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Autore: Minshara    05/09/2012    0 recensioni
Olga è una ragazza dal carattere difficile, un giorno nel parco fa amicizia con Sara , una ragazza molto particolare...
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Sara

 
Sara e io ci siamo conosciute per caso.
Ero al parco col mio fratellino e il suo amico Simone.
Stavamo giocando con la palla quando David ha lanciato il pallone troppo lontano.
Non sono riuscita a prenderlo in tempo e quello è finito quasi in  faccia ad una persona seduta sotto un albero.
Imbarazzatissima mi sono precipitata a scusarmi; avevo già le parole in bocca quando la persona mi ha teso la palla con un sorriso.
Le ridevano gli occhi, bellissimi occhi verdi frangiati da folte ciglia scure – …mi sa che questo è tuo! –
-          Scusami.. - cominciai io confusa. Nessuno sorride se gli arriva la palla in faccia…
-          Giuro che non sono matta…- la persona si alzò da terra spolverandosi la gonna. Bellissimi capelli neri le incorniciavano il viso inanellandosi - …è che non riuscivo a risolvere un problema di matematica…la pallonata mi ha fatto così male che per un momento ho visto le stelle…
Io la guardavo sempre più sconvolta; anche se carina mi sembrava decisamente fuori di testa.
-          ….volevo solo dire…che se anche non riesco a risolvere il problema non è detto che debba guastarmi il pomeriggio per questo! -
Sorrideva tutta contenta mentre la pallonata le aveva macchiato la camicetta bianca.
A quel punto venne da ridere pure a me – io sono Olga! – Le dissi tendendole la mano.
-          Piacere…- mi guardò esitante - …sono Sara..
Visto che oramai l’avevo coinvolta la invitai a giocare con noi.
Lei infilò rapidamente le sue cose in uno zaino di cuoio e mi seguì tutta contenta.
Evidentemente non ne poteva più di studiare.
D’altronde era una domenica bellissima; faceva così caldo da sembrare primavera.
Il parco era pieno di gente, ma noi ci eravamo ricavati un piccolo spiazzo tra gli alberi.
David e Simone si erano seduti sull’erba attendendo l’evolversi della situazione.
Non ero sicura di come avrebbero accolto l’arrivo di Sara; Simone è un tipo tranquillo e disponibile, David no.
Lui non è il mio vero fratello; i miei genitori lo hanno avuto in affidamento fin da quando era piccino.
Però David è stato adottato e riportato indietro quattro volte; dopo una settimana ce lo restituiscono.
Non stento a comprendere le loro ragioni.
Comunque i miei hanno fatto domanda d’adozione l’altro mese ed è stata accolta; David è legalmente mio fratello.
Sono contenta, anche se lui e io non andiamo proprio d’accordo.
La prima volta che ci siamo visti ha spaccato una statuina a cui tenevo moltissimo; così gli ho dato uno schiaffo.
Forse non dovevo farlo.
Voglio bene a David, ma lui deve sapere cosa può fare e cosa no.
Presento Sara ai bambini; Simone è veramente contento.
David fissa i suoi occhi neri come la pece sulla nuova venuta; è geloso di tutto e tutti.
Ha veramente un cattivo carattere; certo non sono io a poter parlare.
A scuola ho pochissime amiche.
Comunque David guarda Sara così intensamente che quasi mi imbarazzo per lei.
Uno strano lampo passa nei suoi occhi neri.
-          Giochiamo! – Esclama prendendo la palla.
Formiamo due squadre e naturalmente David mi vuole con sé.
Sara e Simone sembrano ben contenti di stare assieme; sono due persone piuttosto accomodanti.
Giochiamo a pallavolo, ma sebbene David sia bravissimo ben presto siamo in svantaggio.
La nostra nuova amica seppure impacciata dalla gonna è una campionessa.
Ci straccia in poco tempo.
David è furioso; lui odia perdere.
Mi sgrida chiamandomi imbranata: ma giocando contro Sara siamo tutti imbranati!
Siamo un bagno di sudore, specie la nostra amica i cui lunghi capelli sembrano tenerle molto caldo.
Se li tira indietro cercando di arieggiare il  collo e le spalle.
Sono veramente belli; la invidio.
I miei capelli sono lisci come spaghetti e di un impossibile colore che non è castano…è un quasi rosso…
David quando mi vuol fare arrabbiare mi chiama “pel di carota”.
Antipatico.
Ci sediamo sull’erba a chiacchierare.
Sara e Simone sembrano amici da una vita; parlano di tutto senza problemi.
Invidio le persone così; io prima di riuscire ad avere un simile grado di scioltezza devo conoscere le persone da almeno un anno.
E poi mi faccio un sacco di problemi, di fisime.
Sara ha la mia età, eppure conversa tranquillamente con Simone che ha dieci anni.
Io parlo con David solo perché siamo fratelli; a volte lo trovo terribilmente noioso.
Boh?
Che ci posso fare se sono un’asociale?
 
Ieri Sara è venuta a prendermi a casa; non credevo avrebbe mantenuto la promessa.
Le ha aperto mamma, la quale come al solito non ha fatto altro che rimbambirla di chiacchiere e rimpinzarla di dolci.
Sara però mi è sembrata contenta.
Ha un sorriso così dolce; sembra sincera.
Mi sono vestita e poi finalmente siamo uscite.
Ho detto a Sara che non pensavo sarebbe venuta.
Lei si è stupita; dice che me l’aveva promesso.
Certo, è vero; però spesso la gente promette senza mantenere.
Magari sono anche io così.
Sara è diversa da tutte le ragazze che ho conosciuto sinora.
C’è qualcosa in lei che mi attira; forse sono i vestiti che indossa.
Eppure è molto semplice, non ha gioielli, orecchini e nemmeno si trucca.
Però è molto carina lo stesso; diversi ragazzi si voltano a guardarci.
Lei non sembra imbarazzata, sorride e guarda tutti in faccia.
Sembra abituata a trattare gli uomini, io invece entro subito in crisi: abbasso la testa, arrossisco…
Quando le ho detto tutte queste cose è scoppiata a ridere.
Lei non si sente speciale, le viene naturale trattare con i maschi perché frequenta una scuola mista.
Sicuramente ha ragione.
Sto bene con Sara.
Non parla molto, però quando racconta è bello ascoltarla.
 
Sara mi ha fatto un’improvvisata; all’uscita di scuola me la sono trovata davanti.
Aveva un’aria strana, un po’ triste, ma quando glielo ho detto ha scosso le spalle ed è scoppiata in una risata.
-          Sono un tipo lunatico! – Mi ha detto accompagnandomi a prendere l’autobus.
Siamo tornate a casa ciangottando come due comari.
La mamma aveva preparato una sostanziosa merenda ed è stata felice di rivedere Sara.
Mentre io mi toglievo l’uniforme scolastica si sono messe a chiacchierare come se si conoscessero da una vita.
Perché a me non riesce di essere così spontanea?
Vorrei dire tante cose ma poi le parole mi si fermano in bocca…ho paura di dire un sacco di sciocchezze, di essere stupida.
A scuola c’è Rita che mi chiama “stupida carota”.
Non me lo dice in faccia per paura che le strappi quei quattro spinaci che ha sulla testa, però una volta glielo ho sentito dire a Rosa.
Detesto le mie compagne di classe; si sentono tanto snob solo perché frequentano una scuola privata.
Odio questa scuola; odio l’uniforme blu.
 
Stanotte David ha voluto stare con me.
Stavo dormendo ed ad un certo punto me lo sono ritrovato addosso.
Mi è preso un colpo.
Avevo una gran voglia di dirgliene quattro, ma poi l’ho sentito che tremava.
Così mi sono stata zitta, ho sistemato le coperte e mi sono riaddormentata.
David soffre d’incubi e fino all’altro anno s’infilava nel letto dei miei.
Adesso forse si sente troppo grande per farlo.
Quando mi sono svegliata stamattina eravamo abbracciati; lui mi teneva la testa sul petto.
Quando dorme ha un’aria così dolce che mi viene voglia di baciarlo.
Solo quando dorme.
 
