L’allarme si ripercosse
improvvisamente fra le pareti di pietra, metallo e legno della 147esima caserma
dell’esercito Imperiale accompagnate dal grido ‘evasione in atto!’ suscitò
agitazione fra i soldati presenti, e l’arrivo delle macchine trasportanti i due
cragmiti e la loro scorta aggiunse a questa inquietudine una nota di panico:
non era divertente ritrovarsi addosso gli occhi di imperiali in una situazione
simile.
- VOGLIO SAPERE COME DIAMINE CI
SONO RIUSCITI! - la voce acuta del Tenente colonnello teracnoide Emerald
Yerzek, resa ancor più stridente dall’agitazione, perforava come un trapano le
sensibili orecchie del sergente maggiore Christopher Jerg, costringendolo ad
incassare leggermente la testa. Non sopportava quel soggetto, ancor meno quella
sua indole isterica.
- Sono desolato, ma non ne abbiamo la più pallida idea, signore. Non sappiamo
da dove sono entrati, né come hanno fatto ad arrivare alla camera di controllo
della caserma. -
- TUTTO QUI QUELLO CHE HAI DA DIRE, PEZZO DI IDIOTA?! - il lombax trattenne un
sospiro.
- Abbiamo constatato che la
camera di controllo non è stata forzata, ma che i tecnici occupanti sono stati
uccisi, i tre codici relativi alla disattivazione dell’allarme della prigione
inseriti correttamente, ma loro controparte composta di quattro codici
inseribile dall’interno della camera di controllo della prigione era
incompleta. Ciò ha fatto scattare l’allarme. - non poté dare altra risposta:
non c’era nulla da dire. Era in corso un’evasione in piena regola, e nessuno si
era accorto di nulla prima d’allora.
Il teracnoide ringhiò, alzandosi dalla sedia.
- Siete un branco di incapaci! State facendo perdere la faccia agli alleati
dell’Impero! - ululò.
Assurdità, si disse Jerg, la faccia l’avevano persa da tempo.
- Potrei dirle di avere la situazione in mano, ma ciò corrisponderebbe ad una
menzogna. - osservò il soldato, col risultato di ritrovarsi piegato in avanti
dalla chela del suo superiore, il quale l’aveva strattonato verso di sé:
- Insubordinazione. - sibilò semplicemente. - Voglio tutti i soldati
all’attivo: occupate quella maledetta prigione e tappate ogni buco delle mura
esterne: non deve passare un granello di polvere da nessuna parte senza che io lo sappia! -.
A quell’ordine così conciso e minaccioso il sergente maggiore si limitò a
liberarsi della stretta e presentare il saluto. - Agli ordini! - e se ne andò,
a passo affrettato.
Le sue intenzioni erano effettivamente di eseguire l’ordine, ma non alla
lettera. C’erano altre predisposizioni da dare, provenienti da qualcuno ben più
autoritario del tenente colonnello.
Il suo passo frettoloso si ritrovò ad incrociare quello agitato di un soldato
semplice: l’ordine era elementare, la sua esecuzione ancor di più.
- Enrique, con me. - disse al giovane cazar.
All’arrivo della macchina trasportante i cragmiti un gruppetto di militari vi
corse incontro ad armi spianate:
- Signori, entrate, è pericoloso rimanere qui fuori - disse uno, sollecito.
Heanp non perse tempo: - Chi è la massima autorità in questo posto? - chiese
scendendo.
- Il colonnello Geoffrey Darkwood, signore. - rispose il soldato.
Il cragmita fece in piccolo esame di memoria: se non lo ingannava il colonnello
era attualmente a Teracnos, ovvero uno dei pianeti alleati più importanti e
vicini all’impero, richiamato ufficialmente a rispondere di non ricordava bene
cosa.
- E chi è l’attuale massima autorità? - riformulò la domanda.
- Il tenente colonnello Emerald Yerzek. Signore. - disse.
- Fatemi parlare con lui - rispose Heanp.
