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Autore: Gemini_no_Aki    05/09/2012    4 recensioni
Sono passati 2 mesi da quando Sebastian ha iniziato a lavorare per Jim.
In tutta la sua vita Jim non ha mai avuto un momento in cui la sua geniale mente non sapesse cosa fare.
C'è sempre una prima volta.
[Pre slash]
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim, Moriarty, Sebastian, Moran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'King and Tiger'
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I want you by my side





Erano ormai le 4 del mattino, il lavoro che gli aveva affidato a quell’ora doveva essere completato.
Avevano messo in chiaro da subito le cose, ogni volta che il lavoro era concluso avrebbe dovuto mandargli un messaggio.
E così era sempre stato, quel lavoro doveva essere concluso almeno 4 ore fa.
Moriarty iniziava a spazientirsi, aveva fiducia nel cecchino che aveva mandato, il migliore che avesse mai avuto, un ex soldato con la passione per la morte.
Proprio quello che gli serviva.
Lavorava per lui da ormai due mesi, poteva dire di conoscerlo, e non era mai in ritardo.
In quelle ore aveva fatto di tutto, letto un libro, guardato un film, addirittura si era fatto un the e aveva finito la vaschetta di gelato.
Per quanto volesse negarlo però, una parte di lui stava iniziando ad allarmarsi, voleva prendere il telefono e chiamarlo, assicurarsi che tutto andasse bene.
Ma il lato più orgoglioso reprimeva questa preoccupazione formulando già una serie di frasi e insulti che si addicessero con la situazione.
Era ancora immerso nella formulazione di quelle frasi, che probabilmente alla fine non avrebbe nemmeno usato tutte, che il campanello suono una volta, secca, veloce.
Con espressione ancora più seccata si alzò dal divano per andare ad aprire.
Non stava facendo confusione, quindi era da escludere che si trattasse di vicini che andavano a lamentarsi, magari era uno ubriaco che aveva sbagliato appartamento, o uno stupido scherzo di qualche ragazzino ma non aveva sentito nessuno correre via ridacchiando come in quel caso sarebbe dovuto accadere.
Tolse il catenaccio dalla porta e aprì senza nemmeno guardare dallo spioncino.
Poteva essere chiunque, anche la polizia, e lui stava ignorando ogni misura di sicurezza che per primo aveva imposto a tutti coloro che lavoravano per lui.
La polizia comunque avrebbe già buttato giù la porta a quell’ora.
Aprì e subito non riuscì a credere a quello che stava vedendo, Sebastian, il cecchino da cui aspettava notizie, era appoggiato al muro, la mano destra premuta in tasca come a nasconderla e la testa china.
Sentendo la porta aprirsi alzò lo sguardo senza muoversi, Jim notò in quel momento il sangue che gli colava dal naso e dal labbro, oltre ad un livido che si faceva sempre più evidente sulla tempia destra.
Moriarty lo afferrò dalla giacca nera, abbottonata completamente, e lo tirò dentro l’appartamento chiudendo la porta alle sue spalle.
Con un po’ di fatica lo sorresse fino alla cucina per poi metterlo su una sedia e vederlo accasciarsi sul tavolo.
“Cos’è successo?”
Domandò con una nota lievemente preoccupata ma senza mostrarlo eccessivamente.
Sebastian non rispose, tanto che il Consulting Criminal# gli prese il mento e gli fece alzare la testa, per essere sicuro che fosse ancora cosciente.
“Stai sveglio Sebastian, mi hai capito? Sveglio.”
Disse con tono autoritario, come se fosse un ordine, il cecchino annuì sforzandosi di tenere gli occhi aperti.
“Cosa ti è successo? Non dovevi avvicinarti troppo al bersaglio, avevamo concordato la dinamica del lavoro e-“
Fermò il fiume di parole, che nella sua mente erano contornate da insulti riguardanti soprattutto la scia di sangue che aveva lasciato in casa, quando con un colpo di tosse alcuni schizzi finirono sulla sua camicia bianca.
“Hai idea di quanto una camicia di seta si rovini col sangue?!”
