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Autore: Carlos Olivera    04/09/2012    2 recensioni
"Mi chiamo Eric Flyer.
Sono nato il dodici gennaio 1945 a Tokyo, in Giappone.
Io odio i vampiri.
Perché li odio? Perché sono dei mostri. Si ritengono un gradino al di sopra della catena evolutiva, ma per come la vedo io sono solo un vicolo ceco dell’evoluzione che prima sparirà, e meglio sarà per tutti.
Ma non è solo per questo.
Io odio i vampiri perché… anch’io sono come loro. Sono anch’io una creatura della notte."
Il cacciatore di vampiri Eric Flyer, vamprio egli stesso, arriva in Europa per indagare su alcuni efferati omicidi che convolgerebbero altri suoi simili.
Ma la verità è molto più complessa e spaventosa, e legata ad un'antica leggenda dimenticata: quella del leggendario vampiro Valopingius.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaien Cross, Kaname Kuran, Nuovo Personaggio, Seiren
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XV

 

 

«Eric, Izumi, voi restate indietro.» disse Kaien.

Eric avrebbe voluto combattere, ma con quella tremenda ferita alla schiena era già tanto se non crollava svenuto, e quindi tutto quello che poteva fare, una volta tanto, era stare ad osservare.

Valopingius, come tutti i Caduti, era dominato dalla sete di sangue, e con il suo olfatto così sviluppato non faticò, pur nella più totale follia, a riconoscere quello di Izumi, sulla quale votò immediatamente le sue attenzioni.

Tentò di afferrarla, ma Eric, con le poche forze che gli restavano, la afferrò, saltando via giusto in tempo per non finire schiacciato.

«Tieni le mani lontane da loro, Caduto!» urlò Kaien correndogli contro.

A quel punto Valopingius tentò di colpire anche lui, facendogli piovere addosso una manata che colpì il selciato con la potenza di un maglio da guerra, sventrando le mattonelle; il direttore schivò, e contemporaneamente saltò sul braccio del nemico, lo percorse velocissimo e arrivato al gomito spiccò un nuovo salto, arrivando a sovrastarlo.

Con tutta la forza che aveva, piombò sulla fronte del mostro piantandovi dentro la sua spada, che spinse in profondità finché la lama non fu completamente scomparsa al suo interno.

Valopingius ringhiò come una bestia ferita, un urlo disumano che riuscì persino a fracassare i vetri, dimenandosi furiosamente nel tentativo di disarcionare il suo assalitore.

Eppure, neanche questo fu sufficiente per ucciderlo, e dopo essere stato sballottato in tutte le direzioni Kaien fu costretto ad arrendersi e ad abbandonare sia il campo che la sua arma, che restò conficcata nella fronte del mostro.

Ma uno dello stampo del direttore non era certo tipo da non avere un piano di riserva. Oltre alla spada, aveva con sé anche un’altra arma anti-vampiro, la Bloody Rose, che appena tornato coi piedi per terra estrasse dalla cintura e prese a svuotare senza sosta contro a Valopingius.

I proiettili d’argento esplosivi a rilascio di energia erano armi micidiali, letali per qualunque vampiro, e anche Valopingius, pur con tutto il suo potere, incassò pesantemente quella scarica di colpi.

Purtroppo, a livello di danno effettivo anche questo risultò un assalto piuttosto blando, che ebbe come unico effetto quello di farlo arrabbiare più di quanto già non lo fosse.

Lanciato un urlo infuriato, prese a sventrare il terreno con raffiche di pugni, colpi d’artiglio e piccoli globi di luce vermiglia che apparendo dietro le sue spalle partivano in tutte le direzioni distruggendo ogni cosa in cui si imbattevano.

Il direttore evitò i colpi finché ne fu in grado, ma ad un certo punto, mentre era ancora a mezz’aria per aver schivato l’ennesimo colpo, ne arrivò immediatamente un altro, un tremendo ceffone a mano aperta che lo scaraventò come un proiettile contro la parete del castello.

Fu un colpo molto duro, anche per uno come lui, infatti si ritrovò impossibilitato a rialzarsi dalla posizione inginocchiata in cui quella manata paurosa lo stava costringendo.

