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Autore: zuccheroaffilato    05/09/2012    15 recensioni
“Come si chiama?” Domandò lui all’improvviso, come se si fosse appena ricordato di lei.
Frankie si grattò la nuca prima di rispondere. “Signorina Tyrell.” Annuì.
“Si okay, ma il nome?”
“Sai che non lo so Nick? E’ proprio strana quella ragazza.”
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva mai odiato così tanto le proprie scarpette, non le aveva mai detestate in quella maniera. Mai come in quel momento. Gocce di sudore scendevano lungo la sua fronte, le guance, il mento, confondendosi con le lacrime che, inconsapevolmente, le colavano agli angoli degli occhi.
Sentì le gambe tremare, come se stesse per cadere, le braccia le facevano male, sentiva crampi in tutto il corpo, ma non si fermò. Non si sarebbe mai fermata, mai prima della fine della musica. Quella fine che l’avrebbe finalmente liberata dai dolori che provava, da quella tortura. Si, perché era proprio una tortura quell’avanzare sulle punte dure, quel muovere le braccia secondo precisi schemi, stando attenta ad ogni singolo movimento, controllando ogni muscolo del proprio corpo.
Il gesso duro delle punte era diventato il suo nemico, proprio lui che l’aveva fatta sentire così libera. Il body aderente sembrava volerla soffocare, il tutù che le cingeva i fianchi assomigliava ad una morsa di ferro.
E, all’improvviso, tutto finì.
La musica si fermò, come di botto.
Il silenzio calò sul teatro quasi vuoto.
Riusciva a sentire il respiro affannoso dei suoi compagni, così simile al suo. Sentiva il cuore battere all’impazzata, sembrava volesse uscirle dalla cassa toracica. Guardò la donna seduta proprio di fronte a lei, la fissò con i suoi occhi grandi, mentre lei annuì quasi impercettibilmente. Quel piccolo gesto le bastò per far aprire il suo volto in un grande sorriso, le bastò per ripagarla di tutto il dolore che aveva provato durante l’esecuzione. Per quel gesto avrebbe rifatto tutto, avrebbe sofferto di nuovo quei dolori lancinanti che l’attanagliavano durante il balletto, avrebbe semplicemente sfidato il suo corpo, portandolo al limite, l’avrebbe attaccato, assalito, fino a quando non si fosse piegato alla sua volontà. Ma era bastato ciò che aveva fatto, era bastato mettere sé stessa nel balletto più importante della sua vita, quello che poteva essere il suo trampolino di lancio.
La donna si alzò dalla propria sedia, guardò i ragazzi ad uno ad uno e li congedò con un piccolo cenno del capo. Posò gli occhi sul viso della ragazza, mosse la testa e spinse il tasto ‘play’ del telecomando.
Era iniziata di nuovo, la tortura.



Quando entrò nel piccolo spogliatoio, erano già andati via tutti. Molto probabilmente le sue amiche la stavano aspettando fuori, doveva sbrigarsi. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si lasciò massaggiare per qualche minuto dal forte getto della doccia. Le sembrò che tutte le fatiche di quella serata le scivolassero sulla schiena, scomparendo come sapone, nel piccolo buco di scarico ai suoi piedi.
I suoi capelli erano ancora bagnati quando uscì dal teatro. Il gelo dell’inverno le punse il viso, facendole lacrimare gli occhi. Raggiunse le sue amiche sedute su una panchina, occupate a dividersi la decima sigaretta della giornata. Due minuti dopo si stavano già incamminando verso il solito pub dove si ritrovavano ogni sera, dopo la fine delle lezioni.
Il cambiamento di temperatura fu talmente repentino da lasciarla senza fiato per qualche secondo. L’aria all’interno del pub era bollente, quasi irrespirabile, resa così da quattro enormi stufe posizionate agli angoli della sala. Tutto era così familiare lì, ci venivano da sette anni e nulla era mai cambiato. I grandi tavoli in legno grezzo, le sedie rese un po’ più confortevoli da cuscini verde stinto, il bancone di marmo, gelido nonostante la temperatura equatoriale del locale.
Si sedettero al solito tavolo, già occupato dai loro compagni di corso.
“Il solito?” Chiese Robert, il proprietario, avvicinandosi a loro. La ragazza annuì e poco tempo dopo si ritrovò la ‘bistecca del martedì’ davanti al proprio viso. Come al solito, fu costretta a togliere la salsina francese che Robert, imperterrito, continuava a portarle ogni martedì.
La odiava quella salsina, le ricordava i suoi doveri, gli obblighi che doveva rispettare. Come poteva una semplice salsina ricordarle tutto questo? Semplice, era tutto ciò che non poteva, non doveva mangiare. Il cibo era diventato un’ossessione per lei, doveva calcolare le calorie di ogni piatto, per essere sicura di non ingerirne una in più di quelle previste dalla sua dieta.
Seguiva quel regime da anni e non se n’era ancora liberata, faceva parte di lei.
Un improvviso rumore la distolse dai suoi complicati pensieri. Lasciò la bistecca a metà, improvvisamente non aveva più fame. Si guardò attorno, cercando la fonte di quello strano suono, trovandola, poi, nel nuovo arrivato. Lo squadrò da capo a piedi, come aveva già fatto centinaia di volte in quell’ultima settimana. Piccoletto, capelli castani, sui quattordici anni. Ogni volta che lo guardava le ricordava qualcuno, aveva un viso troppo familiare.