- Si signore. –
+
- Vedete di darvi una mossa a
rimuovere i cadaveri, disattivate l’allarme e mobilitate tutte le squadre
libere: dovete occupare prigione, sotterranei, mura, e la zona esterna alla
caserma nel perimetro più ampio possibile. La loro intenzione è di fuggire, e
non potranno farlo senza farsi notare. Individuateli e riempiteli di piombo: i
loro cadaveri dovranno essere così pesanti da doverli sollevare con un
montacarichi! – L'aprirsi improvviso della porta fece quasi sobbalzare il
teracnoide sulla sua stessa sedia oltre che i quattro capitani presenti. Yerzek
deglutì a vuoto nel veder entrare Heanp, Marcus e una piccola scorta di
soldati. Un veloce scambio di occhiate fra le due cariche più alte bastò a far
capire al cragmita quanto quell'allarme improvviso avesse preso l'intera
caserma contropiede, primo fra tutti il suo dirigente.
Yerzek fece cenno ai capitani di
andare a diffondere ed eseguire gli ordini, ma venne fermato dallo sguardo duro
di Heanp. Il teracnoide si irrigidì in un silenzio pavido, in attesa di un
cenno del suo superiore. Per un istante l’unico suono che regnò fu quello
prepotente della sirena di allarme.
- Gradirei una spiegazione dettagliata riguardo ciò che sta succedendo. -
chiese con tono pacato, avvicinandosi alla scrivania con le mani dietro alla
schiena.
- S… spiegazioni, signor generale? - ripeté come inebetito Yerzek, atterrito
dal gelo di quello sguardo.
- Una spiegazione del perché quest’allarme stia suonando, e delle esoteriche
voci riguardanti un omicidio appena commesso proprio qui, in seno alla caserma.
- la calma misurata che quella voce aveva continuato a mantenere fece sudare
freddo a Yerzek. Sentiva che la sua vita era finita.
L’ha sentito!
- Signor generale, è stata
l’attuazione di un piano efferato, studiato nei minimi dettagli, noi… -
cominciò, cercando di difendersi da quella accusa implicita.
- … Se fosse stato studiato nei minimi dettagli, il criminale Azimuth sarebbe
scomparso senza che neanche ce ne accorgessimo. - Lo interruppe con flemma
Heanp - Ma non sembra che questo piano rientri nella suddetta categoria,
altrimenti in questo momento noi due staremmo tranquillamente discutendo in
questo studio nel più completo silenzio, giusto? -
Yerzek deglutì nuovamente, pronto a sentire quella che si stava preannunciando
come la sua fine. Marcus sorrise sadicamente a quell’agitazione, Heanp si
rivolse ai capitani presenti: - Andate a diffondere gli ordini, che tutto venga
eseguito con la massima velocità e precisione. Ah, anzi, no. Aggiungete anche
questo: - Aggiunse, fermandoli: - Da questo momento fino al cessato allarme io,
Sindegar Heanp, Generale a quattro bolt dell’Esercito Imperiale Cragmita,
prendo il comando di questa caserma e di tutte le sue parti. –
I quattro capitani presentarono il saluto rigidamente, per poi correre a
diffondere gli ordini.
- Tornando al nostro discorso.. -
continuò il cragmita, dopo una breve riflessione - Tenente colonnello, avete
per caso un pianta della parte sotterranea della prigione? -
+
Scale. Lunghissime scale. Un
infinito serpente di pietra dai mille snodi, freddo e duro. Migliaia di gradini da scendere. Corridoi
illuminati da luci rossastre, numerosi quasi quanto quei gradini.
L’ululato della sirena, le grida dei detenuti.
Ratchet si fermò appoggiandosi con la schiena contro il muro, ansimando, la
pistola ormai scarica fra le mani.
Ai suoi piedi giacevano i corpi di quattro soldati, completamente immobili. Non
sapeva dire se li aveva uccisi o no. Con un brivido lungo la schiena considerò
l’ipotesi di averlo fatto.
Non è la prima volta.
Sentiva il cuore battere talmente forte da superare il suono della sirena,
nelle sue orecchie, il dolore che riprendeva a dilagare lungo le ferite del
corpo.
Già, le ferite…
Aveva preferito non chiedersi
come mai si era ritrovato con tutte quelle ferite addosso. La loro esistenza
era un mistero.
Ma la prepotenza con cui le sentiva era un dettaglio che non riusciva più ad
ignorare. Ora al dolore si era sommata la fatica, e Ratchet si rese conto solo
in quel momento di quanto fosse malconcio.
