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Autore: Medea00    08/09/2012    9 recensioni
Scritta per la Seblaine Week, una raccolta che ha come filo conduttore Blaine e Sebastian come coinquilini.
Day 1: Dalton
Day 2: Family
Day 3: Kink
Day 4: AU/Crossover
Day 5: Occasions
Day 6: Angst
Day 7: Fluff
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sebastian sapeva che quel giorno sarebbe stato un giorno particolare, se lo sentiva: come quando si svegliava con il ginocchio dolorante e voleva dire che stava per mettersi a piovere, oppure si voltava verso qualche ragazzo in facoltà e percepiva a chiare lettere il suo gay-radar lampeggiare. Semplicemente, ci sono giorni in cui ti alzi e sai che sta per succedere qualcosa, che devi tenerti pronto, che non sai bene cosa o come succederà, ma sai che metterà a dura prova ogni tua facoltà fisica e mentale.
Quindi, a rigor di logica, quella mattina fece colazione con molta calma, stando bene attento a non scottarsi o fracassare qualche piatto; stette ben lontano da coltelli accendini o oggetti pericolosi e si diresse verso la porta con passo felpato e calibrando ogni mossa; Blaine stava probabilmente dormendo oppure era uscito prima di lui, in ogni caso, era meglio non disturbarlo. Si incontravano di rado la mattina, e comunque erano certi di rivedersi per ora di cena.
La giornata, nonostante le aspettative, passò in fretta e senza problemi: i professori non lo considerarono più di tanto, a parte le classiche domande a cui rispondeva con superiorità e convinzione; i suoi colleghi erano docili come sempre, qualche matricola lo aveva importunato per chiedergli indicazioni, ma niente di più. Stava pian piano svanendo quel presagio negativo che lo aveva colto di mattina, e dentro di sè si dava dello stupido, perchè a ventidue anni ancora credeva a certe cose. Probabilmente aveva solo mangiato troppo la sera prima.
Quando arrivò nel suo appartamento, salutando perfino la sua vicina di casa, una ragazza innocua che studiava giurisprudenza, era perfettamente certo che ormai la giornata fosse giunta al termine, e il pericolo era scampato.
Ma non aveva considerato una cosa. Una cosa a cui avrebbe dovuto pensare subito, ma che, di fatto, ogni volta dimenticava, perchè era insensibile, perchè era distratto o perchè, in parole semplici, non aveva mai concepito l’idea di avere degli animali domestici.
E quando non appena aperta la porta vide Blaine con la vaschetta vuota in mano, i suoi occhi dorati che pungevano terribilmente desiderosi di piangere ogni lacrima possibile, il viso contratto in una smorfia, tutto ad un tratto sentì un pesante macigno posizionarsi sulla schiena.
“Remo è morto.”
Stava quasi per aprire bocca e fargli un sacco di domande ciniche, della serie, “Chi diavolo è Remo?” “Hai dato un nome a quei due cosi?” “Sei sicuro che non sia morto l’altro? Sai com’è, sono identici.”
Ma Blaine era troppo triste; sembrava distrutto, in realtà, e per un momento gli venne anche un po’ da ridere. Con il tatto elefantino di una giraffa zoppa inclinò la testa da un lato, e chiese: “E’ morto Nemo?”
“Si chiamava Remo. Era una tartaruga d’acqua, non un pesce rosso.”
“Nemo, Remo, che differenza fa. Di che è morto?”
E più andava avanti così, più il viso di Blaine impallidiva, mentre i suoi occhi restavano incollati alla vaschetta vuota, triste.
“Non lo so”, mormorò, con la voce spezzata e diventata un sussurro, “Romolo sta bene, quindi...”
“No no scusami aspetta un secondo.” Sebastian mise una mano avanti e un’altra sulla fronte, perchè non era sicuro di aver capito bene, non era sicuro di poter ridere a crepapelle fino a non avere più un’anima: “Hai chiamato le tue tartarughe d’acqua... Romolo e Remo?”
“... Volevo vedere chi moriva per primo e fondava Roma.”
Inutile dire che Sebastian non riuscì proprio a contenersi.