Oggi con Sara siamo andate al luna park.
Lei aveva dei biglietti omaggio per girare tutte le giostre; io ne sono stata ben felice.
Siamo sgattaiolate via in silenzio per evitare che David decidesse di venire con noi e rovinarci il pomeriggio.
Sara non avrebbe saputo dirgli di no.
Quei due si guardano sempre intensamente; però non parlano.
Sembrano avere in comune qualcosa; ho provato a interrogare David su Sara, ma lui ha fatto spallucce e mi ha piantata in asso.
Sara invece ha aggirato il discorso; mi ha detto che David ha avuto fortuna ad essere adottato da noi.
Lo penso anch’io ma non è quello che volevo sapere!
Al luna park ci siamo divertite un mondo; Sara non ha paura di nulla!
Le montagne russe non le fanno un baffo, al tunnel dell’orrore mi ha protetta lei, le giostre sono la sua passione, è brava al tiro al bersaglio e pensavo che non si sarebbe tirata indietro di fronte a nulla invece ho dovuto faticare per portarla nelle casa degli specchi.
Non voleva entrare a nessun costo; per la prima volta l’ho vista farsi scura in viso.
Con la mia solita sensibilità ho piantato una tale grana che alla fine è entrata.
Ha cercato di fare l’indifferente ma la vedevo che si sforzava di dominarsi.
La casa era un labirinto di specchi, alcuni deformanti e altri normali; c’era da diventarci pazzi.
Giravi e giravi senza trovare l’uscita.
Confesso che dopo un poco mi sono stufata anch’io di continuare a girare senza meta.
Sara stava male, era talmente pallida.
Ad un certo punto ha chiuso gli occhi coprendosi il viso con le mani.
Credevo piangesse; invece evidentemente è un suo modo per calmarsi.
Dopo un po’ ha rialzato la testa e con una risolutezza incredibile mi ha trascinato fuori da quel posto.
-          Mai più, hai capito!- Mi ha detto fulminandomi con quei suoi occhi color giada.
Era pallida come uno spettro, e stava davvero molto male perché aveva gli occhi cerchiati di nero.
Anche io mi sono innervosita, ma certo che lei…
Chissà perché.
Non ho osato domandarglielo; non sono sicura di cosa mi avrebbe risposto.
 
 
 
 
 
Oggi Sara non è venuta.
Non avevamo preso nessun appuntamento, però siccome ci vediamo quasi tutti i giorni…
Mi sento sola senza di lei.
L’unica amica che avevo, Serena, si è fidanzata e non ha mai tempo per me!
Uffa!
 
Ho telefonato a Sara; mi ha risposto sua madre, credo.
E’ stata molto formale e breve.
Sara è sembrata molto contenta di sentirmi; aveva passato il pomeriggio a casa a studiare perchè domani ha il compito in classe di storia.
Le ho chiesto scusa per quella storia della casa degli specchi.
E’ rimasta un po’ in silenzio e poi mi ha detto che non ha importanza.
Stava mentendo; mi ha perdonata ma è rimasta male.
Non dovevo insistere; sono una stupida.
 
Oggi mi ha interrogato in latino; mi sa che ho fatto un macello.
Ero veramente depressa, per fortuna è venuta Sara.
Era tardi e mamma le ha proposto di restare a cena, ma lei ha rifiutato fermamente.
Ho insistito poco; non voglio fare come l’altra volta.
Sara deve averlo capito perché prima di andarsene si è voltata e mi ha detto “grazie”.
Solo questo, niente di più.
 
Odio questa scuola; ho fatto a capelli con Luisa.
Dice che le dovevo prestare i fogli da disegno; lei non si porta mai l’album e io sono stufa.
Mi ha dato della bugiarda spilorcia, così non ci ho visto più e le ho tirato i capelli.
Di lì a degenerare in rissa c’è voluto un istante.
Per fortuna ci ha diviso Ilaria.
Ancora un attimo e ci beccava la prof d’inglese.
Sara deve studiare e non viene.
La cosa mi fa infuriare anche se pure io ho tanti di quei compiti che dovrò stare a tavolino fino all’ora di cena!
Odio la scuola.
 
Finalmente siamo uscite.
Se dovevo stare un altro giorno a casa diventavo pazza.
Già passare la giornata a scuola è snervante, figuriamoci il pomeriggio china su quei dannati libri di scuola.
Non mi piace studiare; anzi mi piace…ci sono delle materie come scienze, italiano, inglese, fisica, disegno…insomma ci sono tante materie che mi piacciono..
Sono le compagne ad essere insopportabili.
C’è quella Stefania che si crede una dea; tutta elegante con quei lunghi capelli imbionditi ad effetto.
Prima era castana, adesso sta diventando color platino.
Quanto è antipatica, lei e quel suo fidanzato…Geppy.
Cielo che soprannome idiota!
E Francesca che si da’ le arie da donna di mondo, che ci racconta dei ragazzi che frequenta..
Tutte intorno lei a sentire le balle che s’inventa.
Perché sono balle, lo si capisce lontano un miglio.
E siccome lei è sfortunata che le è morto il padre allora le insegnanti hanno un occhio di riguardo.
Quella è solo una sfaccendata e la detesto.
Detesto le mie compagne; dirò a mamma che voglio cambiare scuola!
 
Quando sono insieme a Sara sto così bene!
Non abbiamo fatto niente di speciale, semplicemente passeggiare per negozi, però è così bello parlare con lei.
Non mi sento mai giudicata o stupida.
Vedo che mi ascolta attentamente e poi mi dice la sua opinione.
E’ indulgente con tutti e si sforza sempre di capire perché una persona si comporta male.
Neanche a lei piace la mia scuola; la chiama “la fabbrica di signorine ammodo”.
Però mi ha anche sgridato, dice che sono decisamente intollerante e attaccabrighe.
Proprio quello che mi dice sempre papà.
 
Ho seguito i consigli di Sara e ho invitato Francesca e Ilaria a prendere il thè.
Sono state molto contente e per tutto il tragitto fino a casa abbiamo chiacchierato come vere amiche.
La mamma aveva fatto del suo meglio preparando addirittura una torta glassata.
La tavola era apparecchiata come per un vero thè inglese; c’erano le tazzine di ceramica e tovaglioli veri, piatti di dolcetti…
Una cosa magnifica.
Ci siamo rimpinzate come porcellini ed è stato bellissimo.
Mi sono divertita un sacco; Sara aveva ragione.
 
Ho litigato con Francesca; l’ho beccata che spettegolava su di me, su mia mamma!
La odio!
Ha mangiato da noi e si permette di criticare; le ho gridato in faccia tutto quello che penso, ma proprio tutto!
Alla fine piangeva come una fontana fra le braccia di Luisa.
Ma le sta bene.
Dopo quella scena mi giravano tutte al largo; è bene che abbiano paura di me!
 
Sara è passata a salutarmi; si è trattenuta poco perché deve studiare per il compito di chimica.
Ha capito subito che avevo litigato.
Mi ha guardato in faccia e ha esordito – oggi hai la faccia più scura del solito! Chi hai scotennato? –
Rideva, ma i suoi occhi erano seri.
Così le ho raccontato tutto e poi sono scoppiata a piangere.
Lei mi ha abbracciato; è rimasta zitta finchè non mi sono calmata.
-          Però Ilaria non è intervenuta, non ha spettegolato…- mi ha guardato cercando di farmi capire qualcosa - …forse questo è un primo passo?
-          Forse le ammazzo tutte! – Ho strillato inferocita facendo ridere Sara.
-          E’ dura per tutti, non devi pensare che nella mia classe sia tutto rose e fiori…Noi  siamo maschi e femmine e questo rende la vita migliore, però Olga, i rapporti sociali sono difficili per tutti!
Sembrava molto seria mentre lo diceva.
Io la guardo, guardo lei che è bella, delicata, fine e gentile e mi sembra che non possa avere un problema al mondo!
 
Sara mi è venuta a trovare poco prima di cena; stringeva al petto un pacco.
Siamo salite in camera di corsa perché lei doveva tornare a casa.
-          Com’è andata a scuola? – Mi ha domandato fissandomi attentamente; è il suo modo per vedere se le mento.
Mi scopre sempre, dice che i miei occhi diventano più scuri quando dico una bugia.
Può essere che sia vero?
-          La solita schifezza, anzi Ilaria è riuscita a rivolgermi la parola per cinque minuti: un record! – Ho sbottato buttandomi a pancia all’aria sul letto – prima o poi mollo questo schifo di scuola.
-          Se pensi che questa sia la soluzione migliore allora fallo; però ricorda – si è chinata su di me – non potrai fuggire sempre. Ci sarà un momento in cui ti dovrai fermare a combattere!
Prima che replicassi mi ha poggiato il pacco sulla pancia e si è avviata verso la porta – quando sono molto giù leggo quel libro e penso che ci sono talmente tante cose che devo vedere e sapere che non posso perdere il mio tempo crucciandomi!
Mi ha sorriso, e il suo volto si è illuminato, poi si è voltata e se n’è andata.
Sara, è un poco più alta di me, meno esile…ma non tanto…eppure certe volte mi sembra immensa!
 