Immediatamente, Valopingius ne approfittò per rivolgere nuovamente le sue attenzioni su Izumi, e come lo vide voltarsi verso di loro Eric, pur tremante e ancora lordo di sangue, si rimise in piedi, tenendo Izanami davanti a sé.

«Eric, non farlo!» tentò di dirgli Izumi «Ti prego, voi andatevene! È me che lui vuole!»

«Non scherziamo. Che razza di cacciatore sarei se voltassi le spalle ad un nemico? E poi… e poi non posso abbandonarti. Questo non me lo puoi chiedere!»

«Eric…»

«Io non sono mai riuscito a proteggere nessuno. Non ho mai fatto niente di buono nella mia vita.

Ma ora sarà diverso. Io ti proteggerò, Izumi. Anche se dovesse costarmi la vita, non permetterò mai a nessun vampiro di metterti le mani addosso!».

Di fronte a quelle parole, Izumi sentì un calore improvviso accendersi dentro di lei.

Forse era per l’emozione, o forse per lo stupore, ma una cosa era certa: non aveva mai provato niente del genere.

Il cuore prese a batterle forte, e per un attimo ebbe come l’impressione di averne uno, ma ben due, che battevano quasi all’unisono annunciando la loro insolita presenza; ma quello che era più incredibile, era che questa specie di secondo cuore che sentiva battere dentro di lei sembrava battere non per il suo corpo, ma per il suo spirito; per la sua anima.

Cosa… mi succede?” si domandò, non riuscendo a capire.

Eric sapeva perfettamente di non essere in grado di tenere testa ad un nemico simile, conciato com’era, ma era pronto qualsiasi cosa per proteggere non solo Izumi, ma anche tutto ciò che in quei mesi aveva imparato a conoscere, e a cui si era affezionato.

Il mostro alzò il braccio, lanciando un colpo a mano aperta contro Eric nel tentativo di schiacciarlo; il ragazzo non si mosse, né diede segno di volerlo fare: lo avrebbe respinto o sarebbe morto, perché altre soluzioni non ce n’erano.

«Eric!» urlò Izumi capendo cosa il ragazzo volesse fare.

In quel momento, quella specie di suo secondo cuore, per un istante, smise di battere, e poi subito dopo sentì come se le fosse uscito violentemente dal petto; e fu proprio dal centro del suo petto che, d’improvviso, si sprigionò una luce tanto forte da illuminare a giorno l’intero castello, fino a raggiungere anche la biblioteca dove Kaname e Augusto stavano ancora lottando.

«Ma cosa…» disse Augusto tentando di proteggersi dal baglio che arrivava dal portone d’ingresso, ormai sventrato dal combattimento «Che cos’è questa luce?».

Anche Kaname si domandava la stessa cosa, tanto più che quel bagliore trasudava letteralmente energia di una purezza quasi impensabile.

Come fu sprigionata, quella luce parve trasformarsi in una sorta di barriera, che avvolse i due ragazzi come una cupola costringendo Valopingius a sospendere il suo attacco e a coprirsi gli occhi; come se non bastasse, nell’istante in cui aveva toccato lo scudo la sua mano per poco non aveva preso fuoco, e pur tentando di proteggerseli i suoi occhi bruciavano come se avessero avuto il fuoco dentro.

Al contrario, tutti gli altri trovarono quella luce calda ed estremamente piacevole, e per nulla fastidiosa neanche per gli occhi.

Eric, incredulo, si volse verso Izumi, che fissava il vuoto con sguardo stralunato ed incredulo; al centro del suo aperto sembrava essersi aperta una specie di porta, dall’interno della quale spuntava l’impugnatura, blu e con legacci bianchi,  di una katana.

«Ma cosa…» disse.

Neanche Izumi capiva; eppure, sentiva come se quella cosa che pareva emergere da dentro il suo corpo fosse quasi una parte di lei. Eric si avvicinò, ed entrambi osservarono attoniti l’impugnatura di quella spada; in particolare, il giovane restò basito quando, semi-nascosti dai legacci ed incisi a lettere apparentemente d’oro, intravide gli ideogrammi che componevano quello che doveva essere il nome della spada.

