Sono
vivaaa!!! Sì, non ci credevo più nemmeno io ma finalmente ce l’ho fatta!!!
Eccoci
qui con il decimo e penultimo capitolo della storia.. vi avverto che sarà un
capitolo abbastanza intenso e anche un po’ complicato da scrivere.. volevo far
finire la storia con questo aggiornamento ma ho realizzato che mi sarebbero
venute troppe pagine così ho fatto uno dei miei soliti tagli nei momenti più
cruciali.. non mi uccidete!
Ok, vi
lascio alla storia, avete aspettato anche troppo ma prima ho l’obbligo e il
piacere di ringraziare tutti voi, partendo da una dedica:
Questo
capitolo è dedicato ad Andrea, il mio migliore amico. Non so se lo
leggerai ma volevo comunque che sapessi che senza di te queste settimane non le
avrei mai sopportate. Grazie.
Passiamo adesso ai ringraziamenti dei lettori e delle lettrici che hanno recensito la volta scorsa e che mi hanno sostenuto rispondendo al capitolo avviso con le loro belle parole, grazie mille! Inizio quindi col ringraziare: Venus, Amy, Preziosoele, Briseis, Apple, Aras5, _Vally_, Nick, Mercury259, Miky91, Hikary.
e poi
naturalmente: Toru85, Hamburger, Amarantab, Mistral,
SHY, Pinacchia, Sheila, Damagedlove, EriMD,
Meggie, Elbereth.
GRAZIE DI CUORE!!
per
Nick: bravo!! Hai intuito la trama quasi alla perfezione… ci sei davvero
vicino..
Scusatemi
non ho molto tempo a disposizione, mi piacerebbe rispondere ad ognuno di voi, ma
non posso… magari lo farò la prossima volta con la chiusa!
Spero
vivamente di non deludervi..
p.s:
il titolo è ripreso dall’ultima citazione..
Buona
Lettura,
Diomache.
Lacrime
di Follia
Capitolo
X: Amore. Come il vento che piega
le querce.
<<
[…] In quel viso devastato dall’odio per la filosofia ho visto per la prima
volta il ritratto dell’Anticristo che non viene dalla tribù di Giuda come
vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L’Anticristo può nascere
dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o dalla verità come l’eretico
nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. [..]
Forse
il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità. [..] perché
l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la
verità.>>
Il
nome della Rosa. Umberto Eco.
“Chrystal..”
la sua voce suonò come un sussurro mentre i suoi occhi passavano dagli occhi
della bambina, nella foto, a quelli di House, ritto in piedi davanti a lei. La
fissava impaziente ma con uno sguardo che aveva uno strano che di orgoglioso.
“Questo
è il momento che preferisco.- disse lui con una voce quasi sognante.- quando il
gioco finisce e il mistero si risolve. Quando capisci che tutto aveva un senso,
aveva sempre avuto un senso, solo che non lo afferravi per intero.. e adesso
tutto coincide e ogni singola parte del puzzle si incastona perfettamente con le
altre” concluse avvicinandosi a lei di qualche passo.
Allison
distolse lo sguardo. “Per arrivare alla soluzione però questo puzzle si è
portato via due vite.”
Greg
sorrise amaramente. “I misteri sono sempre pericolosi. Qui sono morte due
persone, nell’iter diagnostico a volte un puzzle troppo complicato ti porta via
il paziente. l’importante è arrivare alla soluzione prima che sia troppo
tardi.”
Lei
alzò lo sguardo di scatto, infastidita. “Per scoprire di che cosa si tratti?”
disse, acida.
Ma
questa volta si sbagliava. Non era questo che House intendeva, anche se
normalmente era quello il significato della sue parole. Cameron lo capì non
appena incrociò i suoi occhi e si pentì del suo scatto d’ira.
Il
diagnosta piegò lo sguardo di lato. “No.” disse quindi. Gli costavano quelle
parole. gli costavano parecchio. “prima che potesse portarsi via anche te.”
Gli
occhi di Allison cercarono disperatamente i suoi ma lui non si volse a
guardarla, forse imbarazzato. “Allora.- disse quindi.- vogliamo delineare questo
puzzle sì o no?”
Cameron
sospirò, si passò una mano tra i capelli. Avrebbe voluto volare tra le sue
braccia, affondare i capelli sul suo petto e sentirlo vicino come poco prima.
Avrebbe voluto stringerlo,
sospirare, piangere, attaccata a lui, sentirsi di nuovo le sue mani tra i
capelli.. raccontare tutto, sì, ma sdraiata con lui, sul divano, davanti al
caminetto accesso.
Ma non
poteva.
Che
cosa era rimasto di quell’armonia di poco prima, dell’amore, della passione che
li aveva travolti? Niente.
Cercare
un contatto diverso da quello visivo, un contatto fisico con lui, aveva perso di
senso adesso. Erano come due estranei. Allison e Greg erano stati messi da
parte, chiusi in una parentesi che Dio solo sa quando avrebbero riaperto.