Blaine lo osservò per tutto il tempo non accennando a nessuna smorfia, restando paziente, silente, mentre il suo coinquilino faceva lo stronzo come suo solito e non capiva mai niente, non capiva quando ridere, quando essere serio, quando dargli un po’ di conforto perchè che cavolo. Lui si era affezionato a quelle tartarughe. Quando studiava gli facevano compagnia. Quando si annoiava le osservava giocare. Le aveva prese ad una fiera nell’Ohio, giusto una settimana prima di partire per New York: erano cresciute con lui. E adesso una di loro era scomparsa, come se fosse finito un capitolo della sua vita.
Sebastian poteva ridere quanto voleva, lui non lo trovava divertente. Certo, il nome magari aveva portato un po’ iella, ma non avrebbe mai pensato di affezionarsi così tanto a due tartarughine d’acqua; in realtà, adesso, con il suo coinquilino che lo stava palesemente prendendo in giro e una vaschetta vuota stretta tra le mani, cominciava a sentirsi davvero stupido.
“Sì, va bene, certo”, sussurrò, mentre qualche lacrima scappò dagli angoli degli occhi, andando a rigare le guance. Fu in quel momento che Sebastian si fermò di scatto e rimase in silenzio, fissandolo a lungo.
“Sono sempre il solito cretino che si affeziona come delle ragazzine. Vai pure a vivere la tua vita da sballo, io mi occupo di Romolo che è triste anche più di me.”
Detto quello, senza nemmeno degnare l’altro di uno sguardo, si voltò e si chiuse in bagno non lasciando nemmeno spazio per le repliche, accasciandosi contro al legno della porta: Romolo, con il suo guscio verde e blu, il suo collo rugoso e i suoi occhietti chiari, giaceva dentro la vasca, immobile, circondato solo da un sottile strato d’acqua che lo bagnava quanto necessario.
Era come se aveva perso la voglia di vivere; era come se fosse morto insieme al suo amico, compagno, chissà cos’erano lui e Remo.
“Non ti preoccupare”, sussurrò, tra una lacrima e l’altra che gli rendevano difficile perfino respirare, “Ci sono ancora io.”
Per un attimo s’illuse che la tartarughina lo stesse ascoltando: lo guardò per una lunga manciata di secondi, ma la sua espressione era, ovviamente, inflessibile. Tuttavia dentro di sè era convinto che anche gli animali sapessero parlare; tra di loro, magari, e che fossero istintivamente portati a legarsi a qualcosa.
Come Romolo si era legato a Remo, quando cercava di uscire dalla sua gabbietta arrampicandosi sull’altra tartarughina che gli faceva da appoggio: sorrise al solo pensiero, ma un attimo dopo si ritrovò a piangere ancora di più.
“Blaine.”
La voce ferma di Sebastian giunse alle sue orecchie quasi inaspettata, mentre sentiva una leggera pressione contro la porta.
“Blaine avanti, levati e fammi entrare.”
“No, lasciami stare, vattene via.” Era terribilmente arrabbiato con lui, perchè si era preso gioco dei suoi stupidi sentimenti.
“Blaine, per favore.” Esasperò quelle due ultime parole sperando che bastassero per farsi ascoltare; dopo mezzo minuto il peso che avvertiva schiacciato contro la porta scomparì, e lui l’aprì con molta delicatezza, sporgendo prima con la testa e poi con tutto il resto del corpo. Blaine era seduto accanto alla vasca, osservava con i suoi occhi arrossati la piccola tartarughina che sguazzava spensierata.
Per un momento, Sebastian preferì rimanere zitto, non rischiando di essere cacciato fuori a calci: si sedette accanto a lui e quasi sbuffò quando vide Blaine voltare la testa dalla parte opposta. Era davvero un bambino, in certi casi; era un bambino perchè piangeva per uno stupido animaletto ed era un bambino perchè se la prendeva per quello.
“Ce l’hai con me?” Domandò, quasi sarcastico, appena in tempo per sentire Blaine bisbigliare freddo un “No”.
Roteò gli occhi al cielo, emise un verso seccato e si passò una mano trai capelli, esausto: ecco perchè doveva starsene a letto quella mattina, e non affrontare per niente quella giornata.
“Andiamo Blaine”, il suo tono di voce stavolta era affrettato e seccato, “Ti rendi conto che stai piangendo per una cavolo di tartaruga? Guarda, perfino Remo è felice e gioca contenta.”
“E’ Romolo, idiota.”
“...Ah.”
L’aveva detto lui che erano uguali.