«Ma…» lesse «Masamune No Izanagi!?».

Anche il direttore, seppur leggermente distante, sentì, ma a differenza dei due ragazzi capì quasi subito cosa stava probabilmente accadendo.

«Dunque…» disse incredulo «La leggenda era vera. Masamune aveva davvero creato la lama perfetta. E per essere certo che nessuno potesse usarla impunemente, la nascose nel solo posto in cui era certo nessuno l’avrebbe trovata.

Nel suo stesso corpo.

In questo modo, Izanagi è passata di padre in figlio all’interno della sua famiglia, e ora giace all’interno del suo ultimo discendente».

Anche Eric, nel mentre, aveva capito.

«Izumi. Tu… discendi da Masamune?».

Chiamarlo fato sembrava quasi riduttivo, alla luce delle incredibili coincidenze che avevano permesso quella fortunosa concatenazione di eventi.

Ma ora non c’era tempo di rimuginare sui disegni del destino; Valopingius si stava riprendendo, ed era più arrabbiato che mai.

Eric, capendo che quella spada era comparsa per lui, la afferrò, e dopo aver rivolto uno sguardo ad Izumi, che gli fece quasi un cenno d’assenso, la estrasse, scoprendone la lama splendente di vita. Così, quando la cupola di luce si dissolse, il giovane stringeva Izanami nella mano sinistra, e Izanagi nella destra; per la prima volta nella storia, le due armi anti-vampiro forgiate dai due leggendari maestri spadaccini erano riunite nelle mani di una sola persona.

Nel momento in cui ebbe Izanagi stretta nella mano, Eric si sentì guarire da tutte le sue ferite, mentre una nuova forza cresceva dentro di lui.

Così come Izanami sottraeva la vita di chi la impugnava, allo stesso modo Izanagi la faceva rifiorire, in modo simile a quanto raccontava il mito, che vedeva in Izanami la creatrice della morte, e nel suo consorte Izanagi il padre della vita.

Eric si sentiva rinato: adesso, forse, riuscire a vincere non era più un’aspirazione impossibile.

«State indietro.» disse ad Izumi e al direttore «Lui è mio».

Valopingius, forse capendo il nuovo potenziale del suo nemico, arretrò come dubbioso, mentre Eric lo fissava coi suoi occhi azzurri, nuovamente carichi di fuoco.

«Ora fatti avanti, mio antenato. Ti aspetto».

A quel punto Valopingius si risolse a colpire, tentando ancora una volta di schiacciare il ragazzo; questa volta, però, il suo nuovo colpo non risultò nulla di impossibile per Eric, che come se non bastasse, dopo aver schivato la manata, recise di netto un dito al mostro con un solo, poderoso fendente.

Questo fece infuriare il nemico più di quanto già non lo fosse, e come sbatté le ali una vera pioggia di sfere nere presero a piovere in tutte le direzioni colpendo qualsiasi cosa.

Il direttore raggiunse velocemente Izumi, portandola al sicuro sotto un porticato e rinchiudendosi assieme a lei in una barriera magica, mentre Eric al contrario prese a schivare tutti i colpi che gli piovevano contro grazie al salto temporale.

Si sentiva letteralmente rinato.

E non era solo merito del potere curativo di Izanagi. Per la prima volta in vita sua, stava sfruttando di quel potere del quale aveva sempre avuto paura; un po’ come aveva fatto dopo essere diventato un Caduto, con la differenza che stavolta era una sua scelta.

Se riuscisse a controllarlo con la sua sola forza di volontà o col potere combinato delle due armi, non lo sapeva, ma almeno per il momento questo era secondario.

Più la differenza tra loro si assottigliava, e anzi si invertiva, più Valopingius diventava incontenibile; colpiva senza freni, attaccando e distruggendo tutto ciò che gli capitava a tiro, e ormai la facciata del castello era quasi irriconoscibile.

Eric sapeva di dover fare presto; anche se Izanagi lo aveva temporaneamente guarito stava iniziando a sentirsi nuovamente debole, segni che forse il suo potere di guarigione era solo temporaneo.