Il libro è bellissimo!
In realtà è un libro di leggende, ma è pieno di disegni splendidi, colorati.
E i testi, le leggende sono così belle, dolci, piene di speranza.
Ho aperto il libro e non la finivo più di guardarlo, di leggerlo; ho anche pianto per la commozione.
Grazie Sara!
 
 
Oggi Sara non viene; deve studiare.
Io non voglio più andare in quella scuola; la odio.
 
 
Sono uscita prima da scuola; volevo fare una sorpresa a Sara.
E’ meglio non fare sorprese a nessuno!
Molto meglio.
Io non riesco, non posso scrivere…
 
Devo raccontare tutto, devo scrivere sennò impazzisco!
Sono uscita prima da scuola; volevo fare una sorpresa a Sara.
Volevo farle una sorpresa..
Ho preso l’autobus e sono scesa dove mi ha detto l’autista.
La scuola superiore San Francesco è famosa ed è anche molto bella.
L’edificio non è tanto alto ed è circondato da giardini e campi sportivi.
Ci sono molti clubs sportivi e Sara è iscritta a quello di pallavolo.
Da noi c’è un bel giardino ma non si fa sport, solo ginnastica per fanciulle.
“Ginnastica rassodante, per equilibrare il nostro corpo in via di formazione” come dice sempre quella smorfiosa dell’insegnante.
Così passiamo il tempo a rassodarci, a camminare con grazia, a diventare eleganti megere.
Odio quella scuola, penso che mi trasferirò qui così potrò stare con Sara!
La distanza da casa è la stessa.
Ricordo ogni cosa, ogni mio pensiero.
Il cielo era limpido e turchese; c’era una bella aria tiepida e io mi sono cercata un posto dove sedermi, dove aspettare Sara.
Ho girato un po’ e stavo per mettermi su una panchina quando nel campo polifunzionale è cominciata una partita.
Visto che non avevo nulla da fare mi sono avvicinata al campo.
Il professore di ginnastica ha già formato le squadre; maschi contro femmine.
Bellissimo; proprio come nei telefilms.
Trovo una specie di muretto e mi ci accovaccio sopra; il campo è circondato da una rete a maglie larghe per cui la visuale è buona.
Questo è un quartiere tranquillo e passano poche macchine.
L’arbitro fischia e la partita inizia.
Sembra scontato che le femmine siano più deboli e invece con mia grande sorpresa sono i maschi ad essere in difficoltà.
La forza delle ragazze è nella sincronia; si muovono come una sola persona.
Non c’è un angolo del campo che sia scoperto; ognuna fa la propria parte.
In breve segnano ben tre punti.
Esulto insieme a loro; non mi ero mai accorta di quanto mi piacesse la pallavolo.
L’arbitro fischia e c’è il cambio campo.
Rossi e blu cambiano posizioni; le femmine sprizzano gioia da tutti i pori.
I maschi sembrano furiosi ma decisi a vender cara la pelle.
Tutta la classe è concentrata, unita; non volano insulti.
Mi stupisco per la loro disciplina, per la loro serietà.
Nella mia classe non riusciamo neanche a passarci il compito in classe senza escludere la metà di noi.
Alle feste di fine anno ci vanno sempre le solite!
I maschi ruotano la loro formazione e sotto rete viene messo un ragazzo piuttosto snello, non è fra i più alti.
La cosa curiosa in lui è una lunga treccia nera che gli ricade sulla schiena.
E’ una cosa insolita in un maschio.
Nessuno pare dargli peso e anzi sembrano avere grandi aspettative su di lui.
Le femmine ondeggiano nervosamente.
L’arbitro fischia e si capisce subito il perché del nervosismo delle ragazze.
Il ragazzo con la treccia è veramente bravo.
Ha un’elevazione straordinaria e riesce sempre a fare muro contro le palle avversarie.
E non è tutto; è uno specialista anche nel fare punti.
Non sembra avere uno schema preordinato; come trova un varco ci si infila.
E’ veramente bravo.
Il suo modo di giocare mi ricorda qualcuno, lui stesso ha un’aria familiare.
Il secondo tempo è appena iniziato e lui ha quasi recuperato lo svantaggio iniziale.
-          Forza, forza Saro! – Gli urla un biondino dietro di lui.
Il nome mi fa venire la pelle d’oca.
E’ un nome comune fra i meridionali, così come Salvo.
Lo gridano di nuovo e io di nuovo rabbrividisco.
Lui gioca senza risparmiarsi.
La maglietta  blu gli aderisce addosso.
Lo guardo attentamente cercando di ricordarmi dove l’ho già visto.
Pur essendo piccolo rispetto ad alcuni compagni è ben fatto ed ha un sedere che è uno spettacolo.
La divisa da gioco gli sta molto bene, ma anche quel biondino attira il mio sguardo.
Per un attimo mi distraggo a guardarlo, ma ecco che Saro fa una cosa strana, una cosa naturale.
Davanti alcuni capelli più corti gli sfuggono dalla treccia; con un gesto automatico li ricaccia indietro usando la mano sinistra con le dita larghe a pettine.
Chissà quante volte lo fa inconsciamente; ma quel gesto mi ghiaccia il sangue.
Guardo Saro e all’improvviso mi tremano le ginocchia.
Guardo Saro e mi domando come ho fatto a non accorgermene subito.
Guardo Saro e non posso sbagliarmi; quella è Sara!
Non riesco a crederci, non posso crederci.
Come può la mia amica essere un maschio?
Forse mi sono sbagliata, forse vedo cose che non esistono.
Magari è una semplice coincidenza, magari quel ragazzo somiglia solo a Sara.
Potrebbe essere suo fratello, suo cugino, uno qualsiasi che le assomiglia.
Adesso non seguo più la partita; guardo Saro cercando di capire, di trovare delle differenze.
E poi ad un certo punto la partita finisce; non so chi abbia vinto perché io non ero più lì a guardarla.
La squadra se ne va, la classe va a farsi la doccia.
Torno a sedermi aspettando la fine delle lezioni.
La mia testa è semplicemente vuota; sono incapace di ragionare, di formulare un pensiero.
Mi sembra che passi un’eternità; invece è solo mezz’ora.
I cancelli si spalancano riversando fuori decine di adolescenti, di ragazzi.
C’è una gran confusione di visi, di capelli, di gonne e pantaloni scozzesi.
Escono le classi più basse per poi proseguire in ordine crescente.
La quinta A è la prima ad uscire, la prima fra le quinte.
Sara è nella V A, me lo ha detto lei; mi ha anche detto il nome del biondino.
E’ il suo amico Stefano, ora ne riconosco la descrizione, così come riconosco Elena dai capelli color miele.
E poi c’è Saro; Saro con la lunga treccia di capelli neri, Saro con l’uniforme maschile della scuola.
Gli sta molto bene.
E’ accaldato e tiene il maglione legato attorno alle spalle; passando i compagni gli battono sulle spalle, lo salutano, amichevoli.
Lui sorride, il sorriso dolce di Sara.
Io sono in piedi, in piedi davanti a lui; aspetto che i nostri occhi s’incrocino che mi guardi.
Non mi accorgo di essermi avvicinata così tanto, finchè quasi non sbatte contro di me.
Si volta, i nostri occhi s’incontrano.
Impallidisce, il sorriso sparisce da lui; i suoi occhi sembrano immensi.
-          …Olga…- è la voce di Sara che esce dalle labbra di questo ragazzo.
Com’è triste la sua voce, sembra che voglia spezzarsi nel pianto.
-          Non mi presenti questa bella signorina? – Il biondino si avvicina allegramente.
In qualsiasi altra occasione sarei stata ben lieta di fare la sua conoscenza, di essergli presentata.
Ma non ora, non oggi che il mio cuore è pieno di dolore, non oggi che sono stata tradita.
Saro volge verso di lui il viso; non si dicono una parola, ma Stefano deve essere veramente suo amico.
Gli da’ una pacca sulla schiena e si allontana sorridendomi gentilmente - a domani ragazzi! -
La strada attorno a noi si è svuotata.
Siamo rimasti soli, uno davanti all’altro incapaci di muoverci, di parlare.
-          …Olga…- Sara, Saro si avvicina cautamente; forse teme una mia reazione…ma io non ne ho la forza.
Le gambe mi tremano e io mi sento svuotata, sfinita.
Allarga le braccia e io mi ranicchio contro di lui; mi stringe dolcemente, la testa china contro la mia.
Sento le lacrime scorrermi sul viso; non so se sono le sue o le mie.
Siamo immobili davanti al portone della scuola; immobili in un oceano di dolore.
Non so per quanto restiamo così.
La confusione svanisce mentre sento la rabbia salirmi dentro.
Sono stretta a lui, avverto il tremito nel suo corpo, la tensione.
Adesso che mi tiene fra le sue braccia, adesso che sento la forza dei suoi muscoli , adesso mi domando come ho fatto a scambiarlo per una femmina.
Dovevo essere cieca.
Cieca e stupida, stupida.
Lo scanso violentemente.
Lui è preparato, mi guarda senza abbassare lo sguardo; attende.
Le braccia lungo i fianchi, i capelli puliti che gli sfuggono dalla treccia, i pantaloni scozzesi, la camicia bianca con lo stemma della scuola ricamato sul taschino, i mocassini lucidi…
Questo è Saro, Saro!
Tu, tu…- fatico a trattenere la voce a non gridare – tu cosa sei?
Lo guardo come guarderei Francesca, come guarderei lei mie compagne di classe, lo guardo e lo odio.
Odio tutto di lui, tutto!
-          …io sono …un maschio pervertito che ama travestirsi da donna! - Mi risponde piano.
Mi guarda in faccia senza ombra di vergogna; ma è triste, mortalmente triste.
Questo riesco a vederlo nonostante l’ira mi stia divorando.
-          Ti sei preso gioco di me, ti sei preso gioco di me per tutto questo tempo! – Grido stringendo convulsamente le mani. Vorrei cavargli quei suoi dannati occhi da gatto, strappargli quei suoi capelli.
Fatico a trattenermi, fatico a non mettergli le mani addosso.
Non so bene cosa mi stia fermando, cosa mi impedisca di fargli del male.
Siamo ancora in mezzo alla strada, ma io sono accecata dall’ira, dal dolore.
-          …non mi sono preso gioco di te…io – sorride, un sorriso mesto - …cercavo le parole per dirtelo…per dirti questa cosa.
Non volevo ingannarti…mi hai conosciuto come Sara…- mi guarda cercando la mia comprensione - …non è una cosa così facile da dirsi…
Mi tappo le orecchie per non sentirlo, ogni sua parola mi sembra una staffilata - …mi hai usata, mi hai ingannata…io ti ho detto tutto di me…tutto..!
Mi avvento su di lui, le unghie già pronte a graffiarlo.
Le sue mani, le mani di Sara mi bloccano i polsi; è molto forte ma non mi sta facendo male.
Stringe quel tanto che serve a fermarmi.
-          …Olga ti prego, ti prego ascoltami…- fatica a contenere il tremito nella voce. Ha gli occhi lucidi. – E’ solo un vestito a fare la differenza; io sono sempre Sara…sono sempre io…- poggia le mia mani sulle guance; sono umide. - Non ti ho mentito…io ti voglio bene…ti voglio bene Olga…ti prego…perdonami…ti prego… -
Per un attimo qualcosa si muove dentro di me; lo percepisce anche lui perché mi lascia andare le mani.
Mi guarda speranzoso…
Ha un bel coraggio a parlarmi così, a starsene davanti a me così spavaldo.
Non ha mai abbassato lo sguardo.
-          …io invece ti odio…- gli sputo in faccia la mia rabbia, il mio rancore - …mi hai ingannata e cosa peggiore sei uno schifoso pervertito. Ti odio, ti odio! -
Mi volto e me ne vado.
Con la rabbia nel cuore torno a casa e distruggo il libro di leggende.
Una pagina dopo l’altra lo faccio a pezzi; sistematicamente.
E’ entrato Davide in camera; ha guardato il libro, poi ha guardato me.
Non mi ha chiesto nulla.
Quel libro gli piaceva molto, lo abbiamo letto insieme.
Mi ha guardato e se n’è andato.
Davide sapeva?
Davide aveva capito qualcosa?
 
