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Autore: lilac    25/03/2007    20 recensioni
La bella stagione è alle porte. Bulma vorrebbe lasciarsi contagiare dalle giornate di sole e dall'aria primaverile carica di promesse, ma qualcosa non va...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I Personaggi, i luoghi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale di Dragon Ball, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.



La notte porta consiglio


La fine di una storia, comunque sia andata, è pur sempre l’inizio di un’altra storia…




Il sole stava per tramontare, le ombre degli alberi avevano scandito il tempo per tutto il pomeriggio allungandosi sul prato, avrebbero concesso al massimo un’ora scarsa di luce ancora, il cielo cominciava già a tingersi di rosso. Era stata una bella idea lavorare all’aperto quel giorno. Non faceva ancora troppo caldo, anzi l’aria era piacevolmente frizzante e cominciava a sentirsi quella promessa di bella stagione tutto intorno, di giornate tiepide e assolate, e di profumo di fiori. E dio solo sapeva quanto bisogno aveva in quel momento anche solo di un qualcosa di buono da aspettare. Quel pomeriggio era volato, era riuscita a concentrarsi sul lavoro e Trunks era stato un angioletto, non aveva fatto neanche un capriccio.
Bulma cominciò a radunare i fogli sparsi sul prato. Li esaminò uno per uno velocemente, come ordinando mentalmente anche i suoi pensieri in un ultimo ripasso. Depose i fogli in una cartellina e si fermò un istante ad osservare il bambino seduto vicino a lei, che con la stessa meticolosità ordinava i blocchi colorati e gli animali di pezza in altrettanto astruse combinazioni geometriche. Sorrise al pensiero che tutto quello potesse avere una sua logica; per un attimo si trovò ad immaginare quale intento ci fosse nell’accostare il triangolo verde all’astronave e a quel buffo lucertolone viola, o se la palla di gomma avesse il suo perché tra il robot e il coccodrillo di stoffa. L’espressione concentrata di suo figlio, che posizionava per l’ennesima volta l’astronave giocattolo e ne studiava l’effetto, la rapì per alcuni minuti.
“Dì un po’ Trunks, non ti sarai messo in testa pure tu di andartene in giro per lo spazio?”
La voce della madre attirò l’attenzione del piccolo che sollevò leggermente la testa e la fissò con aria interrogativa.
“No perché se è questo che pensi di fare… non ci metto niente a distruggere tutte le capsule, sai?” Continuò Bulma con tono allegro. Il bambino sorrise partecipando all’allegria della madre, afferrò goffamente la navicella spaziale e gliela porse.
Bulma sorrise di rimando accettando il prezioso regalo. “Grazie tesoro! Ma sai che ti dico? Io per il momento me ne resto qui sulla Terra. Fra l’altro mi è anche venuta una certa fame. Dove li troviamo nello spazio i dolcetti che ci prepara la nonna?!”
Si alzò quasi controvoglia sotto lo sguardo attento del figlio, che la fissava in attesa.
“Tu non hai fame?” Chiese prendendolo in braccio. Il bambino si agitò appena e sorrise nuovamente. Bulma pensò che era un bambino veramente allegro. Fece per elargirgli uno dei suoi soliti sorrisi, quelli in cui di solito riversava tutto l’affetto che provava per quel fagottino, ma qualcosa le impedì di apparire sinceramente felice.
“Pa... pà…”
Una impercettibile ombra di tristezza velò l’espressione pacata che rivolse al bambino e l’allegria di prima si tramutò involontariamente in sarcasmo. “Papà avrà certamente fame anche lui, magari possiamo invitarlo a cena, che ne dici? Secondo te ci degnerà della sua regale presenza?”
“Pa... pà.” Ripeté con più entusiasmo il bambino, tendendo le braccia e osservando un punto preciso sopra la sua testa. Bulma seguì con lo sguardo i movimenti del piccolo fino ad individuare l’oggetto della sua attenzione; non nascose un moto di sorpresa nell’accorgersi che Trunks stava fissando esattamente la finestra giusta. Accidenti se quel bambino era intelligente, pensò riempiendosi di orgoglio. Non si rese neanche conto che anche i suoi occhi stavano indugiando pensierosi su quella finestra al secondo piano.
Erano passate settimane ormai da quando il torneo di Cell si era concluso. Ed erano settimane che Vegeta andava e veniva; se ne andava chissà dove e poi tornava, per chiudersi in un ostinato mutismo. Lei poteva solo lontanamente intuire che cosa potesse passargli per la testa in quel momento. La morte di Goku doveva essere stata un duro colpo per lui, forse non nel modo in cui lo era stato per tutti gli altri, ma qualcosa doveva essergli accaduto quel giorno, non lo aveva mai visto così… Eppure era tornato alla Capsule, o perlomeno non aveva deciso di lasciare la Terra. Per ora. Forse illudersi che l’aveva fatto per lei e per Trunks era troppo, probabilmente non aveva avuto il tempo per pensare a cosa fare, a dove andare. L’essere stato costretto a deporre le armi, in un modo tanto diverso da come se l’era aspettato poi, di sicuro l’aveva spiazzato. Probabilmente era confuso. Il pensiero di cosa gli stesse frullando in testa proprio in quel momento le procurò una sensazione di disagio che si costrinse a scacciare il più in fretta possibile.
“Pa... pà!”
Trunks ebbe il potere di ridestarla dai suoi pensieri. Gli rivolse il sorriso più sincero di cui era capace. “E chi lo sa se anche papà ha fame? Magari sta sera viene a mangiare con noi invece di scendere a svuotare il frigo di notte come un ladro… Beh, andiamo, qui mettiamo a posto più tardi.” Affermò risoluta, incamminandosi verso la porta d’ingresso.
Si ripromise che se Vegeta avesse soltanto osato far soffrire anche suo figlio l’avrebbe pagata cara, a costo di doverlo rincorrere per tutto l’universo. Non si rese conto che stava ancora stringendo saldamente in una mano la navicella spaziale di Trunks…


