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Autore: Diomache    26/03/2007    34 recensioni
Come vi sentireste se un bel giorno un pazzo volesse uccidere la persona che amate per qualcosa in cui non c’entra assolutamente niente e per di più accaduta tre anni prima?
House non lo sapeva.
Ma in quel vortice di follia e di strani omicidi che stavano sconvolgendo il Princenton , lui manteneva la più assoluta lucidità nella convinzione che l’avrebbe impedito con tutte le sue forze.
L’amava, adesso ne era sicuro.
E nessuno l’avrebbe toccata.
Vincitrice del primo concorso di fanfiction dr. House MD – unofficial forum.
[House/Cameron] [Wilson/Cuddy]
Genere: Romantico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono vivaaa!!! Sì, non ci credevo più nemmeno io ma finalmente ce l’ho fatta!!!

Eccoci qui con il decimo e penultimo capitolo della storia.. vi avverto che sarà un capitolo abbastanza intenso e anche un po’ complicato da scrivere.. volevo far finire la storia con questo aggiornamento ma ho realizzato che mi sarebbero venute troppe pagine così ho fatto uno dei miei soliti tagli nei momenti più cruciali.. non mi uccidete!

 

Ok, vi lascio alla storia, avete aspettato anche troppo ma prima ho l’obbligo e il piacere di ringraziare tutti voi, partendo da una dedica:

 

Questo capitolo è dedicato ad Andrea, il mio migliore amico. Non so se lo leggerai ma volevo comunque che sapessi che senza di te queste settimane non le avrei mai sopportate. Grazie.

 

Passiamo adesso ai ringraziamenti dei lettori e delle lettrici che hanno recensito la volta scorsa e che mi hanno sostenuto rispondendo al capitolo avviso con le loro belle parole, grazie mille! Inizio quindi col ringraziare: Venus, Amy, Preziosoele, Briseis, Apple, Aras5, _Vally_, Nick, Mercury259, Miky91, Hikary.

 

e poi naturalmente: Toru85, Hamburger, Amarantab, Mistral, SHY, Pinacchia, Sheila, Damagedlove, EriMD, Meggie, Elbereth.

 

GRAZIE DI CUORE!!

 

per Nick: bravo!! Hai intuito la trama quasi alla perfezione… ci sei davvero vicino..

 

Scusatemi non ho molto tempo a disposizione, mi piacerebbe rispondere ad ognuno di voi, ma non posso… magari lo farò la prossima volta con la chiusa!

 

Spero vivamente di non deludervi..

 

 

p.s: il titolo è ripreso dall’ultima citazione..

 

 

Buona Lettura,

Diomache.

 

 

 

 

 

Lacrime di Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo X:  Amore. Come il vento che piega le querce. 

 

 

 

 

 

<< […] In quel viso devastato dall’odio per la filosofia ho visto per la prima volta il ritratto dell’Anticristo che non viene dalla tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o dalla verità come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. [..]

Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità. [..] perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità.>>

Il nome della Rosa. Umberto Eco.

 

 

 

 

 

“Chrystal..” la sua voce suonò come un sussurro mentre i suoi occhi passavano dagli occhi della bambina, nella foto, a quelli di House, ritto in piedi davanti a lei. La fissava impaziente ma con uno sguardo che aveva uno strano che di orgoglioso.

“Questo è il momento che preferisco.- disse lui con una voce quasi sognante.- quando il gioco finisce e il mistero si risolve. Quando capisci che tutto aveva un senso, aveva sempre avuto un senso, solo che non lo afferravi per intero.. e adesso tutto coincide e ogni singola parte del puzzle si incastona perfettamente con le altre” concluse avvicinandosi a lei di qualche passo.

Allison distolse lo sguardo. “Per arrivare alla soluzione però questo puzzle si è portato via due vite.”

Greg sorrise amaramente. “I misteri sono sempre pericolosi. Qui sono morte due persone, nell’iter diagnostico a volte un puzzle troppo complicato ti porta via il paziente. l’importante è arrivare alla soluzione prima che sia troppo tardi.”

Lei alzò lo sguardo di scatto, infastidita. “Per scoprire di che cosa si tratti?” disse, acida.

Ma questa volta si sbagliava. Non era questo che House intendeva, anche se normalmente era quello il significato della sue parole. Cameron lo capì non appena incrociò i suoi occhi e si pentì del suo scatto d’ira.

Il diagnosta piegò lo sguardo di lato. “No.” disse quindi. Gli costavano quelle parole. gli costavano parecchio. “prima che potesse portarsi via anche te.”

Gli occhi di Allison cercarono disperatamente i suoi ma lui non si volse a guardarla, forse imbarazzato. “Allora.- disse quindi.- vogliamo delineare questo puzzle sì o no?”

Cameron sospirò, si passò una mano tra i capelli. Avrebbe voluto volare tra le sue braccia, affondare i capelli sul suo petto e sentirlo vicino come poco prima. Avrebbe voluto  stringerlo, sospirare, piangere, attaccata a lui, sentirsi di nuovo le sue mani tra i capelli.. raccontare tutto, sì, ma sdraiata con lui, sul divano, davanti al caminetto accesso.