Esclamò pur cercando un contegno vista la situazione, sapeva che non era stato volontario, ci mancava solo quello, ma non poteva certo fare finta di niente.
Ancora una volta il cecchino non disse nulla, con un sospiro Moriarty gli afferrò la mano sfilandola dalla tasca, il guanto era impregnato di sangue e la sua preoccupazione cresceva più di quanto non volesse in realtà.
Senza più fare domande che non avrebbero avuto risposta si apprestò a sbottonare la giaccia e abbassare la cerniera.
Non faceva così freddo da doverla tenere completamente chiusa ragion per cui, come per la mano, stava nascondendo qualcosa.
La maglia che indossava sembrava essere verde militare alla luce della lampada, era verde quando era uscito di casa, ora era coperta da una macchia scura e bagnata.
Aveva uno strappo a sinistra, appena sotto le costole e per quanto lo volesse negare, Jim sapeva bene cosa significava.
“Uno scontro ravvicinato con chi?”
Domandò sollevandogli ancora una volta il volto che ciondolava in avanti.
“Sebastian... Sebby guardami. Guardami ho detto.”
Lo chiamò ancora ma senza risultati.
Le cose stavano peggiorando ogni momento di più, non sapeva dove mettere le mani, cosa fare.
Non aveva mai prestato attenzione a qualunque cosa riguardasse il salvare o soccorrere qualcuno.
Era interessato all’uccidere, non al tener vivo.
Appoggiò il corpo al tavolo per evitare che cadesse e cercò un asciugamano pulito con cui comprimere la ferita.
“Andare in ospedale è fuori discussione. Per quanto Scotland Yard possa essere piena di tonti sarebbero capace di collegarti all’omicidio e manderemmo all’aria tutto. Dovrai accontentarti.”
Concluse posando l’asciugamano in spugna piegato sulla ferita e premendo.
La sua condizione di completa impotenza davanti a quello che stava accadendo lo lasciava stranito.
Una sensazione nuova e terribile, qualcosa che non riusciva a gestire.
E la paura di sbagliare qualcosa ritrovandosi con il suo miglior cecchino morto.
Davanti a lui, per colpa sua.
“Hai sporcato il pavimento, la mia camicia, mi stai facendo sporcare un asciugamano che dovrò sicuramente buttare e nemmeno mi fai il favore di restare sveglio? Dovrò punirti per questo.”
Il silenzio che seguì aveva qualcosa di strano, nemmeno prima aveva risposto ma Jim sapeva, sentiva, che c’era qualcosa di strano.
Qualcosa di tremendamente sbagliato stavolta.
“Non osare tigre, non osare!”
Scandì con rabbia sollevandogli la testa dal tavolo mentre una mano ancora premeva sulla ferita.
Aveva una vaga idea di cosa doveva fare eppure provava una paura che prima di quel momento non aveva mai avuto, qualcosa di forte, doloroso.
Se non fosse riuscito a salvarlo?
E se fosse già morto?
Non poteva permettersi di lasciarsi vincere dal panico, non lui.
Sebastian avrebbe riso a vederlo così.
“Se aspetto non mi vedrà nemmeno più!”
Si maledì lasciando l’asciugamano sulla ferita e concentrandosi su quello che doveva fare.
Nei film funzionava sempre, quindi anche in quel momento avrebbe funzionato.
Coprì la bocca del cecchino con la sua e soffiò quanta più aria poté dentro di lui, continuò 2, 3, 4 volte.
Stava terminando la quinta che si sentì allontanare senza delicatezza.
“Che cazzo sta succedendo?!”
La voce dell’uomo  usciva a malapena dalle sue labbra quando invece avrebbe voluto urlare.
Jim lo guardò abbozzando un sorriso e prendendogli la mano non ferita posandogliela sull’asciugamano in modo che premesse da solo.
Gli batté un paio di volte la mano sulla spalla e si diresse verso il lavandino.
Sebastian tossì con una smorfia di dolore prima di riuscire a parlare ancora.
“Dico davvero capo... Cosa sta succedendo?”
La voce graffiava nella sua gola, faticava ad uscire e più si sforzava più faceva male.
“Tocca a me sistemarti.”
Disse con tranquillità Jim cercando di cancellare il panico provato pochi istanti prima.
“Pensi di riuscire a restare cosciente abbastanza a lungo da permettermi di cercare delle bende in bagno?”
