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Autore: Maaandawho    08/09/2012    1 recensioni
È stato circa due anni e mezzo fa, ci siamo visti la prima volta in supermercato a New York. Io era andata a comprare i mie soliti
biscotti al cioccolato, non bastavano una settimana, per quanto ne vado matta, alla cassa davanti a me, c’era Jake. Lui aveva in mano due birre e un pacco di patatine, mi fece passare avanti fingendo di essersi appena ricordato di dover comprare qualche altra cosa. E sorridendo si allontanò. Io lo ringrazia mentre posavo la confezione sul nastro automatico e non mi resi conto che la cassiera aveva lasciato il resto sullo scontrino quando mi girai a guardarlo e mi accorsi che lui mi guardava, sorridendo, probabilmente alla mia espressione da bambina persa in un paese dei balocchi.
Se mi son convinta a pubblicarla è (soprattutto) grazie ad una mia amica, che mi convince sempre. Forse troppo sempre. E' la mia prima fanfic. Peaceandlove:B
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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È stato circa due anni e mezzo fa, ci siamo visti la prima volta in supermercato a New York. Io era andata a comprare i mie soliti

biscotti al cioccolato, non bastavano una settimana, per quanto ne vado matta, alla cassa davanti a me, c’era Jake. Lui aveva in mano due birre e un pacco di patatine, mi fece passare avanti fingendo di essersi appena ricordato di dover comprare qualche altra cosa. E sorridendo si allontanò. Io lo ringrazia mentre posavo la confezione sul nastro automatico e non mi resi conto che la cassiera aveva lasciato il resto sullo scontrino quando mi girai a guardarlo e mi accorsi che lui mi guardava, sorridendo, probabilmente alla mia espressione da bambina persa in un paese dei balocchi.

Dopo due tre mesi che cominciammo ad uscire, in pratica facevamo coppia fissa al botteghino del cinema, non ce ne lasciavamo perdere uno, cominciammo ad avvertire, sai quella cosa che ci si sente tra due persone quando stanno bene insieme.

E beh, uscimmo quella sera, chi se la dimentica, per andare ad un concerto di due- trecento persone di Noel Gallagher , e il concerto fu fantastico.

Usciti fuori, potevano essere le tre del mattino, stanchi morti, decidemmo di andare in uno di quei pub lungo la via aperti tutta la notte, quelli dove ti servono la cioccolata calda anche d'estate con la crostata di mirtilli, e prendemmo un cafè.

Prendemmo un po’ di fresco, ma era evidente che nessuno dei due quella sera aveva voglia di lasciare andare via l'altro, si era creata quella situazione, ed era altrettanto evidente che non potevo fare a meno di guardarlo e che forse lui, non poteva fare a meno di pensarmi.

 

Ci sedemmo in macchina, che erano le cinque meno cinque del mattino, e il sole cominciava già a far capolino tra le colline, e la luna a lasciare il cielo al sole e le stelle agli uccelli, fermammo la macchina, hai presente le auto strade di fuori New York?. Quelle che un tempo erano state sicuro luoghi di riposo per i chi veniva da lontano.
Non riuscimmo a non essere ammaliati da quella nuova giornata, da quel sole arancione che come non mai, adesso rischiarava la nostra giornata, o dovrei dire la nostra notte, perchè ci addormentammo sui sedili in pelle della sua auto, scaldati dal qui timidi raggi di sole,

Capirai, a questo punto, che oramai, beh, nessuno di noi lo aveva detto direttamente, ma c’era stato un momento, quando ci siamo guardati in viso, di aver capito di in un qualche modo tenere l’uno all’altro e appartenerci. In altri modi non saprei spiegarlo.

 

‘’And I've been saving

These last words for one last miracle

But now I'm not sure

I can't save you if

You don't let me

You just get me like I never

Been gotten bifore…’’


E quello non fu l'unico episodio in cui dormimmo insieme, certo da vestiti, nel salotto del mio appartamento.
Lui, se io dormivo ancora, scendeva al supermarket sotto casa, comprava il succo d'arancia, mi preparava i pancakes e mi lasciava un biglietto: "Ti ho preparato i pancakes, buona giornata, ti amo".


E se ne andava al lavoro.

