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Autore: Hika86    08/09/2012    1 recensioni
Le piccole braccia di sua figlia gli cinsero il collo e il profumo del loro shampoo gli arrivò alle narici quando gli appoggiò la testa alla spalla. Conosceva quella stretta, gli era cara e gli trasmetteva tutta la fiducia che Kasaki aveva in lui: era il suo papà, il suo eroe. [frase tratta da "Acqua e Farina", questo è uno spin off di quella one Shot]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Satoshi Ohno
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ok, scusate questo è puro sclero °_°
Voglio dire, non ha alcun senso, ma questo è uno spin off di uno spin off (Acqua e Farina) di una fic (Tarareba. Nantoshitemo Arashi!) che ho scritto solo perchè ultimamente io e un'amica continuiamo a fangirlare come due imbecilli ripensando alla coppia OhnoxKasaki e dato che ho avuto l'ispirazione ho buttato giù questa cosa veloce. Non so cos'è. Non so è una oneshot e basta, quindi è finita qui, o se magari ne faccio seguire ancora, sempre episodi random (mi sa di sì sì). Boh.. ero solo ispirata! XD
Probabilmente di questa coppia non gliene frega niente a nessuno, tranne che a noi due povere svalvolate. Scusatemi, sono proprio fusa
Se qualcuno se lo chiedesse, questa breve scena è talmente slegata da "Tarareba" che potete leggervela senza spoilerarvi niente di quella ff.