Negò
con il capo e si distanziò da lui prima di qualche passo, poi gli voltò le
spalle e si diresse verso la finestra. Gettò gli occhi fuori, sul paesaggio
invernale. Sentiva i suoi occhi che non la lasciavano un solo istante e con il
calore che quello sguardo continuava ad infondergli, iniziò, il suo triste racconto.
“Tutto
è cominciato tre anni fa, alla clinica Mayo.- disse, senza voltarsi.- lei.. lei
si chiamava Chrystal.. ed è il caso a cui tu ti riferivi, ieri.”
House
sfoggiò un piccolo sorrisetto soddisfatto. “ Quindi avevo ragione quando ti
dicevo che l’unico link che avevo trovato tra i due dottori morti era questa
Chrystal e che..”
“Si è
lei.- si voltò questa volta, appoggiandosi alla finestra con la schiena e
puntando i suoi occhi smeraldo su di lui.- complimenti.” il suo tono risultò un
po’ acido.
House
sorrise, quasi divertito. “I complimenti lasciamoli a dopo, lo sai che mi
imbarazzo sempre. Continua.”
Lei
corrugò appena i lati della bocca. “Chrystal Higt
venne portata alla clinica di Mayo quando io ero una specializzanda e lavoravo
con il dottor McLuise. Non era una nostra paziente, era stata affidata a Law,
reparto oncologia.”
“Si
questo lo so.- l’interruppe lui, annoiato.- questo è quello che ti ho raccontato
io facendo una comparazione tra le cartelle cliniche di Park e Law.- roteò gli
occhi.- non vale se mi rifili la mia storiella, devi metterci qualcosa di
tuo!”
Allison
aggrottò la fronte, in un chiaro segno di fastidio. “House, smettila di parlare
di questa storia come se fosse l’ultimo di libro di Agata Christie ” sentirsi
pronunciare il suo cognome le diede subito un grosso fastidio. Dopo quello che
era successo, si era immaginata di poterlo chiamare Greg.
“Ok,
penseremo a scriverci un libro più in là.- disse l’altro ignorando la polemica e
fingendo pazienza.- ma cerchiamo di ricostruire i fili del discorso, va bene?
Questa Higt, accompagnata dal paparino,va da Park, ospedale di New York.
Diagnosi: leucemia. Poi va alla clinica Mayo, perché Hitg non si fidava della
diagnosi di Park e..”
“E la
prende in cura Law.” Concluse lei, incrociando le braccia.
“e
fino qui ci siamo!- esclamò lui, quasi spazientito- adesso è il tuo turno! Come
entri in scena tu nella vita della famiglia Hitg? Che c’entri con loro due?-
s’interrompe, fingendo di aver trovato la soluzione.- oh no, non dirmi che eri
andata a far beneficenza presso i bambini di oncologia
e..”
“No.”
lo interruppe prima che potesse sparare qualche fastidiosa cazzata. “McLuise era
molto amico di Law. I due si consultavano spesso e anche quella mattina Law gli
chiese se poteva venire per un consulto. C’ero anch’io
nell’ufficio.”
“Jhon?” la porta dell’ufficio si spalancò e la sagoma asciutta di Law fece il suo ingresso.
Jhon
McLuise alzò gli occhi dalla cartella clinica che stava consultando.
“Oh,
buongiorno..
a che
dobbiamo la visita?”
Cameron
era lì, seduta di fronte alla scrivania di McLuise. Aveva i capelli sciolti,
lunghi sulle spalle, il camice bianco e un sorriso delicato dipinto sulle
labbra.
“Mi
faresti un favore? Ho bisogno di un consulto, è un caso importante.” Law parlava
con una certa ansia nella voce. Per la prima volta in tanti anni, McLuise negò
con il capo, sospirando.
“Non
posso, mi dispiace. Ho per le mani un caso troppo delicato.- fece una piccola
pausa poi puntò i suoi occhi grigi sulla sua giovane assistente.- ma ho qui la
dottoressa Cameron. Allison, te la senti di andare
tu?”
“Inizialmente
Law non era molto convinto. Lui era.. nervoso.. agitato.. voleva assolutamente
che fosse McLuise a venire al colloquio.”
“Ma
alla fine andasti tu.” Concluse House picchiettando le dita sul tavolo. “E
poi?”
Lei
alzò le spalle, incrociando le braccia dietro la schiena. “Le ragioni del
nervosismo di Law non restarono un mistero ancora per molto. Me ne resi conto
non appena misi piede in quella camera.”
Law mise mano alla porta e dopo averle regalato uno sguardo carico d’ansia lasciò che fosse Allison ad entrare per prima e ad osservare cosa stava succedendo.
Innanzitutto vide un uomo, sui trentacinque anni, riccio, alto, camminava nervosamente da una parte all’altra della stanza, con lo sguardo basso, gli occhi infossati e lucidi di pianto, le mani portate al petto e sfregate continuamente tra di loro.
Poi, dietro di lui, il fantasma scheletrico di una bambina.
