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Autore: Emily Kingston    06/09/2012    2 recensioni
"Non ti ho spezzato il cuore, vero?"
"I cuori selvaggi non possono essere spezzati."

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Una storia senza capo né coda, senza trama, oserei dire. Ci sono solo un suonatore di chitarra ed una ragazza dalle dita sporche d'inchiostro, e il suono incessante della marea.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Whispers

 
Il mare ruggiva arrabbiato, mentre il vento sospingeva le onde schiumose verso gli scogli. Poi le onde tornavano indietro, il mare se le inghiottiva di nuovo, e poi il vento le sospingeva verso le rocce ancora, ancora e ancora.
Quanto tempo era passato?
Un anno? Un mese? Un’ora?
Oppure la sua vita era già finita e lei l’aveva passata lì, su quello scoglio?
Dov’erano finiti i giorni?
C’era solo lei, con una vecchia penna in mano e dei fogli scarabocchiati sulle gambe. I capelli castani sugli occhi e la bocca increspata, in attesa di una nuova parola.
Forse si aspettava che fossero le onde dal mare a portarle le parole di cui aveva bisogno.
Per un attimo, mentre alzava lo sguardo dal suo lavoro per osservare la marea, Carolina pensò a sua madre. Era strano, non ci pensava mai, ma in quel momento le tornarono in mente le sue labbra rosse aperte in un sorriso. E poi quelle stesse labbra rosse, increspate dal pianto.
“Prometti una cosa,” le disse una sera d’inverno. La stufa sbuffava, indispettita, e le finestre sbattevano. “Quando sarai grande, scappa via.”
E Carolina era scappata via una notte d’estate, le stelle uniche testimoni della strada che aveva preso. Aveva mantenuto la sua promessa, dopotutto.
Con un sospiro riportò lo sguardo sui fogli scarabocchiati.
Erano passati tre anni da quando era andata via. Tre anni in cui aveva camminato di città in città, con uno zaino in spalla ed una penna Bic mangiucchiata. Tre anni in cui si era addormentata sussurrando tra sé le note di una canzone che non ricordava di aver mai imparato.
Un’altra onda s’infranse contro gli scogli e Carolina trovò le parole che stava cercando.
-
Rialzò lo sguardo verso le onde quando il sole era quasi tramontato.
Era assurdo che il tempo passasse così in fretta, quando rimaneva in compagnia della marea. Ma la marea era l’unica compagna che Carolina voleva avere.
La marea era l’unica cosa certa sulla quale avrebbe fatto affidamento. Perché la marea se ne andava, ma sapevi che tornava sempre.
“Ti piace il mare, bambina?”
“Non sono una bambina.”
Un ragazzo abbronzato, dai chiari occhi verdi si mise seduto accanto a lei. Teneva una chitarra sulle spalle e aveva le mani piene di calli e piccoli taglietti.
“Va bene,” ridacchiò il ragazzo. “Allora dimmi il tuo nome e ti chiamerò così.”
Carolina lo guardò e per un momento rimase affascinata dalla sua bellezza. Aveva un viso dolce, seppure inasprito dalla barba castana, e le sopracciglia folte accentuavano il chiarore dei suoi occhi.
“Carolina,” sussurrò, intimidita. “Mi chiamo Carolina.”
Il ragazzo sorrise.
“Ti piace il mare, Carolina?”
“È il migliore amico che ho,” confessò.
Il ragazzo sconosciuto si passò una mano tra i capelli, guardando la marea.
“E il tuo nome?” domandò Carolina, rinchiudendo tra i fogli che aveva sulle gambe le nuove parole che le onde le avevano portato.
“Jake,” rispose.
Carolina lo guardò con un sorriso.
“Quello vero,” disse. “Ce l’avrai un nome vero.”
“Ce l’ho,” ammise Jake, “ma non lo dico mai a nessuno.”
“Neanche a me?”
Jake le sorrise con beffarda allegria.
“Neanche a te.”
La ragazza scrisse qualcosa sui suoi fogli, poi alzò lo sguardo su di lui.
“Vorrà dire che lo scoprirò da sola.”
“Buona fortuna,” sussurrò, accarezzandole i capelli. “Bambina.”
-
Jake era il più bravo suonatore di chitarra che Carolina avesse mai sentito.
Si muoveva tra le note con una spensieratezza ed una familiarità tali che non riuscivi ad ascoltarlo senza sentire quello che sentiva lui.
Suonava per Carolina tutte le sere, sugli scogli vicino al mare. E Carolina scriveva, scriveva, finché le dita non le diventavano nere d’inchiostro.