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

Erano ormai le otto di sera. Che fine aveva fatto? Ormai si era stancata di disegnare, si era stancata dei cubi di legno e aveva già guardato le figure di due libri. Non è che non avrebbe potuto fare altro per ammazzare il tempo, semplicemente non voleva. Era stufa di stare lì, voleva tornare a casa!
«Kasaki chan!» chiamò il maestro comparendo sulla porta dell'aula. «Il tuo papà è arrivato» le annunciò con un sorriso. Ma c'era poco da sorridere.
La bambina raccolse il suo zainetto e con un gesto seccato se lo mise sulle spalle. Marciò fuori dall'aula e attraverso il corridoio raggiungendo l'entrata. «Kasaki chan, hai fatto la brava?» le chiese il suo papà, in piedi nell'ingresso dell'asilo
«Sì, è stata bravissima. Abbiamo sfogliato due libri» rispose per lei il maestro
«Mi scusi per il ritardo» diceva costernato. Lei intanto aveva preso le scarpe dal loro vano e le aveva messe al posto delle uwabaki*, si era rassettata i pantaloncini, messa la giacca ed era scesa dal gradino dell'ingresso, pronta ad andarsene. Il tutto senza pronunciare una sillaba.
Il maestro e il suo papà si salutarono, lei mosse la mano verso il primo che era stato tanto gentile a rimanere con lei, ma si decise di non dire nulla al secondo perchè era troppo arrabbiata.
Era quasi inverno, faceva freddissimo. Con quel tempo doveva indossare una giacca pesante, la sciarpa e il cappellino anche se la lana le faceva pizzicava la pelle e si sarebbe grattata tutto il collo e la fronte, liberandosi di quei cosi fastidiosi.
«Il gatto ti ha morso la lingua?» domandò suo papà e lei non disse niente. «Sai che è maleducazione non rispondere?»insistette
«Sai che è maleducazione far aspettare una ragazza?» sbottò infine la bambina, stringendo le mani sulle cinghie dello zaino. Aveva ceduto subito e gli aveva rivolto la parola, ma non per questo l'avrebbe perdonato facilmente. «Allora sai parlare!» esclamò lui
«Non essere sciocco, parlavo stamattina»
«"Non essere sciocco, parlavo stamattina"» gli fece il verso lui a bassa voce, ridacchiando con le mani affondate nelle tasche e stringendosi nelle spalle. «Dove hai imparato a parlare così?»
«Non sono fatti tuoi» ribattè fermandosi e piantando i piedi a terra. «Tu non sei il mio papà! Il mio papà mi vuole bene e non mi lascia da sola all'asilo. Dove hai nascosto il mio vero papà?» strillò arrabbiata.
Satoshi si fermò a guardarla con gli occhi sgranati, poi improvvisamente assunse un espressione triste. «Pensi che non sia io?» domandò a bassa voce. Kasaki deglutì a fatica: cosa stava dicendo? Certo che era lui no? O magari era un impostore e lei lo aveva scoperto! Poi però dovette mordersi la lingua. Era vero, al suo papà quei discorsi non piacevano: quando le persone chiedevano se lei era sua sorella minore si faceva tutto serio e diceva piano, con voce ferma "E' mia figlia". Non gli piaceva che si mettesse in discussione quella cosa, proprio no. «Scusa» pigolò la bambina abbassando lo sguardo. «Però sono arrabbiata lo stesso» aggiunse dopo, riprendendo a camminare.
Impiegarono mezzora a raggiungere casa. Se si fosse fatta prendere in braccio o se avesse preso la mano del suo papà e gli avesse permesso di giocare alzandola in aria mentre lui correva, ci avrebbero messo di meno. Avrebbe voluto farlo, ma doveva essere arrabbiata.
Una volta davanti alla porta alzò lo sguardo verso il cielo rannuvolato: c'era odore di neve, aveva detto la maestra quella mattina. Chissà se nella notte sarebbe scesa e il giorno dopo, al suo risveglio, avrebbe trovato tutto bianco? Kasaki la neve non l'aveva mai vista. «Accidenti» sospirò il suo papà dopo qualche minuto passato a rovistare nello zaino e nelle tasche. «Mi sa che non ho le chiavi»
«Oggi i nonni uscivano» ricordò la bambina. Ritardatario e distratto! Avrebbero dovuto rimanere al freddo fino a tardi. E lei che aveva sognato il lettone e la sua coperta per tutte le tre ore precedenti, mentre attendeva che qualcuno la venisse a prendere. «Mi dispiace Kasaki chan, io...» farfugliò lui, ma non lo lasciò finire: si girò dandogli le spalle e incrociò le braccia, furibonda.
Rimasero in silenzio per molti minuti. Kasaki si incantò a guardare un lampione lontano che faceva luce ad intermittenza. Doveva essere difettoso. «Lo sai che non l'ho fatto apposta» disse d'improvviso il suo papà. La sua voce suonava molto vicina, infatti sbirciandolo con la coda dell'occhio notò che si era accucciato a terra, alle sue spalle. «Ho fatto tutto quello che potevo, ma così come Kasaki chan ogni tanto si occupa dei fiori della sua classe, oppure è incaricata di rimettere a posto i libri, anche io devo fare qualcosa per gli altri» le spiegò pacato. «Se Kasaki chan non svolgesse i suoi compiti in classe sarebbe trattata male, perché tutti devono fare qualcosa per il gruppo non possono lavorare solo alcuni. Anche per me è così»
«Ti tratterebbero male?» domandò la bambina, stupita
«Sì. Vuoi che mi trattino male?» e lei scosse il capo con forza. «Sono gentili sai? Sanno che io ho te e spesso mi lasciano andare via prima perchè sanno che mi aspetti, ma non può essere sempre così. Quando devo svolgere i miei compiti c'è la nonna che viene a prenderti, ma ogni tanto capiterà che anche lei non può. Se succede pensi di poter aspettare?» domandò dandole un colpetto sulla schiena con la spalla. «Puoi aspettare ogni tanto?» insistette
«Solo se arrivi all'asilo con un dolce e le chiavi di casa» gli concesse, poi lo sentì ridere. Era bello sentire il suo papà che rideva. Doveva essere stato in pensiero anche lei vedendo che si faceva tardi, se non si fosse sentito in colpa non avrebbe sprecato tanto fiato per spiegarsi.
«Hai freddo?» chiese lui vedendo che la bambina aveva cominciato a dondolare sul posto per muoversi e scaldarsi
«Un po'» ammise
«Dammi un braccio, forza» la incitò mettendosi con la schiena contro la sua. «Intrecciamoci... così. Dammi l'altro»
«Ah!» esclamò Kasaki capendo il gioco che voleva fare il suo papà. «Vincerò io, vincerò io!!» esclamò cominciando a spingere contro la sua schiena
«Oshikura manju**» cominciò a canticchiare lui, spingendo a sua volta. «Osarete nakuna. Oshikura manju, osarete nakuna»
«Oshikura manju» si unì la bambina ridendo mentre tentava di contrastare la spinta di un uomo più grande di lei. «Osarete nakuna!»
«Oshikura... oooh, stavo per cadere!»
«... manjuuu, osarete nakuna!» continuò imperterrita Kasaki.
I nonni sarebbero arrivati chissà a quale ora, ma almeno così loro due si sarebbero scaldati.

*Le uwabaki sono le scarpe da interno, si usano solo dentro agli edifici, mai fuori
**Oshikura manju è un gioco per bambini. Ci si mette tutti contro la schiena di tutti e cantando la filastrocca (Oshikura manju osarete nakuna = Oshikura manju non piangere anche se ti spingono) si spinge verso gli altri

  
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