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Autore: Ayumi Zombie    05/09/2012    1 recensioni
I Keyblade Master, gli ripeté, mangiando l’ultimo cubetto di spezzatino. Chissà se aveva gradito. Sono dei coraggiosi combattenti, dotati di un’arma leggendaria chiamata Keyblade, che esistono per fare in modo che i Nessuno non uccidano o seminino il panico tra le persone. L’esserino alzò la testa verso Sora, di nuovo, guardandolo negli occhi con le sue iridi di plastica dipinta. Se stipulassi un contratto con me, potresti diventare Keyblade Master, Sora… ed essere il più forte mai esistito.
Ispirato un po' all'anime Puella Magi Madoka Magica.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Ringrazio di cuore Wanweird, che mi ha sostenuto negli inutili vaneggiamenti che hanno preceduto questa storia. E grazie anche per tutti i consigli ed avermi aiutata nella struttura dei personaggi! ♥
E anche voi lettori. Prima di tutto vi ringrazio per la vostra attenzione, e poi, vi prego, recensite. Questa è solo la prima parte di una storia piuttosto complessa, e gradirei sapere che cosa ne pensiate. Anche solo qualche commentino inutile.

Keyblade Master Sora ♛ Predestinato



Lo conoscevo già, ma non lo avevo mai incontrato - parte I
「私は彼を知っていたしかし彼に会ったことがなかった」- パートI
Watashi wa kare o shitteita, shikashi kare ni atta koto ga nakatta -  paato I



La fine delle vacanze estive è una cosa che non è mai piaciuta a nessuno.
Riku non faceva eccezione, e lo sottolineava camminando con le mani in tasca e un’espressione un po’ corrucciata. Ma non era proprio il termine delle vacanze in sé, che lo turbava. Il suo viso era assorto più che altro a causa di una catena di pensieri negativi, causata da quello che quell’evento portava con sé: l’inizio della scuola. Era sempre così: non appena si iniziava a pensare qualcosa di male, subito si attaccava qualcosa di peggio, per poi andare avanti ad inoltrarsi nei pensieri più neri. Ma forse era normale, forse era qualcosa che succedeva a tutti. Come facevano, le persone come Sora, si chiedeva? A ridere e scherzare, senza sforzarsi, bastando a sé stesse e agli altri. Senza attirare aspettative troppo pesanti, o senza sentirsi schiacciate da un futuro che avevano paura non fosse ciò che desideravano. Come riuscivano a riprendersi senza trascinarsi dietro per tutto il tempo il rimorso e il senso di colpa. Come potevano non essere spaventate da ciò che gli altri si aspettavano da loro. Per lui, per Riku, era terribilmente difficile.
Quel giorno sarebbe iniziato il suo penultimo anno di scuola superiore, e sapeva che, se voleva mantenere alta la sua media di voti, avrebbe dovuto studiare più di tutti gli altri anni. Inoltre, sapeva benissimo che tutte le aspettative che erano riposte su di lui erano elevate: non poteva deludere i professori, la sua famiglia, o i suoi amici. doveva finire le scuole con il massimo dei voti. Doveva entrare in un’università importante. Doveva sempre essere il migliore. Doveva sempre essere -
« Te stesso. Non cambiare mai te stesso. »
Riku si fermò, alzando di scatto la testa. C’era qualcuno, lì con lui? Una lieve brezza gli carezzò una guancia. Come aveva fatto, a non accorgersene?! Qualche lunga ciocca di capelli bianchi si sollevò pigramente, per ricadergli sulla stoffa candida, sulle spalle. Stringendo i pugni nelle tasche di tessuto azzurro, voltava il viso da una parte all’altra. Vedeva solo i giardinetti tutti uguali del suo quartiere. C’erano soltanto staccionate, praticelli verdi, macchine tirate a lucido, finestre chiuse e aperte, viluppi fioriti sui muret-
Sotto al muretto!
Pochi metri più avanti a lui, una figura incappucciata si alzò in piedi. Era vestita di nero, e, essendo rimasta accovacciata all’ombra del muretto, sotto ad una serie di cespugli di fiori, era passata inosservata.
« Ami le persone che ripongono speranze in te? » di nuovo quella voce. Gli era familiare, ma non sapeva a chi attribuirla. La figura era poco più alta di lui, ma era difficile giudicare. Soprattutto, non era l’altezza, la prima cosa che Riku voleva sapere di quello sconosciuto.
« Chi accidenti sei?! –, ribatté Riku. Era un po’ scortese, certo, ma non era mai stato famoso per la sua dolcezza. Soprattutto in situazioni che sfuggivano al suo controllo. – Che scherzo è? » Quella figura gli era familiare, ma perché? Questa sensazione incomprensibile lo irritava.
« Ami le persone che ti affidano i loro sogni? », riprese. Il tono gli era familiare. Le parole scelte con cura, l’incedere costante, anche.
« Ma di che caspita stai parlando? », Riku si trattenne a stento dal gridare. Quel tizio era folle. E il non capire a che stupidaggini si stesse riferendo, o il senso delle percezioni che lo permeavano a causa sua, lo irritava a dismisura.
« Rispondi alle mie domande! – sembrava che anche il familiare sconosciuto si stesse spazientendo. Qualcosa, nel suo tono, gli faceva intuire che le sue strane domande erano qualcosa di diverso dai vaneggiamenti di un pazzo. – Ameresti le persone che ti circondano, se queste si trasformassero in qualcosa di diverso? »
Queste parole sconcertarono Riku. « Si… trasformassero? », mormorò, soppesando la parola. L’aveva letta e usata spesso, ma solo adesso si accorgeva che, la maggior parte che era scivolata fuori dalle sue labbra, l’aveva fatto in modo improprio. Sembrava tanto irreale.
« No, non le ameresti più allo stesso modo. – lo straniero abbassò la testa. Il suo tono non era più infuriato. Somigliava di più a quello di un vecchio, stanco, che ha visto tutto ciò che amava divenire polvere. Qualcuno che sapeva di cosa stava parlando. – Quindi, cerca di capire che nemmeno tu devi cambiare, per non diventare solo un caro ricordo. »
Con quelle parole che sembravano tirate fuori da un film fantasy o da un racconto troppo noioso, gli voltò le spalle e se ne andò. A Riku parve quasi che, allontanandosi in tutta fretta, si fondesse nel chiaroscuro della via del mattino, ed entrasse a farne parte. In quello strano modo, gli rese impraticabile la possibilità di fermarlo e chiedergli spiegazioni – o tirargli un pugno in testa, tramortirlo e portarlo alla clinica psichiatrica più vicina.
Quella persona  se ne andò, ma lasciò Riku dannatamente confuso. E la sensazione di confusione lo confondeva ancora di più, perché quella era la sensazione sgradevole di non capire, di essere finito ad incrociare qualcosa di più grande di lui. Qualcosa che con la sua bella media scolastica, ottima reputazione e alta quantità di amici su Facebook non avrebbe potuto controllare.
Ma forse era solo un povero pazzo.
Consolandosi con questo pensiero, Riku scrollò le spalle, per cacciare via quelle sensazioni così fuori posto, in lui. Era sempre stato l’icona dell’autocontrollo, l’essere figo impersonato. Non poteva permettere che un qualsiasi scemo vestito con un impermeabile nero gli sconvolgesse la giornata.
E poi, pensò, affrettando il passo, doveva arrivare prima, quel mattino, per scegliere il posto migliore, in classe.


