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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    09/09/2012    1 recensioni
[5927] [Buon Compleanno, Hayato]
“Ho sempre saputo dove ti trovavi, Hayato.”
Seduto nella poltrona dell’immenso salotto che ricordava dalla sua infanzia, Gokudera fissò con aria stupefatta il volto quasi impassibile dell’uomo davanti a sé, un volto che da ormai quasi dieci anni non aveva più visto se non di sfuggita durante sporadici incontri di qualche istante mentre scortava Tsuna a una qualche riunione.
E se anche i loro occhi potevano essersi incrociati, lui non lo ricordava.
Così come non ricordava la reazione avuta nel ricevere quella lettera che lo invitava, proprio quel giorno, a visitare una casa che ormai non riconosceva più come propria, a incontrare una persona che non era più da tempo suo padre.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Hayato Gokudera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Katekyo Hitman Reborn
Rating: Per tutti
Personaggi/Pairing: Altro Personaggio, Gokudera Hayato, 5927
Tipologia: OneShot
Avvertimenti: ShonenAi
Genere: Sentimentale
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Amano, che ne detiene tutti i diritti.
Note: Auguri, Hayato! Betata da _Kurai_

§§§

THIS IS WHERE I'M MEANT TO BE

“Ho sempre saputo dove ti trovavi, Hayato.”

Seduto nella poltrona dell’immenso salotto che ricordava dalla sua infanzia, Gokudera fissò con aria stupefatta il volto quasi impassibile dell’uomo davanti a sé, un volto che da ormai quasi dieci anni non aveva più visto se non di sfuggita durante sporadici incontri di qualche istante mentre scortava Tsuna a una qualche riunione.

E se anche i loro occhi potevano essersi incrociati, lui non lo ricordava.

Così come non ricordava la reazione avuta nel ricevere quella lettera che lo invitava, proprio quel giorno, a visitare una casa che ormai non riconosceva più come propria, a incontrare una persona che non era più da tempo suo padre.

Bianchi lo aveva accompagnato fin lì, aveva parlato lei stessa alla sicurezza per farlo passare, aveva spiato i movimenti e l’espressione dell’argenteo nel momento in cui nessuno pareva averlo riconosciuto, ma nulla. Il fratellino era apparso impassibile a tutto, perfino al saluto del padre che lo aveva accolto nel proprio studio.

La ragazza gli aveva stretto il braccio con forza e affetto prima di congedarsi e correre difilato dalla servitù per redarguirla in merito al comportamento tenuto con Hayato: erano passati tanti anni ma quel giovane uomo dai capelli lucenti era pur sempre una parte della famiglia e lei si sarebbe assicurata che il concetto fosse ben chiaro.

“Cosa intendi?” replicò seccamente la Tempesta, con i grandi occhi verdi puntati su quelli identici davanti a sé: “Cosa vuol dire che sapevi dove mi trovavo?” incalzò lui.

L’uomo sospirò, levandosi gli occhiali e poggiandoli sul tavolino da caffè in mezzo alle due poltrone: “Intendo che, dal giorno in cui scappasti, non è mai passato giorno senza che qualcuno mi avvertisse di ogni tuo movimento… Almeno questo fino a dieci anni fa, quando all’improvviso nessuno è più riuscito a sapere nulla di te, sembravi morto, sparito nel nulla, e confesso di aver temuto per te. E’stata tua sorella a dirmi dove ti trovavi, quando ti ha incontrato in Giappone.”

Ad Hayato ci vollero parecchi secondi per elaborare la cosa.

Quindi… Fino a quando non era stato accolto dai Vongola, suo padre lo sorvegliava, sapeva tutto quello che aveva passato senza alzare un dito? Era anche vero che era scappato di casa ma, in primo luogo, era stato per colpa delle bugie che circondavano la sua nascita, bugie e segreti che lui per primo aveva creato.

“Ho ragionato a lungo, ho fatto ricerche… Ma non ho ottenuto nulla, ogni strada finiva in un vicolo cieco. Fino al giorno in cui ti ho visto assieme al Decimo dei Vongola, al suo fianco e con una luce negli occhi che, mi duole ammetterlo, non ti ho mai visto quando eri piccolo.”

Hayato trattenne a stento un moto di orgoglio e commozione.

“Allora capii perché non sono mai più riuscito a trovarti, è difficile che le informazioni escano dai Vongola a meno che ciò non sia voluto, ho compreso la protezione che eri riuscito a crearti…”

“Non l’ho voluta io, non l’ho creata io.” gli fece notare l’argenteo, accendendosi una sigaretta: “E’ stata dura ma alla fine mi sono trovato uno spazio al mondo.”

L’altro sorrise malinconicamente: “Un posto che non hai trovato in questa casa, in questa famiglia, vero?” chiese: “Non fraintendermi, sono felice che tu finalmente ci sia riuscito, così come sono contento che tu e Bianchi abbiate instaurato un bel rapporto… Solo mi chiedevo, ed è anche il motivo per cui ti ho chiesto di venire qui oggi, se questo “posto” non avresti potuto trovarlo anche qui, se le cose fossero state diverse.”