La stanza stava scivolando lentamente nell’oscurità. Le pareti avevano assunto pian piano la tonalità delle ombre, che avevano invaso a poco a poco gli spazi e fagocitato tutto ciò che avevano incontrato sulla loro strada. Ogni centimetro di quell’intonaco bianco, si era fatto grigio, poi nero; per molte volte ormai. Aveva attraversato i suoi occhi ripetutamente, come se in esso avesse potuto leggervi qualche risposta sensata, o solo un invito a fare qualcosa. Niente. Né su quel muro, né in nessun altro posto in cui era stato in quei giorni. Aveva scrutato montagne, deserti, mari, ghiacciai. Niente in quel dannato pianeta sembrava volergli dare qualche risposta! In realtà i suoi pensieri avevano continuato a ripetersi come un disco rotto, ormai non aveva più neanche domande, ultimamente aveva perso anche la cognizione del tempo.
Non che gliene importasse qualcosa del tempo che passava. Aveva desiderato ardentemente di vederlo in ginocchio ad implorare pietà, di macchiarsi del suo sangue, aveva voluto la sua morte… Forse gli sarebbe bastato solo sconfiggerlo, dimostrare la sua superiorità una volta per tutte… E alla fine era morto, ma il pensiero di potersene assumere almeno la colpa non placava in alcun modo il senso di rabbia e di frustrazione che da giorni lo attanagliava, al contrario... Kakaroth aveva osato infliggergli anche questa umiliazione, si era sacrificato per lui. Anche da morto aveva dovuto imprimergli a fuoco il marchio dell’inferiorità. A lui, che aveva sconfitto anche una leggenda, che aveva trovato la forza di essere un super saiyan quando la storia stessa... e Kakaroth… glielo avevano voluto negare. A lui, che aveva superato anche quel limite, tutti quei limiti, uno dopo l’altro. Ma Kakaroth sarebbe rimasto un limite invalicabile, per sempre ormai. Per sempre secondo.
E questa nuova parola, colpa, da quando poteva reclamare un diritto su di lui?! Come poteva anche solo osare appartenergli?! ‘Scusami’… L’aveva pronunciata lui quella parola. Il principe dei saiyan aveva chiesto scusa ad un moccioso mezzosangue, figlio di un guerriero di terza classe. Non era stato capace neanche di essergli utile. Ad un moccioso di dieci anni!
“Pa... pà.”
Quella parola giunse da lontano facendosi strada debolmente tra i suoi pensieri, insinuandosi attraverso la finestra leggermente socchiusa. Si drizzò a sedere sul letto con una certa apprensione. Aveva percepito le aure di Bulma e di Trunks per tutto il pomeriggio sotto la sua finestra, aveva anche distrattamente ascoltato le loro voci, ma questa volta nel tono del bambino aveva riconosciuto una intenzionalità diversa. Possibile che avesse davvero percepito l’incremento della sua aura?! Sentì la voce di Bulma che rispondeva.
“Papà avrà certamente fame anche lui, magari possiamo invitarlo a cena, che ne dici?”
Bulma… Una strana sensazione si impossessò di lui.
“Pa... pà.”
Sì, non poteva sbagliarsi. La cosa aveva dell’incredibile! Quel moccioso non aveva neanche un anno ed era già in grado di riconoscere la sua aura, per lo meno aveva percepito per ben due volte la sua presenza quando l’aveva aumentata.
‘Io sono forte papà! E te lo dimostrerò…’ quelle parole, pronunciate con sfida e determinazione, cominciarono a risuonargli insistentemente nella mente…