L’altro ragazzo, però, apparve ancora più infastidito e si alzò in piedi come per allontanarsi, ma lui reagì catturando subito il suo polso, alzandosi di rimando e costringendolo a voltarsi. Si guardarono: Blaine con i suoi occhi distrutti, così limpidi, così insopportabili alla vista di Sebastian. Non riusciva a credere che stesse davvero piangendo, semplicemente, perchè non sopportava vederlo piangere.
“Va bene.” Ammise infine, stringendosi nelle spalle, e sviando appena lo sguardo. “Va bene, mi dispiace. Non dovevo ridere di te. Hai il diritto di piangere per i tuoi animaletti, alla fine li conoscevi da tanto.”
Blaine non sembrò perdonarlo del tutto, ma i suoi muscoli persero un po’ di quella rigidità che lo aveva avvolto da un paio d’ore, ormai.
“Dov’è l’altra tartaruga?”
Indicò una piccola scatola appoggiata sul water, bianca, anonima.
“Hai già pensato a cosa farne?”
Blaine stava piano piano cominciando a sciogliersi di fronte a quelle piccole domande; fece di no con la testa, andando ad asciugarsi il volto umido con la manica della felpa. Lanciò un’occhiata a Sebastian, stava quasi per chiedergli a cosa stesse pensando quando lo sentì dire: “Il laghetto di quella proprietà privata vicino la periferia. Ti ricordi? Ci siamo capitati una volta per sbaglio, quando abbiamo sbagliato strada.”
Spalancò gli occhi, capendo solo un momento dopo il suo vero piano: “Vuoi lasciarla lì?”
Sebastian gli fece l’occhiolino, e sfoggiò uno di quei sorrisi impossibili da eliminare: “Merita un funerale nobile, era pur sempre un sangue blu, nonchè un membro della famiglia Smythe-Anderson.”
E Blaine voleva ridere, ci provò davvero, ma la sua mente era oscurata da pensieri troppo scuri, il suo corpo era ancora troppo scosso, e così invece di ridere si ritrovò di nuovo a piangere apparentemente senza motivo, stupendosi perfino di se stesso, ma non riusciva proprio a trattenersi. Tuttavia, provò un moto di calore lungo tutto il corpo quando sentì le braccia di Sebastian avvolgerlo in un abbraccio, appoggiando la testa contro la sua e sussurrandogli, dolcemente: “Ehi, dai. Non piangi così tanto nemmeno quando vedi Grey’s Anatomy.”
“Non capisci proprio, non è vero?” Sbottò finalmente Blaine dopo chissà quanto tempo, strattonandosi, e divincolandosi dalla presa: “Potranno avere pure dei nomi stupidi, potranno pure essere delle cavolo di tartarughe... ma avevano tre anni, proprio come noi, convivevano sotto lo stesso tetto, proprio come noi, e...”
Non riuscì a finire la frase, perchè altre lacrime ripresero a scorrere inesorabili. Ma a Sebastian bastò; Sebastian capì e, in quel momento, i suoi occhi si illuminarono per un secondo.
“Stai piangendo... perchè quelle tartarughe ti ricordano noi?”
Non ottenne risposta, lui continuava a piangere e oh, va bene, il suo cuore poteva anche aver perso un battito. Ma uno soltanto, perchè il fulcro della situazione rimaneva sempre lo stesso: “Blaine. Non sono noi. Noi non siamo loro. Non stiamo morendo e ehi, guardami.” Afferrò dolcemente il suo mento con una mano, mettendo un’altra sulla sua spalla: “Tu stai benissimo, e non morirai da un momento all’altro. Chiaro?”
Blaine sbattè le palpebre un paio di volte, confuso, ma almeno aveva smesso di piangere: “E perchè dovrei essere proprio io Remo?”
Sebastian fece un piccolo ghigno, e si avvicinò al suo volto con uno sguardo divertito, contento che il suo coinquilino avesse finalmente riacquistato il suo classico temperamento. Così poteva ritornare a prenderlo in giro.
“E te lo chiedi pure? Lo sappiamo tutti che, trai due, sarei sicuramente io a fondare Roma.”
 



***

Angolo di Fra

Rileggendo questa OS rido. Sì, rido perchè esattamente due giorni dopo averla scritta il mio pesce rosso di tre anni è morto. Si chiamava Romolo.
Io lipperlì ci sono rimasta come Blaine ma poi sentivo una vocina molto simile a quella di Sebastian che mi diceva "così impari a gufartela". Sono inquietata e divertita allo stesso tempo.
La prossima settimana rispondo a tutte le recensioni, intanto grazie! E la OS di domani la posterà LieveB per me.
Un bacione

Fra
   
 
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