Non me lo aspettavo; ma forse ci speravo.
Avevo passato la notte in bianco a piangere e rigirarmi nel letto, ero andata a scuola solo per non dover dare spiegazioni ai miei, per non dover più pensare a lui.
In classe poi ero stata così tranquilla che lo prof di religione mi ha lodato.
Di solito la tormento con una serie infinita di domande che la mette in imbarazzo e fa ridere quelle oche delle mie compagne.
Non hanno capito che io vorrei solo che qualcuno rispondesse ai miei dubbi.
Vorrei solo essere meno confusa.
All’uscita di scuola c’è Saro; è affannato, deve aver corso per poter arrivare in tempo.
Riccioli ribelli gli scendono attorno al viso; stringe convulsamente la cartella.
Mi guarda, mi fissa con una tale intensità che Francesca mi si avvicina con aria complice - …non mi avevi detto di avere il ragazzo! E’ carino, magari un po’ effeminato…
E’ Saro a salvarla; la mia mano era già sulla sua faccia, sulla faccia di quella stupida.
-          Grazie…grazie…- guarda Saro come se vedesse un arcangelo.
Lui le sorride, quel sorriso così dolce che ti fa sciogliere dentro.
Sono furiosa e sto per fare una scenata, ma lui mi conosce e mi trascina verso il parco pubblico che è là vicino.
Sara sa come prendermi.
Ci sediamo su una panchina di fronte al laghetto.
E’ una giornata bellissima, quasi come quella domenica in cui ci siamo conosciuti.
Non parla; se ne sta seduto con le mani in grembo.
Mi guarda; i suoi occhi non si abbassano quasi mai.
Ha molto coraggio.
-          Cosa vuoi da me? – Gli dico furiosa. Sono felice di vederlo. – Se è perdono o comprensione sappi che non l’avrai mai, mai…!
Devo averlo ferito perché china la testa.
-          Io…credevo mi volessi bene; niente altro. – Si alza e mi guarda; ha gli occhi così tristi.
Non dice una parola, semplicemente se ne va.
Saro.
 
Stanotte non ho dormito; non faccio che pensare a lui.
 
Mi sento così triste.
Sto cercando di essere gentile con le mie compagne di classe.
 
Francesca ha detto a tutte di Saro.
La odio!
 
Mi hanno sospesa; ma almeno mi sono tolta la soddisfazione di spaccare la faccia a Francesca.
Le colava il sangue su quel suo brutto muso.
 
Ho picchiato David.
Oggi papà mi ha fatto una lunga ramanzina.
Mi ha detto che sono manesca e intollerante.
Ha cercato di spiegarmi come devo comportarmi, che devo essere più comprensiva verso gli altri.
Secondo me si sbaglia; io non voglio comprendere proprio nessuno.
La gente è bugiarda!
 
A casa mi annoio; sono uscita con mamma a fare la spesa.
 
Sto cercando di andare avanti col programma scolastico, ma non riesco a concentrarmi.
Vorrei chiamare Sara.
 
Stanotte ho sognato Sara; mi guardava e piangeva.
Mi manca, mi manca tanto.
 
Odio Sara, la odio.
E’ colpa sua se mi hanno sospesa, è colpa sua se sono così triste.
Spero che soffra, che stia male.
 
Oggi ho preso l’autobus e sono andata alla scuola San Francesco.
Era giovedì come la volta scorsa; l’ho fatto di proposito.
Sono arrivata un po’ in ritardo; loro stavano già giocando.
Saro non era in prima fila; se ne stava in fondo.
Ha perso molte buone occasioni per fare punto, ma ha difeso bene il campo.
Non mi ha visto; mi sono messa un cappello di paglia e ho nascosto i capelli.
Volevo solo vederlo.
 
 
Sara mi manca.
 
Oggi David è entrato nella mia stanza.
Mi ha guardato attentamente per vedere a che livello di ferocia sia arrivata.
Non se l’è scordato lo schiaffo dell’altra settimana.
Non ha detto niente a mamma e papà; eppure ero io in torto.
Lo apprezzo.
-          Scusami per l’altra volta! – Glielo dico di fretta perché ho paura che fra cinque minuti sarò di nuovo infuriata.
Non ho un bel carattere.
-          …io ti voglio bene…- mi dice pian piano, la testa bassa. Le dichiarazioni d’affetto non sono il suo forte – anche se sei manesca ti voglio bene lo stesso!
Senza aggiungere altro se ne va.
Chissà perchè comincio a piangere.
 
L’ho sognato, ho sognato Saro.
Quando penso a lui mi si stringe il cuore.
Mi manca, mi manca tanto!
Stamani ho detto alla mamma che voglio cambiare scuola.
Le ho spiegato perché.
Lei e papà ne hanno discusso a lungo, poi hanno acconsentito.
 
Oggi abbiamo parlato con il preside.
Anche se tentavo di sembrare dolce e remissiva lui mi ha sgamato subito.
Qualcosa nel mio sguardo deve avermi tradita.
Però mi ha fatto piacere; odio la gente ipocrita.
Così gli ho raccontato tutto, intendo dell’altra scuola.
E’ scoppiato a ridere e ha detto che se provo a picchiare qualcuno altro che sospensione.
Sa ben lui come trattare le ribelli.
Mi è venuto un brivido lungo la schiena.
 
