Il rombo delle onde
le era nelle orecchie.
Non riusciva a
mandarlo via.
Eppure erano
approdati sulla terra ferma da settimane. Quel suono non si decideva ad
abbandonarla. Le ritornava dentro e la perseguitava. Non era possibile
scacciarlo. Era annidato lì e sembrava che più lei cercasse di rimandarlo
lontano, più questo si nascondeva nella sua mente per tornare a palesarsi
quando lei non lo pensava.
Era come se le onde
si stessero infrangendo nel suo cranio. E lei questo non lo poteva sopportare.
Il viaggio per mare era stato terribile, non le era mai capitato di odiare
qualcosa con così tanta veemenza. E non era stata colpa della compagnia, che
non era certo delle migliori, né della vista, in realtà quegli orizzonti vuoti
la rilassavano, il divertimento non era certo mancato. E allora cosa poteva
insinuarle un così grande astio? Quel continuo risuonare delle onde. Quel
rumore che sembrava potesse rapirla da un momento all’altro, farla sprofondare
negli abissi più irraggiungibili dell’oceano o forse del suo cuore.
Per questo l’arrivo
alla meta le aveva tolto un peso dal cuore. Si era sentita incredibilmente
alleggerita. Non aveva messo in conto che quell’incubo potesse seguitare a
starle alle calcagna come un cagnolino fedele.
La nuova patria da
abitare, le nuove occasioni da cogliere al volo e nuovi sogni da perseguire le
avevano fatto sperare in una nuova vita, una rinascita, una nuova storia da
scrivere. Ma quel rumore insistente la teneva attaccata al passato e lei invece
voleva lasciarselo alle spalle, lontano, là in quella casetta sul promontorio,
esattamente nel momento in cui chiudeva la porta si era ripromessa di non
pensare più a ciò che era stato, ma solo a ciò che le si prospettava davanti.
E come poteva
sperare di non ricordarlo se le onde che teneva chiuse con quel lucchetto
riuscivano ad evadere?
Le sentiva premere
per uscire, le ricacciava continuamente indietro. Doveva trovare al più presto
un posto dove stare e un lavoro. Doveva darsi da fare. Le onde che la seguivano
forse non l’avrebbero raggiunta se cominciava immediatamente a girare. Per
questo si ritrovò a leggere i giornali abbandonati nei parchi alla ricerca di
annunci che le potessero dare un aiuto o un’idea. Ogni tanto le onde tacevano
per qualche giorno e allora lei si illudeva di averle domate, di averle
seminate.
Ma tornavano a farsi
sentire più insistenti appena queste illusioni le si affacciavano alle soglie
della mente.
Aveva trovato un
lavoro, aveva trovato un letto da occupare e una stanza per lei. Aveva trovato
delle persone con cui condividere la sua vita, degli amici. Stava facendo
carriera, aveva chiuso definitivamente la porticina della casa sul promontorio.
Il mare si era
calmato.
Ma il passato non si
può abbandonare così facilmente.
E le onde tornarono,
feroci, spazzarono via quella vita non sua, quell’illusione nella quale si era
cacciata repentinamente appena ne aveva avuto l’opportunità.
Ora le onde erano
nel suo petto.
La chiamavano
aritmia.
Gli sforzi del
lavoro, la stanza umida che le era stata data dagli amici. Quelle onde
l’avevano spinta lì, e diventavano sempre più potenti e discontinue, le maree
non erano regolari.
Un giorno quel mare
si placò, ritornò liscio come l’olio...