Ma non poteva.

Che cosa era rimasto di quell’armonia di poco prima, dell’amore, della passione che li aveva travolti? Niente.

Cercare un contatto diverso da quello visivo, un contatto fisico con lui, aveva perso di senso adesso. Erano come due estranei. Allison e Greg erano stati messi da parte, chiusi in una parentesi che Dio solo sa quando avrebbero riaperto.

Negò con il capo e si distanziò da lui prima di qualche passo, poi gli voltò le spalle e si diresse verso la finestra. Gettò gli occhi fuori, sul paesaggio invernale. Sentiva i suoi occhi che non la lasciavano un solo istante e con il calore che quello sguardo continuava ad infondergli, iniziò, il  suo triste racconto.

“Tutto è cominciato tre anni fa, alla clinica Mayo.- disse, senza voltarsi.- lei.. lei si chiamava Chrystal.. ed è il caso a cui tu ti riferivi, ieri.”

House sfoggiò un piccolo sorrisetto soddisfatto. “ Quindi avevo ragione quando ti dicevo che l’unico link che avevo trovato tra i due dottori morti era questa Chrystal e che..”

“Si è lei.- si voltò questa volta, appoggiandosi alla finestra con la schiena e puntando i suoi occhi smeraldo su di lui.- complimenti.” il suo tono risultò un po’ acido.

House sorrise, quasi divertito. “I complimenti lasciamoli a dopo, lo sai che mi imbarazzo sempre. Continua.”

Lei corrugò appena i lati della bocca. “Chrystal Higt venne portata alla clinica di Mayo quando io ero una specializzanda e lavoravo con il dottor McLuise. Non era una nostra paziente, era stata affidata a Law, reparto oncologia.”

“Si questo lo so.- l’interruppe lui, annoiato.- questo è quello che ti ho raccontato io facendo una comparazione tra le cartelle cliniche di Park e Law.- roteò gli occhi.- non vale se mi rifili la mia storiella, devi metterci qualcosa di tuo!”

Allison aggrottò la fronte, in un chiaro segno di fastidio. “House, smettila di parlare di questa storia come se fosse l’ultimo di libro di Agata Christie ” sentirsi pronunciare il suo cognome le diede subito un grosso fastidio. Dopo quello che era successo, si era immaginata di poterlo chiamare Greg.

“Ok, penseremo a scriverci un libro più in là.- disse l’altro ignorando la polemica e fingendo pazienza.- ma cerchiamo di ricostruire i fili del discorso, va bene? Questa Higt, accompagnata dal paparino,va da Park, ospedale di New York. Diagnosi: leucemia. Poi va alla clinica Mayo, perché Hitg non si fidava della diagnosi di Park e..”

“E la prende in cura Law.” Concluse lei, incrociando le braccia.

“e fino qui ci siamo!- esclamò lui, quasi spazientito- adesso è il tuo turno! Come entri in scena tu nella vita della famiglia Hitg? Che c’entri con loro due?- s’interrompe, fingendo di aver trovato la soluzione.- oh no, non dirmi che eri andata a far beneficenza presso i bambini di oncologia e..”

“No.” lo interruppe prima che potesse sparare qualche fastidiosa cazzata. “McLuise era molto amico di Law. I due si consultavano spesso e anche quella mattina Law gli chiese se poteva venire per un consulto. C’ero anch’io nell’ufficio.”

 

“Jhon?” la porta dell’ufficio si spalancò e la sagoma asciutta di Law fece il suo ingresso.

Jhon McLuise alzò gli occhi dalla cartella clinica che stava consultando. “Oh, buongiorno.. a che dobbiamo la visita?”

Cameron era lì, seduta di fronte alla scrivania di McLuise. Aveva i capelli sciolti, lunghi sulle spalle, il camice bianco e un sorriso delicato dipinto sulle labbra.

“Mi faresti un favore? Ho bisogno di un consulto, è un caso importante.” Law parlava con una certa ansia nella voce. Per la prima volta in tanti anni, McLuise negò con il capo, sospirando.

“Non posso, mi dispiace. Ho per le mani un caso troppo delicato.- fece una piccola pausa poi puntò i suoi occhi grigi sulla sua giovane assistente.- ma ho qui la dottoressa Cameron. Allison, te la senti di andare tu?”

 

“Inizialmente Law non era molto convinto. Lui era.. nervoso.. agitato.. voleva assolutamente che fosse McLuise a venire al colloquio.”

“Ma alla fine andasti tu.” Concluse House picchiettando le dita sul tavolo. “E poi?”

Lei alzò le spalle, incrociando le braccia dietro la schiena. “Le ragioni del nervosismo di Law non restarono un mistero ancora per molto. Me ne resi conto non appena misi piede in quella camera.”

