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Autore: Ciribiricoccola    11/09/2012    0 recensioni
Scrivo di donne. Senza troppi luoghi comuni, senza censure, con un pò d'ironia, una punta di romanticismo e anche una stilla di dramma, che nei giorni più malinconici non guasta mai.
Sono tutte diverse tra di loro, ma hanno una cosa in comune: saranno sincere con chi leggerà, perciò non spaventatevi, non vi offendete.
Sono fatte così e non c'è verso di cambiarle.
Tutte noi ne sappiamo qualcosa, no?
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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donne

I MAKE MY WAY THROUGH THIS DARKNESS

 

 

 “Mi scusi?”

Si voltò, abbassando la macchina fotografica a malincuore, e vide una signora anziana, il viso luminoso e i capelli bianchi raccolti in uno chignon; le sorrideva, mostrando la dentiera e un rossetto rosa acceso che non le donava granché.

“Le dispiace se le chiedo di spostarsi di un passo o due? Qui sopra c’è il nome di mio figlio…”

A malapena riuscì a capirla sopra il rumore della città, ma ricambiando il sorriso annuì e rispose nella sua lingua: “Venga pure, anzi, mi scusi!”
La lasciò passare e si spostò alla sua destra, allontanandosi di qualche passo per concederle un po’ di privacy.

Sospirò e tornò a concentrarsi sulla sua macchina fotografica, ma quando arrivò a guardare nell’obiettivo, l’inquadratura non le piaceva più così tanto: troppa ombra ricopriva l’acqua che scorreva nella fontana, e la luce del sole non si rifletteva più neanche sul granito scuro; fece una smorfia delusa e cominciò a guardarsi attorno per vedere se sarebbe riuscita a trovare un altro angolo per una fotografia in prospettiva.
Con la coda dell’occhio notò i capelli candidi della signora anziana e non poté fare a meno di tornare a guardarla: con suo grande stupore, la vide mentre stava strofinando un panno bianco sul bordo della fontana, su quel piccolo spazio da lei prima occupato, in quanto ci si era appoggiata sopra con i gomiti.

“Oddio…” sussurrò riavvicinandosi, e un nodo in gola per poco non le spezzò la voce mentre tornava a parlarle.

“… Scusi…”
La donna si girò a guardarla e da dietro i grandi occhiali da vista i suoi occhi luccicarono, commossi e accoglienti.
“Sì?”

 
Perché era voluta tornare indietro a parlarle?
Non lo sapeva di preciso, semplicemente aveva voluto farlo.


“Io… mi perdoni, non volevo, non sapevo che stavo prendendo il suo posto…”

 
Era ovvio che non lo sapeva, come avrebbe potuto?

 
L’altra sorrise, stavolta più calorosamente. Una lacrima le scese lungo la guancia sinistra.

“Non fa niente, si figuri! Anche lei conosceva qualcuno qui?”
“No… no, io sono solo una turista…”
“Oh, davvero?! Da dove viene?”
“Dall’Italia…”
“Ma parla un inglese molto corretto, complimenti! Io mi chiamo Janice, molto piacere di conoscerla…”
Le strinse la mano: era tiepida, morbida, aveva una bella stretta, vigorosa ma dolce. Nella sinistra reggeva il panno con cui aveva ripulito il nome di suo figlio inciso sulla pietra.
“… P-piacere, io sono… mi chiamo Silvia…”
Si rese conto che stava piangendo, e che non sarebbe riuscita a fermarsi facilmente.

La donna non disse niente, semplicemente la abbracciò, mantenendo il suo sorriso rosa increspato dalle rughe e dal lutto.
Mentre Silvia la stringeva e singhiozzava piano, con il cuore che le batteva a mille, sentì che le sussurrava: “Il mio Mark era a metà della sua vita ed era accorso in aiuto a tutte quelle povere persone…
È morto qui, a pochi metri da dove siamo noi adesso. E io, piuttosto che rimanere a casa a morire di crepacuore e pensare alla mia rabbia, preferisco venire qui, ogni giorno, e onorare il suo nome, raccontare la sua storia.”

