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Autore: NiallsUnicorn    10/09/2012    16 recensioni
Per la prima volta nella mia vita ho paura, paura della persona che potrei diventare se uscissi viva da questa arena. Cosa ne rimarrebbe della ragazzina cresciuta nel distretto sette che, oltre ad essere stata allenata per gli hunger games, aveva anche degli amici?
Diventerei una brutale assassina incapace di provare emozioni? Oppure tenterei di affogare il senso di vuoto lasciato dall'omicidio nell'alcool o nella morfamina, come il mentore perennemente ubriaco del distretto dodici o quelli del sei, che si reggono in piedi a stento? Sinceramente delle due opzioni preferisco la prima. Credo sia meglio non provare niente, piuttosto che morire dilaniati dal dolore.
[fanfiction sull'avventura di Johanna Mason nell'arena]
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo nove,

L'ombra.


Il ragazzo del distretto nove giace tra le radici di un albero, pallido, terrorizzato e, cosa più importante, morto. Presenta una ferita dai bordi regolari sull'addome, che lo passa da parte a parte. Nessun animale può aver fatto questo, penso. È un taglio preciso, studiato per uccidere velocemente e senza provocare troppo dolore. Gli artigli degli ibridi di Capitol City o di qualsiasi altra bestia gli avrebbero lacerato la pelle, probabilmente in più punti. Faccio qualche passo verso di lui, lottando con il disgusto per esaminarlo da vicino, e noto che gli è stata sottratta la cintura, alla quale era appeso un macete. Inoltre il colpo deve essergli stato inferto con una spada, perché non c'è altra arma capace di lasciare segni del genere. Cerco di riordinare i pensieri e scuoto la testa, perché l'odore del sangue mi sta già offuscando la mente.
Chi tra quelli in grado di maneggiare una spada è ancora in vita?
Edward. Ma è da escludere perché, per quanto ne so, lui non ha ancora rotto l'alleanza con i favoriti, e loro lasciano molte più tracce del loro passaggio. Qui, invece, ci sono solo poche foglie smosse, la cui presenza può essere notata solo da un occhio molto attento ed allenato.
Drake, il mio simpaticissimo compagno di distretto, per fortuna anche lui da scartare. A parte il fatto che preferisce di gran lunga battersi con l'ascia, non credo che si sarebbe accontentato di un unico colpo di spada per uccidere la sua vittima. Lui è uno che assapora la morte in ogni suo aspetto, una persona per cui la vita umana non ha valore.
Lauren. Dev'essere stata lei, non ci sono alternative. Fredda, silenziosa, rapida, sfuggente: nessun altro risponde a queste caratteristiche. Credevo che lei sarebbe stata la mia ultima avversaria, l'ultimo ostacolo da abbattere prima di tornare a casa. Quasi ci speravo: chissà cosa avrebbero pensato quelli di Capitol City vedendo la loro beniamina morire ad un passo dalla vittoria, uccisa dalla pazza del distretto sette!
Se non altro sarebbe stato un gran bel colpo di scena. Ma adesso è troppo vicina per lasciarmela sfuggire, questa è la mia occasione per uccidere il mio nemico più temibile.
Chiudo gli occhi e serro le palpebre cercando un fruscio, un romore di passi che so essere vicino. Scacco matto, Lauren.
Mi volto di scatto e inizio a correre nella direzione di quel rametto spezzato, una mano sull'elsa del pugnale e l'altra sul manico dell'ascia, che per ora rimane nel fodero. Curioso il fatto che non abbia ancora ucciso con la mia arma preferita, prediligendo l'arco e il coltello.
Continuo a correre inseguendo deboli passi sul tappeto di foglie secche, fruscii lontani, il rumore di un respiro regolare e silenzio ma, purtroppo per lei, udibile.
Dopo circa mezz'ora di inseguimenti senza risultati, capisco che qualcosa non va. Così, senza rallentare, mi fiondo su un albero e lo scalo fino a raggiungere quasi la cima, decisa a proseguire la caccia dall'alto. Mi muovo agilmente da un ramo all'altro, cerco di fare meno rumore possibile e, soprattutto, concentro la mia attenzione sul terreno che scorre veloce sotto di me. Sento dei rumori e riesco ad individuarne la provenienza, ma non vedo nessuno, ed è a dir poco frustrante.
Inizio a sentirmi davvero male dopo qualche ora di salti da un albero all'altro, e avverto che i conati ti vomito sono dietro l'angolo. Stringo i denti e continuo ad avanzare imperterrita, nonostante senta la vista appannarsi e gli occhi brucino per la fatica di mettere a fuoco da quell'altezza. Ad un certo punto, semplicemente, i rumori scompaiono, e rimango nuovamente sola con il battito del mio cuore come unico compagno. Dannazione.
Ma come diavolo ha fatto?
Mi chiedo, digrignando i denti. Me la sono fatta scappare sotto il naso, e non sono stata capace nemmeno di vederla! Sento una rabbia cieca invadermi, un sentimento che non si ritira nemmeno quando cerco di sopirlo con inutili giustificazioni. Digrigno i denti e, in un terribile attimo di consapevolezza, capisco di odiarla.
Per colpa sua gli sponsor mi vedranno come l'incapace che ho finto di essere per troppo tempo, cancellando tutti i miei sforzi per farli ricredere.