Bulma uscì dalla doccia e con fare indolente indossò l’accappatoio. Osservò per un momento il suo volto riflesso nello specchio e notò con soddisfazione che la doccia aveva cancellato in gran parte i segni della stanchezza. Si sentiva rilassata, non si era resa conto di aver lavorato tanto quel pomeriggio, e Trunks durante la cena era stato abbastanza stancante. Quel continuo riferirsi a suo padre l’aveva stancata più che altro mentalmente. Aveva messo in conto già da tempo che questo momento sarebbe arrivato, che Trunks avrebbe cominciato a chiederle di Vegeta, ma non pensava che l’avrebbe cercato tanto presto. Possibile che avesse sottovalutato suo figlio?! Forse era stata lei stessa ad essersi sempre ingannata, in qualche modo aveva sempre sentito di non essere preparata. Come faceva a spiegare ad un bambino così piccolo quello che neanche lei riusciva a capire fino in fondo? Come poteva spiegargli l’assenza di un uomo che era tutt’altro che assente?! Non poteva ignorare Vegeta per sempre, il fatto che fosse lì, a qualche passo soltanto di distanza da lei. Si era ripromessa di farlo, di lasciargli il suo spazio, ma tutta quella situazione era stancante, l’idea di vederlo così, quella paura che da un momento all’altro se ne andasse sul serio. Eppure per un momento quella sera aveva quasi pregato che lo facesse, che le dicesse che di loro non gli importava niente, che si facesse i suoi maledetti bagagli e togliesse il disturbo. Qualsiasi cosa pur di sapere che diavolo aveva intenzione di fare! Non poteva far vivere suo figlio con quel peso sullo stomaco, lui non avrebbe potuto capire, avrebbe sofferto e basta. D'altronde Vegeta non avrebbe di certo continuato per sempre a fare così… Ma lei che cosa avrebbe fatto se davvero se ne fosse andato? Sarebbe tornato questa volta?
Si coricò sul letto con ancora l’accappatoio indosso, non badò gran che ai capelli bagnati che ricadevano scomposti sul cuscino. Al diavolo! Era abbastanza caldo, era troppo stanca per mettersi a pensare anche alla messa in piega.
Chiuse gli occhi cercando di smettere di tormentarsi e di trovare il sonno. Non poteva permettersi di non dormire neanche quella notte. Non ce la faceva più a svegliarsi ad ogni piccolo rumore, a tendere le orecchie per cogliere ogni movimento, cercando di capire se Vegeta era semplicemente tornato, o se ne stava andando, o scendeva solo in cucina per svuotare il frigo… Le ultime immagini che affiorarono alla sua mente furono quelle di un ragazzo di diciassette anni, nel giardino di casa sua, nello stesso punto in cui quel pomeriggio si era fermata a lavorare. Rivide il suo sguardo sereno che incontrava quello del padre, quella specie di saluto. Si addormentò sapendo che non voleva che Vegeta se ne andasse per nessuna cosa al mondo, e che forse non lo voleva neanche lui…


