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Autore: __lesbianquinn    09/09/2012    3 recensioni
Ci troviamo nella trama del libro Dark Visions, dal quale ho preso il titolo per la storia, con gli avvenimenti del libro, ma i personaggi (e, spero, i loro rispettivi caratteri) di Glee. Fatti e trama che ci saranno nella storia non sono miei, tranne per alcuni fatti in più che aggiungerò solo per il gusto di scombinare maggiormente il tutto.
***
Dal quarto capitolo: Rachel, con la sua solita voce leggermente squillante, disse: - Insomma è un carcere?
Mio padre dice che è un posto per ragazzi che sono già sulla buona strada per la prigione di Stato. Sai, assassini e roba del genere.

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Avviso: Visto che per me è estremamente complicato mettere Brittany in questa storia senza modificare la trama - per motivi che vi spiegherò se mi chiederete - ho deciso di sostituire la ragazza con Joe, in modo da non uscire fuori dalla trama del libro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Joseph Hart, Mike Chang, Noah Puckerman/Puck, Rachel Berry, Santana Lopez
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

 

Non si invita la strega locale alle feste. Non importa quanto sia bella. È questo il problema fondamentale. Non m'interessa, pensò Santana. Non ho bisogno di nessuno. *
Certo che le due ochette cheerleader della sua classe potevano benissimo cercare di abbassare maggiormente il tono di voce, mentre organizzavano una delle loro stupide feste del weekend. Il tono garbato del professore di spagnolo non poteva competere con il loro starnazzare eccitato. Lei arricciò il naso, stizzita per via della loro voce troppo acuta, le davano ai nervi. Desiderava ardentemente andarsene via, ma non era possibile, così continuava a disegnare distrattamente sul quaderno degli appunti.
In lei si agitavano sentimenti contraddittori. Non sopportava quelle due stupide cheerleader; voleva che morissero, o quanto meno che capitasse loro una disgrazia così terribile da lasciarle distrutte e disperate. Allo stesso tempo, però, avrebbe fatto di tutto pur di essere accettata da loro, non perché ci tenesse molto alla loro stima, ma perché, per una volta, si voleva sentire parte di qualcosa, di un gruppo. Normale. 
Ma non sarebbe mai accaduto. A quelle due non sarebbe mai saltato in mente di invitare Santana: per nessun motivo al mondo avrebbero fatto una cosa che non era mai stata fatta in passato. Nessuno aveva mai invitato la strega; nessuno aveva mai pensato che Santana, la bella e spettrale ragazza con quegli strani occhi, volesse andare ad una festa.
Infatti io non voglio, si disse lei, ritornando alla considerazione iniziale. Questo è il mio ultimo anno scolastico. Ancora qualche mese, dopo di che lascerò la scuola superiore e dirò addio a queste stupide facce
Ma lei sapeva che non era esattamente così. Lima non era una città tanto grande da poter sperare di non incontrare più determinate persone, soprattutto se queste erano più di trenta. Li avrebbe incontrati ancora. Ogni giorno di quell'anno, e di quello dopo, e dell'anno successivo ancora...
Non poteva scappare. Se solo avesse potuto andare al college, sarebbe stato diverso, ma aveva mandato in fumo il progetto di ottenere una borsa di studio in arte. E poi c'era sempre suo padre. Aveva bisogno di lei e, in quell'ultimo periodo, i soldi scarseggiavano. Papà ha bisogno di me, si ripeteva. Quindi niente università.
E lei passava lunghe ore seduta ad ascoltare delle ragazzine prive di cervelo che organizzavano feste alle quali non sarebbe stata invitata. Infinito senso di esclusione, era questo quello che albergava in lei, seguito da un'infinita sofferenza e da un'infinita voglia di essere davvero una strega, solo per avere la soddisfazione di poter scagliare contro tutti i suoi compagni, e rispettivi genitori, il maleficio più terrificante e doloroso che una mente normale potesse partorire.
