Distretto 4. Bagno nel mare. Corsa a casa. Capelli legati, abito buono. Piano in piazza. Sangue, solo una goccia. In fila con altre mille, ma io non sono una delle tante quattordicenni nel gruppo. No.
Cammino verso il palco spavalda. Nessuno mi ha chiamata, ma sono già lassù. Per la gloria, per l'orgoglio. Ora anche per la vita. Con la speranza di trovare un arco affermo il mio nome come una certezza, qualcosa che niente potrà cambiare, che non morirà. Non guardo neanche in faccia il mio compagno. E' tutta la vita che mi alleno per questo, che i miei geniori mi costringono a passare i pomeriggi in accademia. Non una volta a pescare. Non una volta a correre. Mai a casa di una delle poche amiche che avevo. Un inferno, una prigionia. Ma vincerò, non ci sono altre alternative plausibili.


5...
4...
3...
2...
1...
 Corro verso l'arma che mi salverà. E' come se i piedi fossero i motori di un aereo, dotati anche di ali. Arrivo. Prendo una freccia. Il tempo di incoccarla e l'ho già scoccata. Sono la prima assassina, e un morto è già mio. Ci apparteniamo, è reciproco. Avanti così. Due, tre, quattro, cinque... Cinque ragazzi già mi appartengono. Vincerò, ne sono certa. Nessuno avrà il coraggio di provare a toccarmi, perchè, con spada e arco, sarebbe già fuori. E nessuno vorrebbe essere fuori. Ma lo saranno tutti e ventitrè, i miei avversari. Perchè quella viva sarò io. Per qualcuno mi dispiacerà, ma sopravviverò.
 Sembra tutto semplice. Lascia la corda e il cannone suonerà. Siamo solo tre favorite, ormai. Tutte femmine, tutte unite. Oserei deinirle 'amiche', se non fosse che non ne ho mai avute e non so che vuol dire.


 -Tributi, ormai siete solo otto. E... domani ci sarà un festino! Vi aspettiamo, se volete.-
 - Vado io. Prenderò tutti i vostri zaini. - Annuiscono. Mi abbracciano l'ultima volta e mi lasciano andare. Corro veloce alla Cornucopia. Arrivo e aspetto. Compare il tavolo. A breve ci saranno anche le vittime. La ragazza del 12 mi coglie alla sprovvista, ma quella dell'8 no. La prendo nello stomaco. Hanno preso due zaini, ora tre toccano a me. Stessa sensazione del bagno di sangue. Uno, due...BOOM!
 Il terzo zaino esplode al contatto, aprendomi il cranio facendo uscire parte del cervello, sfigurando il viso che tanto amavo e tanto odiavo. Alice è appostata là dietro, Marika anche. Mi vedono, e io vedo loro. Le lacrime, i singhiozzi spasmodici della prima e la seconda che prova a consolarla, dicendo che non vorrei facesse così. Prendono dei fiori, cercando di mimetizzare l'orrore costituito dal mio volto.
Ed è ora che me ne rendo conto.
 

Sembra ieri, ma ormai è oggi. E il mio nome è solo un ricordo lontano per me, ma vicino per altri. Non ho sentito il cannone. Ma lo capisco. Sono morta, è palpabie, percettibile. Uccisa da un qualcosa che neanche doveva essere mio. Non esisto più, ma qualcuno mi sta piangendo. La mia compagna dell'1 vincerà. E io no. Accecata dalla vittoria, persuasa dalla ricchezza. Solo ora so di essere davvero libera. Volevo vivere per questo, per essere una cosa che non sono mai stata. Ma ora lo sono più che mai. E lo dedico ai miei genitori, che mi hanno spinta a fare ciò che non ero. E a mio fratello, che purtroppo non c'entra, ma vorrei non mi piangesse troppo. Vorrei sapesse che sono felice, che non voglio faccia così.

 Non sarei mai potuta esserlo, ma ora sì. Per questo i miei Hunger Games mi sono serviti:
per capire che la morte è la giusta via per il cielo.