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Autore: Nimel17    05/09/2012    1 recensioni
I am Red Death stalking abroad!
La Morte Rossa cammina tra voi...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ abito era quasi pronto. Mancava solo la maschera nera ed il mio domino sarebbe stato completo. Non riuscivo a smettere di guardarmi allo specchio. Il mio viso… era davvero quello? Non avevo mai avuto un colorito vivace, ma ora le mie guance non avevano nessuna traccia rosea. La mia pelle era bianca, pallida da sembrare malata. I miei lineamenti, da dolci e morbidi, erano diventati spigolosi e netti. I miei occhi non erano più azzurri, erano del colore del cielo tra il crepuscolo e la notte più profonda, e sembravano troppo grandi per il volto che li ospitava. Le occhiaie erano ombre scure che non facevano che sottolineare la mia angoscia. Forse, ero morta. Ero diventata un cadavere, sì, un morto vivente… come lui. Non aveva forse detto che io sarei stata la sua sposa? Ed una salma può forse avere una sposa viva? No. Solo con la mia morte sarei stata veramente sua, e questo lo sapeva… mi aveva ucciso per portarmi con sé, nel suo regno di buio e orrore… mi riscossi. Che sciocchezze, in che stato di pazzia giaceva la mia mente. Ero viva, e certamente lui non mi avrebbe mai uccisa. Nella sua follia, sembrava incapace di farmi del male. Presi del belletto e lo applicai attenta sugli zigomi. Era di un colore rosato chiaro, ma spiccava come una macchia rossa sulla neve. Lo tolsi subito, tremando. Mi sentivo malissimo, il cuore batteva troppo forte per il mio petto, un’emicrania mi serrava le tempie e all’improvviso il profumo di fiori della stanza divenne insopportabile, dolciastro e nauseabondo come i fiori malati che collezionava Des Esseintes in un romanzo che avevo letto di recente. Li presi e li buttai dalla finestra, incurante se planavano su qualcuno. A nessuno sarebbe dispiaciuto certo ricevere fiori cadenti. La cosa peggiore era che sapevo che ero io la causa del mio male. Ero stata forse così accecata dall’ambizione da affidarmi ciecamente tra le braccia di una chimera, di un sogno? E invece era un incubo, che mi aveva accolta. E non ero forse stata avvertita a sufficienza riguardo la maschera? Oh, non gliel’avessi mai tolta… la mia mente si cullò per qualche istante con quell’utopia. Ma, la cosa più terribile di tutte, era che avevo infranto consapevolmente una promessa. Non l’avevo mai fatto prima. Avevo giurato al mio povero Fantasma di non rivedere mai più il Visconte di Chagny… Raoul. Eppure, gli avevo inviato un biglietto invitandolo al ballo mascherato di quella sera. Anche solo per un’ultima volta, dovevo incontrarlo, spiegargli… ma già, cos’avrei potuto dirgli? Che aveva avuto ragione sin dall’inizio, che ero stata un’incosciente a credere a quella favola dell’Angelo della Musica? Che un cadavere vivente mi aveva rapita, incantato la mia anima con la sua voce meravigliosa, e che poi mi aveva confessato di amarmi sino al delitto e minacciata di gravissime conseguenze se non avessi ricambiato il suo amore? Sembrava uno di quei racconti inglesi assai inquietanti di cui la piccola Giry era così invaghita. Fuori, la musica aveva iniziato a suonare, festosa. Mi allacciai la maschera, non potendo fare a meno di paragonarmi, così vestita di nero, ad una di quelle anime dannate che carpivano agli uomini il loro sangue nel libro di un certo scrittore irlandese. Uscii, rimanendo qualche istante  dietro la balaustra, sporgendomi per cercare un domino bianco. Senza rendermene conto, cercavo anche un’altra figura, di cui non sapevo l’aspetto che avrebbe assunto quella sera. Finalmente, riconobbi Raoul vicino alla porta. Scesi, confondendomi il più possibile tra la folla. Non potevo fare a meno di sentire, di vedere quegli occhi brucianti seguire ogni mio passo, quegli occhi che erano come fiammelle di candela immerse nella notte più oscura. Raggiunsi il domino bianco e gli toccai la punta delle dita. Il mio malessere non faceva che aumentare, ma ormai ero giunta a quel punto in cui potevo solo andare avanti.