Persa nei suoi pensieri, Santana, continuava a scarabocchiare. O era meglio dire che era la sua mano a muovere la matita, lei non aveva minimamente idea di cosa stava per prendere forma su quel foglio, su quale abbassò lo sguardo e, per la prima volta, fece caso a quello che aveva disegnato.
Una ragnatela.
Ma quello che era strano era ciò che si trovava sotto la ragnatela, era talmente vicino che sembrava quasi toccarla. Un paio di occhi.
Occhi grandi, tondi, con lunghe ciglia. Occhi di cerbiatto. Gli occhi di un bambino.
Mentre li fissava meravigliata, senza riuscire a emettere un suono, provò uno strano e improvviso senso di vertigine, come se stesse cadendo da un luogo davvero molto alto, una caduta destinata a non terminare. Fu una sensazione orribile, ma familiare. Accadeva ogni qual volta che disegnava una di quelle figure che le erano valse l'etichetta di strega.
Quelle figure che, purtroppo per lei, diventavano realtà.
Santana posò i palmi delle mani sul bordo del banco e si ritrasse bruscamente, spostando anche la sedia all'indietro e provocando così un rumore stridulo. Tutti si voltarono a guardarla, confusi, ma lei non ci fece caso: dentro di se avvertì un enorme senso di paura.
Oh, ti prego, no, pensò. Non oggi, non ora, e non qui, a scuola, d'avanti a tutti questi idioti. Non capirebbero, come al solito, e finirebbe solo per diminuire la mia già scarsa popolarità.
Lentamente tornò con lo sguardo sul foglio e, in quel preciso istante, sentì il corpo irrigidirsi, come se mille lancie appuntite e, soprattutto, di ghiaccio le fossero penetrate nella carne. Aveva paura, ma arrivò alla conclusione. Conclusione che sperava non fosse vera: avendo disegnato gli occhi di un bambino...un bambino era in pericolo.
Si, ma la domanda fondamentale era: quale bambino? Non fece neanche in tempo di formulare quella domanda, che subito Santana sentì uno strattone, un sussulto, era come uno spasmo, alla mano. Le sue dita tremavano, doveva riempire quello spazio nel foglio. La sua mano si mosse veloce, disegnando prima un piccolo naso all'insù. Poi una bocca spalancata in un'espressione di paura, o poteva essere anche sorpresa...o dolore. Una curva marcata ad indicare un mento rotondo.
Una serie di lunghi tratti serpeggianti a rappresentare i capelli...e poi il bisogno che animava la mano di Santana si placò, completamente.
Fece un respiro profondo, non si era neanche resa conto di aver chiuso gli occhi. Li aprì poco dopo e li puntò sul disegno. Il volto era quello di una bambina, almeno così doveva essere visto i capelli. Una graziosa bambina con i capelli ondulati e una ragnatela sul viso.
Qualcosa stava per accadere, ed erano coinvolti una bambina e un ragno. Ma dove? Quale bambina? E, soprattutto, quando? Lei non sapeva mai quando sarebbe accaduto quello che disegnava, ed era questo l'aspetto più terribile di quel maledetto dono che Santana possedeva. I suoi disegni erano sempre precisi e si avveravano sempre. Lei finiva inevitabilmente per assistere nella vita reale a quello che aveva scarabocchiato su carta.
Ma non arrivava in tempo.
Non poteva fare nulla, era inutile anche provare a pensare qualcosa. Anche se avesse provato ad avvertire qualcuno, quel qualcuno sarebbe scappato spaventato. Come se fosse lei a provocare quei terribili eventi che disegnava. Invece, quello che non capiva la gente, lei poteva solo prevedere quegli eventi, tramite i suoi disegni.
All'improvviso Santana vide i tratti del disegno farsi confusi, sfocati. Sbatté le palpebre un paio di volte, scuotendo di poco la testa e prendendo dei respiri profondi. L'unica cosa che non avrebbe mai fatto era piangere: perché Santana non piangeva mai. Neanche una volta. Lei aveva smesso di piangere quando, a otto anni, sua madre morì. Da allora aveva imparato a soffocare le lacrime.