Aveva chiuso occhio sì e no per qualche minuto quella notte. Come sempre nelle ultime settimane aveva dormito pochissimo, un sonno agitato, inquieto. Si trovò a pensare che dopotutto era strano, aveva sempre pensato che il giorno in cui avesse smesso di combattere sarebbe morto. Il freddo che sentiva fin dentro le ossa, gli occhi che bruciavano per la stanchezza, sembravano invece sensazioni dolorosamente vive.
Si affacciò alla finestra calcolando mentalmente l’ora, Bulma stava sicuramente ancora dormendo. Uscì dalla sua camera e percorse silenziosamente il corridoio buio. Esitò un istante di fronte all’ultima porta sulla destra prima di entrare. Strano come avesse mentalmente registrato anche quel particolare, non si era mai degnato neanche di metterci piede, eppure sapeva bene che in quella stanza dormiva suo figlio. Improvvisamente si scoprì curioso di quello che avrebbe potuto trovarvi. Spinse piano la porta ed entrò guardandosi intorno. Non aveva niente di speciale tutto sommato, se non fosse stato per l’incredibile quantità di giocattoli sparsi un po’ per tutta la stanza, quelle orribili tende con degli stupidi animali stampati sopra, e le pareti, di un disgustoso colore pastello, avrebbe potuto assomigliare ad una qualsiasi altra stanza da letto. Si ritrovò a prendere fra le mani una piccola astronave giocattolo, assomigliava in tutto e per tutto a quelle che aveva costruito il padre di Bulma. Anche l’interno era stato riprodotto con cura. Prese nota mentalmente che quel moccioso era decisamente stato viziato, non aveva mai visto tanti giocattoli tutti insieme. Con un moto di disgusto si sentì in dovere di precisare a se stesso che sicuramente non aveva proprio mai visto un giocattolo in vita sua.
Sentì un movimento alle sue spalle e si voltò istintivamente verso il lettino. Trunks si era svegliato e si teneva in piedi aggrappato alle sponde del lettino. Due paia di occhi azzurri lo scrutavano curiosi con una strana vitalità. Vegeta ricambiò quello sguardo avvicinandosi lentamente. Per un attimo gli sembrò di riconoscerlo, vi lesse qualcosa che poteva sembrare un’espressione di sfida. Il bambino distolse lo sguardo solo quando fu abbastanza vicino da poter reclamare il giocattolo che Vegeta teneva ancora fra le mani. Quasi rapito da quegli occhi e da quella espressione così familiare, non si era reso conto di avere quell’astronave in mano, e si ritrovò altrettanto involontariamente a porgergliela.
Trunks sfoderò uno dei suoi sorrisi più intensi e si lasciò ricadere sul materasso, si mise goffamente seduto meglio che poté e tornò a rivolgere l’attenzione al giocattolo. L’attenzione di suo padre fu invece per qualche minuto rivolta totalmente a lui…