 

Law mise mano alla porta e dopo averle regalato uno sguardo carico d’ansia lasciò che fosse Allison ad entrare per prima e ad osservare cosa stava succedendo.

Innanzitutto vide un uomo, sui trentacinque anni, riccio, alto, camminava nervosamente da una parte all’altra della stanza, con lo sguardo basso, gli occhi infossati e lucidi di pianto, le mani portate al petto e sfregate continuamente tra di loro.

Poi, dietro di lui, il fantasma scheletrico di una bambina.

 

 

“Ne ebbi paura quasi subito.- confessò Cameron accarezzandosi le braccia.- lui aveva uno sguardo strano, parlava a raffica..”

“Che cosa ti diceva?”

“Informazioni sulla bambina. Continuava a ripetere che Park era un assassino e che lui l’aveva voluta uccidere la sua Chrystal.”

“E la bambina?- insistette House.- che diceva lei?”

 

 

Chrystal, la piccola bambina malata di cui il padre non faceva che parlare, era quasi muta, risucchiata dal grande cuscino del letto d’ospedale, con lo sguardo fisso e gli occhi sprofondati.

 

“Nulla. Non diceva nulla. – questa volta fu Allison a fissare il proprio sguardo su un punto indeterminato, come se la sua mente fosse altrove.- ascoltava suo padre sproloquiare in silenzio. Allora m’insospettii e chiesi di restare sola con lei. Volevo parlarle. Suo padre sembrava così.. ossessivo..” alzò gli occhi per spiare le reazioni del suo capo alle sue parole.

“E..” l’incitò lui.

 

“Chyrstal, sono la dottoressa Cameron.” le sorrise, cercando di attirare la sua attenzione.

Ma la bambina non la degnò nemmeno di uno sguardo. “Vattene.” Sussurrò, soltanto.

Allison aprì la bocca, incredula. “Perché vuoi che me ne vada?” chiese, lievemente. “Io voglio solo scoprire che cos’hai, non voglio farti del male.” Nessuna risposta. “Nessuno vuole farti del male. Qui sei al sicuro.. ehi.. piccola..” le sfiorò la mano magra ma la bambina la ritrasse.

Poi, improvvisamente, girò il volto di scatto, fissandola con i suoi occhi blu. “Risparmia il tuo tempo, dottoressa Cameron. Io morirò.”

 

 

“Piuttosto consapevole per essere una bambina.”

Cameron sorrise, triste. “Suo padre è pazzo, non lei. Scoprimmo che erano mesi che si sentiva male.”

House aggrottò la fronte, curioso. “Che vuoi dire?”

“Chrystal mi raccontò di aver iniziato a star male quasi un anno fa. Aveva chiesto a suo padre di essere portata dal dottore ma senza risultato. – la voce le vibrò di pianto quando continuò- quel pazzo era troppo fuori di testa per capire che stava male. Pensava che volesse solo attirare la sua attenzione, perché lui era poco presente.. pensava che fossero capricci.. mentre lei moriva di leucemia..” una lacrima le scivolò dalle guance, e lei la asciugò subito, con stizza.

Greg negò con il capo, sconvolto.

“E non è finita.- proseguì lei con gli occhi traboccanti di lacrime.- lui.. lui non accettava la malattia di sua figlia… come non aveva accettato la diagnosi di Park, così non aveva accettato quella di Law.. mi chiese in disparte di visitare sua figlia.. perché di me si fidava e voleva il mio parere medico.”

“Che cosa avevi fatto per avere la sua fiducia?”

“Niente.- rispose, lei, soprappensiero.- assolutamente niente.”

“I miracoli di un bel viso.- commentò House, quasi infastidito.- quindi?”

“La visitai, feci gli esami. Era leucemia.”

 

“Allora, dottoressa Cameron??” la voce di Higt la fermò per il corridoio. Cameron alzò lo sguardo dalla cartella di un altro paziente e lo fissò su quello dell’uomo che aveva di fronte. Era sconvolto e ancora più agitato del normale.

Istintivamente si guardò intorno, quasi spaventata dall’idea di restare sola con lui. Ma sfortunatamente erano quasi le una di notte e il corridoio  era muto e deserto.  Un successivo “Allora??” da parte dell’uomo la spronò a parlare e a rivelare la sua diagnosi.

 “Purtroppo Park non si sbagliava.” disse, sussurrando.

“No..” mormorò l’uomo, fissando il pavimento.

Lei continuò. “E nemmeno Law. È leucemia, signor Higt.”

“No, no..”

“Sua figlia è gravemente malata, la malattia ha uno stadio molto avanzato e..”

“NOOO” urlò, prendendola improvvisamente per le spalle e sbattendola violentemente al muro.

 

Un brivido passò lungo la schiena di Allison al ricordo di quegli avvenimenti.