Per colpa sua ho passato un intero pomeriggio ad inseguire un'ombra, per colpa sua sono sull'orlo di una crisi di nervi, e sempre per colpa sua sto per svenire a più di sei mentri d'altezza, stremata dalla sete.
Vengo divorata dalla rabbia, dalla sete di vendetta, ma soprattutto dal fuoco che ardeva da tempo nella mia gola, il quale si espande al resto del corpo. Così, all'improvviso, mi visualizzo mentre la uccido.
La mia ascia disegna segni rossi sul suo petto, il pugnale incide nuove linee sulla sua pelle di porcellana, deturpando quelle fattezze così ammirate dal pubblico. Il suo volto diventa violaceo sotto la stretta delle mie dita, e sento il suo corpo caldo dibattersi sotto di me, in cerca di una via di fuga inesistente. Stavolta gli sponsor non possono aiutarla, stavolta il suo cuore pulsante in procinto di esalare gli ultimi battiti è tra le mie mani, e il suo sangue cola copioso sui miei avambracci.
Ed è tutto così vero, così reale, così appagante, che per un attimo credo davvero di trovarmi accanto al suo corpo senza vita, reso irriconoscibile dalla mia furia. E io, da brava assassina quale sono diventata, davanti a questa nuova vittoria rido. Una risata cupa, folle, una risata inquietante che non mi appartiene.
È il dolore a riportarmi alla realtà e, per una volta, lo accolgo a braccia aperte. Spalanco gli occhi e mi accorgo di avere il fiato grosso, quasi mi fossi appena svegliata da un incubo. Sono ancora accovacciata su un ramo, in precario equilibrio, con le unghie della mano destra affondate la corteccia del tronco, quasi fosse burro. Sorpresa le stacco improvvisamente e capisco che, se non voglio cadere da quell'altezza vertiginosa, devo immediatamente scendere da quel maledetto albero. Con estrema fatica riesco a scendere di qualche braccio ma, a circa due metri da terra, perdo la presa su un ramo e cado con un tonfo, per fortuna senza gravi conseguenze. Le ossa sono doloranti, i muscoli mi dolgono in maniera impressionante, e il fuoco che ardeva nella mia gola non si è affatto domato, anzi, sembra essersi acceso di nuova vita. Mi trascino fino al tronco massiccio di un albero, e vi appoggio la schiena non senza fatica.
Va tutto bene, è stata solo un'allucinazione. Tu non sei così, penso, cercando di convincere me stessa. Stai forse negando di aver ucciso quattro persone? Mi chidede una voce nella mia testa, con cattiveria. Serro le palpebre e mi copro il volto con le mani, cercando di recuperare la lucidità.
Io non sono un mostro, io uccido per necessità, non per piacere.
Sento le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi, e le ricaccio con foga, offesa dalla mia debolezza.
Per la prima volta nella mia vita ho paura, paura della persona che potrei diventare se uscissi viva da questa arena. Cosa ne rimarrebbe della ragazzina cresciuta nel distretto sette che, oltre ad essere stata allenata per gli hunger games, aveva anche degli amici? Diventerei una brutale assassina incapace di provare emozioni? Oppure tenterei di affogare il senso di vuoto lasciato dall'omicidio nell'alcool o nella morfamina, come il mentore perennemente ubriaco del distretto dodici o quelli del sei, che si reggono in piedi a stento? Sinceramente, delle due opzioni preferisco la prima.
Credo sia meglio non provare niente, piuttosto che morire dilaniati dal dolore.
Stringo con forza le dita sulla mia fronte, tentado di schiacciare come insetti quegli stupidi pensieri, anche se non cesseranno mai di ronzare nella mia testa.
Fantastico, adesso tutta Panem avrà gli occhi puntati sulla rivelazione del distretto sette che sta impazzendo in diretta tv. Sospiro affranta e mi sollevo a fatica, consapevole del fatto che rimanere seduta in mezzo al nulla non placherà la mia sete. Ricomincio a camminare nella stessa direzione in cui stavo avanzando, perché tornare indietro sarebbe inutile, non avendo ancora incontrato alcun corso d'acqua. Muovo un passo dopo l'altro, con il cuore appesantito dall'incertezza che mi trascino appresso.
È impossibile che decidano di farmi morire di sete, decisamente . È noioso vedere una ragazza assetata in cerca di acqua che cade a terra disidratata, mi dico.
Ma allora perché a sera non sono più in grado di muovermi e sono costretta ad abbandonarmi su un tappeto di aghi di pino?
Il sudore mi imperla la fronte, e mi asciugo quelle stupide goccioline con il dorso della mano. Sfilo i guanti con rabbia, e li getto nello zaino senza curarmi del fatto che qualcuno potrebbe vedermi, rimanendo così allo scoperto. I miei sponsor hanno abbastanza soldi per mandarmi degli stupidi accessori, ma non capiscono che ho bisogno di acqua. Devono essermi capitati i più grandi idioti di Capitol City, poco ma sicuro. Le palpebre si chiudono contro la mia volontà, e nemmeno un colpo inatteso di cannone riesce a riportarmi alla realtà. Scivolo in un sonno agitato e accompagnato da terribili incubi, incapace di tenere gli occhi aperti per scoprire il nome della nuova vittima della società.

