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Autore: Laxity    03/09/2012    1 recensioni
Emma ha subito un trauma. Lei ha terrore della gente per colpa di un ragazzo: Roberto De Luca. Shintani Hinata, però, sarà colui che cambierà il fatto. La vita di Emma si sta per sconvolgere una seconda volta. Ma questa volta sarà qualcosa di buono. Tutto ha inizio da un patto... Hinata dovrà aiutare Emma a non aver più paura, mentre Emma dovrà aiutare Hinata con Misaki. Ma le cose si ribalteranno. Saranno i due ad innamorarsi, alla fine. E lo sconvolgimento della vita di Emma ha inizio...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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-Qualche informazione.



Questa FF avrà, come personaggi, un po' tutti quelli della serie di KWMS, che tutti noi conosciamo.
In più, però, ci saranno due protagonisti che non saranno Misaki e Usui, sebbene siano i personaggi più importanti dopo Emma Cassata (l'ho fatto apposta a metterle questo cognome xD) e Hinata Shintani.
Oltre ad Emma, un altro personaggio che ho inventato io sarà Roberto De Luca.
I due vengono dalla Sicilia, da Palermo precisamente e.. Oh no, stavo per dire il punto fondamentale! Il resto lo dovrete scoprire nella storia, altrimenti vi annoierete :'D Buona lettura!

PS: La narrazione la passerò ai personaggi principali scrivendo -NomeDelNarratore.

-Emma.

