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Autore: Timcampi    10/09/2012    4 recensioni
[Orchestre Royal des Guignols]
Notte fonda. Buio, e silenzio.
L'unico rumore era il secco e cadenzato ticchettio dell'orologio, posto sul caminetto spento, le cui lancette indicavano le due e quindici.
L'unica luce era quella pallida e lattea della luna, che filtrava attraverso i vetri della finestra e scendeva ad accarezzare il pavimento di marmo, il piccolo tavolo da tè circondato da quattro sedie, lo schienale del divano magistralmente decorato con elaborati ricami floreali.
Ma l'oggetto su cui la luce indugiava più volentieri, quasi volesse stringerlo tra le sue lunghe dita bianche, era un pianoforte.
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Ci terrei che mi deste un vostro parere. :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il pianoforte di quarzo bianco

 

Notte fonda. Buio, e silenzio.

L'unico rumore era il secco e cadenzato ticchettio dell'orologio, posto sul caminetto spento, le cui lancette indicavano le due e quindici.

L'unica luce era quella pallida e lattea della luna, che filtrava attraverso i vetri della finestra e scendeva ad accarezzare il pavimento di marmo, il piccolo tavolo da tè circondato da quattro sedie, lo schienale del divano magistralmente decorato con elaborati ricami floreali.

Ma l'oggetto su cui la luce indugiava più volentieri, quasi volesse stringerlo tra le sue lunghe dita bianche, era un pianoforte.

Non un pianoforte qualunque, però: era un pianoforte a coda, di fattura alquanto singolare.

Un pianoforte di quarzo bianco.

Mille riflessi argentei nascevano dall'incontro tra i raggi della luna e il suo profilo cristallino, limpido, impeccabile. Sembrava difficile credere che non si trattasse di un insulso accessorio d'arredo ma di un vero e proprio stumento musicale, forse il migliore strumento che una mano umana avesse mai costruito o suonato.

D'un tratto, anticipata da un sinistro lamento, la finestra si spalancò sotto il prepotente soffio del vento autunnale, che trascinò con sé all'interno della stanza una quantità di foglie dalle tinte brune, che danzarono per qualche istante prima di adagiarsi sul pavimento, sul tappeto, sul tavolo, e anche sul pianoforte.

Ma il vento scortò dentro il piccolo salotto anche qualcos'altro: un'ombra, nera e guizzante, che scivolò giù dal davanzale e si dileguò nel nulla, assorbita dal buio.

Poi, la porta della stanza si aprì.

Preceduta da un lieve fruscio, una donna fece il suo ingresso sulla scena: era di piccola statura, ancora nel pieno dell'età ma non più giovanissima; i lunghi capelli castani le ricadevano sul seno e sulle spalle in boccoli disordinati, incorniciando un viso roseo e pieno e due grandi occhi azzurri. Si stringeva in una raffinata vestaglia di raso bianco e teneva stretto in una mano un piccolo candelabro d'argento.

Alla debole luce della candela, mosse qualche passo dentro la stanza, guardandosi intorno, in cerca del rumore che l'aveva svegliata.

-Ah, ecco cos'era!- sospirò tra sé è sé, quando il suo sguardo si appuntò sulla finestra aperta, ai lati della quale le lunghe tende bianche si gonfiavano e si sgonfiavano ritmicamente, come sospinte da un possente respiro.

Lasciò il candelabro sul tavolino e si avvicinò alla finestra: fuori, la città dormiva profondamente. Richiuse i vetri, facendo attenzione a girare del tutto il pomello, e lisciò le tende sgualcite dal vento; poi, si chinò a raccogliere una ad una le foglie.

Si fermò soltanto quando raccolse l'ultima di esse, finita sul pianoforte di quarzo bianco. Un tenero e malinconico sorriso sfiorò le sue labbra, mentre ne carezzava il coperchio chiuso, sollevava il panno di seta che copriva i tasti e li toccava uno ad uno, con la dolcezza con cui si toccano le mani del proprio migliore amico, quelle che hanno accolto le tue per una vita intera e che mai cesseranno di attendere il loro tocco.