Avanti...
Inspirò, sentendo in torace percorso da diverse fitte, e cambiò il caricatore
della pistola. Si staccò dal muro, cercando un corridoio alla sua destra,
diretto alla successiva rampa. Si inoltrò nel buio, diretto verso i
sotterranei.
+
Nella camera di controllo si
susseguiva un continuo viavai di persone. Prendevano appunti dettagliati
riguardo allo stato dei cadaveri, li coprivano e li portavano via, ripulivano
il pavimento dal sangue. Si udiva un costante scalpiccio, accompagnato da
commenti sussurrati, provenienti principalmente dagli impiegati:
- Non riesco a credere che non se ne sia accorto nessuno. -
- Che vergogna, e queste sarebbero le forze imperiali? Li hanno ammazzati sotto
il loro stesso naso! -
- Porca miseria, ci passa più gente che in un bordello, e nessuno ha notato che
sette impiegati sono stati uccisi? -
- I colpevoli devono essere per forza ancora qui -
- Hei, qualcuno ha visto gente sospetta passare da queste parti? -
Vogliamo scherzare?…
Enrique sentiva il peso di quegli sguardi sulla nuca, tanto che non alzò
nemmeno gli occhi per sostenere quelli accusatori dei colleghi dei defunti. Si
era unito ad un gruppetto di soldati incaricato di ripulire la camera di
controllo e renderla utilizzabile il prima possibile, ed in quel momento era
chino su una delle quattro consolle, impegnato nella disattivazione degli
allarmi della prigione, l’attivazione dei sistemi di comunicazione veloce della
caserma, e lo sblocco delle torrette, in caso di attacco da parte di potenziali
alleati degli evasi. Quando la spia corrispondente all’attivazione di queste
ultime si accese e assunse un colore rossastro, la mano del cazar si spostò
innocentemente verso un tasto vicino che aveva la funzione di disattivare il
flusso di corrente elettrica che usualmente attraversava le sbarre della
prigione, corrispondente a due piccole spie di cui se ne accese solo una.
In verità, premere quel tasto era l’unico ordine ricevuto dal suo superiore.
Si, vogliamo decisamente scherzare, si ripeté scuro in volto.
+
Grida.
Abbiamo perso tempo.
Spari.
Abbiamo perso decisamente troppo tempo.
L’allarme che cessa di suonare, sostituito dai sibili dei proiettili.
…E questa prigione è un po’ troppo affollata.
- VOI, FERMI DOVE SIETE! - altre grida, sorprese e minacciose allo stesso
tempo.
Sacha fece in tempo a ributtarsi dietro al muro, evitando nuovamente di finire
crivellato. Kaden non si era nemmeno mosso dal suo nascondiglio, lasciando al
lombax bianco il compito di fare l’avanguardia.
- Attento. - fu il suo unico avvertimento di fronte all’azione avventata -
Stanno accorrendo con una velocità incredibile. Quasi quasi mi domando se i
nostri non se la siano data a gambe. - osservò poi. Dietro quella noncuranza
Alister scorse una malcelata preoccupazione, ma preferì non proferire verbo.
Sacha invece si limitò a spostare il suo sguardo malinconico sul suo capo, per
poi cavare dalla divisa un oggetto rotondo, di metallo color rame, con una
piccola levetta in cima. Alister lo vide strappare via la levetta e lanciarla
nel corridoio da quale ancora provenivano gli spari.
Una fiammata divampò assieme ad
un boato assordante e il pavimento sotto i loro piedi tremò. Una calma
inquietante sostituì le urla concitate dei soldati imperiali.
- Ora. - sussurrò appena Sacha,
sporgendosi a guardare attraverso il fumo, mentre Nencer, dietro di lui,
approfittava per cambiare posizione e avvicinarsi ulteriormente.
Erano riusciti finalmente a raggiungere il sesto sotterraneo, ma i minuti calcolati
per raggiungere la via di fuga erano ormai trascorsi da parecchio.
I soldati avevano mostrato una notevole capacità d’azione, ben maggiore di
quella che si era aspettato Kaden, eliminando o rendendo inoffensivi gli
intrusi individuati, ed ora si stavano organizzando per uno scontro accanito
contro gli evasori.