Non era da molto tempo che io e la mia famiglia ci trasferimmo in Giappone.
Sì, avevo molti soldi ed ero una ragazza facoltosa, ma i miei i fecero iscrivere alla Seika. Vi chiederete perché, dal momento che io avevo la possibilità di entrare alla Miyabigaoka, ed io ve lo dirò. Io non avevo amici, e i miei volevano il contrario. E dato che credevano che alla Seika mi sarei fatta più amici mi mandarono lì, perché ne avevo bisogno. Io però pensavo che lì la gente mi avrebbe usata solamente per i miei soldi e niente di più. Ma non sarebbe stato così. Vi chiederete perché non avevo amici e ancora una volta vi darò una spiegazione. Io NON volevo amici, perché sapevo che mi avrebbero tradita ancora. No... era perché io avevo paura della gente. Io, Emma, vivevo nel terrore che potesse capitarmi qualcosa come nel passato.
Tutto mi andava bene nella vita, finché, all'età di 14 anni, non conobbi un ragazzo: Roberto De Luca. Noi due iniziammo con l'essere amici, ma pian piano c'innamorammo e all'età di 15 anni ci fidanzammo. Peccato che Roberto fosse veramente molto geloso. Talmente tanto al punto di punire una ragazza anche se non aveva fatto nulla di male, picchiandola. Un giorno ervamo andati al mare in un paese chiamato "Trabia", agli scogli. Lì incontrai un amico che conoscevo dall'infanzia e ci avevo scherzato un po'. Quando questo se ne andò, Roberto mi si avvicinò, chiedendomi chi fosse. Io avevo risposto che era un amico che conoscevo da moltissimo tempo e lui, deducendone che fosse una persona intima per me, mi diede prima uno schiaffo sul viso, talmente forte da farmi smuovere svariati passi indietro, riuscendo a salvarmi dal cadere in mare. Poi, però, Roberto mi spinse urlando che non mi voleva più vedere, e io caddi in acqua sbattendo la fronte, bruscamente, contro uno scoglio. Svenuta, mi ritrovavo a galleggiare sull'acqua mentre perdevo sangue. Roberto mi aveva solo portato sulla terraferma, poi era fuggito via a mia insaputa, fregandosene altamente. Fu mia sorella, Erika, (mandata da mia madre per il ritardo con cui stavo tendendo a venire) che mi trovò. Chiamò subito nostra madre al telefono e le disse tutto, lacrimando. Vennero sia il padre che la madre e mi portarono all'ospedale, disperati. Avevo il cranio fratturato e, al mio risveglio, avevo perso la memoria. Non ricordavo i genitori, la tanto amata sorella... nulla. Tutti i ricordi, ogni mio pensiero, era svanito! Per fortuna i dottori riuscirono a rendere - attraverso un'operazione - la profonda e dolorante ferita un'estesa cicatrice e io pian piano acquisii di nuovo tutti i ricordi. Non mi sarei mai innamorata di un ragazzo ancora una volta. E dato che sapevo che davo alla gente la mia fiducia troppo facilmente, decisi di non legare più con nessuno, per non essere tradita. Ora io vivevo nel terrore. Avevo paura della gente, soprattutto degli uomini, ma anche delle donne.
Così, quel mattino, mi svegliai presto e indossai per la prima volta la divisa della Seika, per poi dirigermi a scuola accompagnata da mio padre, con la macchina, perché non conoscevo ancora la strada.
Non sapevo nemmeno il giapponese, solo qualche parola e poche regole che avevo imparato guardando anime e manga, quindi per parlare spesso avrebbe dovuto aiutarsi con l'inglese - che conosceva perfettamente - o gesticolava.
Era passato un anno dall'incidente al mare. Chissà, magari sarebbe avvenuto davvero qualcosa, alla Seika?
Mi stiracchiai e controllai in una specie di "cartello" la classe in cui ero stata ammessa. Ero nella classe 3^A. Chissà chi erano i miei compagni. Chissà se di loro avrei potuto riporre la mia fiducia. Chissà se la mia paura, anzi, il mio terrore, sarebbe durato ancora a lungo. Mi diressi dunque nella mia classe e mi sedetti al banco che avevano scelto per me. Fila centrale, posto centrale. Meglio di così non poteva andare! Sarei stata letteralmente circondata da gente con cui non avrei mai parlato! Se mi mettevano al primo banco forse era meglio!
Ad ogni modo, il professore non era ancora arrivato e i miei compagni scherzavano tra di loro mentre io stavo sommersa nei miei pensieri. Nessuno pareva avermi visto perché si stavano divertendo troppo ed erano troppo contenti mentre scherzavano tra di loro. Tutti tranne un ragazzo dai capelli di un colore castano-nocciola che aveva uno sguardo triste mentre... mangiava una barretta di cioccolata. Io adoravo mangiare. Adoravo abbuffarmi, ma di certo non mi portavo roba da mangiare a scuola! Specialmente in una delle scuole del Giappone, che erano molto, molto rigorose! Però era anche così triste... e nonostante la mia paura verso la gente, il mio aspetto altruista mi disse di farmi avvicinare a lui. Così, impaurita e intimorita, mi avvicinai con una scusa pronta in mente per potergli parlare con le poche parole che conoscevo del giapponese.
Appena arrivai, quasi tremando, gli dissi: «Uhm... W-watashi wa E-Emma-d..desu.», io sono Emma.