Io passavo tutta la giornata a dipingere o scrivere, poi lo aspettavo sotto casa che tornava da lavorare e andavamo a mangiare una cosa al Mc, o in qualche ristorantino, fuori quartiere, dove la prima cosa che senti appena entrata è l'odore del cafè fatto come una volta e dei fiori di campo ancora bagnati.

Poi successe tutto così, strano, veloce, in maniera confusionaria e incomprensibile.

Stavamo passeggiando in un parco, quello di New York è grandissimo, è quello che si vede nei film dove i ragazzi e le ragazze vanno a correre per capirci, e da quel martedì di due anni fa, lui se ne andò, io me ne andai.

Ce ne andammo.


Non avremmo mai voluto lasciarci, mai.
Capimmo.
Capimmo che quello non era il tempo, ne il luogo, ne il modo.
Non era per me.
Non era per lui.
Non era per noi.
Non era New York.
Non era la California.
Non era Las Vegas, Chicago, o qualsiasi altro fottuto posto nel mondo.
Eravamo solo un’ ingenua ragazza, che non conosceva il saper amare.
Ed un ingenuo uomo che aveva creduto di saperlo fare.

Ti chiederai come mai, adesso, ci amiamo di nuovo?.
Sbagli dal principio, noi non abbiamo mai smesso di amarci.

 

In questi due anni, abbiamo continuato a vederci, a sentirci, a prendere i cafè in quel vecchio pub, ad andare al parco, ma sempre frenando quella voglia incontrollabile di stringerci tra le braccia dell'altro e lasciarci andare.
In una cosa eravamo campioni imbattibili. Nel fingere.
Lo facevamo bene.
Fingevamo che ciò che era stato non importava, contava il presente, quello che ora era lui, che ero io, che era la mia e la sua vita, che non importava ricordare i momenti passati insieme, non faceva più male, io ero troppo ragazza, lui troppo uomo, e questo non stava bene.
L'esserci lasciati era la decisione giusta, quella che prendono le persone consapevoli, dei limiti, delle paure, delle voglie.

Poi successe di nuovo, passarono altri due anni, le visite si fecero rare, così come le chiamate.
I ricordi non si sbiadirono, ma cominciarono a perdere di intensità.
Io ottenni una borsa di studio all'accademia delle arti, finalmente avevo un lavoro, ero indipendente e avevo ventitre anni, ero una donna.
Ero quella persona che non ero quattro anni prima, quell’ ostacolo che mi fece perdere una corsa.

Quella corsa.

Si dice che il treno del vero amore, passi una volta sola, che l'abbia perso da tempo.

Di lui neanche una notizia, una chiamata

Si dice però che del treno del vero amore, tu puoi trovare una      fermata, e io la trovai.

 

Si chiamava Matt, faceva i miei stessi corsi e ci eravamo conosciuti proprio a scuola, in mensa.
Era uno dei quei tipi abbastanza ordinari, era moro riccio con gli occhi color verde oliva, era un bravissimo ragazzo; erano quattro anni che non uscivo con una persona e ogni uscita da quel giorno in poi con Matt, non fecero che farmi ricordare e dimenticare quel treno mancato.
Mi sentii terribilmente in colpa, quando, presa dal desiderio di essere amata, lo baciai e gli feci credere di amarlo.
Cioè, almeno così credevo.
Erano diventati quegli spazi, quel monolocale, quei bar sottocasa, quelle uscite con Matt, così soffocanti, così soffocanti che mi non mi lasciarono decidere bene cosa fare.

Si quando devi prendere decisioni repentine, e di conseguenza, statisticamente, scegli quelle sbagliate.

 

Percorsi tutti i posti dove ero stata con Jake, ripercorrendo tutti i nostri gesti, il suo primo bacio, la sua prima carezza, i nostri primi discorsi da innamorati:-Io penserò a lavorare, tu a preparare i pancakes- mi disse un giorno che stavamo ritornando da una serata di concerto- “Non ci sarà bisogno di lavorare, vivremo in una casa su di un albero in un qualche bosco,tu ti procurerai il cibo, io penserò ad accudirti quando sarai a casa- gli risposi.
-Ci sto! Basta che mi lasci libera scelta sulla colazione, non so cucinare solo i pancakes! Ah, e lasciami procurare il cibo, come Tarzan nella foresta, aspetta mi ci vorrebbero un paio di liane e sarei perfetto...."