“E tu l’hai denunciato.” Continuò Greg come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Ma non appena incrociò gli occhi di lei, capì che tanto ovvia non era. “.. non l’hai fatto?- esclamò, incredulo.- quell’uomo aveva delle gravi mancanze nei confronti della figlia e aveva aggredito un medico! Potevate togliergli la bambina in una giornata, sarebbe bastato chiamare gli assistenti sociali! E non l’avete fatto! Ma che cosa aspettavate, che mettesse una bomba nella risonanza magnetica??”   

“Non credere che io non ci abbia pensato.” Rispose lei, fissandolo intensamente. “Ma..”

 

“No, non possiamo farlo.”

Cameron sgranò gli occhi, sconvolta, di fronte alle parole che aveva appena pronunciato Law, aspirando dalla sigaretta, all’entrata della clinica.

“Ma quell’uomo..”

“Lo so, Allison.- continuò lui, teso, fissandola negli occhi.- ma pensa alla bambina. Pensa a Chrystal, per un attimo. Dovrà fare un intervento molto delicato. Avrà bisogno di lui, adesso. anche se pazzo, è pur sempre suo padre.”

 

“l’intervento come andò?” domandò House con il capo leggermente piegato verso il pavimento.

Lei sorrise, tristemente. “Non ci fu nessun intervento.- sussurrò.- suo padre la portò via dalla clinica due giorni dopo. Sosteneva che noi mentivamo, che sua figlia non era così malata, che non poteva morire.” Allison si fermò un istante e proseguì solo dopo aver tirato un bel sospiro profondo. “La portò in un altro ospedale, a San Francisco. Morì due giorni dopo per uno stupido errore di trasfusione.”

Aveva gli occhi pieni di lacrime adesso e la sua voce vibrava di pianto. “Io le ero affezionata.. ricordo ogni singola parola dei nostri colloqui.. le sue immagini mi tormentano ancora a volte, insieme al dubbio di non aver fatto abbastanza per lei..”

Greg fece un sorriso quasi ironico. “Se la malattia era in quello stadio avresti potuto far poco in ogni caso. Non ricominciare con il masochismo e i sensi di colpa, non è il momento- disse, brusco.- Adesso dobbiamo chiamare Smith e raccontare questa favola a sfondo macabro anche a lui.”

Allison corrugò la fronte, incredula. “Adesso non ho voglia di fare proprio niente.- rispose, acida.- raccontagliela tu, se ti diverte tanto fare il contastorie.” Non disse altro, prese i suoi vestiti, ancora sparpagliati sul divano poi, con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò in bagno, sbattendo violentemente  la porta.

Greg rimase, solo, a fissare il pavimento ancora qualche istante, maledicendo il suo distacco e il modo con cui l’aveva trattata.

Era un idiota.

Lei aveva bisogno di lui in quel momento e anche solo un abbraccio le sarebbe bastato.

E lui l’aveva trattata con una freddezza che non meritava.

Si appoggiò stancamente al divano, gettando un occhio sulla morbida superficie dove si erano rotolati pochi attimi fa. Era buffo pensare a come le cose si possono ribaltare completamente in meno di un’ora. Poco prima era stato tanto così dal dirle ti amo e adesso l’aveva praticamente presa a pesci in faccia mentre lei gli raccontava la sua terribile verità.

Sì, era un idiota.

 

 

 

 

 

I tacchi alti della donna scandivano con un leggero tic tic ogni suo passo mentre scendeva le scale del PPTH, la schiena un po’ piegata a destra verso il peso della sua ventiquattrore e gli occhi puntati verso il cielo che non prometteva proprio nulla di buono.

Lisa s’avviò così verso la propria auto, distante circa una ventina di metri, sperando che la pioggia non la cogliesse proprio durante il tragitto, dato che avendo una cartellina molto pesante e i tacchi alti non avrebbe potuto raggiungerla di corsa.

Ma questa volta la fortuna non fu a suo favore e dopo uno tuono l’asfalto davanti a lei cominciò a macchiarsi di tante piccole gocce di pioggia che, tempo nemmeno un secondo,andarono a formare una vera e propria raffica d’acqua.

“Maledizione!” imprecò  cercando di aumentare il passo ben coscia però che in quelle condizioni una bella doccia fredda non gliel’avrebbe tolta proprio nessuno. Sentiva che i capelli stavano già inumidendosi quando notò un contrasto quasi inspiegabile.

Si fermò, sentendosi all’asciutto. Si volse all’indietro ed incontrò la sagoma sorridente di James Wilson  che reggeva un ombrello, con in faccia un sorriso talmente ebete che se l’avesse visto House probabilmente l’avrebbe sfottuto per mesi.

Anche lei non potè fare a meno di sorridere. “Che c’è.- iniziò- si ride delle disgrazie degli altri?” aveva un tono ilare anche se un po’ canzonatorio.

Wilson s’accorse della stupida espressione sognante che aveva tenuto fino a poco prima e trovando un contegno riprese, dicendo, sarcasticamente. “è tutta la vita che sognavo di fare una vera e propria azione da cavaliere!”

“Falla completa allora.” continuò lei, porgendogli la ventiquattrore.