Quello, sarebbe stato l’ultimo assalto.

Pazzo di rabbia, Valopingius cercò un ultimo scontro fisico, sferrando un pugno coperto di fuoco che Eric parò incrociando le sue spade dinnanzi a sé.

L’urto fu tremendo, e produsse una corrente d’aria capace di sradicare i rami degl’alberi, costringendo Izumi e il direttore a stringersi alle colonne del porticato per non essere spazzati via.

Alla fine, lo scontro di forza fu vinto da Eric, che con uno scatto rabbioso allontanò il pugno nemico, lasciandolo scoperto al contrattacco.

«Và all’inferno!».

Il giovane Flyer menò due potentissimi fendenti nel vuoto quasi nello stesso momento, uno orizzontale ed uno verticale, che produssero altrettanti fasci di luce i quali, allargatisi, prima travolsero Valopingius, facendolo barcollare all’indietro, e poi si fermarono alle sue spalle, disegnando una gigantesca croce.

A quel punto, Eric lanciò entrambe le sue spade con tutta la forza che aveva, prima Izanami ed infine Izanagi, che abbattutesi sulle mani del mostro lo trascinarono letteralmente contro la croce di luce, inchiodandocelo. Una volta che in nemico fu ridotto all’immobilità il ragazzo spiccò un salto, raggiungendo la spada del direttore Cross ancora conficcata nella fronte di Valopingius, ed una volta estrattala si lasciò cadere, raggiungendo il cuore nemico e trafiggendolo implacabilmente.

Valopingius urlò con tutta la voce che aveva, un ringhio bestiale che fece tremare le montagne, e subito il suo corpo parve disintegrarsi, sprigionando una colonna di luce che si innalzò fin oltre le nuvole.

 

Nella biblioteca, lo scontro tra Augusto e Kaname procedeva senza sosta.

Tra i due sembrava essersi un sostanziale equilibrio, cosa che in un certo senso aveva stupito entrambi, fieri e consapevoli dei propri mezzi e sicuri di poter avere la meglio senza troppo impegnarsi.

«Ora basta! Mi hai stufato, Kuran!».

Il conte batté come al solito a terra il suo bastone, e d’improvviso alle spalle di Kaname comparve una sorta di vortice oscuro, che come un buco nero appena formatosi prese a trascinare inesorabilmente ogni cosa verso di sé, risucchiandola al proprio interno.

«Sparisci in questa spaccatura dimensionale!» sentenziò Augusto, l’unico a non soffrire l’effetto del risucchio.

Kaname cercò di tenersi salto a terra, e di resistere alla potenza di attrazione del buco, ma ad un certo punto anche i suoi piedi si sollevarono dal suolo, e sembrò che fosse destinato a scomparire anche lui; all’ultimo momento, però, il giovane Kuran lanciò la propria spada all’interno del vortice, che permeata della sua energia appena entrata al suo interno provocò uno squilibrio magico tale da costringere il buco nero a richiudersi, giusto in tempo per evitare di finirci dentro.

«Cosa!?» ringhiò il conte vedendo Kaname tornare a terra sano e salvo.

Un attimo dopo, la colonna di luce sprigionatasi nel cortile catturò l’attenzione dei due contendenti, ed entrambi, superato l’iniziale stupore, capirono subito cosa doveva essere accaduto.

«No…» disse Augusto «Non può essere…»

«La sfida è finita.» disse Kaname tornando a fissarlo in volto «E nel modo peggiore, per te».

Il conte serrò i denti per la rabbia.

Mai avrebbe pensato che potesse andare a finire in quel modo.

Il suo piano, quel piano che aveva portato avanti con pazienza e sacrifici per tutti quegli anni, era appena andato definitivamente in fumo. Anni di ricerche, di esperimenti, e di sacrifici, gettati via come spazzatura; e tutto per colpa di quel maledettissimo di un Kuran.

«Questo non cambia niente.» disse cupo in volto «Mi sono rialzato già una volta, e posso farlo ancora. Il materiale di ricerca e le possibilità di studio sono infinite.