Non saprei dirti quanto camminai, poi mi fermai, e seduto sullo stessa panchina in cui vedemmo il tramonto quattro anni prima, era seduto un ragazzo.
Che più un uomo non sembrava.

Era bellissimo. Era come non lo avevo mai scordato.

 

Sinceramente, non saprei descrivere cosa provai in quel preciso momento in cui lo vidi.

Non provai niente che non potesse essere rabbia, desiderio, felicità, stupore, ma anche paura e delusione.
Non potevo sapere che avrei avuto quella sensazione di timore a rivederlo e rimasi delusa dal fatto che avevo creduto di dimenticarlo.
All' improvviso un tuono. Cominciò a piovere maledettamente.
A New York è così, piove sempre quando meno te lo aspetti, succede tutto quando meno te lo aspetti.
Restai in piedi alle sue spalle, lontano un cinque metri, sotto la pioggia, ero bagnata fradicia; neanche lui si mosse e non ricordo  quanto restammo immobili, persi nello stesso pensiero, ma in due menti diverse, in due corpi, adesso troppo uguali.

Indietreggiai, temendo un suo voltarsi, un mio salutare, un nostro parlarci. Non ero pronta.

Jake, si alzò dalla panchina e intraprese la strada davanti a se, senza voltarsi, senza vedermi.
Era quella stessa panchina, in cui ci promettemmo eterna amicizia, stringendoci il dito mignolo della mano, come due teneri bambini.

Pioveva. Ancora.

 

Poi, non ricordo bene come, lo seguii e lui accelerava il passo, e io a correre dietro, non sapevo cosa stessi facendo, sapevo solo che io volevo noi, come quattro anni fa.

Arrivatagli dietro, mi fermai:- Jake....
E allora si volse quel viso che per quattro anni e più era stato impresso nella mia mente, e che non se era andato, che non se ne era potuto andare...
:- Sapevo che tu c'eri.... me lo sentivo.
:- Jake- dissi con il viso bagnato da un misto di lacrime e pioggia-  Perchè non ti sei mai voltato?..
:- Perchè provo lo stesso che provi tu. E non volevo metterti in difficoltà, così come non lo vorresti tu, per me- disse abbassando la testa come per evitare i miei occhi che chiedevano lui.


Continuava a piovere, ma ormai quella pioggia stava lì a lavare via i nostri sensi di colpa, i nostri rammarichi e le nostre paure.
Stava lì ad innaffiare quello che non se ne era andato, ma che, come una pianta, non aveva smesso di crescere ma aveva perso un po’  di vitalità, di colore.

 

‘’So nice to see you face again

But tell me will this ever end?

Don't disappear… ‘’

 

Chiusi gli occhi, e senza desiderare altro, dimenticando la pioggia, il lavoro e Matt, mi lasciai andare a quella dolce armonia che, come una scintilla accende un fuoco, si stava accendendo tra noi.
Era come se non ci fossimo mai lasciati per quattro lunghi anni, eravamo stati insieme pur restando divisi.
Ebbi la sensazione di conoscerlo meglio di prima, di sentire la sua pelle più dura, come se avesse sofferto

Ebbi come l'impressione che lui mi aveva desiderato tutto questo tempo, ed ottenni la risposta quando mi baciò vigorosamente, prendendo la mia testa fra le sue fredde mani e guardandomi negli occhi, che prima aveva schivato, come a chiedere scusa.
Poi seguirono altri secondi come questi.
La pioggia non impediva affatto quello scambiarsi di attenzioni, anzi rendeva tutto magico e irreale.

Poi mi ricordai, ripresi coscienza, quasi ripresi quota.

Non era del tutto sbagliato quello che stavo facendo, era logico che io amavo Jake come nessun altro.

Era sbagliato il come lo stessi facendo.

A casa c'era Matt, che sicuramente aveva pensato a cucinare, a farmi trovare il solito mazzo di rose sul letto e i cioccolatini sotto il cuscino. 

Nello sconforto, mi strinsi ancora più forte a Jake e lui mi strinse più forte a se. Restammo così una vita.
Mi svegliai dal sogno, lasciai il mio desiderio e tornai di corsa, senza voltarmi, a casa, lasciando lui solo, sotto ancora la pioggia battente, solo col desiderio di avermi.