Quel piano era parte integrante di lei e, per quanto lo suonasse molto meno rispetto ai tempi andati, non lasciava mai che neppure un granello di polvere, un graffio o una macchia ne violassero la bellezza. Era sempre stato il suo fedele compagno, nella buona e nella cattiva sorte: insieme, erano stati testimoni di eventi atroci e delle più grandi gioie che la vita può offrire.

Era stato anche grazie a quel piano, inoltre, che aveva incontrato loro.

L'Orchestra. La linfa vitale della sua stessa esistenza passata, presente e, sicuramente, futura. I tempi erano mutati, per tutti, ma l'Orchestra era rimasta nel suo cuore, e certamente non soltanto nel suo.

Avrebbe voluto suonare ancora una volta, in quella silenziosa notte di luna calante, ma se ne astenne, dicendosi che l'avrebbe fatto l'indomani. Avrebbe invitato tutti, e sarebbe stato come un tempo, come se non fosse trascorso neppure un singolo giorno.

Sorrise, e per un attimo il suo volto di donna tradì quello di una ragazzina ancora scossa da mille timori, la cui forza era tutta ancora da scoprire: la ragazzina che era stata e che, fino a che quel pianoforte fosse stato con lei, avrebbe continuato a vivere dentro il suo cuore.

-Dopo tutto questo tempo, canti ancora benissimo.- sussurrò, in tono materno. Ma poi si lasciò sfuggire una risatina, correggendosi: -Cantate ancora benissimo.

Fece correre un'ultima volta lo sguardo sul suo amato compagno, prima che i suoi grandi occhi azzurri s'impigliassero su qualcosa sul pavimento: una foglia.

Ah, ce n'era un'altra!” pensò tra sé e sé, chinandosi a prenderla, per poi aggiungerla alle altre e gettarle, una alla volta, tra la cenere del caminetto.

Ricoprì i tasti del piano e fece per ritornare verso il tavolino, dove aveva lasciato il candelabro, quando la porta si aprì di nuovo, e dietro di essa comparve una sagoma familiare, che, dopo tutti quegli anni, aveva ancora il potere di infondere in lei la più bella e complessa delle sensazioni in ogni singolo istante.

-Sei qui, Celes.- disse. La sua voce, se pur impastata di sonno, era sempre dolce e profonda come nessun'altra avesse mai udito in tutta la sua vita; era l'unica voce che le sue dita e il suo pianoforte avessero mai desiderato accompagnare. -Mi sono svegliato e non ti ho vista; mi hai fatto preoccupare.

La donna scosse la testa.

-Ho sentito un rumore e sono scesa a controllare: era soltanto la finestra, va tutto bene. Torna pure a dormire, ti raggiungo subito.- lo rassicurò, e l'uomo sparì nel buio del corridoio, con il volto accompagnato da un tenero sorriso.

Celes prese il candelabro tra le dita e fece per uscire dalla stanza, quando i suoi piedi inciamparono in qualcosa e per poco non cadde. Si chinò a raccogliere l'oggetto, con la fronte aggrottata.

Si trattava di una piccola, buffa maschera da gatto.

Qualcosa di spaventosamente familiare affiorò alla sua mente.

Ma era stato molto, molto tempo addietro.

Si domandò come quella maschera fosse finita lì, nella sua casa, in quella notte silenziosa.

La ripose sul tavolino, ci avrebbe pensato l'indomani.

Lanciò un'ultima occhiata al pianoforte di quarzo bianco.

Sei pronta a entrare nella miracolosa Orchestra di corte, che evoca l'illusione, la tristezza e il tripudio? Proseguiamo insieme verso il prossimo spettacolo, ci attendono applausi e grida di gioia! Andremo avanti fino alla fine del mondo...”

Poi, uscì dalla stanza, richiudendosi lentamente la porta alle spalle.

 

 

 

...fino ai limiti dell'orizzonte.”

Una mano uscì dall'ombra.

Un attimo dopo, la maschera non c'era più.

   
 
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