In un modo o nell’altro, io riuscirò a dare vita ad una nuova generazione di vampiri, e quando questo accadrà, questo diventerà il mondo della Stirpe della Notte.

Questa è la nostra Terra. Non degli esseri umani. E neanche di quelli come te, sporco traditore».

Kaname, non ancora soddisfatto, cercò di ultimare ciò per il quale aveva fatto ritorno al castello, ma Agusuto non aveva alcuna intenzione di dargli questo piacere.

Approfittando di un momento favorevole, il conte spalancò gli occhi, dai quali si generò un’accecante luce rosso sangue che riempì tutta la stanza.

«Non finisce qui, Kuran! Un giorno o l’altro, te la farò pagare! Dillo anche a mio nipote! Me la pagherete entrambi!».

Quando Kuran riaprì gli occhi, il conte Lorenzi era fuggito; ancora una volta, era riuscito a sottrarsi al suo destino.

 

La colonna di luce illuminò il cielo per diversi secondi, venendo scorta in lontananza anche da due grossi elicotteri da trasporto provenienti da Venezia, e a bordo dei quali c’era anche il direttore Gabrielli, assieme ad una ventina di cacciatori professionisti.

«Che diavolo starà succedendo laggiù?» si chiese la donna.

Quando il bagliore finalmente si spense, ed Eric, Izumi e il direttore Cross poterono guardare di nuovo, il mostro con le fattezze di demone si era dissipato.

Valopingius era ritornato alle sue vere sembianze, e ora giaceva, riverso sulla schiena, tra le macerie della facciata principale, coperto di gravi ferite e con la spada del direttore ancora piantata nel cuore.

Izanami ed Izanagi, invece, stavano un po’ più distanti, abbandonate a terra.

Eric si avvicinò al suo avversario, che aperti gli occhi a fatica lo guardò, sorridendo.

«È buffo. Proprio io, che ho dedicato la mia vita a forgiare con le mie mani il prossimo stadio della nostra evoluzione, sono stato sconfitto da chi questo nuovo stadio già lo incarna dentro di sé.

E non solo. Costui è persino un mio discendente.

Forse, a ben pensarci, la risposta era più semplice di quanto potessi immaginare. I poteri e le capacità di un vampiro, e l’adattabilità, ma soprattutto il cuore, di un essere umano.

Tuo nonno aveva ragione. Il futuro della nostra specie potresti essere davvero tu, Enrico.»

«Io mi chiamo Eric. Eric Flyer. E non te lo scordare».

Di nuovo, Valopingius sorrise, e quando si avvide che il suo corpo stava iniziando a scomparire il suo sorriso divenne, se possibile, ancor più sincero.

«È stato un ritorno alla vita molto breve, non trovi? Ma dopotutto, riflettendoci, forse ho concluso di più in questa breve parentesi di quanto non sia riuscito ad ottenere in tutto il resto della mia vita.» poi guardò Eric dritto negl’occhi «Vai per la tua strada, Eric Flyer. Il tempo ci dirà se tu sei davvero la speranza di tutti noi. Il sogno che avevo, ora vive dentro di te.

Vivi con onore, vampiro».

Dopo pochi attimi, il corpo di Valopingius, il vampiro più antico della storia, scomparve, mutandosi in polvere, e lasciando dietro di sé unicamente le sue vesti.

Il direttore Cross stette un attimo in silenzio, poi, con una leggera zoppia, si avvicinò alla sua spada e la raccolse.

«E così…» disse rinfoderandola «È finita.»

«Così sembrerebbe».

Eric, dopo qualche momento speso come soprapensiero, andò a riprendere le sue due spade; per ultima prese Izanagi, e quando la raccolse da terra Izumi si avvicinò, osservandola sorpresa.

«Dunque…» disse «Questa spada…»

«Era dentro di te. Lo è sempre stata. Masamune deve averla deposta in forma spirituale nel corpo di uno dei suoi figli per nasconderla agli uomini, e per generazioni è passata di padre in figlio fino alla sua ultima discendente.»

«Mi sembra incredibile».