Notte in bianco.
La scamiciata scozzese mi sta benissimo.
Sembro una bambola e il verde sta benissimo anche con i miei impossibili capelli.
Li ho lasciati sciolti e ci ho messo un cerchietto abbinato che sta una favola.
Ero così carina che per strada si sono voltati a guardarmi.
Quando sono entrata in classe lui era già arrivato.
Non appena mi ha visto si è illuminato tutto; mi ha sorriso, un sorriso dolcissimo.
Mi sono sentita le gambe come gelatina.
Credo di aver sorriso anch’io.
Gli avrei buttato le braccia al collo.
Adesso mi rendo conto di quanto mi è mancato.
Stefano ci guarda; non dice nulla.
Saro si avvicina; è felice – credevo non mi avresti perdonato mai…! -
Mi sussurra sfogliando nervosamente un libro di testo.
I compagni ci osservano, ma nessuno osa avvicinarsi.
-          …ed è così…- rimarco aspra - …non ti ho perdonato e non ti capisco… -
Il sorriso gli muore sulle labbra; china la testa ferito.
Poggia il libro sul tavolo.
-          ….però ho scoperto che mi manchi. Per questo sono qui! – Continuo con lo stesso tono. Non voglio rendergliela così facile, in fondo è lui ad avere torto.
Non mi risponde, non fa un gesto. Mi volta le spalle ed esce dalla classe.
Che dignità; Saro mi fa vergognare di me stessa.
 
 
Qui è tutto diverso!
Non appena è suonata la ricreazione tutti hanno acchiappato la merenda e si sono messi in fila in ordine d’altezza.
Io mi sono sistemata fra due ragazze; Saro distava da me di altre due teste.
Non appena pronti il capoclasse, Roberto, ha dato il via.
Tutti insieme abbiamo sceso educatamente le scale.
Il bidello nel corridoio ci ha scrutato attentamente.
-          Basta poco per rispedirci in classe. – Mi ha sussurrato Rosita, la ragazza dietro di me.
Abbiamo sceso i due piani che ci separavano dal giardino e poi ci siamo seduti in cerchio sotto un albero.
-          Non possiamo alzarci se prima non abbiamo finito la merenda! – Ha recitato Rosita indicando con la testa un bidello che girava per il nostro settore del giardino.
Io per me ero così contenta di poter fare ricreazione all’aria aperta da non sentire la limitazione di dover stare seduta.
Da noi il giardino era concesso solo dopo pranzo o come premio speciale.
Vedo che i maschi fanno sparire le merende in un batter d’occhio; neanche Saro fa eccezione.
Poi tutti insieme si precipitano verso uno dei campi sportivi; i maglioni fanno mucchio sull’erba.
Le maniche delle camice vengono rimboccate, il gruppo si divide.
Fra di loro ci sono anche tre ragazze che si distribuiscono nelle squadre.
Il capoclasse va verso un capanno poco distante e ne esce con un pallone da calcio e delle fasce.
I rossi da una parte e i blu dall’altra; si sorteggia l’arbitro.
Tocca ad un ragazzo con gli occhiali.
Sbuffa un po’, poi chiamati i capitani lancia in aria la palla.
Vincono i rossi che cominciano la partita.
-          Ti va di giocare a mosca cieca? – Mi domanda ad un certo punto quella che identifico come Elena.
-          Certo! – Esclamo stupita dall’invito.
Come i bambini delle elementari facciamo la conta per la prima ad accecarsi: tocca a Laura un tipo pepato che ha i capelli molto più rossi dei miei.
E io che mi preoccupavo tanto!
Cominciamo a giocare.
Facciamo un fracasso infernale, ma questo è il nostro angolo e nessuna delle altre classi ci disturba.
Per la prima volta dopo tanto tempo sono contenta.
Gioco con tutte le altre e mi dimentico che sono arrabbiata con Saro, che sono nuova della scuola, che ho i capelli rossi e che mi sento una scema.
 
Sapevo che tanta gioia non poteva durare.
Siamo appena ritornati in classe che entra la prof di matematica.
E’ giovane e ha l’aria simpatica.
-          Ho una sorpresa per voi…- esordisce con una bella voce che mi fa ben sperare.
Invece vedo tutti i miei compagni impallidire, sgranare gli occhi, sbuffare, sospirare.
-          Capoclasse…- chiama Roberto porgendogli un mazzo di fogli – distribuisci il compito in classe.
Roberto si alza senza esprimere quello che gli si legge in faccia; sa bene lui cosa ne farebbe di quei fogli.
-          Se vi pesco a copiare compito annullato! – Ma questo lo sapete già.
Questa prof con l’aria così carina ha già stroncato le mie speranze; in matematica sono una frana e non è certo con un compito in classe a sorpresa che posso sperare di presentarmi al meglio.
Ricevo il mio mazzetto di fogli e lo guardo così sconsolata che Roberto mi sussurra con tono appena udibile – tranquilla, ci siamo noi!
La sorpresa mi si legge in faccia tanto che la prof mi chiede se ho bisogno di qualche chiarimento.
-          Mi scusi! – Esclamo avvicinandomi alla cattedra con i miei fogli in mano - volevo solo alcuni chiarimenti sullo svolgimento del compito. –
Non l’ho manco guardato quel compito, ma come potevo giustificarmi davanti alla prof?
Così lei mi spiega cosa si aspetta che faccia e io l’ascolto volentieri perché è molto brava a spiegare.
I compagni mi sono grati; mi sorridono tutti.
Il mio intervento ha distratto abbastanza la prof da permettergli di prendere accordi.
Incomincia la farsa.
Onestamente alcuni esercizi mi sembrano abbastanza facili; le espressioni mi riescono quasi sempre, il problema di geometria un po’ di meno.
Mi sto giusto lambiccando con una regola sull’area quando Saro mi passa avanti per andare alla cattedra.
Rapidissima faccio sparire il biglietto che ha lasciato sul mio foglio.
Manca mezz’ora alla consegna del compito.
Controllo il compito; è tutto a posto tranne il problema.
Velocemente lo copio e faccio sparire il foglietto.
Cerco di ragionarci sopra e scopro che tutto sommato se studiassi di più potrei anche farcela.
Cancello metà della soluzione del problema.
L’insegnante ha la mia scheda, saprà benissimo che matematica non è il mio forte; non è il caso di fare exploit pericolosi.
Quando suona la campanella consegno il mio compito.
Non prenderò un gran voto ma sono felice.
Sono qui da nemmeno cinque ore e già mi trattano come una di loro.
Cercherò di meritarmi questa fiducia.
 
A mensa sono riuscita a sedermi vicino a Saro.
Lui mi ha guardato in maniera indecifrabile; non sembrava arrabbiato.
Non sono mai molto sicura di cosa passi nelle mente di Saro.
Ha un autocontrollo straordinario; certe volte mi fa paura.
Quando ho scoperto che era un maschio poteva reagire piangendo, infuriandosi…poteva fare di tutto invece che rimanere calmo e disponibile.
Anche oggi; mi trova in classe e mi sorride, mi passa il compito in classe…
Ha una flemma incredibile, è fuori di testa o cos’altro?
-          Grazie per il compito! – Gli dico assaporando titubante un piatto di riso coi piselli e il prosciutto.
-          Di niente, la nostra rete d’informazioni funziona molto bene! – Mi guarda con una specie di sorriso.
Io sono in estasi, il cibo è buono e Saro è così, così..
Così!
-          Sono bravissima in scienze, religione, geografia astronomica e in italiano - esclamo suscitando l’ilarità di Stefano che è al nostro tavolo assieme ad un altro ragazzo - dico se mai potesse essere utile!
Sono tutta rossa e invece di mangiare sto pasticciando col cibo.
-          Stai tranquilla, ti sfrutteremo fino in fondo! – Mi risponde l’altro ragazzo finendo il suo piatto.
-          Da quale scuola vieni? – Mi domanda Stefano attaccando il secondo.
-          “Nostra Signora del Buon Consiglio”! – Lo dico con aria così disgustata che suscito nuovamente l’ilarità generale.
Sono molto divertente oppure loro sono molto allegri.
Devo aver assunto un’aria feroce perchè Saro mi punta contro la forchetta – state attenti perché Olga è molto permalosa e mordace. – Sta scherzando perché gli occhi gli ridono.
Evidentemente vuole riprendersi il suo vantaggio.
-          Ah sì, e tu che ne sai; vi conoscete intimamente? – Lo sfotte il biondino.
Ammutoliamo entrambi; mi sento il sangue salirmi alla faccia.
-          Certo, il padre di sua madre è il fratello del cugino di mio zio! – Risponde Saro prontamente. Ha anche lui il viso colorito dall’imbarazzo, ma la battuta pronta.
C’è un attimo di silenzio mentre qualcuno cerca di scovare il grado di parentela che ci lega.
Poi capiscono che è uno scherzo e scoppiano di nuovo a ridere.
Stefano tira la treccia a Saro.
Io fatico a mangiare; non per il cibo che è squisito, ma per l’imbarazzo.
Stare al tavolo con tre maschi è veramente troppo.
Saluto con gioia la campanella che scandisce la fine del pranzo.
Siamo di nuovo in giardino e io grata mi riunisco alle mie compagne.
Alcune di noi si siedono sotto l’albero a chiacchierare.
Rosita, Elena e altre ragazze mi fanno qualche domanda sulla vecchi a scuola e dopo i primi attimi di titubanza comincio a raccontare tutto.
Devo essere moto brava perché in breve tengo banco; ridiamo un sacco.
Non mi sono accorta di quanto fossero divertenti le mie compagne della vecchia scuola finchè non ne ho dovuto raccontare le prodezze.
Ah come sto bene qui!
 