“Ne ebbi paura quasi subito.- confessò
Cameron accarezzandosi le braccia.- lui aveva uno sguardo strano, parlava a
raffica..”
“Che cosa ti
diceva?”
“Informazioni sulla bambina. Continuava a
ripetere che Park era un assassino e che lui l’aveva voluta uccidere la sua
Chrystal.”
“E la
bambina?- insistette House.- che diceva lei?”
Chrystal,
la piccola bambina malata di cui il padre non faceva che parlare, era quasi
muta, risucchiata dal grande cuscino del letto d’ospedale, con lo sguardo fisso
e gli occhi sprofondati.
“Nulla.
Non diceva nulla. – questa volta fu Allison a fissare il proprio sguardo su un
punto indeterminato, come se la sua mente fosse altrove.- ascoltava suo padre
sproloquiare in silenzio. Allora m’insospettii e chiesi di restare sola con lei.
Volevo parlarle. Suo padre sembrava così.. ossessivo..” alzò gli occhi per
spiare le reazioni del suo capo alle sue parole.
“E..”
l’incitò lui.
“Chyrstal,
sono la dottoressa Cameron.” le sorrise, cercando di attirare la sua attenzione.
Ma la
bambina non la degnò nemmeno di uno sguardo. “Vattene.” Sussurrò, soltanto.
Allison
aprì la bocca, incredula. “Perché vuoi che me ne vada?” chiese, lievemente. “Io
voglio solo scoprire che cos’hai, non voglio farti del male.” Nessuna risposta.
“Nessuno vuole farti del male. Qui sei al sicuro.. ehi.. piccola..” le sfiorò la
mano magra ma la bambina la ritrasse.
Poi,
improvvisamente, girò il volto di scatto, fissandola con i suoi occhi blu.
“Risparmia il tuo tempo, dottoressa Cameron. Io
morirò.”
“Piuttosto
consapevole per essere una bambina.”
Cameron
sorrise, triste. “Suo padre è pazzo, non lei. Scoprimmo che erano mesi che si
sentiva male.”
House
aggrottò la fronte, curioso. “Che vuoi dire?”
“Chrystal
mi raccontò di aver iniziato a star male quasi un anno fa. Aveva chiesto a suo
padre di essere portata dal dottore ma senza risultato. – la voce le vibrò di
pianto quando continuò- quel pazzo era troppo fuori di testa per capire che
stava male. Pensava che volesse solo attirare la sua attenzione, perché lui era
poco presente.. pensava che fossero capricci.. mentre lei moriva di leucemia..”
una lacrima le scivolò dalle guance, e lei la asciugò subito, con stizza.
Greg
negò con il capo, sconvolto.
“E non
è finita.- proseguì lei con gli occhi traboccanti di lacrime.- lui.. lui non
accettava la malattia di sua figlia… come non aveva accettato la diagnosi di
Park, così non aveva accettato quella di Law.. mi chiese in disparte di visitare
sua figlia.. perché di me si fidava e voleva il mio parere
medico.”
“Che
cosa avevi fatto per avere la sua fiducia?”
“Niente.-
rispose, lei, soprappensiero.- assolutamente niente.”
“I
miracoli di un bel viso.- commentò House, quasi infastidito.-
quindi?”
“La
visitai, feci gli esami. Era leucemia.”
“Allora,
dottoressa Cameron??” la voce di Higt la fermò per il corridoio. Cameron alzò lo
sguardo dalla cartella di un altro paziente e lo fissò su quello dell’uomo che
aveva di fronte. Era sconvolto e ancora più agitato del normale.
Istintivamente
si guardò intorno, quasi spaventata dall’idea di restare sola con lui. Ma
sfortunatamente erano quasi le una di notte e il corridoio era muto e deserto. Un successivo “Allora??” da parte
dell’uomo la spronò a parlare e a rivelare la sua
diagnosi.
“Purtroppo Park non si sbagliava.” disse,
sussurrando.
“No..”
mormorò l’uomo, fissando il pavimento.
Lei
continuò. “E nemmeno Law. È leucemia, signor Higt.”
“No,
no..”
“Sua
figlia è gravemente malata, la malattia ha uno stadio molto avanzato
e..”
“NOOO”
urlò, prendendola improvvisamente per le spalle e sbattendola violentemente al
muro.
Un
brivido passò lungo la schiena di Allison al ricordo di quegli avvenimenti.
“E tu
l’hai denunciato.” Continuò Greg come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Ma non
appena incrociò gli occhi di lei, capì che tanto ovvia non era. “.. non l’hai
fatto?- esclamò, incredulo.- quell’uomo aveva delle gravi mancanze nei confronti
della figlia e aveva aggredito un medico! Potevate togliergli la bambina in una
giornata, sarebbe bastato chiamare gli assistenti sociali! E non l’avete fatto!
Ma che cosa aspettavate, che mettesse una bomba nella risonanza
magnetica??”
“Non credere che io non ci abbia pensato.”
Rispose lei, fissandolo intensamente. “Ma..”
“No, non possiamo farlo.”
