Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: neverwhere    21/03/2007    1 recensioni
Questa storia si ispira ai fatti accaduti a un mio personaggio del gioco di ruolo Vampiri: la Masquerade durante l'ultima avventura, durante la quale ha dovuto infiltrarsi nelle file nemiche per portare al suo "datore di lavoro" la testa del loro capo... salvo scoprire che egli altro non è che il suo amnte!
Genere: Romantico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alcuni chiarimenti per chi non conosca il gioco: nell'amientazione, i vampiri sono suddivisi in due fazioni principali, Camarilla e Sabbat. Mentre gli appartenenti alla Camarilla danno la massima importanza al non farsi scoprire dagli esseri umani, limitando e contenendo quindi la violenza di molti vampiri, soprattutto giovani. Per contro, gli appartenenti al sabbat sono violenti, selvaggi, vedono gli esseri umani come nutrimento e nulla più e non esitano a farsi riconoscere da essi come vampiri. A prescindere dalla fazione, ogni vampiro appartiene a un clan, ognuno con le sue caratteristiche e poteri [es: controllare gli animali, ammaliare o comanandare gli umani, velocità e forza sovrannaturali]. Il mio personaggio appartiene al clan salubri, gli unici veri vampiri "buoni", in grado di curare ferite fisiche o mentali e addirittura di far raggiungere ad altri vampiri la Golconda, una specie di Nirvana che segna l'illuminazione e l'uscita dalla condizione di dannato. assieme ai suoi compagni ha dovuto infiltrarsi nel Sabbat, andando incontro a diverse spiacevoli scoperte...

Il tuo rosso, rosso sangue

"Avresti potuto dirmelo! Per tutto questo tempo...!" Parole sputate astiosamente, ognuna di esse una frustata diretta al mio interlocutore.

Un gesto elegante con la mano affusolata, come a deviare le mie parole d’odio da sé con noncuranza, ed una risposta niente affatto diversa da quel che mi attendevo: "Se non ti fossi unita al Sabbat, non l’avresti mai scoperto.. E a che scopo farti soffrire? Perché darti un motivo per dubitare di me, del mio amore?"

Mi prende il viso tra le mani, un gesto di una delicatezza e dolcezza che cozzano brutalmente con quanto ho visto poco fa. Lo osservo attentamente, questi lineamenti soavi che paiono rubati agli angeli... Ma v’è ben poco di angelico in lui, ora lo so. Bruscamente indietreggio per sottrarmi al suo tocco, e subito l’intero mio essere strilla di angoscia reclamando la sensazione delle sue mani sulla mia pelle, ancora e ancora...

Devo concentrarmi intensamente sugli avvenimenti della serata per resistere alla tentazione di avvicinarmi a lui, di accarezzare la sua pelle e lasciare che ancora una volta mi avvolga nel suo abbraccio freddo, l’unica cosa che sia mai riuscita a farmi sentire veramente bene da quando... da molto tempo.

Fisso i miei stivali rovinati per non doverlo fissare negli occhi. Assurdo, mi sto comportando come una bambinetta, ma credo che se alzassi lo sguardo non riuscirei a dire un’altra parola contro di lui. "Anche volendo tralasciare l’importanza della cosa, sussiste comunque una questione di principio."

Bene, sono riuscita ad infondere falsa sicurezza nelle mie parole quanto basta per riportare lo sguardo su di lui. "Hai mentito, e su una questione della massima importanza. Chi mi assicura che tu non abbia mentito ancora, ma soprattutto che non lo farai di nuovo?" Sento il mio volto storcersi in una smorfia a metà tra le lacrime e un sorriso amaro. "Io... noi Salubri siamo preziosi, non è vero? Con le nostre capacità di guarire e, mi è giunta voce, di uccidere.. Con la nostra sete di vendetta contro gli usurpatori, con le nostre potenzialità innate... E anche se non fosse per questo, siamo pochi, siamo una rarità da mostrare come si mostra il cagnolino di razza, non è vero?"

Non risponde, continua a fissarmi con uno sguardo comprensivo che è una specie di incoraggiamento ad andare avanti. Per una volta, la sua volontà è la mia. "Non è forse così?" grido con tutta la forza che ho in corpo "non è forse così?" ripeto, stavolta la voce troppo alta e tremula.

Crollo. Mi ritrovo seduta sul pavimento, singhiozzante come una bimba. Irritata tergo le lacrime con la mano. Fisso queste gocce scarlatte focalizzando il mio odio su di esse. Tutta la mia tragedia personale, la ragione per cui mi ritrovo ora in questa situazione, si può riassumere in queste poche insignificanti stille di liquido rosso. Le fisso, e ancora una volta desidero con tutta me stessa di poter vedere nient’altro che acqua e sale la prossima volta che piangerò.

Scoppiare a piangere è un errore, il peggiore. Mosso da quella che pare genuina preoccupazione, Adrian (Esteban dannazione, si chiama Esteban) s’inginocchia davanti a me, scosta sollecito i capelli dal mio viso. "Christine.. Christine, non intendevo farti stare male. Scusami, davvero." Parole semplici, ma che ottengono il loro effetto nonostante mi ripeta di non ascoltarle.