“Sei una scrittrice?” le chiese Jake dopo qualche settimana.
“Creo parole e racconto storie,” rispose Carolina. “Se questo vuol dire che sono una scrittrice allora lo sono.”
Jake la guardò con un sorriso e riprese a suonare una delle tue canzoni.
“Parlami di te,” le chiese qualche ora dopo, con il naso rivolto verso le stelle.
“È una storia molto lunga,” lo avvertì, “sei sicuro di volerla sentire?”
“Sono un musicista, ascolto tutte le cose che hanno un suono. Perciò, voglio ascoltare la tua storia.”
Con un sorriso Carolina appoggiò i fogli tra le rocce e si stese accanto a lui.
“Me ne sono andata di casa tre anni fa e mio padre non l’ho mai conosciuto. Vivevo in un paesino nell’entroterra e mia madre… be’, lei faceva quel che poteva per mantenerci tutte e due.”
Jake attese in silenzio, ma non arrivarono altre parole, solo il ruggire delle onde.
“E poi? Non doveva essere una lunga storia?”
Carolina sorrise.
“È lunga perché tu mi stai chiedendo di spiegartela.”
A Jake scappò una risata che si perse tra le stelle.
“È Diego,” disse infine.
Carolina si voltò verso di lui.
“Il mio nome,” ripeté. “Il mio nome è Diego.”
Le labbra di Carolina s’incresparono all’insù, mentre si voltava verso di lui.
Visti da vicino i suoi occhi erano più verdi e più belli; gli accarezzò una guancia con un tocco delicato delle dita.
“Vuoi baciarmi per caso, bambina?” ridacchiò il ragazzo.
Carolina lo ignorò, annullando la distanza tra i loro volti. Le sue labbra sapevano delle note che amava tanto suonare.
“Non sono una bambina,” sussurrò, sorridendo nel buio.
-
Un treno sbuffava in lontananza e le persone camminavano in fretta tra i binari, trascinandosi dietro valige e bambini urlanti.
La chitarra di Diego era sulle sue spalle, mentre una delle sue mani accarezzava la guancia umida di Carolina.
“Hai pianto?” le chiese, toccando la pelle bagnata.
Carolina non rispose ed abbozzò un sorriso.
“Anche se l’avessi fatto ormai è passato,” disse dopo un po’.
Si alzò sulla punta dei piedi e gli baciò le labbra lentamente, appoggiandogli le mani sulle spalle.
“Fai buon viaggio,” gli augurò, osservando il treno che entrava in stazione.
Era un grosso treno moderno, elegante e pulito. Niente a che vedere sul catorcio che l’aveva portata via dalla città di sua madre.
“Non mi chiedi di restare?”
“Tu non resteresti e io farei solo la figura dell’idiota,” rispose Carolina. E sorrideva mentre parlava, anche se sapeva che Diego se ne stava andando via per sempre.
Lui era un musicista, doveva girare il mondo.
“Perché sorridi?” le chiese, accarezzandole le labbra arricciate.
“Devo piangere?”
“Non voglio che tu pianga, altrimenti finirei per restare davvero.”
Carolina lo guardò negli occhi, quegli occhi verdi che le avevano bloccato il respiro tante volte.
“È solo per la musica che te ne vai?” domandò.
“Non è per te che me ne vado, se lo stai chiedendo.”
Carolina scosse il capo.
“Ti sto chiedendo se scappi da qualcosa.”
Diego sorrise, passandole una mano tra i capelli.
Il treno si fermò alle loro spalle e furono investiti dai passeggeri che scendevano.
“Devo andare,” annunciò Diego, ma non si mosse. “Non ti ho spezzato il cuore, vero?”
Carolina sorrise, un sorriso così luminoso che avrebbe potuto scaldare ogni cosa.
“I cuori selvaggi non possono essere spezzati.”
Diego le baciò la fronte e le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi sparì tra la folla.
Carolina rimase ad osservare il treno che partiva e poi spariva tra i binari, correndo verso posti nei quali non era mai stata. Probabilmente, un giorno avrebbe rincontrato Diego. Forse lui sarebbe stato un musicista e lei una scrittrice, e forse avrebbe smesso di passare le giornate sugli scogli a guardare la marea.
Quando anche il fumo del treno si fu confuso con le nuvole, Carolina voltò le spalle ai binari ed uscì dalla stazione.
Tirò fuori dalle tasche dei jeans un paio di fogli di carta e guardò verso gli scogli. La marea la stava aspettando. 
   
 
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