Vengo svegliata alle luci dell'alba da forti crampi allo stomaco, che sembra contorcersi per i troppi pasti mancati. Non sono decisamente in grado di prendere l'arco e andare a caccia, per questo mi limito ad alzarmi barcollando e a progettare una nuova giornata in cerca d'acqua. Con estrema fatica riesco ad estrarre l'ascia dalla cintura e a scagliarla contro un ramo, per fabbricare un bastone cui appoggiarmi. Riprendo a camminare e, senza fermarmi, mastico alcune bacche sottratte ai due ragazzi del distretto nove, che però non riescono a spegnere il bruciore della mia gola.
Dopo un paio d'ore di vagabondaggi infruttuosi, inizio a sentire un rumore continuo e scrosciante, e mi permetto di essere ottimista. È acqua, di sicuro.
Il fiume dev'essere abbastanza vicino, ma la fretta e l'eccitazione di questa nuova scoperta si sommano alla stanchezza, facendomi inciampare più e più volte nonostante mi aiuti con il bastone. Alla fine, dopo circa quattro rovinose cadute in cui la mia mascella ha urtato dolorosamente contro il terreno che sta diventando sassoso, decido di continuare a gattoni, mossa solamente dall'istinto di sopravvivenza.
La mia lingua di carta vetrata continua a urtare il palato ormai secco, mentre gli occhi si chiudono, riducendosi a due piccole fessure.
Mi accorgo di aver raggiunto la mia meta solamente quando sento l'acqua lambirmi le mani e le ginocchia e, con un ultimo sforzo che sembra prosciugarmi, mi spingo verso un punto più profondo. Mi immergo completamente, felicissima di aver finalmente trovato un fiume ma anche preoccupata, perché quell'acqua non posso di certo berla. Sono costretta a sciacquarmi la bocca e a sputarla, perché potrebbe anche non essere potabile.
Proprio mentre valuto se sia meglio morire di sete o rischiare un avvelenamento per colpa dei batteri che popolano il fiume, un tuono squarcia la quiete di quel luogo pacifico, e la pioggia inizia a cadere. Dapprima sono solamente poche gocce, delicate e piacevoli a contatto con la pelle. Ma, nel giro di pochi secondi, quella pioggerellina si trasforma in un acquazzone vero e proprio: non riesco a vedere ad un palmo dal naso, e sembra quasi che l'acqua arrivi a secchiate. Eppure, nonostante sia decisamente troppo invasiva, sono felice di alzare il volto e berne il più possibile, quasi fino a soffocarmi. L'acqua scende nella mia gola arida dolce come miele, e sembra lenire le ferite lasciate dalla sete.
Fantastico, volevano solo divertirsi vedendomi strisciare in preda ad una disidratazione imminente, penso con rabbia. Ma, proprio mentre sto per uscire dall'acqua per cercare riparo, lo vedo.
Appoggia le zampe su una roccia che si protende verso il fiume, e mostra denti bianchi e affilati, quasi volesse dimostrarmi che é più forte ancora prima di attaccarmi. La pioggia ha fatto aderire il suo pelo corto e marroncino all'immenso corpo, e sembra deciso a farmi pagare cara questa piccola invasione nel suo territorio.
La sete era solo un pretesto, solo un modo per farmi uscire allo scoperto, realizzo con orrore.
Quello che volevano offrire era uno spettacolo molto più esaltante, che terrà tutti incollati al televisore.
Bisogna ammetterlo, non capita tutti i giorni di vedere un tributo sbranato da un puma rabbioso.




My space:
Tan tan tan taaaaan. *musichetta inquietante*
Vi ho sorprese almeno un pochino pochino? spero proprio di si uu
ho deciso di postare perchè ho visto tuuuutte quelle recensioni incoraggianti allo scorso capitolo, e così ho rubato il computer a mio zio. *risata malefica*
Comunque! questo capitolo si è praticamente scritto da solo, lol.
Non so, l'allucinazione... seriamente, non sapevo dove volevo andare a parare mentre la scrivevo.
però, nel complesso, non mi dispiace. Ma deve piacere a voi, non a me e-e quindi fatemi sapere cosa ne pensate, perfavore :')
Poooi, se vi va di passare dalla mia os su Annie sappiate che è sempre qui:

insomma, non scappa. (?)
Detto questo... vi avverto che nel prossimo capitolo accadrà una cosa molto importante kerfgrkvgtwirutvg quindi rimanete sintonizzati e non perdetevi il nuovo episodio prossimamente in onda su questo canale.
Passo e chiudo! (?)
Bascii, medusa c:

 


mMymaixg 
   
 
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