Alzò la testa. Scintillante a causa del sole, brillava una scritta in ferro battuto, fatta a mano un sacco di tempo fa. Ma non per questo meno impressionante o curata del dovuto.
Destiny Islands Private High School.
Sotto a quella insegna troppo elaborata, davanti ad uno dei cardini del cancello aperto, un ragazzino castano saltellava su e giù. « Oooohi! Rikuuuu! »

Agitava le braccia e, nel breve tragitto terra-aria, scalciava all’indietro con le sue scarpe enormi. Di fianco a lui, una ragazza dai capelli rossi era in piedi, composta, e teneva con entrambe le mani le bretelle della cartella. Il ragazzino strillava, lei sorrideva dolcemente.
Riku, ancora un po’ distante, alzò una mano. Lo fece un po’ controvoglia, più che altro per far smettere Sora di agitarsi come un idiota ed attirare l’attenzione su di sé nel modo sbagliato. O, almeno, per impedirgli di farlo il primo giorno.
Attraversò la strada.
« Ehi, ciao, ragazzi. » sorrise. Si sorbì l’abbraccio mieloso di Kairi – «Mi sei mancato anche tuuuu! Taaanto!» – e l’assalto bellico di Sora – «Oddio, Riku, quaaante cose devo raccontarti! In vacanza ho incontrato un tipo che sembrava il messia dello skateboard!» –, con la solita pazienza.
Li ameresti, se non fossero così?
Strinse gli occhi. Quel pazzo di prima stava diventando un pensiero fisso. Se lo avesse distratto durante lo studio, o gli avesse rovinato la concentrazione mentre svolgeva degli sport, sarebbe andato a cercarlo. Armato.