Lui la prese con slancio, non potendo però evitare di sottolineare con l’espressione del viso quanto fosse pesante. Lisa rise, dicendo. “Questo sì che è un comportarsi da uomini.- si girò- la mia auto è là. Mi accompagni?”

Benché la valigetta fosse pesantissima e l’ombrello iniziasse a minacciare di ribaltarsi per la forza del vento, lui non accennò alcuna esitazione e rispose avanzando in avanti con un piccolo cenno del capo.

Lei gli si accostò, protetta dal suo ombrello e finalmente alleggerita da quel peso fastidioso.

Giunsero in silenzio fino all’auto della donna. Lisa iniziò a farsi frettolosa. “Beh, grazie.” Disse facendo cenno di volersi riprendere la cartellina, e dicendo frettolosamente. “Io devo proprio andare, ho tantissime cose da fare..”

James lasciò che la donna si riprendesse la ventiquattrore e l’osservò mentre, agitata, cercava le chiavi nella borsa. Si chiese che cosa fosse giusto fare in questi casi ..se rompere il ghiaccio, se iniziare una conversazione, se..

Decise che avrebbe seguito l’istinto. Cuddy inserì la chiave nella serratura dell’auto, aprì lo sportello ma prima che entrasse Jimmy la prese per un braccio obbligandola a fermarsi.

“Lisa.- disse, osservandola intensamente negli occhi.- va tutto bene?”

La donna non interruppe il contatto visivo ma non rispose nulla.

Deglutì, a fatica, poi chiuse appena gli occhi, sospirando. “Sì.- mentì- va tutto bene.”

Per Wilson fu un colpo enorme. A questo punto avrebbe immaginato che lei si aprisse e gli confidasse il suo terribile segreto, non s’immaginava di nuovo quella fredda bugia.

“Ora scusami ma devo andare.”

Per nulla d’accordo, Wilson non lasciò la presa intorno al suo braccio. “Che cosa c’è che non va?- tornò a domandarle.- tu.. non sei obbligata a confidarti se non vuoi ma..- fece una piccola pausa, impacciato, lasciando che la pioggia scrosciante per un po’ prendesse il posto delle sue parole.- ma io vorrei starti vicino e aiutarti.”

Lei distolse di nuovo lo sguardo e lui proseguì. “I problemi sono più semplici se si affrontano in due.”

Dopo un piccolo silenzio lei rialzò lo sguardo, quasi inspiegabilmente ferita. “In due..- ripeté, amareggiata.- che cosa vuol dire in due, James? Io sono sola e sono sempre stata forte abbastanza da risolvere i miei problemi. Senza il bisogno di nessuno e questa volta non sarà diverso.”

“Nessuno può farcela sempre da solo.- le rispose lui, a tono.- tutti abbiamo bisogno di appoggiarci agli altri.. e anche tu. Altrimenti l’altra sera non mi avresti lasciato quel messaggio.”

Lei sembrò spiazzata, poi ribatté, acida. “Beh, ti ringrazio tanto Wilson. Ma preferisco così.”

Lui negò con il capo ma non s’oppose oltre. “Come vuoi.” Mormorò, scuro, aggrottando la fronte. Restò in silenzio ancora un po’ poi disse, amaramente. “Buona notte, Lisa.” Si  voltò e se ne andò, camminando tra la pioggia, sotto lo sguardo ovattato del dirigente ospedaliero.

Lisa lo guardò ancora un istante, poi fece per entrare nell’auto. Ma non appena ebbe aperto lo sportello si bloccò. Dimenticandosi della pioggia che dopo la partenza di Jimmy imperversava su di lei, si fermò a guardarlo, esitante.

Sentì un grosso groppo in gola e in contemporanea le lacrime premere incontrollate sulla soglia degli occhi. Iniziò a giocherellare con le mani, mentre sentiva il suo ferreo autocontrollo andarsene velocemente. “Non … - bastò quello per far fermare Jimmy.- non c’è. Non ci sarà mai.”

Lui si voltò con il cuore che gli batteva forte nel petto e si fermò a guardarla, mentre continuava, bagnata dalla pioggia. “Non ce la faccio più.- disse mentre le lacrime si mischiavano alla pioggia sul suo viso.- ho provato di nuovo ma.. non riesco ad avere figli..”

Scoppiò a piangere, singhiozzando, nella pioggia, davanti all’uomo che l’ascoltava incredulo.

Wilson lasciò cadere l’ombrello e le corse incontro, abbracciandola con vigore. Chiuse gli occhi mentre stringeva a sé e lasciava che si sfogasse a contatto con il suo petto, mentre la pioggia imperversava su entrambi.

Lui la strinse finché le sue spalle non smisero di alzarsi ed abbassarsi velocemente e lei si calmò, lentamente, anche se non accennò a volersene andare da quella stretta.

James si mosse accarezzandole i capelli umidi, dolcemente. “Vieni con me, Lisa. Vieni con me.”

Lei non rispose nulla, solo si staccò dal suo abbraccio e gli sorrise dolcemente.