Lui si girò verso di me. Lo sguardo era ancora triste, ma nonostante tutto mi accolse: «Konnichiwa! Watashi wa Hinata-gozen.», "Ciao, Io sono Hinata.". Fortunatamente il discorso finora non aveva preso una piega troppo complicata per la mia grammatica giapponese, ma da quel momento cominciava a farsi difficile e continuai a parlare un po' in inglese e un po' in giapponese, solo che sbagliai tutto!
«Konnichiwa. Uhm, Yagi.. ehm.. Yagi that you have between the hands..» dissi, per poi essere interrotta da un sorriso e da una risata leggera. Mi resi conto di aver detto "La capra che hai tra le mani" e divenni subito rossa.
«Chokorēto.» disse alzando la barretta di cioccolata, per farmi capire chi era il soggetto.
Io, ancora rossa per l'imbarazzo e con voce tremolante, dubitavo che sapesse parlare l'italiano così dissi: «S-sorry. C-can you speack English?». Sai parlare inglese?
«A little.» Un po', rispose, sorridendo. Sembravo averlo tirato un po' su con il fatto della capra tra le mani.
«Uhm.. What's the matter?» qual'è il problema? gli chiesi, ancora un po' impaurita. Lui, d'un tratto, parve ricollegare tutto. Si rabbuiò di colpo. Avrei voluto non averglielo chiesto.
«The girl that I like... She loves another boy.» La ragazza che mi piace, aveva risposto. Lei ama un altro ragazzo. Con quella frase, io pensai al mio, di ragazzo. Lui credeva che amassi quel mio amico d'infanzia e dopo mi aveva ridotto in quello stato.
A quel pensiero il mio terrore s'intensificò, davanti a quel ragazzo, sebbene fosse stato tanto gentile con me. Ma non potevo andarmene in quel modo. Fortunatamente, il professore arrivò ed io mi sedetti al mio posto. Dietro di me, a sinistra e a destra c'erano tre idioti che parlavano in continuazione, dicendo tutto il tempo "Misa-chan"di qua, "Misa-chan" di là... Ovviamente parlavano in Giapponese. Il professore, poi, mi chiese in inglese di presentarmi, perché era il professore di quella lingua. Mi aveva detto che avrebbe tradotto lui ciò che dicevo alla mia classe. Io annuii e mi alzai, e come mi aveva chiesto il professore, no, il sensei, andai vicino a lui e mi presentai.
«Hi, I'm Emma Cassata.» dissi, arrossendo lievemente per il cognome orrido che avevo, mentre al suono di quel cognome il ragazzo di nome Hinata cominciò a girare la testa in cerca di una cassata. Secondo me sapeva i nomi dei dolci anche esteri al suo paese, quello lì!
Poi, dopo che il professore finì di tradurre, continuai dicendo: «I'm come from Sicily, in Italy, but I also speack English.» Provengo dalla Sicilia, in Italia, ma parlo anche inglese, dissi.
Evitai di dire che avevo una famiglia facoltosa, perché credevo che se l'avessi detto mi avrebbero usata tutti quanti per i soldi. Ormai tendevo a trovare ragioni per non fidarmi di chiunque.
Qualche mese dopo, riuscii ad imparare completamente la lingua giapponese grazie agli anime che vedevo in streaming e con i sottotitoli in italiano ma anche a dei corsi di giapponese che seguivo anche in internet.
Non avevo parlato con nessuno, in tutti quei mesi. Nemmeno con quell'Hinata. Sebbene mi fosse sembrato il più educato e a modo di tutta la classe, avevo avuto ancora più paura quando disse quella frase. Collegavo tutto a Roberto De Luca, il ragazzo che aveva rovinato la mia vita sociale. E il mio cranio.
Ad ogni modo, quando Hinata capì - attraverso delle interrogazioni che tenevo a scuola - che avevo capito a fondo la lingua giapponese, mi si avvicinò quando finirono le lezioni e dovevamo tornare tutti a casa. Ora potevamo parlare tranquillamente, forse.
«Sai, hai un cognome appetitoso.» disse scherzando.
«Scemo. Pensi solo a mangiare?» risposi io, con un tono un po' burbero, cercando di allontanarlo.
«Tu sei stata la prima a fare il commento sulla barretta di cioccolata che avevo in mano, la prima volta! ..Anche se avevi detto che era una capra.» disse ridendo.
«Sì, lo ammetto. Anche io adoro mangiare.» dissi rossa tra un misto di rabbia, imbarazzo e anche di terrore.
«Sei tesa come una corda... impaurita da me, direi. Mica ti mordo!» disse, per poi continuare: «È dal primo giorno che non ti vedo parlare con nessuno, e l'unica volta che hai parlato con me dimostravi paura e insicurezza. Specialmente quando ti ho detto della ragazza che mi piace.» esitò un momento e per una frazione di secondo vidi in lui una persona sofferente.
«Tu avevi chiesto quale fosse il mio problema, ma tu mi sembri molto più problematica.» disse con uno sguardo preoccupato.
Io lo guardai un attimo. Non avrei voluto dirgli del mio passato. Non l'avevo mai detto nessuno tranne che alla mia famiglia, ma dovevo sfogarmi. Dopo un anno di sopportazione, proprio non ce la facevo più a tenermi dentro una cosa così. Così gli parlai di Roberto De Luca e di ciò che mi aveva fatto.
Lui sembrò leggermente sconvolto da ciò che avevo detto, poi disse: «Facciamo un patto. Tu mi aiuti con la ragazza che mi piace, ed io ti aiuto a non avere più paura della gente. Ci stai?».
Non sarebbe stata una cattiva idea. E se non avessi avuto un amico o un'amica al più presto, i miei genitori sarebbero stati delusi. Ed io non volevo.
Dunque accettai la proposta, facendo cenno di sì con la testa. Chissà se ci sarebbe riuscito davvero?
  
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