Cameron sgranò gli occhi, sconvolta, di
fronte alle parole che aveva appena pronunciato Law, aspirando dalla sigaretta,
all’entrata della clinica.
“Ma quell’uomo..”
“Lo so, Allison.- continuò lui, teso,
fissandola negli occhi.- ma pensa alla bambina. Pensa a Chrystal, per un attimo.
Dovrà fare un intervento molto delicato. Avrà bisogno di lui, adesso. anche se
pazzo, è pur sempre suo padre.”
“l’intervento come andò?” domandò House con
il capo leggermente piegato verso il pavimento.
Lei sorrise, tristemente. “Non ci fu nessun
intervento.- sussurrò.- suo padre la portò via dalla clinica due giorni dopo.
Sosteneva che noi mentivamo, che sua figlia non era così malata, che non poteva
morire.” Allison si fermò un istante e proseguì solo dopo aver tirato un bel
sospiro profondo. “La portò in un altro ospedale, a San Francisco. Morì due
giorni dopo per uno stupido errore di trasfusione.”
Aveva gli occhi pieni di lacrime adesso e la
sua voce vibrava di pianto. “Io le ero affezionata.. ricordo ogni singola parola
dei nostri colloqui.. le sue immagini mi tormentano ancora a volte, insieme al
dubbio di non aver fatto abbastanza per lei..”
Greg fece un sorriso quasi ironico. “Se la
malattia era in quello stadio avresti potuto far poco in ogni caso. Non
ricominciare con il masochismo e i sensi di colpa, non è il momento- disse,
brusco.- Adesso dobbiamo chiamare Smith e raccontare questa favola a sfondo
macabro anche a lui.”
Allison corrugò la fronte, incredula. “Adesso
non ho voglia di fare proprio niente.- rispose, acida.- raccontagliela tu, se ti
diverte tanto fare il contastorie.” Non disse altro, prese i suoi vestiti,
ancora sparpagliati sul divano poi, con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò
in bagno, sbattendo violentemente
la porta.
Greg rimase, solo, a fissare il pavimento
ancora qualche istante, maledicendo il suo distacco e il modo con cui l’aveva
trattata.
Era un idiota.
Lei aveva bisogno di lui in quel momento e
anche solo un abbraccio le sarebbe bastato.
E lui l’aveva trattata con una freddezza che
non meritava.
Si appoggiò stancamente al divano, gettando
un occhio sulla morbida superficie dove si erano rotolati pochi attimi fa. Era
buffo pensare a come le cose si possono ribaltare completamente in meno di
un’ora. Poco prima era stato tanto così dal dirle ti amo e adesso l’aveva
praticamente presa a pesci in faccia mentre lei gli raccontava la sua terribile
verità.
Sì, era un idiota.
I
tacchi alti della donna scandivano con un leggero tic tic ogni suo passo mentre
scendeva le scale del PPTH, la schiena un po’ piegata a destra verso il peso
della sua ventiquattrore e gli occhi puntati verso il cielo che non prometteva
proprio nulla di buono.
Lisa
s’avviò così verso la propria auto, distante circa una ventina di metri,
sperando che la pioggia non la cogliesse proprio durante il tragitto, dato che
avendo una cartellina molto pesante e i tacchi alti non avrebbe potuto
raggiungerla di corsa.
Ma
questa volta la fortuna non fu a suo favore e dopo uno tuono l’asfalto davanti a
lei cominciò a macchiarsi di tante piccole gocce di pioggia che, tempo nemmeno
un secondo,andarono a formare una vera e propria raffica
d’acqua.
“Maledizione!”
imprecò cercando di aumentare il
passo ben coscia però che in quelle condizioni una bella doccia fredda non
gliel’avrebbe tolta proprio nessuno. Sentiva che i capelli stavano già
inumidendosi quando notò un contrasto quasi inspiegabile.
Si fermò,
sentendosi all’asciutto. Si volse all’indietro ed incontrò la sagoma sorridente
di James Wilson che reggeva un
ombrello, con in faccia un sorriso talmente ebete che se l’avesse visto House
probabilmente l’avrebbe sfottuto per mesi.
Anche
lei non potè fare a meno di sorridere. “Che c’è.- iniziò- si ride delle
disgrazie degli altri?” aveva un tono ilare anche se un po’ canzonatorio.
Wilson
s’accorse della stupida espressione sognante che aveva tenuto fino a poco prima
e trovando un contegno riprese, dicendo, sarcasticamente. “è tutta la vita che
sognavo di fare una vera e propria azione da cavaliere!”
“Falla
completa allora.” continuò lei, porgendogli la
ventiquattrore.
Lui la
prese con slancio, non potendo però evitare di sottolineare con l’espressione
del viso quanto fosse pesante. Lisa rise, dicendo. “Questo sì che è un
comportarsi da uomini.- si girò- la mia auto è là. Mi
accompagni?”
Benché la
valigetta fosse pesantissima e l’ombrello iniziasse a minacciare di ribaltarsi
per la forza del vento, lui non accennò alcuna esitazione e rispose avanzando in
avanti con un piccolo cenno del capo.