“Siete voi, Christine?”
Mi misi un dito sulle labbra, scongiurandogli silenziosamente di tacere. Mio Dio, era uscito di senno! Lui avrebbe potuto sentirlo… non sapevo come, ma era come se ogni volta qualcuno pronunziava il mio nome, lo sentisse anche lui. I suoi singhiozzi, che mi ossessionavano da quando avevo lasciato la Dimora sul Lago, non facevano che ripetere Christine, Christine, Chistine…
Feci segno a Raoul di seguirmi, per andare in un posto tranquillo in cui poter parlare liberamente. Dovevamo solamente stare lontani dalle botole, perché così saremmo stati lontani da lui. Non si era forse vantato di essere il Signore delle Botole? C’era moltissima gente tra noi e la scala, e ne fummo rallentati. All’improvviso, la massa iniziò ad arretrare.
“Guardate! Guardate!”
“Non può che essere la Morte in persona!”
“Dove potrà aver preso quel costume? È di grande effetto…”
Una voce femminile emise un grido soffocato. Forse ero io. Lui stava scendendo la scalinata a passi lenti, interamente vestito di rosso, un abito che richiamava quello dei signori medievali. La maschera che gli copriva il volto era un teschio ghignante. Gli altri mormoravano ammirati, ma io rabbrividivo. L’avevo visto, quel teschio, accanto allo spartito del suo Don Giovanni Trionfante come ispirazione. Indossava un grande cappello piumato a tesa larga e ad ogni suo movimento il suo lungo mantello di velluto rosso ondeggiava, facendo sfavillare le parole cucite in oro su di esso:
“Non toccatemi, sono la Morte Rossa che passa!”
Una strana pace si era impossessata di me. Non riuscivo a staccare gli occhi da quella maestosa figura che si avvicinava. I miei piedi iniziarono a muoversi da soli verso di lui, ma fui bloccata dalla folla davanti a me. La mia anima era euforica come durante una tempesta e mi sentivo… ispirata. La mia bocca era dischiusa, la mia mano si era sollevata oltre una spalla, tesa come per giungere a lui. Tutta la mia paura si era momentaneamente sopita, sostituita da quella fascinazione che solo lui poteva suscitare. Non c’eravamo che io e lui in quella sala, come se fossimo realmente soli. La mia mente mi diceva di allontanarmi da lui, ma non le diedi retta. Anche il mare burrascoso era terribile e spaventoso, ma forse che attraeva meno? Una belva feroce non era sempre magnifica, pur se pericolosa?  E le bacche più invitanti non erano quelle più velenose e letali? Le mie labbra si mossero, chiamandolo senza dare voce alle parole. Un uomo, incurante dell’avvertimento, fece  per toccarlo, ma il suo polso venne stretto in una morsa da una mano scheletrica, mentre il teschio rideva. Le dita strinsero la presa e il poveretto urlò, per il dolore ma più per lo spavento, impallidendo paurosamente. Era la Morte che lo aveva catturato. Appena libero, corse verso le porte, passandomi accanto. Fu come se mi fossi svegliata da un lungo sonno. E poi… sentii la sua voce, profonda e bellissima.
“Sotto i vostri passi danzanti ci sono le tombe di uomini morti sotto atroci torture! Per questo la Morte Rossa viene a rimproverare i vostri festeggiamenti!”
Nello stesso tempo, un’altra voce esclamò:
“Il teschio di Perros-Guirec!”
Mi voltai, di nuovo in preda al terrore. Raoul! Me n’ero del tutto dimenticata… avrebbe ucciso Erik! L’aveva riconosciuto, e se non fossi intervenuta al più presto, ero certa che sarebbe accaduta la più terribile delle sciagure. Anche Erik era armato, ma Raoul aveva preso lezioni dai migliori maestri che il denaro poteva comprare. Gli afferrai il braccio, impedendogli di raggiungerlo, e iniziai a correre dalla parte opposta rispetto a lui trascinando dietro Raoul. Per la seconda volta in quella serata, sentivo quegli occhi da rapace notturno seguirmi, ma questa volta non era la mia immaginazione febbricitante, era la realtà.
Mio povero, sventurato Erik!
  
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