Altre gocce scarlatte. In modo ovattato, come da lontano, avverto il suo tocco gentile su una guancia mentre le asciuga. Non faccio nulla per impedirglielo, a che pro? Ed ecco il momento che attendevo e temevo. Come altre cento, mille volte mi stringe, tenendomi tra le sue braccia con dolcezza, come se fossi una cosa preziosa. "Andrà tutto bene amore mio, ti sarò sempre a fianco..." Avevo quasi scordato quanto suadente potesse essere la sua voce, come velluto nero e acque scure in cui lentamente sprofondare.

Sto per cedere, quando un’improvvisa ondata di rabbia mi spinge a scattare in piedi, sottraendomi al suo abbraccio. "Stà zitto!" Quasi non mi accordo di stare nuovamente urlando "Io.. Io.. non ho parole. Quello che ho visto poco fa, quello che hai fatto, contrasta talmente con quello che mi hai sempre lasciato vedere e sapere di te che ne sono disgustata! Per quanto ancora credevi di ingannarmi?"

Sospirando, si lascia scivolare contro il vecchio muro finché non è lui ad essere seduto. Lo osservo dall’alto e tutto in lui è bello e perfetto come al solito: i lunghissimi capelli neri, talmente scuri che nemmeno la luna piena riesce a trarne riflessi; la pelle candida tesa su ossa e muscoli a modellare lineamenti perfetti, gli occhi intensi che paiono volermi strappare l’anima dal petto. E ancora, la sua voce. "Ingannarti... Ti sbagli Christine, non ti ho mai ingannata. Ho.. omesso delle cose, è vero, cose importanti, ma perché non volevo allontanarti. Sui miei sentimenti non ho mai, mai mentito. E nemmeno il mio comportamento quando sono con te è una farsa, semplicemente" un sorriso, dolce e nel contempo feroce inframezza le sue parole "non ho motivo di essere gentile. Con gli altri. Per me loro non importano più di tanto, alla fin fine. Sì, il Sabbat, l’uguaglianza, tutte belle cose, ma nessuno di loro ha accesso al mio cuore christine. Solo tu, e solo tu puoi vedere questo lato di me."

Gli credo. Per quanto difficile, gli credo. In fondo, ho sempre voluto credergli, e speravo che questa discussione si concludesse con una riconferma, parole con cui sostenermi nei difficili giorni che verranno.

Come percependo i miei pensieri, pianta i suoi occhi nei miei. Lentamente, controllando ogni muscolo, si alza e mi afferra per le spalle in modo fermo. "Tu piuttosto, dimmi... Cosa porta una creatura pacifica come te qui, nel Sabbat? Non sarà forse un espediente di quei cani della Camarilla?" La voce di velluto s’inasprisce sulle ultime parole e il sospetto s’insinua nel suo sguardo. Abbasso il capo per sottrarmi a quell’accusa, poi con un imbarazzo nella voce che realmente provo rispondo "No, Esteban, ti sbagli, io..." "Continua a chiamarmi Adrian, ti prego. Adrian è quello che vorrei essere, Esteban quello che devo." Un tono quasi di supplica che non gli ho mai sentito mi fa credere che qualsiasi cosa gli dirò, ogni scusa sarà presa per buona. Almeno per ora.

Con maggiore sicurezza proseguo "Nel mio vagabondare mi è capitato di dare una mano ad alcuni Gangrel e li ho seguiti quando si sono riuniti al resto del loro gruppo.. Poi siamo stai presi in prova dal Boss, e quando ci ha proposto di.. cambiare bandiera diciamo, gli altri erano entusiasti e mi sono detta, perché no? Ho già visto che la Camarilla non fa per me, e ho pensato che qui avrei potuto trovare un posto... Ma mi sono accorta che sarà difficile" Una smorfia genuina di disgusto al ricordo delle scene sanguinarie a cui ho assistito nel giro di poche ore.

Torna ad abbracciarmi, sussurrando per confortarmi. "Sono sicuro che ce la farai, con la spada te la cavi ottimamente e anche in fatto di sopravvivenza.. I problemi sono altri però, capisco cosa intendi." Mi osserva per alcuni secondi, riflettendo. "Cosa ti ha spinta qua tra i demoni, piccola mia? Cosa ti hanno fatto per farti credere che qui avresti trovato pace? Ti fai degli scrupoli persino per ammazzare i ratti, come credi di sopravvivere qui, dove le uniche leggi sono quelle del più forte e del sangue versato? Ma non ti abbandonerò, non preoccuparti. E non piangere, piccola mia." Un altro sorriso, un po’ forzato stavolta. "Non è questo il modo in cui usiamo il sangue qua nel Sabbat."

Non so per quanto siamo rimasti lì in piedi, abbracciati, contenti l’uno della presenza e del conforto offerti dall’altro. Già, come farò? mi chiedo. Chiudo gli occhi pregando affinché qualcosa, qualcuno, mi dia la forza perché questo amore non si trasformi in odio, non ancora. E prego perché io attraversi la linea tra i due sentimenti quando dovrò impugnare la spada non per difenderlo, ma per prendere la sua vita. Prego per avere la forza di farlo, e che soprattutto tutto avvenga in modo che egli non sappia del mio tradimento. Non voglio che muoia con questo peso, desidero dargli un’ultima speranza da portare con sé all’altro mondo, se esiste.

Si prospettano notti davvero buie per me.
  
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