Lei
gli si accostò, protetta dal suo ombrello e finalmente alleggerita da quel peso
fastidioso.
Giunsero
in silenzio fino all’auto della donna. Lisa iniziò a farsi frettolosa. “Beh,
grazie.” Disse facendo cenno di volersi riprendere la cartellina, e dicendo
frettolosamente. “Io devo proprio andare, ho tantissime cose da
fare..”
James
lasciò che la donna si riprendesse la ventiquattrore e l’osservò mentre,
agitata, cercava le chiavi nella borsa. Si chiese che cosa fosse giusto fare in
questi casi ..se rompere il ghiaccio, se iniziare una conversazione, se..
Decise
che avrebbe seguito l’istinto. Cuddy inserì la chiave nella serratura dell’auto,
aprì lo sportello ma prima che entrasse Jimmy la prese per un braccio
obbligandola a fermarsi.
“Lisa.-
disse, osservandola intensamente negli occhi.- va tutto
bene?”
La
donna non interruppe il contatto visivo ma non rispose nulla.
Deglutì,
a fatica, poi chiuse appena gli occhi, sospirando. “Sì.- mentì- va tutto
bene.”
Per
Wilson fu un colpo enorme. A questo punto avrebbe immaginato che lei si aprisse
e gli confidasse il suo terribile segreto, non s’immaginava di nuovo quella
fredda bugia.
“Ora
scusami ma devo andare.”
Per
nulla d’accordo, Wilson non lasciò la presa intorno al suo braccio. “Che cosa
c’è che non va?- tornò a domandarle.- tu.. non sei obbligata a confidarti se non
vuoi ma..- fece una piccola pausa, impacciato, lasciando che la pioggia
scrosciante per un po’ prendesse il posto delle sue parole.- ma io vorrei starti
vicino e aiutarti.”
Lei
distolse di nuovo lo sguardo e lui proseguì. “I problemi sono più semplici se si
affrontano in due.”
Dopo
un piccolo silenzio lei rialzò lo sguardo, quasi inspiegabilmente ferita. “In
due..- ripeté, amareggiata.- che cosa vuol dire in due, James? Io sono sola e
sono sempre stata forte abbastanza da risolvere i miei problemi. Senza il
bisogno di nessuno e questa volta non sarà diverso.”
“Nessuno
può farcela sempre da solo.- le rispose lui, a tono.- tutti abbiamo bisogno di
appoggiarci agli altri.. e anche tu. Altrimenti l’altra sera non mi avresti
lasciato quel messaggio.”
Lei
sembrò spiazzata, poi ribatté, acida. “Beh, ti ringrazio tanto Wilson. Ma
preferisco così.”
Lui
negò con il capo ma non s’oppose oltre. “Come vuoi.” Mormorò, scuro, aggrottando
la fronte. Restò in silenzio ancora un po’ poi disse, amaramente. “Buona notte,
Lisa.” Si voltò e se ne andò,
camminando tra la pioggia, sotto lo sguardo ovattato del dirigente ospedaliero.
Lisa
lo guardò ancora un istante, poi fece per entrare nell’auto. Ma non appena ebbe
aperto lo sportello si bloccò. Dimenticandosi della pioggia che dopo la partenza
di Jimmy imperversava su di lei, si fermò a guardarlo, esitante.
Sentì
un grosso groppo in gola e in contemporanea le lacrime premere incontrollate
sulla soglia degli occhi. Iniziò a giocherellare con le mani, mentre sentiva il
suo ferreo autocontrollo andarsene velocemente. “Non … - bastò quello per far
fermare Jimmy.- non c’è. Non ci sarà mai.”
Lui si
voltò con il cuore che gli batteva forte nel petto e si fermò a guardarla,
mentre continuava, bagnata dalla pioggia. “Non ce la faccio più.- disse mentre
le lacrime si mischiavano alla pioggia sul suo viso.- ho provato di nuovo ma..
non riesco ad avere figli..”
Scoppiò
a piangere, singhiozzando, nella pioggia, davanti all’uomo che l’ascoltava
incredulo.
Wilson
lasciò cadere l’ombrello e le corse incontro, abbracciandola con vigore. Chiuse
gli occhi mentre stringeva a sé e lasciava che si sfogasse a contatto con il suo
petto, mentre la pioggia imperversava su entrambi.
Lui la
strinse finché le sue spalle non smisero di alzarsi ed abbassarsi velocemente e
lei si calmò, lentamente, anche se non accennò a volersene andare da quella
stretta.
James
si mosse accarezzandole i capelli umidi, dolcemente. “Vieni con me, Lisa. Vieni
con me.”
Lei
non rispose nulla, solo si staccò dal suo abbraccio e gli sorrise dolcemente.
Jimmy
contraccambiò il sorriso, poi la prese per mano e si mosse all’indietro verso la
sua auto.
Non
chiese nulla, semplicemente si lasciò condurre da lui, con lo sguardo sognante e
sorridente di una donna innamorata.
