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Autore: nightswimming    09/09/2012    5 recensioni
La performance perfetta, per il pubblico in assoluto più restio ad accontentarsi.
Il prologo al trucco di magia di Sherlock.
(Spoiler 2x03)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In ordine.
È tutto in ordine.
Ho parlato con chi dovevo parlare, ho dato le disposizioni che andavano date, ho preparato un piano. Anche se temo di dover ammettere che non è uno dei miei più brillanti.
Non tengo mai conto della mia variabile emotiva, sai, John. La calcolo con più cura possibile quando si tratta di altri, e spesso ne so prevedere il moto propulsore con sufficiente accuratezza: quanto e come i sentimenti influenzeranno le persone prima, dopo e durante le loro azioni, e i segni che questi sentimenti lasceranno sulla loro pelle. È come rilevare impronte digitali, John. Solo che lo faccio con la mia mente e non con le mie mani. E io mi fido decisamente più della mia mente.
Prendi questo momento. Tu dormi con la testa appoggiata alle braccia incrociate, e i meccanismi del mio intelletto filano a tutta velocità, oliati dal rischio, dal pericolo, persino dalla paura – ho paura, John, ed è una paura così sfaccettata, così complessa da capire – ho paura e la mia mente è affilata come un rasoio e pronta a colpire, a uccidere, ma le mie mani tremano. Devo tenerle occupate giocherellando con questa pallina: ho paura che mi distraggano, che mi facciano sentire, e non pensare. Ho paura di questa e di molte altre cose mentre ti guardo, ma la paura che ora detiene l’assoluta priorità di venire debellata è quella di non riuscire a fingere abbastanza bene da convincerti ad andartene.
I pianisti solevano immergere le mani nel ghiaccio prima di accingersi ad eseguire un pezzo particolarmente complicato. Io, ora, immergerei volentieri nel ghiaccio le mani, gli occhi, le labbra, tutto quello che tu riesci a vedere di me, tutto quello che potrebbe tradirmi. Immergerei nel ghiaccio il mio cuore, se riuscissi a trovarlo – perché c’è, da qualche parte. C’è.
Quando si dice che non tutti i mali vengono per nuocere: senza Moriarty, senza il suo genio maieutico, non sarei mai giunto a questa conclusione.
È una certezza del tutto nuova, questa, e non posso dire che sia confortante; è, al contrario, del tutto destabilizzante. E mi rende felice.
Dio, mi rende felice, e io non ho mai dato eccessivo peso alla felicità. Non l’ho mai desiderata, non mi è mai sembrato qualcosa di intrigante da ottenere. Ho sempre voluto avere successo, detenere la ragione, sentirmi superiore perché sapevo di essere superiore. Nient’altro. Non sapevo che farmene, di tutta questa decantata felicità – non avrei saputo come usarla. Credevo che la pienezza mi avrebbe tolto gli stimoli, che la serenità mi avrebbe impigrito il cervello, che preoccuparmi di mantenere in vita quel che mi rendeva felice avrebbe offerto il mio fianco ai nemici.
Mycroft mi aveva avvisato: tutto questo non è un vantaggio. Ma è da anni che non lo ascolto più, John, lo sai.
Avrei dovuto? Quel che succederà sul tetto fra pochi minuti mi darà la risposta.
In ogni caso, questa felicità che provo ora è dolceamara. Ho appena cominciato ad avvertirla, a corteggiarla, e già, a quanto pare, le devo dire addio. Ma non poteva che essere altrimenti. Questa nuova consapevolezza mi ha dato prova di essere un essere umano, ma io non sono, e non sarò mai,  un essere umano come tutti gli altri. So di per certo che i sentimenti che provo non sono comuni, non sono semplici, non hanno un polo negativo o polo positivo. Tirano in entrambe le direzioni. Sono fastidiosamente bifronti, incromprensibili, del tutto sconosciuti perché inesplorati. Sono un problema.
Il problema finale.
Vorrei aver pensato a voce alta. Mi avrebbe aiutato a fare chiarezza nei miei pensieri e mi avrebbe fatto piacere che tu avessi ascoltato queste mie considerazioni. Ma non c’è più tempo nemmeno per i rimpianti.
Ora svegliati, John.
 
“Sì, sono io”.
 
Ho la presunzione di credere di conoscerti ormai abbastanza bene. Ho pianificato tutto, come sempre, e so esattamente come reagirai a questa chiamata.
 
“Cosa?”
 
Confusione: sei appena uscito dal sonno. Incredulità. Accelerazione del battito cardiaco. Lievissimo shock.
Preoccupazione.
 
“Cos’è successo? Sta bene?”
 
Oh, sei un libro aperto, John. E sempre così appassionante da leggere.
 
“Oh, mio Dio…”
 
È tutto così facile. Noioso, quasi.
 
“Sì, arrivo subito”.
 
Finora sono stato un tenore che si schiarisce la voce; ma nessuno applaudirà mai una dimostrazione così meccanica e poco talentuosa.  Ora, è il momento di cantare.
La performance perfetta, per il pubblico in assoluto più restio ad accontentarsi.
 
“Chi era?”
“I paramedici”.
 
Una volta che si è cominciato, la sensazione che ti si propaga nelle vene non ti vorrebbe mai far smettere. È quello che mi tiene in vita. È quello che mi fa sentire la vita. È una droga migliore della cocaina, dello stupore negli occhi della gente, dei tuoi complimenti-
 
“Hanno sparato alla signora Hudson”.
“Cosa? Come?”
 