«Ragazzi, andate a prendere posto in classe, - disse Sora, indicando l’edificio col pollice. – Io inizio ad andare in caffetteria, per prenotare i panini per la pausa pranzo! – Fece per correre via, ma poi sembrò avere un ripensamento. A circa sei metri da loro, si voltò e gridò, a voce troppo alta per una distanza del genere: - PRENDETE IL SOLITO, VERO? »
Riku sospirò, poi si rivolse a Kairi: « Digli di sì. Mi rifiuto di sembrare un conoscente di questo decerebrato. »
Kairi ridacchiò, poi, per dare corda a Sora, gli rispose strillando anche lei che sì, avrebbero preso sempre lo stesso tipo di panini. E che avrebbe offerto lui. Sora, senza muoversi di un centimetro, le urlò di rimando che lo avrebbe fatto nei loro sogni, poi si voltò e corse per circa due metri. Si fermò di scatto, si girò di nuovo verso i suoi due amici e urlò che sì, li avrebbe prenotati, ma si riferiva al non pagarli. Quello non lo avrebbe fatto.
Riku alzò gli occhi al cielo e prese a camminare lontano da quell’idiota, seguito quasi a ruota da Kairi.
Si diressero all’ingresso dell’edificio scolastico, per vedere sulla piantina se era cambiata qualche aula. Si erano messi d’accordo alla fine dell’anno scolastico precedente: avrebbero fatto insieme il più possibile dei corsi.
Il rumore dei loro passi, sui ciottoli, era coperto dal chiacchiericcio fitto degli altri studenti, riuniti a gruppetti qua e là nel gigantesco cortile della scuola. Qualcuno era sotto gli alberi al centro di spazi d’erbetta soffice e verde, qualcun altro si godeva gli ultimi raggi di sole, qualcun altro ancora passeggiava da un posto all’altro, senza una meta precisa.
« Allora, Riku, com’è andata la tua estate? », gli chiese Kairi. Si mise una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, poi strinse di nuovo la cinghia della cartella.
Lui alzò le spalle. « Tutto normale. – prese a giocherellare con un filo della stoffa, dentro le tasche. Lo arricciava attorno al dito. – Credo che quest’anno, in matematica, avrò voti più alti, comunque. »
« Ah!, - fece lei, voltando il viso nella sua direzione. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli verde acqua del ragazzo. Ma mentre i suoi esprimevano un po’ di sorpresa, quelli di lui erano asettici e perfettamente controllati. – Allora hai fatto quel corso di matematica avanzata di cui ci hai parlato taaaanto a giugno. », disse, per poi voltarsi di nuovo a guardare di fronte a sé.
« Esattamente, quello. » assentì lui.
Una piccola pausa. Kairi alzò una mano per salutare un paio di studentesse più piccole che andavano timidamente di fianco a loro, ma si dirigevano nella direzione opposta. Passarono davanti alla finestra della caffetteria, già strapiena di prima mattina. Riku diede una sbirciatina dentro, e quasi se ne pentì. Notò che, invece di prenotare, Sora stava chiacchierando animatamente con un gruppo di altri studenti. Non si stupì, né alzò gli occhi al cielo. Semplicemente, l’iperattività di Sora gli impediva di avere un elenco di cose in ordine di importanza o qualcosa del genere. Veniva distratto dalla prima cosa che si muoveva.
Si voltò verso Kairi, di fianco a sé. Lei stava digitando qualcosa sullo schermo touch del telefonino.
« E tu, col corso di danza? », chiese alla ragazza, per buona educazione. E per non pensare a che razza di panino sarebbe stato costretto a mangiare quella pausa pranzo, per colpa di quel cretino.
« Sono taaaanto contenta che me lo abbia chiesto! – sorrise allegramente lei, alzando la testa dal cellulare. – Ho fatto un saggio, a fine luglio, con il resto delle ragazze. L’insegnante mi ha detto che ho raggiunto dei livelli eccellenti! – rinfilò il cellulare nella cartella. il ciondolino a forma di fiorellino rosa rimase fuori a sporgere, ma lei non se ne accorse. – Ha detto anche che mi basta pochissimo a diventare molto di più di quanto non sia già. Che ho un futuro taaaanto importante! Scritto nelle stelle! »
Basta pochissimo a diventare molto di più di quanto non sia già.
Li amerei lo stesso, se fossero diversi? Se fossero di più? Se fossero migliori? Se fossero migliori… di me?
Strinse i denti. Le parole di quel tizio strampalato gli frullavano in testa, e si aggrappavano a tutto ciò che lo circondava. Strinse i pugni nelle tasche. Il filo con cui stava giocherellando da un po’, venne teso all’improvviso e si ruppe con un suono impercettibile.

Erano arrivati davanti alla piantina della scuola.
« L’aula di storia è allo stesso posto dell’anno scorso. », tagliò corto.
   
 
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