Ieri sono tornata a casa con quel ragazzo con cui ho pranzato,
Si chiama Lorenzo e abita a pochi passi da casa mia.
E’ simpatico e mi ha raccontato un sacco di cose della scuola, della nostra classe.
Avrei voluto chiedergli di Saro.
Mi ha detto che con il mio arrivo siamo di nuovo ventiquattro; esattamente dodici femmine e altrettanti maschi.
Fino allo scorso mese al mio posto c’era un ragazzo, Luigi.
Era uno con un sacco di problemi, non faceva che attaccare briga e pretendeva che gli si facessero perfino i compiti a casa.
Fino all’anno precedente non era stato così prepotente, poi gli era successo qualcosa.
Be’ insomma all’ultimo compito d’inglese Saro si era rifiutato di dargli il foglietto.
A ricreazione Luigi ha cominciato un pandemonio e stava per fare a cazzotti con Stefano  e gli altri quando Saro gli ha detto come stavano le cose.
-          Dovevi vederlo – mi racconta Lorenzo elettrizzato – Luigi superava Saro di due teste.
-          E Saro, che faccia aveva? – Chiedo molto interessata. Non mi pare vero che Lorenzo abbia deciso di sua sponte di parlarmi del mio misterioso amico.
-          Saro una roccia - il solo ricordo lo entusiasma – lo fronteggia con una calma, una impassibilità. Ci siamo sempre chiesto dove avesse trovato un piccoletto come lui il coraggio di opporsi a Luigi.
Comunque eravamo tutti pronti a dargli man forte.
Luigi da’ uno spintone a Saro; figurati piccolo com’è lo butta per terra.
Stefano sta per saltargli al collo ma Saro si rialza e con un braccio teso blocca il suo amico.
Ti dico che scena; sembrava un film.
-          Puoi anche ammazzarmi di botte, - gli dice senza scomporsi – io non ti passerò mai più un compito. Se vuoi bei voti studia!
Luigi è rimasto interdetto.
Tutta la lezione se n’è rimasto zitto e buono, poi all’uscita di scuola ha mollato un cazzotto a Saro e se n’è andato.
Non l’abbiamo più visto.
-          …e Saro? – Ho chiesto io esaltata. Sapevo bene che il mio amico è piuttosto coraggioso, ma non immaginavo quanto.
-          Una settimana con un occhio gonfio e un livido pazzesco sulla schiena.
Però ha detto di essere caduto dalle scale e Luigi se n’è andato con il curriculum pulito.
Io non so se l’avrei fatto; penso che avrei fatto a cazzotti con quel Luigi, che l’avrei denunciato…
Invece me ne sono stato zitto e ho lasciato che facesse tutto Saro.
E pensare che faccio pugilato; potrei stendere Saro con una manata!-
Non ho saputo cosa dirgli.
Ci siamo salutati e dati appuntamento per la mattina dopo.
 
Stanotte faticavo a dormire tanto era l’emozione.
Ho preso l’autobus con Lorenzo e siamo entrati in classe insieme scherzando come vecchi amici.
Come promesso mi sono ricordata di portare a Rosita un libro sul “decupage”.
In questa scuola come nell’altra c’è la lezione di economia domestica, ma la cosa veramente speciale è che devono farla anche i maschi.
Sono curiosa di vedere i maschi fare torte e pasticcini.
Quando l’ho detto a Rosita lei mi ha detto che c’è poco da ridere; il capoclasse è stato quella a fare la torta più bella e buona.
Devo cominciare a preoccuparmi?
 
A ricreazione abbiamo discusso sul “decoupage”; volevamo proporre qualcosa di speciale per il lavoro della settimana prossima.
Io mi sono entusiasmata e ho cominciato a proporre varie cose, ma a quanto pare piace solo a Rosita e me.
I maschi lo trovano noioso.
Hanno sfogliato il libro disgustati.
-          Ritagliare figure e incollarle è cosa da femminucce! – Ha decretato Francesco trascinando gli altri al campo di basket.
Così la ricreazione se n’è andata mentre discutevamo su vari progetti.
Devo dire che ad un certo punto mi sono estraniata dalla faccenda.
Ho notato che Saro mi gira al largo; se capitiamo vicini non si sposta, se è necessario mi rivolge la parola, ma niente di più.
D’altronde non posso certo dargli torto.
In realtà sono io ad essere offesa, ma sono stata anche io a dirgli che non lo voglio perdonare.
Così mi sono messa in un bel pasticcio.
-          Ti piace proprio tanto, vero? – Mi sussurra Rosita facendomi sobbalzare.
Senza accorgermene mi sono messa a fissare il campo da basket.
-          Di chi parli? – Le domando sinceramente stupita.
Lei ride piegando la testa di lato con aria birichina – di Saro! – Mi risponde con l’aria di chi la sa lunga – per quanto Stefano, Roberto, Daniele e Mirko siano più belli, prestanti, non c’è nessuno che resista al fascino maschio di Saro.
Ha una forza d’animo, un carisma che ti stende.
Il bello è che gli viene naturale, credo che neanche se ne accorga.
Se ne sta lì tutto dolce e gentile che sembra una mammoletta, ma se sgarri ti fronteggia con un coraggio da leone…-
Sono stupita e sconvolta – a me pare che piaccia tanto anche a te.. – riesco a ribattere con un minimo di presenza di spirito.
-          Sicuro, piace a più della metà di noi. Ma tu prova a metterti insieme ad una persona riservata e schiva come lui. –
Mi indica una ragazza molto carina dai lunghi capelli castani.
-          Quella è Sofia. Ha provato a stare insieme a Saro e si è dovuta arrendere. Saro è dolce, gentile ma impenetrabile. L’ha anche baciato, ma lui non si è per niente scaldato.
Lei si è infuriata e gli ha fatto una scenata; lui le ha chiesto scusa. Dice che non riesce a lasciarsi andare.
Ed è vero; nessuno l’ha mai visto infuriato, disperato, nervoso.
E’ un blocco di ghiaccio. -
La campanella ci ha indotto ad alzarci.
-          …quindi se vuoi provarci fai pure; però io ti ho avvisata! - Conclude con un sospiro.
Mi volto verso di lei per dirle la verità, per dirle che Saro si lascia andare, che è una persona tenera affettuosa, dolce.
Ma come posso parlarle di Sara, come posso dirle che Saro si comporta così probabilmente per la paura che ha di venire scoperto.
Perché cos’altro può essere questa sua freddezza verso gli altri?
E poi mi sorge un dubbio; e se a Saro non piacessero le donne?
Se preferisse gli uomini?
Eppure lo vedo comportarsi nello stesso modo con entrambi i sessi.
Però Sara con me era molto tenera!
 