Arrivai a casa, Matt aveva lasciato un biglietto, insieme alle rose rosse: “Cara faccio tardi al lavoro, ho gli straordinari.
Queste sono le rose del mio amore per te, i cioccolatini sono al solito posto, sotto il tuo cuscino.
Puoi anche non aspettarmi, ti amo."

Non notai niente. Lessi il biglietto talmente veloce e con le lacrime agli occhi; tanto c'era scritto ogni sera la stessa cosa.
Mi tolsi i vestiti bagnati e mi infilai sotto la doccia calda. Ci restai una mezzora, litigando con ogni fibra del mio corpo dallo smettere di amare Jake, dal dolore di ferire i sentimenti di Matt, dalla tentazione di lasciare tutto e tornare nel parco da lui.

Non avevo voglia di tradire colui che per tanto tempo si era preso cura di me.

Potrà sembrare un' atteggiamento vigliacco e traditore, ma io non amavo Matt.

 

Almeno non ora che avevo la certezza di appartenere a qualcuno. Di appartenere a Jake.

 

Gli volevo bene, mi aveva aiutata in tante situazioni, quando ero stata triste e confusa mi aveva consolata, protetta, ci eravamo amati, di notte. Ma non sentivo adesso davvero il bisogno di lui. Avevo bisogno di un'altra persona. Nella mia testa il caos più totale.
In realtà, forse non avevo neanche tutto questa voglia di tradirlo.
In quel momento sotto la doccia, sentivo solo il bisogno delle mani di Jake sul mio corpo, tra i miei capelli e sulle mie labbra. niente più.

 

Così passarono circa tre giorni da quella sera di venerdì, io in cui io e Jake ci trovammo.
In quei giorni fui sempre così strana, almeno da come mi diceva Matt.
Al lavoro non combinai quasi niente, avevo così tanti progetti da finire  che non sarei mai riuscita a portare a termine se non fosse stato per l'amica migliore del mondo. Anne.
Io ed Anne, c'eravamo conosciute proprio lì al lavoro, lei era una nuova, era venuta dopo di me e il capo mi invito a mostrarle come funzionavano lì le cose, come rispettare i tempi delle consegne dei lavori. Pian piano abbiamo cominciato a capirci, a parlare male degli uomini, a prendere dei cafè insieme, trascorrere le pause pranzo a fare shopping e a cominciare a conoscere la sua vita, come lei, la mia.

 

Le avevo parlato di Jake, di Matt, dei miei sogni e lei del suo marito, del bambino che aspettava, non sapeva ancora se maschio o femmina, ma aveva già deciso i nomi Elliot o Lara  e del suo sogno di poter aiutare gli altri, di fondare un'associazione per aiutare le ragazze madri e i loro figli.
Devo dire che nonostante la sua giovane età, aveva quattro anni più di me, aveva già le idee chiare, un marito ed una famiglia. Era proprio il tipo di brava ragazza, responsabile e matura, ma ancora con quella voglia di fare e di divertirsi, nei limiti.
Tutta questa situazione, mi fece pensare a me, alla mia vita, che trascorrevo tra le solite cose, lavoro, casa, accademia.

Jake.

Avevo cercato di mettere in chiaro nella mia testa, tutto ciò di cui ero certa insieme alle scelte giuste e da un lato le cose di cui ero incerta, tra cui le scelte sbagliate.
Potrà sembrare stupido o banale, o che volete, ma alla fine rinunciai a quello che stavo facendo.
Sarebbe significato mettere ancora in gioco i miei sentimenti e quello delle persone a cui tenevo perchè Matt e Jake sarebbero stati da scrivere tutti e due nella colonna delle cose che ritenevo certe e allo stesso tempo delle cose che ritenevo incerte, in pratica Jake era stata la mia scelta sbagliata, ma che io ritenevo sicura, sicura che volessi lui, Matt era stata la mia scelta giusta, perchè era entrato nella mia vita come un angelo e mi aveva salvata, ma che io ritenevo non così importante.

Poi venne di nuovo il sabato e quella sera stessa, rapii Anne, per una pizza da sole. Avevo bisogno di confidarmi con lei.