Jimmy contraccambiò il sorriso, poi la prese per mano e si mosse all’indietro verso la sua auto.

Non chiese nulla, semplicemente si lasciò condurre da lui, con lo sguardo sognante e sorridente di una donna innamorata.

 

 

 

 

Greg lanciò di nuovo la sua pallina rossa ma sbagliò mira e il piccolo gioco questa volta invece che nella sua mano cadde sul materasso, accanto a lui. Sospirò. Si portò le braccia dietro la nuca e rimase immobile a fissare il soffitto sopra di lui.

Cameron era di là, nel salotto. Sola.

Dopo il piccolo screzio che avevano avuto non si erano più rivolti la parola. Lei si era rifugiata nella sua amarezza e lui era rimasto in disparte, come un osservatore silenzioso del dolore della ragazza. Non una parola, non una carezza, niente.

Se ripensava a quello che era accaduto, nel pomeriggio, gli venivano i brividi. Aveva fatto l’amore con Allison. La verità è che adesso aveva paura.. troppa paura.. di quello che sarebbe potuto accadere, aveva il terrore di scoprire quello che aveva provato, di dare un nome ben preciso alle emozioni che aveva sentito chiare e distinte nel cuore.

Parlare con lei, affrontarla, significava lasciare che tutto questo venisse alla luce.

Ma era questo il momento?

Non avevano adesso altre priorità, altri problemi? Dato che Cameron era troppo scossa per farlo aveva chiamato Smith raccontandogli la verità. Il commissario aveva preso un appuntamento per il giorno dopo, al PPTH, per parlare con Cameron, di persona.

Le sue riflessioni vennero interrotte da qualcosa di imprevisto e di toccante insieme. La porta della sua camera si era aperta lentamente, e la dolcissima figura di Cameron era comparsa, sulla soglia.

Ebbe un tuffo al cuore. Allison doveva davvero aver bisogno di lui se aveva calpestato il suo orgoglio e aveva fatto lei il primo passo.

Si rizzò sui gomiti, senza sapere con certezza cosa dire, esattamente.

“Sono stata una stupida.- la sua voce suonava sottile ma perfettamente lucida. Non c’era traccia né di commozione né di pianto.- ma tu sei stato un bastardo.”

Non obbiettò nulla; era vero.

Allison indossava la sua camicia da notte e Greg con un fremito alla schiena pensò di nuovo che avrebbe tanto voluto sfilargliela, di nuovo.

Gli occhi verdi della ragazza lo fissavano, abissali. “Che cos’è stato, House?” domandò, flebilmente.

Ecco, la domanda che più temeva.

“Ho bisogno di saperlo.”

 

 “e io ti piaccio? Ho bisogno di saperlo..”

 

House sbatté forte le palpebre allontanando i ricordi. Si alzò, mettendosi a sedere sul letto. Le fece cenno d’avvicinarsi ma Allison preferì restare lì, in piedi.

“So che non è il momento adatto, che ci sono molti problemi. Ma voglio sapere se per te tutto questo  stato solo sesso.”

Fece qualche passo verso di lui. “Non sono venuta qui per fare la moralista, solamente voglio fare chiarezza in tutta questa situazione. Perché se tu ti sei solo voluto togliere uno sfizio.. voglio che me lo dica, sinceramente. Voglio saperlo.- piccola pausa.- adesso.”

Il diagnosta deglutì, a fatica, cercando di affrontare uno dei momento più delicati della sua vita. “…. Non sei stata un capriccio.” disse, con la voce quasi roca

Lei sentì il cuore battere forte nel suo petto a quelle parole e l’incitò a proseguire. “E allora? Allora cos’è stato?”

Si osservarono, intensamente, nella penombra della sua camera, immersa nella notte.

“..Non lo so.. .”

Allison chiuse gli occhi quasi esasperata. “Hai fatto l’amore con me. Voglio una spiegazione.” tornò ad essere dura, ferita.

“Se ti dicessi che è stato solo sesso saresti soddisfatta?” la sua replica suonò amara più che sarcastica.

“Se è la verità, sì.” Continuò lei con la voce più instabile questa volta, mentre giocherellava, tremando leggermente.

“è stato solo sesso.”

Lei lo fissò intensamente. “ Non è vero.”

Greg non poté fare a meno di trattenere una risata. “Ah ah. Avevi detto che saresti stata soddisfatta.”

“Ma non è la verità.”

“E TU sai la verità, giusto?”

Lei annuì, decisa. “Puoi dire quello che vuoi.- sussurrò.- poi nasconderti quanto vuoi ma non è così, House. Io ti ho sentito.…-sospirò-  perché hai paura di dirmi quello che senti veramente?”

“Forse perché non ho sentito veramente niente.” ipotizzò con parole più dure di un macigno.

Lei ammutolì, deglutendo leggermente. Questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime.

“O..- proseguì Greg.- perché non so cos..”