Dopo pranzo riesco ad acchiappare Saro.
Lui è sinceramente stupito dal mio comportamento, ma mi segue senza protestare.
Ci appartiamo vicino al muro di cinta, in un angolo nascosto.
Sono imbarazzata.
Lui non mi aiuta, si appoggia al muro e aspetta in silenzio; le braccia conserte.
-          Sei arrabbiato con me? - Domando a bruciapelo.
Mi guarda e non riesco a decifrare il suo sguardo - …no  Olga non sono arrabbiato, sono solo deluso…stanco…amareggiato. Tutti gli aggettivi di circostanza. -
Improvvisamente si siede per terra come per sottolineare la profondità del suo sentimento.
Mi accuccio davanti a lui colpita da quelle parole.
-          …mi dispiace …- cerco le parole per dirlo; non sono brava a parlare - …io..io ero…io sono affezionata a Sara..e tu..quando ho visto che tu…-
Senza che me ne renda conto mi scendono le lacrime.
- Sara mi manca moltissimo; vedere Saro a scuola non è la stessa cosa.
E’ come se fossero due persone completamente diverse.
Cambiare scuola non mi ha fatto ritrovare la mia amica. -
Piangendo cerco di spiegarmi.
Lui mi ascolta; sembra così freddo e indifferente, distaccato.
-          Io sono come sono…- mi dice con la voce dolce della mia Sara - …non c’è altro da dire!-
Sta per andarsene ma lo acchiappo per un polso.
Non so neanche io cosa mi abbia preso, ma so che non posso perderlo, non posso mantenere questo stato di cose fra di noi.
-          Ho bisogno di Sara, mi manca troppo!  - Quasi lo grido.
Lui è stupito dalla mia veemenza, dal mio dolore.
Lo vedo perché improvvisamente il viso gli si addolcisce, gli occhi sembrano più verdi.
-          Ti sei fatta già tante amiche, che bisogno hai di Sara? –
-          Ho bisogno di Sara perché lei mi vuole bene, le piaccio come sono, mi capisce…- singhiozzo sconnessamente. Mi sembra di non riuscire a spiegarmi bene.
Sono così addolorata; non ce la faccio più a tenermi tutto dentro.
-          Ma io sono Sara, mi vedi ogni giorno….- lo dice ma sa benissimo di mentire.
-          Tu sei Saro…- rispondo assurdamente a chi mi dice assurdità – io rivoglio la mia amica! Mi manca troppo!
All’improvviso sono stretta fra le sue braccia; sono fra le braccia di Sara.
 
Non dice una parola ma sento il suo corpo tremare…
Forse non è questa la parola giusta, la sensazione esatta per descrivere la realtà.
Potrei giurare che Saro stia piangendo, piangendo per il dolore, per il sollievo…
Provo un forte calore dentro di me, una sensazione dolcissima.
Senza neanche rendermene conto lo abbraccio.
E’ una sensazione bellissima, somiglia molto a quello che ho provato svegliandomi con la testolina di David su di me.
Forse questo è semplice affetto, semplice volersi bene, lasciarsi andare.
A pensarci bene non ricordo di aver mai provato nulla del genere per nessuno.
Sono sempre aspra con tutti.
La gente non si avvicina volentieri a me.
 
 
Subito dopo la ricreazione Saro è sparito.
In classe però nessuno è sembrato dare importanza alla cosa.
Io invece fremevo.
Dopo quel dolcissimo abbraccio Saro si è sciolto da me e se n’è andato senza degnarmi d’uno sguardo.
Teneva la testa bassa.
Magari ha pianto sul serio.
Insomma quando finalmente sono finite le lezioni ho chiesto a Stefano.
Mi ha detto che Saro è tornato a casa perchè stava male.
Sono caduta dalle nuvole.
Stefano ha aggiunto spiegazioni.
Se non sapessi la verità potrei veramente credere ad un improvviso malore.
Però questo significa che parlare con me l’ha turbato così tanto?
Sono confusa.
Non ce lo vedo Saro ammalato.
Da’ una tale impressione di forza, di autocontrollo.
Ma questo l’ho già detto.
Mi ripeto perché non capisco.
Non capisco niente di Saro.
Sembra un ragazzo normale, sano tranquillo.
Ma un ragazzo normale non si traveste da donna.
E’ per questo che aveva paura degli specchi?
Ci sono centinaia di cose che non capisco.
Non comprendo come possa un ragazzo di diciassette anni avere tanta forza, tanto coraggio da mantenere addirittura una doppia identità!
Certo perché tale è!
Eppure credo che Sara sia più sincera di Saro.
Sara è allegra e spontanea, a Saro questo riesce raramente.
Molto del suo tempo lo passa cercando di essere amico degli altri.
Cioè…non è proprio così..è una sensazione così difficile da spiegare.
Anche Saro è autentico, ma si tiene a freno; è come se avesse paura di mostrare tutto di sé.
Ha paura?
E’ la paura a farlo comportare così?
Ho telefonato a Saro; ho chiesto di lui e la voce femminile dell’altra volta mi ha risposto che Saro è a letto con la febbre.
Le ho pregato di dirgli che lo avevo chiamato.
Chissà.
 
Oggi Saro non è venuto a scuola.
Guardo il suo banco vuoto e sento quel vuoto dentro di me.
In classe si sta bene.
Ha ragione Saro, mi sono fatta delle amiche.
Mi sento come se frequentassi questa scuola da una vita.
 