I due ragazzi erano ancora intenti a rimirarla, e il direttore Cross era appena andato ad assistere Shezka, che si era da poco risvegliata dopo il termine del loro scontro, quando un rumore inconsulto, accompagnato da un mormorare sommesso, rimise tutti sul chi vive.

Tutti si volsero in una sola direzione, e la vista di ciò che apparve loro davanti li lasciò impietriti.

«Nagisa!» urlò Eric vedendo la sua partner che, appoggiata al muro, avanzava a fatica con una mano stretta sul ventre, da cui uscivano fiotti di sangue, stringendo i denti per non urlare.

«Mio… mio signore…» disse accasciandosi al suolo.

Eric le corse incontro, lo sguardo sconvolto per il terrore, e subito gli altri lo seguirono, nel disperato tentativo di aiutarla. Come il ragazzo la girò, facendola distendere sulla schiena, la tremenda ferita comparve in tutta la sua gravità.

«Nagisa, tieni duro! Resisti!».

Il direttore Cross tentò di fare qualcosa, di aiutarla, ma era una ferita tanto grave che, ma non voleva dirlo, era già un miracolo che fosse ancora viva, e intanto Nagisa perdeva sempre più conoscenza, sprofondando nell’oblio.

«Non ti addormentare, Nagisa!» continuava a ripeterle Izumi «Devi restare sveglia!»

«È inutile.» disse rassegnato il direttore «Questo genere di ferite sono troppo persino per un vampiro.»

«Non scherziamo!» urlò Eric con gli occhi che grondavano lacrime «Non possiamo lasciarla morire così!»

«Mi dispiace, Eric. Non c’è niente che possiamo fare.»

«No! No! Questo non lo accetto!».

Eric non voleva mollare, ma d’altra parte sentiva che il direttore aveva ragione, e dentro di sé provò un grande senso di impotenza misto ad una rabbia sconfinata.

Perché? Perché tutte le persone che si avvicinavano a lui finivano sempre per morire?

Prima il suo amico Jun Fat, poi Padre Caster, e adesso Nagisa.

Il suo cuore trasudava sangue per il dolore, ed i suoi occhi erano pieni di pianto, quando un pensiero lo fece trasalire.

Forse non tutto era perduto.

Guardò Izanami, di nuovo riposta nel suo fodero, poi Izanagi, stretta tra le braccia del proprio, e fu proprio a quest’ultima che rivolse le sue attenzioni.

Era un gesto al limite della follia, ma se la leggenda era vera, allora forse quella era l’ultima speranza rimasta.

«Dammela.» disse facendosela passare.

Poi, sbottonò la giubba e parte della camicetta della sua partner, mettendo a nudo l’orribile ferita, sicuramente mortale.

La leggenda diceva che la dea Izanami, furiosa per essere stata relegata agli inferi dal marito Izanagi, avesse creato la morte, e che il marito stesso per ovviare avesse a sua volta deciso di dare la vita a più esseri umani di quanti la moglie potesse ucciderne. Era così che era nata la morte, e forse era così anche per le spade che di quelle due divinità sembravano incarnare il potere.

«Così come Izanami sacrifica cento vite per salvarne una» disse osservando la lama a specchio «Allora forse Izanagi ne sacrifica una per salvarne cento».

E detto questo, rivolse la punta della spada proprio contro il corpo si Nagisa, alzandola sopra di sé.

«Aspetta.» disse spaventata Nagisa «Che cosa…»

«Lascialo fare.» le disse il direttore «Credo che sappia quello che fa».

Eric chiuse un momento gli occhi, quasi a voler rivolgere una preghiera per sperare di non sbagliarsi, quindi, messo da parte ogni indugio, abbassò urlando la spada.

La punta penetrò Nagisa come fosse stato un ologramma, e la ragazza emise un piccolo gemito, avvertendo nulla più di un leggero fastidio nel punto colpito.

Quasi subito, un tenue chiarore si materializzò attorno alle mani di Eric, il quale percorrendo la spada da un capo all’altro raggiunse infine il corpo di Nagisa, diffondendosi a raggiera dalla testa alla punta dei piedi, e a quel punto, sotto gli occhi increduli di tutti, la ferita cominciò velocemente a richiudersi, per poi scomparire del tutto.