“Io non mi accontento più di sapere cosa non è!!!!- le sue urla lo trovarono completamente impreparato.- io ho bisogno di chiarezza House. Voglio sapere CHE COS’E’!”

l’atmosfera cominciò a farsi più tesa, quasi insostenibile. “Dovrei chiedere a Chase se anche a lui hai fatto questo terzogrado..”

Cameron strinse i pugni, incredula. “Non ce n’è stato bisogno. Non ci siamo vergognati di ammettere che c’eravamo solo divertiti insieme. Tu invece non hai nemmeno il coraggio di dirmelo in faccia che io per te sono stata una delle tue puttane!”

House fece per replicare ma lei gli parlò sopra. “Ti avevo chiesto esplicitamente se eri in grado di gestire questa situazione!!” Cameron lasciò andare la frase, come avrebbe voluto lasciar andare anche se stessa adesso, in un pianto liberatorio che invece cercava ancora di trattenere.

“Sei un bastardo.” sussurrò poi e la conversazione si chiuse così.

Piena di bile e di dolore si girò su se stessa e scappò via da quella camera sotto lo sguardo indescrivibile di House.

 

 

 

Le sette e venticinque.

L’auto di Cameron percorreva lentamente la strada che l’avrebbe portata al PPTH, con una piccola musica di sottofondo, il finestrino aperto e l’aria un po’ fredda del mattino che le accarezzava la pelle ancora lucida. Sapeva che non avrebbe dovuto uscire di casa prima delle otto e mezzo, esattamente quando Smith l’aspettava per il loro colloquio, al PPTH. 

Ma non aveva resistito.

Non sarebbe riuscita a stare in quella casa un minuto di più, esattamente come la nottata precedente non era riuscita a dormire un solo secondo su quel maledettissimo divano.

Stronzo, bastardo, menefreghista..

Nella sua mente continuava infinita la sequela di parolacce rivolte ad House e al maledetto amore che lei continuava a provare per lui nonostante tutto.

Si odiava per questo.

E odiava lui per lo stesso motivo.

Rabbiosamente, parcheggiò e scese dall’auto accarezzata da un vento che ancora sapeva della pioggia che aveva accompagnato il giorno precedente. Salì le scale ed entrò nell’ospedale, rabbrividendo, scossa da uno stranissimo presagio.

 

 

Il telefono di casa House squillò destando il diagnosta dal leggerissimo sonno che l’aveva colto da circa dieci minuti, dopo una nottata in bianco. Prima di rispondere, imprecando, fece giusto in tempo a focalizzare l’orario, sulla radio sveglia. Le otto e cinque.

“Sì.” Rispose con un tono tutt’altro che accomodante.

“House sono Smith.- la voce del detective lo destò un po’ dall’apatia. -devo parlare con la dottoressa Cameron.  Grazie ai suoi ricordi siamo riusciti a completare la decodifica dei versi di Dante e… la sua versione dei fatti sembra combaciare perfettamente con la nostra interpretazione.”

Greg si alzò con un gomito. “La dottoressa non è in casa.”

“Sicuro?”

House si alzò del tutto. “Sì.” * non avrebbe mai lasciato che il telefono mi svegliasse* continuò mentalmente con una certa malinconia.

“è pericoloso per lei girare chissà dove..” commentò il detective. “dov’è andata?”

House sentì un piccolo vuoto allo stomaco. L’assassino. Nella turbe sentimentale di quelle ore l’aveva quasi dimenticato. Con la voce un po’ più incerta rispose al detective. “Penso in ospedale.”

“Beh allora è meglio che io vada da lei, anticiperemo un po’ il nostro colloquio. Mi sento più tranquillo se non passa molto tempo da sola.”

House non disse niente. Riattaccarono entrambi poco dopo. Poi, dopo un paio di secondi di trance, convenì anche lui con le parole di Smith.

Si alzò e iniziò a vestirsi.

Per andare da lei.

 

 

 

Robert Chase aprì stancamente la porta di vetro, facendo il suo ingresso nell’ufficio di House. “... Cameron?” disse, stupito nel vedere la sua collega già al lavoro, con il camice infilato e gli occhi puntati sulla cartella clinica di qualche malato.

Lei alzò i suoi occhi un po’ arrossati ma ugualmente bellissimi e li concentrò sul nuovo arrivato, accompagnando quello sguardo ad un piccolo sorriso. “Buongiorno anche te.”

“Come mai già qui?” chiese l’australiano, iniziando a spogliarsi. “sai che potresti stare un po’ a casa, data la situazione..”

“La casa di House è non è così accogliente.” rispose acidamente lei.

Vide il collega sgranare gli occhi a quella rivelazione. “Sì.- continuò- io non posso più andare a casa mia, dopo quel putiferio, non posso stare in albergo perché avrei bisogno di una guardia. E non posso nemmeno stare a casa di House oltre le sei ore di sonno per notte, altrimenti rischio di impazzire. Ergo, lavoro.”

L’australiano annuì, lentamente. “House è un bastardo. cos’ha fatto per farti saltare i nervi in questo modo?”