-è una dipendenza senza rischi di overdose, l’unica, e l’ho scoperta io - chi altro mai poteva portare alla luce qualcosa di talmente insostituibile e straordinario-
 
“Probabilmente uno degli assassini che sei riuscito ad attrarre”.
 
-solo uno stupido vorrebbe disintossicarsi da qualcosa di così perfetto-
 
“Gesù… Gesù”.
 
-e io sono tutto-
 
“Sta morendo, Sherlock”.
 
-tranne che-
 
“Andiamo”.
 
-uno stupido.
 
“Vai tu, io sono occupato”.
 
Sto andando col pilota automatico. Lo faccio spesso. Quasi mai, con te,  per cui spero di essere convincente a sufficienza – ho un disperato bisogno che tu mi creda, ora.
Sto andando col pilota automatico perché in realtà sto pensando ad altro. A una voglia. A un desiderio. A una speranza.
Mi dico che dovrei considerarlo stupido e pericoloso, questo impulso.
Mi ripeto che non è un vantaggio; me ne convinco.
Ma non basta.
 
“Occupato?...”
 
Non credermi, John. Non cascarci. Sei abbastanza intelligente per non farlo. Ricordati che nessuno è infallibile.
Nemmeno io.
 
“A riflettere. Ho bisogno di riflettere”.
 
Mi farebbe felice, se tu non mi credessi. Mi dimostrerebbe qualcosa – non so esattamente cosa, ma so che farebbe sprigionare qualche scintilla di calore in un cuore che ho talmente trascurato da averlo quasi lasciato morire di freddo.
 
“Hai bisogno di… Non ti importa niente di lei?”
 
Ma, come ho già detto, so che a questa neonata felicità devo rinunciare. So anche che questo sacrificio darà i suoi frutti ed è di quelli che mi interessa. Quelli sono il mio obiettivo.
E io sono pronto a fare qualunque cosa pur di raggiungere il mio obiettivo.
 
“Una volta hai quasi ammazzato uno perché l’ha toccata con un dito!”
 
Ecco. Ora ascolta bene. Questo è il pezzo di bravura che strapperà l’ovazione.
 
“È la mia padrona di casa”.
 
Ti chiedo solo una cosa, John. Pensa. Non lasciarti guidare dall’emozione del momento. Pensa a quello che sono; mi conosci al cento per cento. Me l’hai detto tu. Ed è vero. Hai tutti i dati a disposizione. Devi solo leggerli correttamente.
Pensa, John. Rendimi tutto più difficile. Lasciami ancora qualche minuto della tua compagnia, perché temo che non ne potrò più approfittare tanto presto.
 
“Sta morendo!”
 
Non così. Devi concentrarti di più. Puoi farcela. Non fare come gli altri, non farti trascinare dal gregge. La gente è stupida e maligna: tu non lo sei.
Pensa.
 
 
“Sei un robot!”
 
Pensa a me. John, pensa a me.
Ti prego.
Ti prego.
 
“Al diavolo”.
 
Variabile emotiva o meno, è la prima volta nella mia vita che imploro – due volte, qualcuno me l’aveva predetto – ed è la prima in cui mi rammarico di essere così ineccepibile.
 
“Al diavolo tutto questo. Rimani qui, sei vuoi. Da solo”.
 
Beh, almeno posso dire di esserci abituato.
 
Stare da solo è tutto quello che ho. Stare da solo mi protegge”.
 
Una mezza verità. Un’imprecisione. L’unica sbavatura di un piano che si è dimostrato, almeno finora, perfetto.
È vero che stare da solo mi protegge. L’ha sempre fatto. Ma questa è l’unica volta – l’unica, e la più importante – in cui proteggerà anche qualcun altro.
 
“No”.
 
Gli amici.
 
“Gli amici ti proteggono”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: la mia sindrome da stress post-Reichenbach mi ha fatto partorire questa… roba, non saprei come altro definirla. Penso che tutti quelli che scrivono in questo fandom capiscano quando dico che avevo bisogno di scriverla, al di là del mio giudizio critico su di essa. Quella puntata semplicemente ti scuote per le spalle e ti urla in faccia: “Finchè non arriverà la terza stagione non ce la farai mai a convivere con tutti questi feelings! Fanno male, eh?... Buttali fuori!”
Ed è quello che ho fatto. :D
Soprattutto col senno di poi, trovo questo penultimo dialogo fra Sherlock e John uno dei momenti più toccanti della serie (l’ultimo non lo nomino nemmeno; l’ultimo non ti tocca; ti prende a sprangate sul cuore) e la mimica facciale di Benedict Cumberbatch mentre pronuncia le battute particolarmente affascinante. Pensavo molto a lui come attore mentre scrivevo, e a quanto questo scambio sia davvero uno dei suoi più grandi pezzi di bravura. <3
Lascio libera interpretazione riguardo a questi “sentimenti” di Sherlock. Possono essere di pura amicizia o di qualcosa di più profondo, a piacere.
Ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno.
:***
 
P.S. Il titolo è omonimo di uno dei miei libri preferiti, scritto da Javier Marìas, ed è a sua volta una citazione del “Riccardo III” del buon vecchio Shakespeare.
 
   
 
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