Ho telefonato di nuovo a Saro.
Sua madre, credo sia lei, mi ha detto le stesse cose di ieri.
Possibile che stia così male da non potermi parlare?
Le ho chiesto se potevo passare a portargli i compiti.
Ha esitato un po’ e poi mi ha risposto di sì.
Mi sono fatta dare l’indirizzo e dopo aver preparato tutto sono uscita.
Saro abita più vicino di quanto pensassi; sono tre fermate d’autobus.
Il civico corrisponde ad un portoncino in legno e vetro; sembra un palazzo elegante.
Mi avvicino col cuore in gola.
Forse sto sbagliando.
Mi volto per andarmene, ma qualcosa mi trattiene.
Mi sento soffocare; non credevo che parlare con Saro, rivederlo, mi mettesse tanta ansia.
Chissà cosa mi aspetto.
Infine prendo coraggio e suono.
Il suono del campanello si perde nel silenzio.
Attendo un’eternità, solo qualche minuto…poi la porta si apre.
Sono stupefatta.
La signora alla porta mi sorride, un sorriso gentile, confuso – tu devi essere Olga, entra pure! -
Si scansa facendomi passare.
Io non riesco a distogliere lo sguardo da lei: è la copia esatta di Sara!
I suoi capelli sono meno belli, meno ricciuti ma la somiglianza è impressionante.
Se pensavo che venire qui mi avrebbe chiarito le idee, credo proprio di aver preso un granchio.
La casa è calda, accogliente.
Mi colpisce subito l’eleganza con cui sono disposti alcuni mobili nell’ingresso.
La signora mi guarda smarrita, come se si aspettasse qualcosa da me.
-          Non posso vedere Saro?  - Le chiedo a quel punto.
Ha gli occhi vacui, come se per un attimo avesse perso il filo del discorso.
Poi ritorna in sé e voltatasi mi lascia nell’ingresso.
Non credo voglia essere una sgarberia, semplicemente si è dimenticata di farmi accomodare.
Credo.
Mi guardo intorno tenendo stretto al petto il pacco con i compiti e il libro per Saro.
E’ in sostituzione di quello che gli ho distrutto; ma non so se avrò il coraggio di darglielo.
E’ stato molto crudele quello che ho fatto.
Ma anche lui lo è stato ingannandomi.
Un’ondata di rabbia mi assale.
La scaccio via.
Non voglio più essere arrabbiata con Saro, vorrei solo cercare di capire.
Mi sembra più logico, più costruttivo.
Vorrei cercare di essere meno feroce, meno…violenta, intollerante…meno..
Certe volte non lo so neanche io cosa voglio, chi sono..
So che m’infurio per ogni cosa.
Mi sembra che le cose dovrebbero andare diversamente, che siano sbagliate…
Non so.
Sono ancora pensierosa e sto guardando un mobile quando mi sento osservata.
Alzo la testa ed incontro lo sguardo di Saro.
E’ in piedi nel vano della porta, ha i capelli sciolti e indossa una maglietta bianca, un paio di jeans.
E’ scalzo e anche lui come sua madre sembra estremamente smarrito, stanco.
Ha le occhiaie scure; forse è stato veramente malato.
Sembra così indifeso; è strano vederlo con i capelli sciolti come Sara ma vestito da maschio come Saro.
-          Ciao, come stai? – Cerco di riprendermi dallo stupore.
Sono così contenta di vederlo.
-          Sto bene, forse domani torno a scuola. –
Sembra non aver voglia di parlare, come se non avesse più la forza per fare nulla.
-          Ti ho portato i compiti! – Non sopporto questo silenzio fra di noi.
Gli porgo il fascio di carte con sopra il libro.
-          Grazie, ci aveva già pensato Stefano. – Prende il pacco in mano guardandomi – cos’è?
Arrossisco – io…io ho fatto una cosa molto cattiva… -
Mi guarda come se volesse scrutarmi dentro. Soppesa il pacchetto, si rende conto che la forma gli è stranamente familiare.
Poggia le carte sul mobile e apre la confezione.
E’ sorpreso ma non più di tanto.
-          Cosa è successo al mio? – Mi domanda con il suo solito autocontrollo.
Sa benissimo, s’immagina cosa io possa aver fatto, ma vuole sentirselo dire.
-          Perdonami…è stato uno scatto d’ira…volevo ferirti perché stavo così male…- cerco un po’ di comprensione nei suoi occhi color giada.
-          L’hai distrutto! – Constata amaramente. Guarda il libro nuovo e poi me lo porge.
Mi avvicino a lui; non si sposta ma i suoi occhi seguono ogni mio movimento.
-          L’ho distrutto perché ero infuriata. Sono un essere umano e perdo facilmente il controllo – spingo verso di lui il volume – come dovresti fare tu che a volte sembri un iceberg! -
Sobbalza.
-          Sembro un iceberg? – Ripete sconcertato.
E’ bastato così poco a colpirlo?
-          Certo, lo dicono anche le ragazze in classe! – Insisto vedendo che questo argomento sembra far presa su di lui – piaci a tutte, ma dopo quello che è successo a Sofia sono tutte amareggiate.
Sanno di esserti totalmente indifferenti. Tu non vuoi bene a nessuno! -
Ho esagerato e lui mi spinge contro il muro con una manata.
Non sembra ma è forte.
-          A te volevo bene, non ricordi di avermi respinto? – Mantiene la voce bassa, controllata.
Ma quanto ancora potrà reggere?
-          Ti ho respinto perché ero furiosa, ma ora sono qui…non ci vedi? – Esclamo ormai fuori controllo.
-          Sei qui…. – La sua mano si allunga a sfiorarmi i capelli - …sei qui per me o per Sara?
Sento uno strano brivido lungo tutto il corpo, forse perché il suo sguardo è così intenso.
Forse perché in questo momento da lui irradia qualcosa di molto forte, una strana aura.
Mi sento le gambe di gelatina.
-          Per entrambi, l’uno non può esistere senza l’altra…- le parole mi vengono spontanee, dal cuore.
- Mi piace Saro e sto bene con Sara; se solo potessero essere una sola persona sarebbe splendido…-
Il viso di Saro si riempie di una nuova strana luce, i suoi lineamenti si addolciscono. Lentamente il suo volto si avvicina al mio, posso sentire il suo respiro sulle mie guance, sulla pelle.
Mi guarda come se dovesse chiedermi il consenso, il permesso per avvicinare le sue labbra alle mie.
Gli vado incontro, forse non desideravo altro.
E’ un bacio così leggero, appena una sfiorarsi, poi entrambi ci ritraiamo scossi, scossi dall’intensità di quel lieve contatto.
Mi perdo nei suoi occhi, mi sembra di guardare nella sua anima.
Sembrava non aspettare altro.
-          Olga…- la sua mano mi sfiora il viso, una carezza così leggera, come se si stesse rendendo conto della mia presenza.
Forse non ha mai toccato nessuno a questo modo.
Non mi muovo, lo lascio fare; ho paura che qualsiasi cosa possa allontanarlo da me.
E’ per questo che sono giunta fino a qui?
E’ l’amore di Saro quello che cerco?
Non ho risposta alle mie domande.
Lui mi guarda come se mi vedesse per la prima volta, le sue carezze leggere sembrano esplorare il mio corpo, non sono audaci, solo leggeri sfioramenti.
Perché con Sofia no e con me sì?
Cosa è scattato fra noi due?
Forse è perché io conosco Sara, perché la accetto!
Ma la accetto veramente?
Veramente desidero un ragazzo che ama travestirsi?
Che persona è questa che vive due vite?
Lo guardo, guardo il suo bel volto ovale, le sue labbra : non m’ero mai accorta di quanto fossero belle, il labbro superiore così curvato, quello inferiore pieno.
Improvvisamente mi prende per mano spezzando il filo dei miei pensieri.
-          Olga, a cosa pensavi mentre ti carezzavo? Cosa sentivi? – Mi domanda dolcemente. Il volto è trasfigurato, non sembra più l’anima smarrita che pochi minuti fa mi è apparsa nel vano della porta.
-          Pensavo a te, cercavo di capire cosa provo per te, se veramente ti accetto per quello che tu sei…- rispondo allungando una mano verso il suo viso.
Si scansa - …e qual è la risposta? –
Non so cosa rispondergli perché non è chiaro neanche a me cosa desidero, cosa voglio da lui, da lei.
Cos’è veramente Saro?
Un omosessuale, un travestito, un bisessuale?
Non ci capisco niente di queste cose, di queste…come le chiamano..perversioni sessuali?
Allora lui è perverso?
Lo ha detto lui di essere un pervertito; quindi è perverso?
Ma è una cosa cattiva?
Una cosa volontaria?
E’ una malattia?
Sono così confusa.
Mi guarda e vedo l’oscurità offuscargli i lineamenti, come se qualcuno avesse cancellato ogni luce nel suo volto.
-          ….non lo so, non so niente di te…- di nuovo cerco di avvicinarmi, ma vedo che si è irrigidito, quasi allontanato fisicamente da me - …è difficile riuscire a capirti…
Si volta bruscamente.
Riesco a poggiargli una mano sulla spalla; si irrigidisce più di quanto già non sia - ….però…però …io ti voglio bene…di questo sono sicura…- cerco di assumere un tono sicuro, quasi spavaldo.
Evidentemente funziona perché improvvisamente sembra più tranquillo.
E’ solo una sensazione visto che mi volta le spalle.
-          Vai a casa, - mi dice con il suo solito tono di voce - …per favore…
Possibile che debba sempre mantenere il controllo della situazione.
E’ questo particolare a farmi arrabbiare; non ci sono abbastanza casini senza che lui si metta a fare il duro?
Si veste da donna e poi si comporta da vero maschio.
Ma sarà confuso questo qui?
Lo afferro con entrambe le mani per un braccio facendolo voltare; ha il viso bagnato di lacrime.
Mi da’ uno sguardo da gelarmi il sangue, adesso sì che è infuriato.
Con il dorso della mano si asciuga rabbiosamente gli occhi - …la cosa che tu sai far meglio è ferire le persone! -
Il mio cuore sembra fermarsi un attimo; le sue parole mi fanno star male.
Sto male perché le sento vere, sento che ha ragione, che ha colpito nel segno.
Mi avvento su di lui, sto piangendo anche io, di rabbia e dolore.
Quando si tratta di attaccare sono peggio di una tigre; riesce a fermare solo una mano, l’altra gli ha già graffiato il collo.
Il sangue sgorga sotto le mie unghie; è solo quello a farmi riprendere il controllo.
Mi tiene ferma, i suoi gelidi occhi verdi mi penetrano l’anima.
Alla faccia del volersi bene.
Sembra un incontro di lotta.
Pian piano sento la rabbia attenuarsi; lui non mi permette nessun movimento, eppure non mi fa male.
Alla fine mi lascia andare.
Ci guardiamo in attesa di qualcosa, di una parola.
Se dipendesse da me, me ne andrei sbattendo la porta, ma comincio a conoscere Saro; comportarsi così significa perderlo.
Io non voglio perderlo.
Non voglio andarmene.
Cerco di calmarmi.
-          ….mi …dispiace….- indico i graffi rossi sul suo collo. Non ci sono certo andata leggera.
Curiosamente il suo volto si distende, sorride - …tu non sei una femmina, sei una tigre selvaggia…ferisci con le parole e con gli artigli…
-          …e tu sei un dannato iceberg….- mi avvicino a lui con aria battagliera - …ti vesti da femmina e ti comporti come il più duro degli uomini!
Poi dici che uno si confonde…io non ci capisco niente con te! -
Scoppia a ridere, un riso sincero come quelli di Sara.
-          Siamo una bella coppia! – Mi tende la mano, ha un bel coraggio!
Lo guardo un po’ in tralice, ma poi la prendo; stringo la sua mano così sottile e così forte.
-          ….io sono come sono….- i suoi occhi sono più dolci - …perché vuoi classificarmi, darmi una collocazione? Non ti piaccio come sono? –
Sono stupita, stupita dalla semplicità delle sue parole, dalla chiarezza del suo pensiero.
Sono stupita da lui, dalla sua incredibile personalità, dal suo modo di essere…
Sono stupita.
A questa domanda so rispondere, di questo sono certa…
Non ho dubbi, e se ne avevo adesso non ne ho più.
Sono sicura!
Per questo gli butto le braccia al collo - …mi piaci? …certo che mi piaci…-
Lui mi stringe a sé, poggia la testa nell’incavo del mio collo.
Mi sento così bene….
 
 
 
 
 

Roma 03/04/02 20.32

 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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