“Chase. – l’interruppe lei.- è una situazione difficile per me. Ho un assassino alle calcagna, ricordi? House non ha fatto niente di nuovo. Lui è semplicemente quello di sempre. Sono io che non ho i nervi per reggerlo, adesso.”

Robert lasciò correre. Non credeva alle parole di Allison ma era così scossa che indagare ancora sarebbe stato solo deleterio. S’infilò il camice. “Ah Cameron.- disse, ricordando.- hai dei turni in ambulatorio oggi?- lei negò.- allora ti conviene sentire che c’è, ti cercavano prima, giù nella hall.”

Con un sospiro, lei si alzò e in due passi uscì dall’ufficio.

 

 

 

“Aspetta, fammi vedere..- mormorò l’infermiera con gli occhi puntati allo schermo.- no, non hai turni in ambulatorio oggi.” Concluse spostando lo sguardo su Cameron, appoggiata stancamente al bancone.

“Come immaginavo.- sospirò l’immunologa.- sai chi mi cercava poco prima?”

La donna aggrottò la fronte. “Mm.. chi te l’ha detto?”

“Il dottor Chase.”

La donna negò con il capo mentre si accingeva a rispondere al telefono. “Mah, con me non ha parlato.” Poi si concentrò sulla cornetta che squillava salutando con un piccolo sorriso l’immunologa che dopo un sospiratissimo “Ok.” si dirigeva di nuovo verso l’ascensore da cui era scesa appena qualche minuto prima.

Era appena entrata quando il detective Smith entrò nel PPTH e, con un’aria piuttosto guardinga, s’avvicinò all’infermiera nella hall. “Scusi.-  le chiese, anche se questa era impegnata al telefono.- la dottoressa Cameron?”

La donna scostò la cornetta dal telefono. “è appena salita.” Gli rispose pensando a quanto fosse ricercata, in quel periodo, la bella immunologa.

L’uomo annuì, poi, pensieroso, decise di andare a diagnostica per le scale.

Intanto Cameron seguiva soprappensiero l’ascensore che, al primo piano, si vuotava quasi completamente degli infermieri che prima ospitava.

Schiacciò il tasto due.

Poi, scorgendo con la coda dell’occhio che non era affatto sola si voltò di 180 gradi, dicendo. “Scusi, non le ho nemmeno chiesto dove..” la voce le si fermò in gola.

L’uomo sorrise. “Non fa niente, dottoressa. Io e lei ci fermiamo comunque qui.” Con uno scatto tirò il pulsante rosso e bloccò l’ascensore.

Cameron restò congelata, incredula e terrorizzata allo stesso tempo.

Era LUI.

L’uomo, senza il passamontagna, era esattamente come lo ricordava. Alto, riccio, giovane e con quello sguardo maniacale dipinto in faccia. In passato in quegli occhi morbosi c’era il troppo amore per la figlia che si era deformato in una sorta di ossessione, adesso quell’ossessione si era rivolta con chi, secondo lui, l’aveva privato di lei. Contro Park, Smith.

E adesso contro di lei.

Allison si appiattì istintivamente contro le porte dell’ascensore,con il cuore in gola il terrore che, questa volta, non ci sarebbe stato nessun House a difenderla.

“Bene, dottoressa Cameron.- continuò William Higt con un sorriso a dir poco folle.- finalmente si ricorda di me. E della sua giovane vittima.”

Allison negò con il capo mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime.

L’uomo tirò fuori una pistola e gliela puntò contro senza nessun altro preambolo.

Rideva.

Un paio di lacrime sfuggirono dai bellissimi occhi della dottoressa mentre quello avanzava verso di lei. Con ancora quel sorriso dipinto in faccia, l’uomo gliele asciugò con la canna della pistola, dicendo. “Ma no, non pianga. È così bella che è un peccato vederla crucciata.”

Passò la canna della pistola sulle sue labbra, poi sul collo, in una lenta e sensuale carezza.

Cameron chiuse gli occhi, sperando almeno che facesse in fretta. Volle dedicare il suo ultimo pensiero all’uomo che amava e che l’aveva ferita tanto in questi tre anni. Volle ripensare a lui, ai suoi sorrisi e lasciarsi dietro le offese, ricordare la loro notte d’amore, lasciando stare il colloquio che aveva avuto dopo. Se lo figurò ancora a casa a dormire.

E invece lui era più vicino di quanto lei immaginava. Imprecando perché l’ascensore era bloccato, era faticosamente salito a piedi fino a diagnostica ma non era entrato nel suo ufficio.

Si era fermato prima, pochi passi dopo aver finito le scale.

I suoi muscoli si erano bloccati quando aveva visto Smith, davanti all’ascensore, sbraitare contro Chase che si copriva il volto con una mano, e i corridoi pieni di infermiere e di agenti che arrivavano da ogni parte.

Realizzò subito che stava succedendo.

E che non l’avrebbe rivista mai più.

 

 

<l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce.>> Saffo.

 

 

 

 

 

To be continued..

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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