Silvia riprese fiato e abbracciò più forte la signora, accarezzandole piano lo chignon bianco, come se all’improvviso la conoscesse da sempre.

Senza vergognarsi delle proprie lacrime, scorse lo sguardo lentamente lungo il perimetro della fontana.

Quello che fino a vent’anni anni prima era stato il perimetro della seconda torre.

“Quanti nomi” disse con la voce rotta dal pianto “Quante persone…”
“Lo so, cara… Lo so…”
“Da quando sono arrivata in questa zona… è come se… non so, mi sentivo un macigno sulla testa…” tentò di spiegarle mentre si staccava dolcemente per guardarla e asciugarsi le lacrime.
Janice scosse la testa e si tolse gli occhiali. “Chiunque passi di qui ha provato la stessa cosa. È un grande peso, sai… e una vita umana pesa molto di più delle due torri messe insieme. Qui sono morte quasi tremila persone. Immagina…”
Silvia annuì gravemente, continuando a fissare i nomi sparsi sul granito.
“C’è del conforto però” continuò l’anziana donna, abbozzando un sorriso mentre le appoggiava una mano sulla spalla “Sono tutti qui davanti a noi, e se la pietra resiste davvero al tempo… allora nessuno di loro verrà mai dimenticato. Non trovi?”
Reprimendo un ultimo singhiozzo, l’altra rispose: “Forse ha ragione… Non l’avevo mai pensata così, ma forse perché non ero mai stata qui prima… E’ come vedere due cuori enormi con dentro… tutti loro. È un’immagine un po’ banale, ma è così che mi piace vederla…”
“Io sono davvero contenta e orgogliosa che una donna giovane come lei sia venuta fin qui a condividere le sue emozioni, e con me.”

Si sorrisero. Silvia si sentiva molto meglio.

“Grazie, anche a me ha fatto molto piacere… e scusi ancora se l’ho disturbata…”
“Non se ne preoccupi! Anzi, continui pure con le sue fotografie” le suggerì Janice, indicando l’apparecchio appeso al collo della ragazza “Ognuno qui ha il suo modo di rendere omaggio…!”

 

Si salutarono con un ultimo abbraccio, più sobrio e controllato del precedente, con un “Arrivederci” in italiano, da parte di entrambe, che però suonava come “Addio”.

 

Silvia esitò prima di riprendere in mano la macchina fotografica, ma una volta trovato l’angolo giusto, ricominciò a camminare e scattare, quasi senza rendersi conto di farlo con un sorriso rilassato.

 

 

THE END

 

 

Per il titolo di questo racconto, è stato di grande aiuto un pezzo di Bruce Springsteen, “The rising”. No scopo di lucro.

 

A causa dell’intensità con cui personalmente percepisco la tragedia dell’ 11 settembre 2001, ho sentito di dover mettere il mio nome in questa storia, che comunque resta di fantasia, e ambientata nel futuro perché non sono ancora mai stata a New York, ma spero di poterci andare un giorno.

Il luogo citato esiste davvero, è il National September 11 Memorial & Museum, situato esattamente nel punto in cui sorgevano le Torri Gemelle. Le fondamenta dei due edifici sono attualmente due fontane sui cui parapetti sono incisi i nomi delle vittime dell’attacco.

Mark, inoltre, è un uomo realmente esistito: un paramedico di nome Mark Schwartz morto a 50 anni al momento del crollo della seconda torre; è sul parapetto della rispettiva fontana che ho notato il suo nome, in mezzo a molti, troppi altri.

 

Per me Mark rappresenta tutte le 2977 vittime dell’11 settembre. È il mio modo di rendere omaggio, oggi come sempre, a tutti quegli innocenti morti ingiustamente per una causa inutile e troppo grande per loro.

 

 

Foto delle fontane del National 09/11 Memorial http://it.123rf.com/photo_10592489_new-york-2011-09-17-world-trade-center-memorial-weekeknd-di-apertura-al-pubblico.html

 

Info su Mark Scwhartz

http://edition.cnn.com/SPECIALS/2001/memorial/people/1728.html

   
 
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