Ci fu un gran trambusto nella parte anteriore dell'aula e la voce del professore, dolce e pacata talmente tanto da conciliare il sonno, si era interrotta bruscamente.
Un ragazzo alto, solito aiutare il professore durante la sesta ora, aveva portato un foglio di carta rosa. Un richiamo della preside.
Santana osservò il professore prendere la comunicazione, leggermente stropicciata. Lui sbatté un paio di volte le palpebre, poi puntò il suo sguardo proprio su di lei.
Santana, ti vogliono in presidenza.
La ragazza si era già alzata, dopo aver raccolto i suoi libri, e si era diressa verso il professore, camminando per i banchi con quella sua aria quasi altezzosa: schiena dritta e testa alta, poteva mostrare solo così agli altri che poco le importava delle loro voci. Prese il foglio che l'uomo ancora teneva tra le dita, poi uscì dall'aula assieme all'aiutante del professore, Chris.
Mi dispiace che sei nei guai - la voce del ragazzo raggiunse Santana, la quale continuò a camminare come se nulla fosse. - Voglio dire...mi dispiace se sei nei guai - si corresse Chris, guadagnandosi così un'occhiata gelida da parte della ragazza, la quale puntò i suoi occhi in quelli del ragazzo, facendolo impallidire. 
La gente reagiva sempre così quando doveva sostenere lo sguardo di Santana. Nessuno aveva occhi come i suoi. Erano di un colore nero, come la pece, con due anelli di poco più chiari, uno proprio al centro delle iridi e l'altro a delimitarne il contorno esterno.
La gente, sin da quando lei era piccola, parlava male dei suoi occhi. Dicevano che i suoi occhi erano strani, occhi diabolici. Occhi che vedevano quello che nessuno doveva vedere. A volte, però, Santana li usava come arma, per mettere a disagio le persone. Continuò a fissare Chris, finché quel povero sciocco fece un passo indietro, poi abbassò timidamente le ciglia ed entrò nell'ufficio.
La sua piccola vittoria le diede solo un amaro, momentaneo, senso di trionfo. Intimidire i ragazzi non era di certo una conquista. Ma, lei se lo ripeteva sempre, se non potevi essere amata, potevi sempre essere temuta. Meglio di niente. Una segretaria interruppe i suoi pensieri e la invitò ad entrare. Aprì la porta.
La signora Sylvester, la preside, era nella stanza, ma non era sola. Dietro la scrivania, al suo fianco, c'era una giovane donna, leggermente abbronzata e dall'aspetto curato, con i capelli biondi e corti.
Congratulazioni - la accolse la donna, alzandosi dalla sedia con un unico movimento rapido e armonioso.
Santana rimase immobile, sempre a testa alta. Non sapeva cosa pensare, ma all'improvviso una sensazione la sommerse come un'ondata: quasi una premonizione.
Qualcosa in testa le diceva che i prossimi minuti le avrebbero cambiato la vita, letteralmente.
Sono Quinn - disse la donna bionda. - Quinn Fabray. Non ti ricordi di me?

Spiegazioni:
 
Partiamo dall'inizio. Questa storia è una specie di cross-over tra Glee, telefilm conosciuto, e Dark Visions, libro un po' meno conosciuto. Ci troviamo nella trama del libro, con gli avvenimenti del libro, ma i personaggi (e, spero, i loro rispettivi caratteri) di Glee. Se qualcuno ha letto il libro sa che alcune frasi, come quella all'inizio (* Non si invita la strega locale alle feste. Non importa quanto sia bella. È questo il problema fondamentale. Non m'interessa, pensò Santana. Non ho bisogno di nessuno.) è tale e quale a quella iniziale del libro, tranne che per il nome del personaggio, ovviamente. Ripeto, fatti e trama che ci saranno nella storia non sono miei, tranne per alcuni fatti in più che aggiungerò solo per il gusto di scombinare maggiormente il tutto. Spero che l'idea vi sia piaciuta e che degnerete la mia storia almeno di una piccola recensione. 
 
In questo capitolo si capisce che Santana è la protagonista, ma, per chi non ha letto il libro, non sarà la sola, ci saranno altri quattro personaggi che saranno protagonisti di questa storia.
 
Distinti saluti.
LesbianQuinn.
   
 
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