Se lo aspettavano, ovviamente. Scommetto che gli prudevano le mani da quando
Alister ha messo piede qui dentro.
Il lombax dal vello biondo li
osservava dal suo nascondiglio mentre accorrevano, si nascondevano dietro i
muri, sparavano attraverso il fumo. Provò a contarli: erano troppi per essere
solo di quel piano.
Probabilmente ci saranno anche i soldati provenienti dai piani più alti.
Secondo il protocollo della caserma, il soldati in servizio non dovevano né
potevano abbandonare il piano a loro assegnato sino alla fine del servizio di
guardia, e quell’azione di disubbidienza collettiva lo stava mettendo in
difficoltà. Eppure non sarebbe dovuto succedere nulla di tutto ciò.
Quell’allarme non avrebbe dovuto suonare.
Almeno ora abbiamo ciò che
vogliamo. Siamo comunque a metà strada.
Kaden si sporse sufficientemente da poter guardare: non erano affatto lontani
dalla via di fuga, bastava solo riuscire ad attraversare il piano, e
raggiungere la cella numero 46.
Sospirò, riprendendo il suo posto
dietro al muro e ricaricando la pistola, mentre il lombax bianco e il selker
scaricavano tutti i proiettili a disposizione su ogni nemico riuscissero ad
individuare attraverso il fumo.
E va bene.
Non potevano, non potevano assolutamente permettersi di perdere altro tempo né
sprecare altre munizioni.
A mali estremi…
Alister lo vide cavare dalla tasca un oggettino rettangolare, delle dimensioni
d’un accendino.
…estremi rimedi.
Un rombo assordante e ripetitivo li investì accompagnato da grida di sorpresa e
dolore ed una nube di detriti
e polvere. Nencer si gettò a terra con un grido, coprendosi la testa, con la
divisa completamente imbiancata, Sacha si ritirò bruscamente dalla sua
posizione, e Kaden sobbalzò nel vedersi sfiorato da un fascio di luce
rimbalzato contro il muro di fronte, che arrivò quasi a colpirgli l’orecchio.
- DANNAZIONE! - fece in tempo a rialzarsi ed impugnare la pistola che il rombo
cessò, improvviso così come era venuto, lasciando al suo posto solo vaghi
gemiti.
Poi, più nulla.
Dopo il pandemonio assordante causato dagli spari, il silenzio che seguì parve
assoluto.
Kaden si sporse appena da un muro
completamente crivellato: quell’attacco fulmineo, o qualunque cosa fosse stata,
aveva ridotto il corridoio da teatro di una sparatoria a un campo di battaglia,
con un’aria satura e nebbiosa, resa pungente dal fumo e dalla polvere, i muri
completamente irregolari crivellati da misteriosi colpi, e i corpi di numerosi
soldati riversi a terra, molti morti, qualcuno ancora gemente, in agonia.
Cosa…
Mosse un silenzioso passo allo scoperto, guardingo, osservandosi intorno pronto
a sparare ad ogni movimento sospetto.
Che diamine è stato?…
I buchi sul muro e le ferite sui cadaveri gli davano l’impressione che qualcuno
avesse sterminato i soldati sparandogli alle spalle con una torretta stalker,
dando vita ad una carneficina. Ma nonostante le evidenze, non vi erano torrette
stalker in quel piano, e qualunque cosa fosse stata a causare lo scempio, era
scomparsa.
Rassicurato a malapena da quel silenzio, si mosse verso la fine del corridoio,
verso il lato opposto della sala delle prigioni.
Il silenzio continuava a regnare, oppressivo.
Tarx e Alister lo seguivano altrettanto guardinghi, diversi passi indietro,
protetti da un’avanguardia composta dal lombax e dal selker.
Quel piano della prigione era deserto, l’unico rumore che il gruppo riusciva a
sentire era lo scricchiolio dei calcinacci sotto i loro piedi. Nencer non era
calmo: aveva le orecchie tese, lo sguardo che andava nervosamente da una parte
all’altra dei corridoi della prigione.
- E’ ancora qui. - disse agli altri, muovendo appena le labbra.