Per lunghissimi minuti, Gokudera figlio non rispose, si limitò a guardare l’anello che portava al dito, quello con la gemma rossa che brillava alla luce di un timido raggio di sole che filtrava dalle tende e che lo identificava come la Tempesta, e quello più discreto ma ugualmente amato, dal taglio semplice, che mostrava con orgoglio al mondo, e lo sfidava nel farlo, il legame del cuore che lo univa alla persona che amava.

“Credo sia improbabile.” replicò lui pacatamente: “Non è questo il posto in cui ha significato, per me, esistere.” E così dicendo, frugò nella tasca interna della giacca, tirandone fuori una piccola fotografia, “E’ questo il posto in cui la mia esistenza ha il suo scopo.”

Una semplice immagine, decisamente vecchia, dove tutti i Guardiani erano giovani e seduti alla rinfusa su un prato.

Il padre di Hayato fece per ribattere quando un bussare nervoso alla porta lo riscosse e il volto perplesso di un maggiordomo fece capolino: “Signore, mi spiace disturbarla mentre parla col suo ospite-“

“L’ospite in questione è mio figlio. Comunque, che succede?”

L’espressione del servitore si fece imbarazzata: “E-Ecco… C’è un uomo che dice di essere il Guardiano della Nuvola dei Vongola e che è venuto qui a prendere la signorina Bianchi e…” i suoi occhi dardeggiarono dubbiosi sul giovane uomo davanti a sé.

Non ebbe neppure il tempo di finire la frase che già l’argenteo era saltato su, aveva superato l’uomo senza degnarlo di uno sguardo, e si era precipitato giù dalle scale, spaventato che potesse essere accaduto qualcosa mentre lui si trovava lì.

Nell’ingresso, che raggiunse trafelato, trovò la sorella, che conversava con Hibari, e Kusakabe.

“Ben arrivato, Gokudera Hayato.” lo salutò la Nuvola con voce monocorde: “Tsuna ha detto che ci aspettano al ristorante, sono già lì perché Mama è arrivata con il volo precedente.” s’intromise Bianchi con un gran sorriso.

“Umpf,” borbottò Hayato, guardando torvamente Hibari: “Scommetto che ci accompagnerai lì e poi sparirai nel nulla come al tuo solito, vero, pennuto?” lo sfottè con un sogghigno la Tempesta.

La Nuvola non rispose, si limitò a scrollare le spalle e a uscire all’esterno: “Kyo-san ha detto che resterà a festeggiare il compleanno di Gokudera-dono e che partirà stasera per la sua missione.” corresse Kusakabe con un sorriso, “Ha detto che è il suo regalo.”

Sbalordito, Hayato s’ammutolì, strappando una risata alla sorella: “Andiamo, non vorrai far aspettare Tsuna, vero?” disse lei, tirando la manica della giacca del fratello; nel frattempo, tutti i servitori si erano radunati nei pressi dell’ingresso, spiando il volto dell’ospite, alcuni tra i più anziani riconobbero a fatica il bambino dai capelli argentei che era figlio del loro padrone ma nessuno aprì bocca.

“Allora vai?” chiese il padre, che aveva raggiunto i due figli sulla porta di casa.

La Tempesta annuì: “Il mio posto è con loro. Non in una casa che non è mia, in una casa dove nessuno si ricorda di me, dove nulla mi ricorda momenti felici. La mia casa è Namimori e con i Vongola.” concluse, prima di seguire la giovane donna nel cortile.

L’uomo osservò i due figli salire a bordo della lucente macchina nera, li guardò allontanarsi oltre il cancello e non potè che sperare, ardentemente, che il figlio continuasse a essere felice, lì dove stava.

“Buon compleanno, Hayato.”

§§§

“Mi dispiace per quello che è successo oggi.” disse Bianchi, rompendo il silenzio che s’era creato all’interno dell’abitacolo della vettura: “Non ti meritavi una cosa del genere, fratellino.” sussurrò lei imbarazzata.

“Va tutto bene, sorella.” la rassicurò lui con gentilezza: “Non è più casa mia.” dichiarò, guardando con espressione sognante fuori dal finestrino, col mezzo che sfrecciava tra i viali alberati, nel traffico di quel mezzogiorno di sole che illuminava un 9 di settembre che neppure un incontro affatto desiderato aveva rovinato.

Giunsero al ristorante pochi minuti dopo, scesero in un tripudio di grida, auguri e abbracci ma fu solo quando la propria mano venne afferrata da alcune dita affusolate e il suo sorriso venne ricambiato dalle parole gentili e amorevoli di Tsuna che, una volta di più, Hayato sentì che era quello il suo posto.

Che quello era il luogo dove era destinato a stare.

Di lì all’eternità.

   
 
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