dell'autrice*
Grazie per aver letto questo primo capitolo, spero vi sia piaciuto, sebbene ancora non sia successo nulla di importante. Mi serviva un primo capitolo per presentare il personaggio di Arthur per poi spiegare le scelte che farà e il suo modo di comportarsi all'interno del resto della storia. I capitoli non saranno lunghissimi, come potete vedere, e non ho ancora idea di quanti ce ne saranno. Io andrò avanti ad aggiornare finché avrò ancora qualcosa da dire (;
Per il momento vi saluto, ricordatevi di recensire, sennò vi fagocito e diventerete tutt'uno con Madre Cali <3
Alla prossima
Cali ~
  
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