Kaden si aspettava quella reazione, e sapeva di cosa il selker stesse parlando.
Si riferiva a ciò che aveva neutralizzato il gruppo di soldati, e che
probabilmente stava cercando anche loro.
Ma l’aveva fatto per agevolare la loro fuga o semplicemente per avere il
piacere di freddarli personalmente?
Rallentò il passo, diretto verso la cella numero 46.
Si fermò, con le spalle appoggiate al muro, sapendo che la presenza percepita
da Nencer era esattamente li, dall’altra parte, nel corridoio.
- Non fate gli idioti. Venite fuori. - Alister sgranò gli occhi nell’udire
quella voce, Kaden invece ridusse i suoi a due fessure, abbassando la pistola.
No! il moto di Nencer fu l’unica apparente manifestazione di
preoccupazione verso il lombax biondo che uscì allo scoperto con le mani
alzate.
- Ho detto venite fuori. Tu e la tua allegra compagnia. - ripeté la
voce. I quattro rimasti dietro il muro udirono il sospiro rassegnato di Kaden,
seguito da un invito fatto con un tono quasi divertito: - Avanti, signori, è
maleducazione non presentarsi. -
Uscirono allo scoperto. Alister squadrò la figura che cercava di torreggiargli
davanti, armata di un enorme fucile che superava in larghezza la sua stessa
testa, di fattura ben diversa da quella delle armi che aveva visto da quando si
era risvegliato: somigliava terribilmente al tipo di armi a cui lui era
abituato a vedere. A imbracciare l’arma era un lombax dal vello biondo a
strisce castane, con indosso un cappotto rosso scuro sulla divisa color avorio
e rosso, ed un taglio ben visibile sulla guancia destra.
- Ratchet… - quel sibilo basso fu l’unica parola che gli uscì dalle labbra.
Il giovane li squadrava minacciosi, tenendoli sotto tiro. Kaden sorrideva, come
se intravedesse l’esitazione nello sguardo del suo simile.
- Sai, è un peccato. -
- Cosa è un peccato? -
- Che tu e noi ci troviamo insieme in una situazione così scomoda -
- Dici?… -
Sul volto del giovane lombax si delineò un sorriso spavaldo, che tuttavia ad
Alister parve forzato.
- Io la trovo un’ottima situazione, invece -
Kaden sorrise, mosse un passo, incurante della situazione di svantaggio e
dell’arma puntata contro.
Alister continuò a studiare sia l’enorme arma che il suo proprietario. Ma ormai
l’aveva capito, per quanto si rifiutasse ancora di crederci.
Quello non era un alleato.
- Voialtri… Credete veramente che l’impero di Tachyon possa crollare così? Con
un paio di bombe artigianali piazzate in qualche vecchio aerodromo di Reepor e
qualche governatore coloniale ucciso? Credete veramente di poter trasformare
Fastoon in un pianeta libero e felice con un po’ di ribellioni e degli
spargimenti di sangue? - sibilò il giovane lombax, a orecchie basse,
continuando a tenere il fucile puntato. Il sorriso divertito di Kaden non
accennò a sfumare, mentre si faceva, passo passo, sempre più vicino al giovane.
- Beh, sembra che tutto sommato
questa violenza gratuita serva a qualcosa. Riesce a far sentire i sudditi
ancora padroni del proprio destino. E chissà che un giorno non lo diventino
davvero. -
Ratchet percepì un brivido freddo di fronte a quella presenza possente, così
sicura delle proprie parole. Sentì freddo di fronte a quel sorriso di chi ha
perfetta coscienza di ciò che sta facendo e che non si fermerà di fronte a
nulla.
Ma aveva torto. Le sue non erano altro che illusioni.
- Non ce la faranno mai. Non hanno forza per reggersi in piedi da soli, e oltre
loro stessi non hanno che nemici. Oltre l’impero c’è solo la morte. -
- O forse è l’impero stesso la morte. Il nemico più grande. Quanti pianeti,
quante popolazioni, come la Terra e la Coalizione di Alpha Centauri, hanno
messo in gioco la loro stessa esistenza accogliendo ribelli imperiali? Lo sai
quanti per questo sono finiti in polvere spaziale?…. E lo sai come hanno
reagito tutti gli altri? -
Ratchet tacque, immobile. Conosceva la risposta.
