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Autore: Ofelia20    11/09/2012    3 recensioni
E se gli innamorati sventurati del Distretto12 non fossero stati i primi?
Alla sessantanovesima edizione degli Hunger Games partecipano Alawa e Adahy, tributi del distretto 5. Cosa hanno in comune con Peeta e Katnis? Anche il loro amore è stato distrutto dal Presidente Snow. La storia dell'edizione dei Giochi tenuta nascosta e dimenticata da tutti gli abitanti di Panem, e che nessuno fino ad ora ha mai avuto il coraggio di raccontare.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un vento tiepido mi soffia sulla faccia. Apro lentamente gli occhi, incontro le foglie di eucalipto che ondeggiano leggermente sulla mia testa come fossero quasi coinvolte in una danza, il loro profumo aleggia fino al mio naso invadendomi. Nessuno sa come i semi di questi alberi siamo arrivati qui nel distretto 5. Mi muovo leggermente e le mie mani incontrano il terriccio e alcune foglie che stanche di starsene in alto hanno deciso come me, di accasciarsi qui a terra. Da quanto tempo sono qui? Il sole si è levato da qualche ora, mi alzo a sedere con fatica, la schiena ancora intorpidita e indolenzita dal mio giaciglio duro e freddo. Lentamente mi metto in piedi, appoggiandomi ad un tronco per farmi forza. Faccio qualche passo in avanti, mi trascino fino al ruscello. Bevo un sorso di quell’acqua fresca e limpida, per un attimo penso che vorrei essere lei: libera di scrosciare lungo queste foreste per poi gettarmi nel fiume e perdermi, così che nessuno possa più riconoscermi. Muovo ancora qualche passo e lo sento: un dolore lancinante. Mi siedo su una roccia e alzo il pantalone color cachi che indosso scoprendo la caviglia, la pelle sopra al mio piede è di un colorito nerastro. Devo essere caduta mentre correvo la scorsa notte. Con paura mi tocco, non sembra esserci nulla di rotto. Bagno una mano con l'acqua gelata e la passo sopra quella pelle sperando di alleviare un po' il dolore. Già, il dolore e la sofferenza sembrano essere le uniche amiche che potrebbero rimanermi tra tre giorni. Mi alzo costringendomi ad ignorare questo dolore. Guardo la natura che mi circonda cercando di capire dove mi trovo. Per quanto ho vagato senza sosta la scorsa notte? Quanta preoccupazione ho dato alla mia famiglia? Decido di cercare di tornare indietro, e di affrontare la mia vita. Prendo fiato e comincio a camminare, spero di non aver superato la recinzione che i Pacificatori di Capitol City hanno messo dopo i Giorni Bui. Zoppicando mi dirigo verso nord, sicura che quella sia la via giusta per tornare al villaggio. Cammino ancora per qualche secondo spinta dal tepore del vento e dall'odore penetrante degli alberi, sembra quasi che anche loro mi stiano salutando consapevoli delle probabilità che hanno di non rivedermi mai più. Finalmente esco dalla foresta, la terra umida lascia spazio a quella lastricata, mi giro a lanciare un'ultima occhiata a quella foresta e muovo qualche passo all'indietro prima di urtare qualcosa. È troppo morbido e caldo per essere il muro di una casa. Mi giro lentamente, sperando di non essere inciampata in qualcuno furibondo che mi sta cercando.

"Ehi attenta!" un sorriso accecante mi colpisce. Alzo lo sguardo per incontrare il suo viso, riconosco i tratti tipici del distretto: brillanti occhi verdi e capelli ramati. Deglutisco rumorosamente cercando di riconoscere quel viso, ma mi sembra di non averlo mai visto prima.

"Scusami io..." cerco di dire imprigionata nell’imbarazzo.

"Non fa niente" fortunatamente me ne libera lui, mentre toglie dai miei capelli una foglia. "Che te ne facevi tutta sola nella foresta?" chiede poi curioso.

"Niente! Passeggiavo" rispondo evasiva mentre faccio per andarmene.

"Bè me ne andrò anche io a passeggiare nella foresta allora" dice ma io sono già sulla strada di casa. Non ho voglia di fare nuove conoscenze proprio oggi, sarebbe solo una probabilità in più di soffrire, una cadavere in più da piangere. Passo velocemente le mani tra i capelli lunghi cercando qualcos'altro che vi si sia impigliato. Lungo il viale che conduce al centro del villaggio riconosco le facce dei miei vicini, poi la porta di legno traballante di casa mia e I muri che un tempo rossi, ora l'intonaco è caduto. Apro cauta la porta, e la trovo lì seduta sulla sua sedia a dondolo che mi guarda con gli occhi che un tempo brillavano di tutto il verde delle foreste su cui mi sono imbattuta prima.

"Dove sei stata Alawa?" mi chiede con la sua voce dal tono impassibile, mentre smette di colpo di dondolarsi.

"Non lo so. Mi sono svegliata nella foresta." rispondo sedendomi sul tavolo e scoprendo di nuovo la caviglia.

"Ma come hai fatto a farti questo? Santo Cielo, devi smetterla di scappare così!" si alza velocemente,per quanto gli anni le permettono e con le mani tremolanti mi afferra la caviglia e la esamina. Ormai è abituata alle mie fughe, quando scappo via correndo, e corro corro fino a quando non mi addormento sfiancata in qualche posto, poi mi risveglio e mi costringo ad affrontare la realtà.

"Devo essere caduta mentre correvo. Ma non deve essere rotta" le rispondo poggiando una mano sui suoi capelli ormai bianchi, li accarezzo fine a trovare il punteruolo che li tiene raccolti sulla nuca in un ordinato chignon, ricordandomi quando ero piccola e lei li portava lunghi e fluenti sempre poggiati sulla spalla destra e su cui io mi accocolavo quando mi mettevo a dormire sulle sue ginocchia e lei mi cullava aiutata sempre dalla sua sedia a dondolo.

"No che non è rotta! Sei stata fortunata!" mi dici allontanandosi verso la credenza nascondendo gli occhi lucidi dopo la mia inaspettata carezza. Prende delle vecchie bende e me le arrotola intorno alla caviglia,le stringe così forte che mi sembra quasi di non riuscire più a sentire il mio piede. Poi si avvicina ai fornelli e mi prepara la sua tisana di erbe selvatiche, fin da quando sono nata la usa come cura ad ogni mio male. Anche ieri sera, quando sono caduta nella mia crisi, me ne aveva offerta una tazza, ma io sono fuggita mentre lei me la preparava.

"Nonna Maka, mi dispiace di averti fatta preoccupare così tanto" le dico fissandomi le mani sporche di terra.

"Lo credo bene signorina." mi ringhia contro porgendomi una tazza colma di liquido arancione. Ne bevo un sorso, sa di erba, di fiori di campo e di casa. Assaporo ogni sorso senza riuscire a non pensare che potrebbe essere l'ultimo. "Ma capisco come ti senti Alawa. Ma devi essere forte, come lo era la tua mamma!"aggiunge con più dolcezza accarezzandomi la testa e tornando a sonnecchiare sulla sua sedia a dondolo. Mi trascino sul mio letto, non ho voglia di uscire, non ho voglia di incontrare nessuno. Chiudo gli occhi rintanandomi nei miei sogni, lì dove puoi sempre svegliarti se la situazione si mette male e tornare alla felicità. Se solo qui ci fosse la felicità.

   
 
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