Sebastian annuì continuando a non capire, ricordava di essere arrivato lì, ricordava di aver suonato, che Jim gli aveva aperto.
E ricordava di aver aperto gli occhi con il suo capo addosso.
E ora gli diceva che si sarebbe preso cura di lui, in un qualche modo.
Jim tornò alcuni minuti dopo, gli chiese di lasciarlo fare, svicolò abilmente la domanda riguardante le sue presunte conoscenze mediche premendo con forza una garza sulla ferita.
Da quel momento in poi Sebastian decise che era meglio restare in silenzio e lasciarlo fare.
“Dormirai sul mio divano per stanotte.”
Disse ad un tratto finendo di sistemare le bende e pulendosi le mani.
“Anzi, dormirai lì finchè non sarò certo che non rischi di morire appena mi volto.”
Il cecchino fece per ribattere ma venne immediatamente fermato perché Jim lo afferrò dalle spalle facendogli intendere che doveva alzarsi, e lo portò verso il divano.
“Non è una proposta negoziabile. Rimani qui.”
Ordinò costringendolo a distendersi e mettendogli addosso una coperta prima di spegnere la luce e andare nella sua stanza.
Prese il cellulare e, incurante dell’orario che si era fatto, ormai erano le 5 passate, mandò un messaggio ad uno dei suoi primi collaboratori che, per loro fortuna, era anche un medico.
L’unico di cui Jim si fidava.
Inviò e si aspettò di veder arrivare la risposta dopo pochi minuti, come sempre.
Non ricevendola ne mandò un altro passando a minacce sempre più pesanti senza pensare che, a quell’orario, era improbabile che li leggesse.
Tornò nel salotto  e rimase fermo sulla porta alcuni istanti prima di decidere cosa fare.
Andò verso il divano decidendo che la sera dopo l’avrebbe fatto dormire su un letto, lo sollevò quanto bastava per permettergli di sedersi e lo appoggiò contro di sè.
Il cecchino non si mosse nè disse nulla, era probabilmente svenuto una seconda volta.
“Non abituarti tigre, la prossima volta non sarò così gentile.”
Mormorò posandogli una mano sul torace che avrebbe poi giustificato con un banalissimo “volevo essere sicuro che continuassi a respirare.”, nulla di troppo gentile.
Nemmeno Jim sarebbe riuscito a spiegare veramente il perché di tutte quelle attenzioni verso una persona che lavorava per lui da solo 2 mesi, semplicemente nel momento in cui aveva rischiato di perderlo aveva sentito qualcosa rompersi dentro di lui.
E non voleva che accadesse ancora.
Non voleva sentirlo di nuovo.
Due ore dopo il medico arrivò a casa del suo capo di corsa, spaventato a morte da quella decina di messaggi sempre più minacciosi.
Aveva le chiavi solo per il suo ruolo nell’organizzazione criminale, nel caso Jim non avesse potuto aprire, e anche perché era una delle uniche persone di cui Moriarty si fidava davvero.
Quando aprì la  porta li trovò entrambi sul divano, chiuse la porta il più silenziosamente possibile credendo che anche Jim fosse addormentato.
“Sei in ritardo, in due ore avrebbe potuto morire.”
L’uomo stava per scusarsi che Jim riprese a parlare.
“È la mia tigre, il mio uomo migliore, ha la stessa importanza che ho io. Non sei scusabile.”
Jim non lo disse mai a Sebastian, non disse mai che fu con la paura di non poterlo più avere accanto come cecchino che capì che voleva averlo accanto in ogni caso.
Non lo disse mai, sapeva che lo avrebbe capito senza parole.





Angolino dell'autrice:  Se la rileggo rischio di cambiare idea sul postarla, quindi eccola qui.
Il titolo è la prima cosa che mi è venuta in mente pensandoci quindi nemmeno quello è rivisto.
In ogni caso per me Jim si arrabbia quando seb torna a casa ferito, questa potrebbe essere stata la prima volta, e anche l'unica, in cui non è successo, per ovvie ragioni direi.
E per una volta sono riuscita a chiuderla in modo dolce, non proprio romantico ma quasi... Si parla pur sempre di Jim.

Bye Bye~
Aki

   
 
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