Bulma entrò nella stanza cercando di fare meno rumore possibile, era troppo presto per svegliare Trunks e quel bambino aveva un sonno leggerissimo. Accidenti alla sua pigrizia della sera prima! Dormire con i capelli bagnati non era stata affatto una buona idea. Senza contare l’orribile piega che avevano preso, si era trovata a svegliarsi tutta indolenzita. Quando avrebbe smesso di pensare di avere ancora sedici anni?!
Si avvicinò al lettino di Trunks massaggiandosi il collo e sorridendo tra sé e sé. Rimboccò le coperte al piccolo che dormiva beatamente e fece per togliere dal lettino l’astronave giocattolo, ma ritrasse la mano all’ultimo momento. Pazienza, pensò, in fondo era sempre un saiyan, che male poteva fargli uno stupido giocattolo terrestre? Uscì dalla stanza sorridendo di nuovo per quello strano istinto di scimmiottare Vegeta, chissà perché le era sorto spontaneo.
Stranamente quella mattina si era svegliata di buon umore e aveva tutta l’intenzione di continuare la giornata in quel modo. Decise di fare una bella colazione e si diresse a passo spedito verso la cucina.
Quando entrò nella stanza e scoprì di non essere l’unica restò per un attimo senza parole.
“Ciao… buongiorno. Non mi aspettavo di trovarti qui.” Disse con la massima naturalezza possibile, avvicinandosi alla dispensa. Aprì uno sportello e cominciò ad apparecchiare la tavola.
“Hai già fatto colazione?”
Vegeta la osservò con la coda dell’occhio mentre infilava diligentemente nel microonde una smodata quantità di croissant e brioche. Quando la vide estrarre dal frigo un’intera torta e diversi vasetti colorati si convinse che probabilmente si era già data da sola una risposta a quella domanda.
“Ho bisogno di una nuova gravity room.”
Bulma cercò di dissimulare tutto il suo stupore e si sforzò di non voltarsi a guardarlo. “Che cosa ha che non va la capsula seicentosette?” Chiese con noncuranza, fingendo di concentrarsi nella preparazione del caffè.
“E’ troppo piccola” Rispose lui in tono piatto “E poi è una navicella spaziale, non una vera camera gravitazionale. Ne voglio una più potente, e più resistente… e decisamente molto più grande.” Concluse sollevando appena lo sguardo su di lei.
Bulma sussultò al suono del timer del forno. Tirò fuori il vassoio e si decise a voltarsi per appoggiarlo sul tavolo di fronte a lui.
“Beh, credo che si possa fare. C’è tutta un’ala al terzo piano che è praticamente inutilizzata. Possiamo buttare giù qualche parete… Mio padre credo che non avrà niente in contrario.”
“Quanto tempo ti ci vuole?”
“Mmm. In questo periodo ho un paio di altri progetti per le mani, ma papà può occuparsene benissimo da solo… Direi che tra tutto un paio di mesi”
“E’ troppo.” Commentò seccato il saiyan, osservando distrattamente il vassoio.
“Beh, vorrà dire che devo mettermi subito al lavoro!” Rispose allegramente la donna, ignorando il tono brusco del suo interlocutore e tornando ad occuparsi del caffè.
Vegeta afferrò un paio di brioche e si alzò da tavola.
“Vegeta…” Lo bloccò lei sulla porta “Significa che hai deciso di restare?”
Lui la guardò per la prima volta negli occhi, per un lungo momento. “Che domanda stupida!” Commentò sarcastico.




fine




Colgo l’occasione per ringraziare le persone che hanno letto e commentato l’altra mia one-shot “Sonata al chiaro di luna”. Grazie in anticipo a chi vorrà lasciare un commento anche qui, e anche a chi leggerà soltanto.
Baci, lilac.


ATTENZIONE!
Nella mia pagina autore potete trovare una bellissima fan art che taisa, autrice che molti di voi già conoscono e apprezzano, ha realizzato ispirandosi a questa one shot!
NON PERDETELA!

  
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