- Sono diventati più forti, hanno stretto nuove alleanze. Hanno opposto una più
strenua resistenza. E ora hanno la forza di fare qualcosa di ben più grande che
offrire aiuto ai fuggiaschi. - Ratchet non replicò. Sapeva fin troppo bene che
le parole pronunciate dal suo nemico corrispondevano a verità. I nemici dell’impero
non si erano arresi, ben pochi avevano combattuto fra di loro. Tutti
indistintamente avevano trovato un modo per opporsi al nemico comune.
Fu però l’ultima frase a fargli quasi abbassare l’arma, fargli capire che lui,
e ciò che era diventato, non poteva alcunché:
- …E Tachyon non è in grado di reggere nulla, Ratchet. Nemmeno una millesima
parte del fardello ereditato dai suoi avi. Quest’impero crollerà ben prima
della mia morte. -
Quello che Kaden fece fu un passo
di troppo, sia verbalmente che fisicamente, e la reazione di Ratchet non fu mai
più diretta: un brusco passo indietro, quasi un salto, e lo scatto del dito,
pronto a crivellare di proiettili il nemico.
- FERM.. - Il giovane lombax non
ebbe il tempo materiale né di farsi sufficientemente indietro né di premere il
grilletto che sentì improvvisamente il terreno mancargli sotto i piedi, e un
contatto duro e freddo gli investì la faccia. Perse la presa sul fucile, come
se qualcosa gliel’avesse strappato con la forza.
Il giovane si ritrovò a terra,
improvvisamente disarmato, con il muso insanguinato e dolorante, e il nemico
che gli torreggiava davanti con un sorriso soddisfatto, il fucile in mano e il
pugno che aveva colpito ancora alzato.
Non si mosse, fissando Kaden
negli occhi, rendendosi conto che probabilmente stava per morire per mezzo di
quella stessa arma con cui l‘aveva minacciato.
Sentì un moto di frustrazione
salirgli dentro, nel rendersi conto della velocità con cui quel lombax era riuscito a
rovesciare la situazione, e con quanta facilità stava per ucciderlo.
Merda…
Ad un segno di Kaden, Sacha
oltrepassò il gruppo, diretto verso una delle celle. Si udirono due spari, il
cigolio delle sbarre, seguito da uno strano rumore di pietra spostata. Ratchet
indovinò che probabilmente era quella la loro via di fuga.
Kaden parve studiare il giovane
lombax a terra per un attimo prima di sorridere quasi con compassione:
- Sai, sono orgoglioso di te. -
- E perché? -
- Perché sei qui di fronte a me,
e non lì, nella caserma, a prendere ordini da quei vermi. Perché hai deciso di
andare avanti ed agire da solo, perché… - Quel sorriso si allargò, enigmatico,
a metà fra un sorriso complice ed un sorriso di scherno: - …Hai tentato di
fermarmi. -
Ad un cenno di Sacha i compagni
di Kaden oltrepassarono i due lombax, diretti verso la cella, lasciando il loro
capo indietro. - Sono felice, mio giovane amico. - mosse un passo oltre il suo
simile, sempre tenendolo sotto tiro - Sono felice di vedere che non hai ancora
dimenticato il tuo orgoglio di lombax. So che esso non è stato spento, che
brucia ancora sotto le ceneri.. Ma nonostante ciò, ti do un consiglio… -
- …Fai meglio a non intralciarci.
-
E scomparve oltre le sbarre della
cella, come inghiottito da un buco nero.
Ratchet si rialzò, con la mano a
coprirgli il naso sanguinante, imprecando.
Alla fine, ho solo perso
tempo.
E si avviò verso i piani più
bassi, in direzione della camera di controllo.
Perdonatemi, ma…
Alla fine ho
rimesso su solo i 4 capitoli che ho già pubblicato in precedenza, con qualche
modifica non grammaticale (gli orrori sono rimasti al loro posto eh…).
Attualmente sono leggermente bloccata sul quinto capitolo per vari motivi, ma
vi prometto che appena inciampo in qualche buona idea o trovo l’ispirazione
giusta non esiterò a rimettermi sulla tastiera.
Perdonatemi ancora
Silver.