Eric, che aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, come sentì l’energia insita in Izanagi affievolirsi immediatamente la ritrasse, ma dovette puntellarvisi quasi subito perché si sentiva talmente sfinito da pensare che sarebbe crollato nel sonno da un momento all’altro.

«Stai bene?» gli chiese preoccupata Izumi

«Credo di aver appena consumato l’ultima possibilità che mi restava di usare il Time Carousel».

Terminato il proprio dovee, Izanagi scomparve, tramutandosi in pulviscolo di luce che girò qualche attimo attorno ad Izumi per poi entrare placidamente nel suo corpo, spegnendosi.

«Cosa… cosa è successo?» si domandò

«La spada è ritornata nel suo fodero.» commentò quasi ironico il direttore.

In quella, Nagisa emise un gemito, richiamando di nuovo l’attenzione di tutti, e quando, timidamente, riaprì gli occhi, le sembrò per un attimo di essere tornata a tanti anni fa, a quel giorno sotto la pioggia, quando vide per la prima volta quel volto severo ma gentile, così bello e confortante.

Ma quello che era più incredibile, era che il dolore era comparso; del tutto.

«Mio… signore…»

«Non ti avevo detto» disse Eric cercando di nascondere le lacrime «Di non fare mai niente di avventato? Non mi ascolti mai».

Nagisa sorrise, poi fu aiutata a rialzarsi, ma era così provata che come cercò di stare ferma sulla proprie gambe fece per scivolare, finendo proprio addosso ad Eric, che la sorresse; lei, invece, arrossì terribilmente.

«Mi… mi dispiace. Mio signore…»

«Da oggi in poi.» le disse sorridendole «Cerca di chiamarmi semplicemente Eric».

Il direttore si guardò attorno, poi volse lo sguardo a Shezka, che ancora provata osservava tutta la scena da lontano poggiandosi ad una colonna.

«Ora, credo sia finito tutto per davvero».

Invece, non era ancora finita.

Un rumore di passi, quasi impercettibile tanto erano vellutati, fece scattare sul chi vive i due cacciatori, che tuttavia quando videro comparire Kaname Kuran dinnanzi a loro si tranquillizzarono.

Eric affidò Nagisa, ancora barcollante, al direttore, quindi si avvicinò al suo parigrado, osservandolo sprezzante, e ricevendone un cambio uno sguardo di assoluta sufficienza.

«Immagino che dovrei ringraziarti.» disse Eric «Senza il tuo aiuto, probabilmente sarei morto da molto tempo.»

«Può darsi.»

«Mio nonno?»

«È scappato. Come al solito, del resto. Ma conoscendolo, prima o poi si farà rivedere. C’è solo da aspettare».

Detto questo, e sentendo espletati i suoi obblighi, l’erede dei Kuran fece per andarsene.

«Aspetta.» lo richiamò Eric «Dimmi una cosa, Kuran. Hai mai fatto qualcosa, in tutta questa storia così come in tutta la tua vita, che non fosse per te stesso?».

Kaname non rispose, ed Eric lo guardò in modo ancor più severa.

«Io non so che cosa ti abbia spinto a fare tutto questo. Non so quale sia il tuo disegno, e onestamente non voglio neanche saperlo.

Ma sappi che se parte di questo disegno dovesse un giorno arrivare a minacciare ciò che mi è caro, ti do la mia parola che ti ucciderò con le mie mani.

Spero che tu lo sappia».

Di nuovo, Kaname restò in silenzio, limitandosi a volgere un momento il capo e a rivolgere ad Eric uno strano sorriso per poi andarsene sotto gli sguardi silenziosi di tutti.

 

Pochi minuti dopo, al sorgere del sole, arrivarono gli elicotteri dell’associazione, e tutto il castello venne perquisito.

 Shezka fu arrestata. In fin dei conti, aveva pur sempre collaborato con un criminale ricercato, per non parlare del fatto che appena il suo potere camaleontico fosse stato scoperto sarebbe stata incriminata anche per l’omicidio di Padre Caster.

Mentre la caricavano a bordo di uno dei due velivoli, la giovane incrociò lo sguardo del direttore, al quale rispose con occhi a metà tra lo sprezzante ed il rassegnato.

