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Autore: weareallmadhere    04/09/2012    1 recensioni
Adoro hunger games, avete presente quando una storia che leggete vi entra dentro, vi si insinua tra i pori, la respirate, non riuscite più a nutrirvi altro che di essa? bè a me è successo con la saga di Hunger Games. Il mio personaggio preferito è Johanna Mason, per questo la mia prima fanfiction sarà su di lei, ripercorrerà la sua storia, le sue battaglie, cercherà di riempire quei buchi che la saga ha lasciato su di lei.
Buona lettura e spero che recensiate in molti questo primo capitolo (che fa schifeto) così che il secondo e i seguenti possano solo migliorare :)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Johanna Mason, Nuovo personaggio, Presidente Snow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Esco di casa di corsa, sbattendo la porta. Piove. Bene, nessuno si accorgerà che sto piangendo. Percorro di corsa il breve tratto da casa al bosco, il muschio umido mi inzuppa le scarpe, ma non mi interessa al momento. Voglio solo arrivare in cima alla collina. I rami degli abeti rossi mi frustano il viso ad ogni passo. Mi sta bene, il dolore fisico in questi momenti è un regalo ben accetto. Ansimo, un po’ per lo sforzo e un po’ per la rabbia. E’ sempre così, da quando ne ho memoria, la rabbia è una compagna fedele dei miei giorni, pronta ad emergere al più piccolo impulso. E’ stata mia madre, anche questa volta, è il giorno della mietitura e lei non pensa a me, vuole solo che io mi comporti bene. “Cosa penseranno le persone se non ti presenti alla mietitura con un bel vestito?” le faccio l’eco. A lei non interessa che io possa venire scelta, le importa soltanto delle persone, “cosa penseranno?” “cosa faranno?” “Oh no! ora sarò lo zimbello di tutti” urlo di isteria, la odio.
sono quasi in cima, sì, lassù potrò urlare quanto e come mi pare, nessuno mi sentirà e cosa migliore di tutte lassù potrò fare male solo a me stessa.
Sono sola. Intorno a me solo gli abeti, a perdita d’occhio. Le gocce di pioggia sono come minuscoli aghi che mi pungono ovunque. Mi piace. Il vento sembra volermi strappare la pelle ad ugni ondata, io gli lascio fare.
Le urla nascono dalla mia pancia, acute e malate, mi crescono dentro, il cuore, i polmoni, la gola e infine escono. Potenti. Mi brucia la gola ma loro non si fermano, mi tiro i capelli, mi mordo a sangue. E’ l’unico modo che conosco per placare la rabbia.
Poco dopo mi ritrovo a correre giù per la collina, una parte del mio cervello mi dice che sono diretta al lago, il mio gelido lago. Ho smesso di correre, sto praticamente rotolando giù per la collina, sono un grumo di terra, è così che mi sento, terra che viene calpestata, nulla di più. Sono un ragazza malata. Non sono niente.
Mi immergo nel lago. L’impatto con l’acqua è terribile, ma accolgo a braccia aperte l’acqua gelata. Da sollievo immediato, sento i pori che si chiudono, chiudono fuori tutto l’odio di prima. Trattengo il fiato, immobile.  Finché non resisto più e riemergo. Finalmente calmata. Solo il vuoto dentro di me.