Greg
lanciò di nuovo la sua pallina rossa ma sbagliò mira e il piccolo gioco questa
volta invece che nella sua mano cadde sul materasso, accanto a lui. Sospirò. Si
portò le braccia dietro la nuca e rimase immobile a fissare il soffitto sopra di
lui.
Cameron
era di là, nel salotto. Sola.
Dopo
il piccolo screzio che avevano avuto non si erano più rivolti la parola. Lei si
era rifugiata nella sua amarezza e lui era rimasto in disparte, come un
osservatore silenzioso del dolore della ragazza. Non una parola, non una
carezza, niente.
Se
ripensava a quello che era accaduto, nel pomeriggio, gli venivano i brividi.
Aveva fatto l’amore con Allison. La verità è che adesso aveva paura.. troppa
paura.. di quello che sarebbe potuto accadere, aveva il terrore di scoprire
quello che aveva provato, di dare un nome ben preciso alle emozioni che aveva
sentito chiare e distinte nel cuore.
Parlare
con lei, affrontarla, significava lasciare che tutto questo venisse alla luce.
Ma era
questo il momento?
Non
avevano adesso altre priorità, altri problemi? Dato che Cameron era troppo
scossa per farlo aveva chiamato Smith raccontandogli la verità. Il commissario
aveva preso un appuntamento per il giorno dopo, al PPTH, per parlare con
Cameron, di persona.
Le sue
riflessioni vennero interrotte da qualcosa di imprevisto e di toccante insieme.
La porta della sua camera si era aperta lentamente, e la dolcissima figura di
Cameron era comparsa, sulla soglia.
Ebbe
un tuffo al cuore. Allison doveva davvero aver bisogno di lui se aveva
calpestato il suo orgoglio e aveva fatto lei il primo passo.
Si
rizzò sui gomiti, senza sapere con certezza cosa dire, esattamente.
“Sono
stata una stupida.- la sua voce suonava sottile ma perfettamente lucida. Non
c’era traccia né di commozione né di pianto.- ma tu sei stato un
bastardo.”
Non
obbiettò nulla; era vero.
Allison
indossava la sua camicia da notte e Greg con un fremito alla schiena pensò di
nuovo che avrebbe tanto voluto sfilargliela, di nuovo.
Gli
occhi verdi della ragazza lo fissavano, abissali. “Che cos’è stato, House?”
domandò, flebilmente.
Ecco,
la domanda che più temeva.
“Ho
bisogno di saperlo.”
“e io ti piaccio? Ho bisogno di
saperlo..”
House
sbatté forte le palpebre allontanando i ricordi. Si alzò, mettendosi a sedere
sul letto. Le fece cenno d’avvicinarsi ma Allison preferì restare lì, in piedi.
“So
che non è il momento adatto, che ci sono molti problemi. Ma voglio sapere se per
te tutto questo stato solo
sesso.”
Fece
qualche passo verso di lui. “Non sono venuta qui per fare la moralista,
solamente voglio fare chiarezza in tutta questa situazione. Perché se tu ti sei
solo voluto togliere uno sfizio.. voglio che me lo dica, sinceramente. Voglio
saperlo.- piccola pausa.- adesso.”
Il
diagnosta deglutì, a fatica, cercando di affrontare uno dei momento più delicati
della sua vita. “…. Non sei stata un capriccio.” disse, con la voce quasi
roca
Lei
sentì il cuore battere forte nel suo petto a quelle parole e l’incitò a
proseguire. “E allora? Allora cos’è stato?”
Si
osservarono, intensamente, nella penombra della sua camera, immersa nella notte.
“..Non
lo so.. .”
Allison
chiuse gli occhi quasi esasperata. “Hai fatto l’amore con me. Voglio una
spiegazione.” tornò ad essere dura, ferita.
“Se ti
dicessi che è stato solo sesso saresti soddisfatta?” la sua replica suonò amara
più che sarcastica.
“Se è
la verità, sì.” Continuò lei con la voce più instabile questa volta, mentre
giocherellava, tremando leggermente.
“è
stato solo sesso.”
Lei lo fissò
intensamente. “ Non è vero.”
Greg non poté fare
a meno di trattenere una risata. “Ah ah.
Avevi detto che saresti stata
soddisfatta.”
“Ma non è la
verità.”
“E TU sai la
verità, giusto?”
Lei
annuì, decisa. “Puoi dire quello che vuoi.- sussurrò.- poi nasconderti quanto
vuoi ma non è così, House. Io ti ho sentito.…-sospirò- perché hai paura di dirmi quello che
senti veramente?”
“Forse perché non ho sentito veramente niente.” ipotizzò con parole più dure di un macigno.
Lei ammutolì,
deglutendo leggermente. Questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime.
“O..- proseguì Greg.- perché non so cos..”
“Io
non mi accontento più di sapere cosa non è!!!!- le sue urla lo trovarono
completamente impreparato.- io ho bisogno di chiarezza House. Voglio sapere CHE
COS’E’!”
l’atmosfera
cominciò a farsi più tesa, quasi insostenibile. “Dovrei chiedere a Chase se
anche a lui hai fatto questo terzogrado..”