«Puoi anche ridere, se vuoi.» gli disse.

Lui, invece, le rivolse un sorriso sincero, e le mise una mano sulla testa quasi a volerla accarezzare.

«Tranquilla. Parlerò coi miei superiori. Vedrai che saranno clementi».

La ragazza arrossì terribilmente, e quando l’elicottero si alzò stette a lungo affacciata al finestrino ad osservare il direttore che si faceva sempre più piccolo, continuando a guardarla e a sorriderle.

Nel mentre, Nagisa sedeva ai piedi di un grande albero, osservando il suo signore da lontano; a differenza di lui, lei non riusciva proprio a sopportare la luce del sole.

Fino a poco tempo prima, aveva considerato questo come uno dei tanti impedimenti alla possibilità di esternare ciò che da molto tempo teneva nel cuore, ma nel momento in cui la vita credeva perduta le era stata salvata qualcosa in lei era cambiato.

Ora, pensò, non si sarebbe più nascosta, né avrebbe soffocato le proprie emozioni.

«Ehi.» disse a capo chino ad Izumi, seduta accanto a lei per accudirla

«Cosa c’è?».

Lei allora alzò gli occhi, osservandola severamente con tono di sfida.

«Ti avverto. Non ho alcuna intenzione di farmelo portare via. Perciò, non perderò contro di te».

Izumi la guardò un momento allibita, poi assunse lo stesso sguardo.

«Tanto meglio. Perché neanche io ho intenzione di perdere».

Come l’elicottero che trasportava Shezka si fu allontanato il direttore Cross tornò verso Eric, che osservava la facciata del castello accanto al direttore Gabrielli.

«Direttore.» disse consegnandole la chiavetta che aveva riempito nei sotterranei «Non voglio sbilanciarmi, ma credo che questo, unito a tutto ciò che troverete qui dentro, sarà più che sufficiente a scagionare l’apprendista Flyer da tutte le accuse a suo carico».

Il direttore, col suo solito sguardo severo, osservò la chiavetta, poi, recuperatala, guardò anche Eric, che contrariamente alle altre volte non distolse gli occhi.

«Beh, il qui presente Flyer avrà molte cose da spiegare, ma sono sicura che alla fine la verità verrà fuori. Anche io, del resto, avrò parecchio da dire alla riunione disciplinare.»

«La ringrazio infinitamente.»

«Aspetti a ringraziarmi. Anche se sarà assolto dalle accuse di omicidio e cospirazione, l’apprendista Flyer ha pur sempre trasgredito a vari ordini negli ultimi mesi.

Fossi in Lei, mi preparerei ad una lunga sospensione. E questa volta, per il suo bene, le consiglio di attenervisi, Hunter Flyer».

Eric guardò Izumi e Nagisa, poi il direttore, che gli fece un cenno come di complicità.

«Non sarà un problema».

Ed era vero; per troppo tempo non aveva mai dato importanza al modo di condurre la sua vita, lontano da affetti ed emozioni. Ma ora, sarebbe stato diverso.

Non avrebbe più sprecato la sua esistenza.

«E poi, onestamente, sento proprio il bisogno di una vacanza».

Ad un cenno del giovane, le due ragazze lo raggiunsero, Nagisa ben protetta da un parasole rinvenuto da Izumi frugando nel castello, ed insieme i tre si diressero verso l’uscita.

«E adesso, dove andrai?» gli chiese quasi provocatorio il direttore.

Eric si girò, guardandolo enigmaticamente.

«A casa».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Ormai ci siamo.

Questo è l’ultimo capitolo di questa mia fiction con protagonista il personaggio (o i personaggi), creato per la fiction di Butterfly, ed ambientata circa un anno prima dell’inizio di quest’ultima.

Visto che a brevissimo pubblicherò anche l’epilogo, non credo valga la pena di dilungarsi tanto.

Dico solo che l’idea della spada racchiusa nell’animo di Izumi mi è venuta guardando Shining Tears X Wind, un bell’anime che consiglio a tutti.

Quindi, aspettatemi!^_^

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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