Cammino finché non arrivo all’albero dove si trova la mia accetta. L’ho piantata al tronco, nella cima, in modo che dal terreno non la si veda.  E’ l’unica che ho e la custodisco gelosamente, rubarla non è stato facile. I turni di lavoro sono costantemente controllati dai pacificatori. Per rubarla ho dovuto staccare la lama dal manico e nascondere l’una finché portavo a casa l’altro nascosto sotto la giacca. In effetti sono stata fortunata.  Qualche mese dopo qualcuno ha avuto la mia stessa idea, ma non è stato altrettanto fortunato, ora giace felicemente sotto terra. Adesso ci controllano sia all’entrata che all’uscita dal lavoro. Afferro l’accetta, conosco le venature dell’impugnatura a memoria, è parte del mio braccio, e mi cimento in qualche lancio. Prima da vicino, poi sempre più da lontano, non sbaglio mai. All’inizio facevo davvero schifo, non riuscivo a lanciarla più che a due metri da me e la mia mira era penosa, ma a forza di domeniche passate a non fare altro mi sono irrobustita e sono diventata molto brava.  Per stare da sola nei boschi non ho bisogno di uscire dalla recinzione, il distretto 7 è enorme e solamente una piccola parte di esso è costantemente controllata. Certo fanno delle ronde di controllo, ma sono inutili, nessuno apparte me verrebbe nei boschi, secondo tutti sono certamente pieni di creature selvagge. In ogni caso per me ne i pacificatori ne eventuali creature sono un pericolo, basta sapere dove andare e come comportarsi. Io lo so, me la insegnato Logan. Ho incontrato Logan la prima volta in città, volevo una bambola, ma non avevo i soldi per comprarla, così ho tentato di rubarla, ero piccola e non avevo idea di come fare così mi hanno scoperta subito, mi avrebbero certamente frustata se lui non fosse sbucato dal nulla dicendo che l’avrebbe pagata. Un gesto inaudito, ma nessuno fece una piega,  né nessuno chiese dove avesse trovato i soldi. Certamente sapeva farsi rispettare.  Ai miei occhi di bambina lui appariva come un eroe, alto, con i capelli scuri e poi gli occhi, dello stesso colore che aveva il lago nelle giornate fredde d’inverno, mi avevano affascinato più di qualsiasi altra cosa.
La seconda volta che lo vidi ero nel bosco, un'altra fuga dovuta dalla rabbia, avevo sette anni allora, e quel pomeriggio il lago aveva lo stesso colore dei suoi occhi. Mi ero persa, lui mi ha trovato, mi ha dato da mangiare e mi ha consolato, ci siamo conosciuti, ho scoperto che ha perso la vista in un incidente al lavoro, pensavano fosse morto, e invece è sopravvissuto, a discapito di tutto e di tutti.
Da quel giorno in poi sono andata da lui tutti i pomeriggi per tre anni, poi è morto.
 Lui mi ha insegnato tutto quello che so, ad arrampicarmi, a sparare con un fucile, a tirare con l’arco, a nuotare, a riconoscere le piante, tutto. Non so dove avesse imparato lui quelle cose, se qualcuno gliele avesse insegnate o no, ma le sapeva fare.  Anche quando cercavo di imparare a lanciare la mia accetta con precisione è stato lui a spiegarmi la tecnica giusta. Con i miei due fratellini e la mia sorellina è la persona che amavo di più in assoluto, era come un padre.
Rimango così, assorta nei miei pensieri, finché non mi accorgo che sono davanti a casa. Non ho voglia di vedere mia madre, ma per ora è inevitabile. Quando varco la soglia la prima cosa che sento sono le sue urla dallo shock di vedermi così sporca e i miei fratelli ridacchiano, io li guardo con un aria che intende “che ci volete fare”  e filo a farmi il bagno. Dopo essermi lavata mia madre mi  mostra orgogliosa il suo bellissimo vestito e io lo indosso senza fare una piega, pregustando il momento in cui lo sporcherò per bene.  Usciamo di casa, io per mano a mio fratello Jack, alla sua seconda mietitura e alla mia sorellina Jennifer, che ha solo otto anni, mia madre tiene in braccio il mio fratellino più piccolo, Johnatan.  Poco prima di separarci  stampo un bacio sulla fronte di Johnatan e sulla guancia della piccola jen,  Guardo in faccia mia mamma e senza pensarci due volte mi siedo alla bell’e meglio nel centro di una pozzanghera, mia madre urla dallo sgomento, ma io e Jackie ridendo stiamo già per farci registrare. Questa è il genere di cosa che allieta un giorno pesante e temuto come quello della mietitura. Do un bacio anche al mio fratellino prima di lasciargli la mano e mi vado a infilare tra gli altri sedicenni. Assumo lo stesso comportamento assente di ogni anno, pronta a risvegliarmi quando sarà tutto finito, ma quest’anno mi sveglio prima. Come da un incubo. Sussulto. Hanno appena chiamato Johanna Mason.
  
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