Cameron
strinse i pugni, incredula. “Non ce n’è stato bisogno. Non ci siamo vergognati
di ammettere che c’eravamo solo divertiti insieme. Tu invece non hai nemmeno il
coraggio di dirmelo in faccia che io per te sono stata una delle tue puttane!”
House
fece per replicare ma lei gli parlò sopra. “Ti avevo chiesto esplicitamente se
eri in grado di gestire questa situazione!!” Cameron lasciò andare la frase,
come avrebbe voluto lasciar andare anche se stessa adesso, in un pianto
liberatorio che invece cercava ancora di trattenere.
“Sei
un bastardo.” sussurrò poi e la conversazione si chiuse così.
Piena
di bile e di dolore si girò su se stessa e scappò via da quella camera sotto lo
sguardo indescrivibile di House.
Le
sette e venticinque.
L’auto
di Cameron percorreva lentamente la strada che l’avrebbe portata al PPTH, con
una piccola musica di sottofondo, il finestrino aperto e l’aria un po’ fredda
del mattino che le accarezzava la pelle ancora lucida. Sapeva che non avrebbe
dovuto uscire di casa prima delle otto e mezzo, esattamente quando Smith
l’aspettava per il loro colloquio, al PPTH.
Ma non
aveva resistito.
Non
sarebbe riuscita a stare in quella casa un minuto di più, esattamente come la
nottata precedente non era riuscita a dormire un solo secondo su quel
maledettissimo divano.
Stronzo,
bastardo, menefreghista..
Nella
sua mente continuava infinita la sequela di parolacce rivolte ad House e al
maledetto amore che lei continuava a provare per lui nonostante tutto.
Si
odiava per questo.
E
odiava lui per lo stesso motivo.
Rabbiosamente,
parcheggiò e scese dall’auto accarezzata da un vento che ancora sapeva della
pioggia che aveva accompagnato il giorno precedente. Salì le scale ed entrò
nell’ospedale, rabbrividendo, scossa da uno stranissimo presagio.
Il
telefono di casa House squillò destando il diagnosta dal leggerissimo sonno che
l’aveva colto da circa dieci minuti, dopo una nottata in bianco. Prima di
rispondere, imprecando, fece giusto in tempo a focalizzare l’orario, sulla radio
sveglia. Le otto e cinque.
“Sì.”
Rispose con un tono tutt’altro che accomodante.
“House
sono Smith.- la voce del detective lo destò un po’ dall’apatia. -devo parlare
con la dottoressa Cameron. Grazie
ai suoi ricordi siamo riusciti a completare la decodifica dei versi di Dante e…
la sua versione dei fatti sembra combaciare perfettamente con la nostra
interpretazione.”
Greg
si alzò con un gomito. “La dottoressa non è in casa.”
“Sicuro?”
House
si alzò del tutto. “Sì.” * non avrebbe mai lasciato che il telefono mi
svegliasse* continuò mentalmente con una certa malinconia.
“è
pericoloso per lei girare chissà dove..” commentò il detective. “dov’è
andata?”
House
sentì un piccolo vuoto allo stomaco. L’assassino. Nella turbe sentimentale di
quelle ore l’aveva quasi dimenticato. Con la voce un po’ più incerta rispose al
detective. “Penso in ospedale.”
“Beh
allora è meglio che io vada da lei, anticiperemo un po’ il nostro colloquio. Mi
sento più tranquillo se non passa molto tempo da sola.”
House
non disse niente. Riattaccarono entrambi poco dopo. Poi, dopo un paio di secondi
di trance, convenì anche lui con le parole di Smith.
Si
alzò e iniziò a vestirsi.
Per
andare da lei.
Robert
Chase aprì stancamente la porta di vetro, facendo il suo ingresso nell’ufficio
di House. “... Cameron?” disse, stupito nel vedere la sua collega già al lavoro,
con il camice infilato e gli occhi puntati sulla cartella clinica di qualche
malato.
Lei
alzò i suoi occhi un po’ arrossati ma ugualmente bellissimi e li concentrò sul
nuovo arrivato, accompagnando quello sguardo ad un piccolo sorriso. “Buongiorno
anche te.”
“Come
mai già qui?” chiese l’australiano, iniziando a spogliarsi. “sai che potresti
stare un po’ a casa, data la situazione..”
“La
casa di House è non è così accogliente.” rispose acidamente lei.
Vide
il collega sgranare gli occhi a quella rivelazione. “Sì.- continuò- io non posso
più andare a casa mia, dopo quel putiferio, non posso stare in albergo perché
avrei bisogno di una guardia. E non posso nemmeno stare a casa di House oltre le
sei ore di sonno per notte, altrimenti rischio di impazzire. Ergo,
lavoro.”
L’australiano
annuì, lentamente. “House è un bastardo. cos’ha fatto per farti saltare i nervi
in questo modo?”
“Chase.