Ci sedemmo un po’ lontano dagli altri tavoli del locale, perchè avevamo voglia di starcene da sole, sicure che quella sera in quel locale ci sarebbero state molte altre amiche, e di certo non avevamo voglia di farci scocciare.

:-Anne, le dissi, devo aver ordinato,.. aiutami ti prego!!
:- Che c'è, sputa il rospo, anche se forse ho già capito, ultimamente al lavoro non stai combinando niente di buono.. avanti..

 

:- Ecco, mi hai già capita
- Forza dai...

-Ti ricordi di Jake?
-Come dimenticarlo mi hai fatto una testa così...
- Eh, ecco non te l'ho ancora detto, l'altra settimana ci siamo visti, e beh, capisci...
- cioè... vi siete amati? Che ti ha detto?.
- Come la prima volta. Non abbiamo, chissà cosa detto... per quel lungo minuto ci siamo soltanto abbracciati e baciati tanto.
Poi sono scappata, adesso me ne pento.
- E perchè mai l'avresti fatto? Avevi l'occasione per rivederlo, stare con lui.
- Ho avuto semplicemente paura. Paura che potessi non scordarlo più, e fare qualche cazzata per restare con lui...
- Tipo….. lasciare Matt.
- Come diamine fai a capirmi!
- Siamo così uguali.
- Come faccio?
- Pensa.
-Pensato.
- Cosa vuoi fare.
- Mi dispiace da morire per Matt, è stato così speciale con me, mi ha aiutato in molto, non mi và di trattarlo come una pezza, capisci...
- E....
- Voglio Jake. Io lo amo.
- ...

-E mi dispiace da morire con Matt.
Con quale coraggio lo mollo così, con quale, quale motivazione gli do? Non posso.
- Piccola, il mondo è fatto così, entrano persone nella tua vita, che magari sono solo lì a tappare le perdite dal tuo cuore, ma non sono la chiusura definitiva, capisci?
Forse anche tu per Matt, lo sei. Magari dopo di te, lui troverà la persona della sua vita, o anche no, magari dovrà conoscere altre ragazze, stai certa che tu l'hai trovata.
-Ma come diamine faccio, non ho il coraggio ti giuro, non saprei cosa dire, gli spezzerei il cuore, sicuro, e non mi và neanche di non dirgli niente.
- Ti capisco, e ti confesso che capitò anche a me.
Ero alle superiori e lo lascia così di punto in bianco, per raggiungere il ragazzo dei miei sogni, l'uomo che mi aveva amata, poi portata sull'altare, adesso aspettiamo un figlio, e non mi pento di niente.

Fui patetica, se ci penso. Lo lasciai con un biglietto e me ne andai di casa.
Poi lo ritrovai molti anni dopo, ad un convegno. Ora lui è sposato, ha tre bellissime bambine, una moglie che lo ama e ricordammo quella buffa storia con un sorriso e con battute.


Finimmo la cena, la strinsi forte in un' abbraccio e andammo via.

 

La mattina successiva, avevo dentro quel non so cosa, quel nodo che mi diceva di andare da Jake.
Avevo quella voglia di rivederlo, di baciarlo, di dirgli quanto lo amavo, che volevo lui, che mi era mancato che era stato un errore, sicura in cuore che anche lui provava lo stesso.
Ma non lo feci, restai a casa, e scrissi una lettera a Matt:
" Ciao Matt, so che ti starai  chiedendo il motivo di questa lettera, il motivo del perchè il mio cassetto è vuoto, o perchè non c’è più la mia roba, i miei trucchi in bagno, o le mie scarpe sparse per la casa.
E penso che a questo punto avrai già capito.
Ti prego soltanto di perdonarmi, dimenticarmi e di ricominciare a vivere.
Spero solo che tu mi capisca.
Non sai quanto mi è costato farlo, per tutto il bene che ti ho voluto e ti vorrò.
In realtà, non sono neanche sicura di quello che sto facendo, di dove sto andando, ma ti prego solo di lasciarmelo fare e un giorno ti risponderò.
Ti prego perdonami ancora, grazie di tutto. Ti giuro, non saprei cosa avrei fatto senza di te, sei una persona fantastica non lo scordare mai.
Lasciami andare, sarà una nuova vita per tutti e due, vivi libero, ti prego. Grazie. Perdonami."