Un messaggio. Chi mai poteva mandarle un messaggio alle undici di martedì sera? Prese il suo cellulare e scoprì immediatamente il mittente. Il testo dell'sms fu per lei come un dèjà vu. Quasi ogni giorno quel piccolo messaggio aveva il potere di peggiorarle l’umore. Quella zona non era delle migliori, anzi, i taxi erano praticamente inesistenti lì e il pensiero di tornare a casa da sola le faceva paura, la faceva sentire vulnerabile e indifesa. Lei odiava sentirsi così.
Fuori dal locale, sola, cercava la forza e il coraggio di incamminarsi verso casa.
“Che ci fai ancora qui?” La voce di quel bambino la fece sobbalzare, spaventandola. Si avvicinò a lei, provocandole un piccolo brivido. Quel ragazzino le faceva un po’ paura, ma sapeva che era solamente frutto della propria mente malata.
“Nulla, aspetto che mi vengano a prendere.” Rispose mentendo. “Tu invece? Torni a casa da solo? Questa non è una bella zona.” Gli disse guardandosi attorno.
“No.” Il ragazzino la guardò scuotendo la testa. “Mio fratello dovrebbe essere già qui ma…” Si bloccò un attimo, giusto il tempo di fare un cenno ad una vecchia macchina nera. “Eccolo, è arrivato.”
La macchina si fermò proprio davanti ai due ragazzi, con uno stridio di ruote sull’asfalto. Un rumore di sportello, dei passi e il ragazzo al volante scese dalla macchina, raggiunse il fratello e gli tolse la borsa dalle mani.
“Com’è andata la lezione?” Chiese al ragazzino scompigliandoli i capelli castani.
“Bene, al solito.” Rispose alzando le spalle.
“Beh andiamo?” Disse il ragazzo dopo aver lasciato il borsone sul sedile posteriore. Il minore dei fratelli guardò la ragazza, appoggiata alla ringhiera arrugginita e intenta ad osservare la scena. Lei gli sorrise per la prima volta ed il suo volto sembrò cambiare improvvisamente. Fu come se la maschera dura che portava sul viso si sciogliesse, lasciando spazio ad un sorriso caldo, solare.
“Stanno arrivando a prendermi non ti preoccupare.” Gli disse stringendosi nel giubbotto blu.
“Aspettiamo con te finché non arrivano, okay?” Le chiese il ragazzino con un accenno di sorriso.
Questo cambiò drasticamente i suoi piani. Doveva tornare da sola a casa, adesso come avrebbe fatto? Non aveva voglia di mentirgli di nuovo. Se solo quel ragazzino non fosse stato così, così… Così gentile e disponibile. In quel momento lo odiò con tutto il proprio cuore.
“Non vi preoccupate, è solo questione di minuti.” Rispose la ragazza cercando di non mostrare la propria irritazione.
“L’hai detto tu, questa non è una bella zona.” Replicò il ragazzino incrociando le braccia e appoggiandosi anche lui alla ringhiera. La ragazza sbuffò, era nervosa. Sarebbero rimasti lì tutta la notte.
“Senti, ti ringrazio tanto, ma puoi anche andartene adesso.” Disse d’un fiato. Si aspettava un’espressione allibita sul viso del ragazzino, ma lui sorrise, come se sapesse già tutto.
“Torni a casa da sola vero?” Le chiese alzando un sopracciglio. Uno suono quasi impercettibile uscì dalle labbra della ragazza, che alzò gli occhi al cielo.
“E se anche fosse?”
“Ti diamo un passaggio, dai.”
“No grazie, passo.”
“Dai, questa zona è veramente pericolosa.” Le rispose il fratello più grande, avvicinandosi a loro. I suoi occhi marroni incrociarono quelli della ragazza che sostenne il suo sguardo.
“Okay, ma mi lasciate sulla quinta e poi proseguo da sola.” Entrò in macchina, sedendosi accanto al borsone del piccolo. Il fratello più grande guardò il ragazzino, alzò le sopracciglia e si mise al volante. Guidò in silenzio, mentre i due parlavano della lezione appena trascorsa. La ragazza aveva una voce strana. Aveva un qualcosa di ipnotizzante, anche nel modo in cui muoveva le mani, roteava gli occhi, accennava sorrisi e scuoteva i capelli. Non che lui la guardasse, ovvio.
Arrivarono sulla quinta strada in quello che, a lui, sembrò un batter d’occhio.
“Beh, grazie mille del passaggio, non dovevate.” Uscì dalla macchina trascinando il borsone, che sembrava pesantissimo.
“Sei sicura di non…”
“No grazie Frankie, ci vediamo domani.” Fece un ultimo sorriso e si voltò, camminando dalla parte opposta a quella da cui erano appena venuti. Tornava indietro, in pratica.
I due ragazzi la guardarono camminare finché non girò l’angolo, poi tornarono in macchina.
“Ma chi è quella ragazza?”
“Una mia compagna di corso. E’ un po’ strana, ma tutto sommato è una brava ragazza.” Disse Frankie con l’aria di saperla lunga. Guardò per un attimo il fratello, poi gli diede una piccola gomitata. “E’ carina vero?”
“E’ troppo grande per te Frankie.”
“Lo so Nick, ma non per te.”
Nick alzò gli occhi al cielo, continuando a guidare per le strade illuminate a giorno di Manhattan.
“Come si chiama?” Domandò lui all’improvviso, come se si fosse appena ricordato di lei.
Frankie si grattò la nuca prima di rispondere. “Signorina Tyrell.” Annuì.
“Si okay, ma il nome?”
“Sai che non lo so Nick? E’ proprio strana quella ragazza.”

   
 
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