– l’interruppe lei.- è una situazione difficile per me. Ho un assassino alle
calcagna, ricordi? House non ha fatto niente di nuovo. Lui è semplicemente
quello di sempre. Sono io che non ho i nervi per reggerlo,
adesso.”
Robert
lasciò correre. Non credeva alle parole di Allison ma era così scossa che
indagare ancora sarebbe stato solo deleterio. S’infilò il camice. “Ah Cameron.-
disse, ricordando.- hai dei turni in ambulatorio oggi?- lei negò.- allora ti
conviene sentire che c’è, ti cercavano prima, giù nella
hall.”
Con un
sospiro, lei si alzò e in due passi uscì dall’ufficio.
“Aspetta,
fammi vedere..- mormorò l’infermiera con gli occhi puntati allo schermo.- no,
non hai turni in ambulatorio oggi.” Concluse spostando lo sguardo su Cameron,
appoggiata stancamente al bancone.
“Come
immaginavo.- sospirò l’immunologa.- sai chi mi cercava poco
prima?”
La
donna aggrottò la fronte. “Mm.. chi te l’ha detto?”
“Il
dottor Chase.”
La
donna negò con il capo mentre si accingeva a rispondere al telefono. “Mah, con
me non ha parlato.” Poi si concentrò sulla cornetta che squillava salutando con
un piccolo sorriso l’immunologa che dopo un sospiratissimo “Ok.” si dirigeva di
nuovo verso l’ascensore da cui era scesa appena qualche minuto prima.
Era
appena entrata quando il detective Smith entrò nel PPTH e, con un’aria piuttosto
guardinga, s’avvicinò all’infermiera nella hall. “Scusi.- le chiese, anche se questa era impegnata
al telefono.- la dottoressa Cameron?”
La
donna scostò la cornetta dal telefono. “è appena salita.” Gli rispose pensando a
quanto fosse ricercata, in quel periodo, la bella immunologa.
L’uomo
annuì, poi, pensieroso, decise di andare a diagnostica per le scale.
Intanto
Cameron seguiva soprappensiero l’ascensore che, al primo piano, si vuotava quasi
completamente degli infermieri che prima ospitava.
Schiacciò
il tasto due.
Poi,
scorgendo con la coda dell’occhio che non era affatto sola si voltò di 180
gradi, dicendo. “Scusi, non le ho nemmeno chiesto dove..” la voce le si fermò in
gola.
L’uomo
sorrise. “Non fa niente, dottoressa. Io e lei ci fermiamo comunque qui.” Con uno
scatto tirò il pulsante rosso e bloccò l’ascensore.
Cameron
restò congelata, incredula e terrorizzata allo stesso tempo.
Era
LUI.
L’uomo,
senza il passamontagna, era esattamente come lo ricordava. Alto, riccio, giovane
e con quello sguardo maniacale dipinto in faccia. In passato in quegli occhi
morbosi c’era il troppo amore per la figlia che si era deformato in una sorta di
ossessione, adesso quell’ossessione si era rivolta con chi, secondo lui, l’aveva
privato di lei. Contro Park, Smith.
E
adesso contro di lei.
Allison
si appiattì istintivamente contro le porte dell’ascensore,con il cuore in gola
il terrore che, questa volta, non ci sarebbe stato nessun House a difenderla.
“Bene,
dottoressa Cameron.- continuò William Higt con un sorriso a dir poco folle.-
finalmente si ricorda di me. E della sua giovane vittima.”
Allison
negò con il capo mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime.
L’uomo
tirò fuori una pistola e gliela puntò contro senza nessun altro preambolo.
Rideva.
Un
paio di lacrime sfuggirono dai bellissimi occhi della dottoressa mentre quello
avanzava verso di lei. Con ancora quel sorriso dipinto in faccia, l’uomo gliele
asciugò con la canna della pistola, dicendo. “Ma no, non pianga. È così bella
che è un peccato vederla crucciata.”
Passò
la canna della pistola sulle sue labbra, poi sul collo, in una lenta e sensuale
carezza.
Cameron
chiuse gli occhi, sperando almeno che facesse in fretta. Volle dedicare il suo
ultimo pensiero all’uomo che amava e che l’aveva ferita tanto in questi tre
anni. Volle ripensare a lui, ai suoi sorrisi e lasciarsi dietro le offese,
ricordare la loro notte d’amore, lasciando stare il colloquio che aveva avuto
dopo. Se lo figurò ancora a casa a dormire.
E
invece lui era più vicino di quanto lei immaginava. Imprecando perché
l’ascensore era bloccato, era faticosamente salito a piedi fino a diagnostica ma
non era entrato nel suo ufficio.
Si era
fermato prima, pochi passi dopo aver finito le scale.
I suoi
muscoli si erano bloccati quando aveva visto Smith, davanti all’ascensore,
sbraitare contro Chase che si copriva il volto con una mano, e i corridoi pieni
di infermiere e di agenti che arrivavano da ogni parte.
Realizzò
subito che stava succedendo.
E che
non l’avrebbe rivista mai più.
<
To
be continued..
Diomache.