 

Ero riuscita a farmi dare da un amico di Jake, tramite una mia collega, il suo indirizzo. Era a mezz’ora di tram.
Per prima andai da Anne, lei mi aprì la porta:- Ti chiedo solo di tenera da te per un po’ la mia roba. Ho fatto quel che mi diceva il cuore. Ora vado da lui, non posso farne a meno. Grazie di tutto.
E scappai via.

 

Presi il tram, per andare ad ovest di N.Y.; e pareva un 'eternità quel viaggiare.
Scesi alla stazione, iniziai a correre.
Non sapevo neanche dove cazzo fosse quella strada, o dove diamine mi trovassi io. Corsi.
Chiesi in un bar, l’indirizzo, e mi precipitai di corda.
Ero quasi vicina.

Più mi avvicinavo, più sentivo come il cuore stava schizzando fuori dal petto, non per la corsa.

 

 

:- Quanto tempo ci hai messo.
:- I tram vanno molto lenti in questa città…
Finii la frase mentre mi soffocava dall'abbraccio.

Mi sollevò da terra e cominciammo a baciarci.

:- Ehi, calma, da adesso sarò tua.
:- Allora sarà una lunga eternità? Ce lo promettiamo?
Mai nella storia delle storie ci furono tanti baci, tanti abbracci di quel giorno.
Eravamo stati così distanti che non sarebbe bastato un'eternità appunto, per riprenderci il tempo perso.
Ci guardammo negli occhi, ci prendemmo le mani.
- Ti sei mai sentito come se una parte di te, per un periodo di tempo , sia atrofizzata dal dolore, e che non movendosi più, ti pesa?
Ho sentito così il cuore per quattro lunghi e dannati anni. Adesso che comincia a riprendere la corsa, mi sembra di morire. Sembra che acceleri sempre di più fino a farmi scoppiare.
:- Capisco perfettamente- gli dissi.
:- Ho cercato di soffocare quel dolore, frequentando altre donne, altri luoghi, mi sono trasferito qui. Lì tutto mi sapeva di te, di noi.
Mi sentivo soffocato, avevo paura di trovarti per strada e non riuscire a non pensarti, sono stato una merda.
:- Ti prego, scusa...

:-Ehi, scusa di cosa.

:- Ho sbagliato a lasciarti, mi sono lasciata trasportare del fatto che tu eri troppo perfetto per me. Eri un uomo, e io non sapevo cosa fare e...- mi interruppe.
:- Abbiamo sbagliato. Ma ora siamo qui a rimediare, no?- mi disse sempre abbracciandomi.
Seguirono lunghe pause fatti di baci e di carezze.
Seguì la notte.
Mai, come quella notte, il tempo si fermò, e parvero due, tre lunghissime notti.
D'altro canto avevamo quattro anni da recuperare. Ci accorgemmo quanto nonostante la lontananza fisica ci aveva divisi le nostre anime avevano pensato alle stesse cose.
Avevamo conservato gli stessi ricordi, le stesse speranze, gli stessi progetti e le stesse paure.
La prima persona che chiamai, la mattina seguente, fu Anne.
Il pomeriggio mi recai con Jake da lei, per prendere la mia roba e lei mi disse di come sapeva che io un giorno sarei appartenuta a lui.
Di come se lo sentiva. Le diedi ragione sul fatto delle persone tappa ferite, e della persone che ti riempiono il cuore.

Venni a sapere, mesi dopo, che Matt aveva ricevuto già da tempo quando stava con me, una lettera d'ammissione all'università della California, cosa che aveva sempre sognato, ma non aveva mai detto, per paura di lasciarmi. Che faccia ora della sua vita, non lo so.

 

 

Però, saprei rispondergli da che cosa scappavo quel giorno, quando gli scrissi quella stupida lettera, cosa cercavo e cosa avevo trovato.

Mi sentivo terribilmente più vecchia, ora qui, quei giorni di solitudine mi sembravano anni addietro. Ero felice; ero con Jake.




 

Post. Scriptum. Dopo aver iniziato a scrivere la storia, iniziata così per gioco, mi son lasciata ispirare dalla canzone ''Gotten (Ft. Adam Levine)'' di Slash dell'album: ' Slash featuring Myles Kennedy and The Conspirators' .

Le parole sembravano scritte di proposito per Jake:B

  
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