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Autore: SgF    12/09/2012    0 recensioni
Intreccio di storie di personaggi conosciuti e non poco prima del disastro di villa Spencer.
Genere: Azione, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Susan bussò alla porta semi-aperta.
«Si accomodi signorina Vickers» tuonò con voce imperiosa lo stesso uomo preoccupato della sorveglianza di determinate persone.
Susan entrò in un ufficio alquanto inquietante: poche luci rendevano tetro l’ambiente, reliquie di tassidermia erano appese ai muri, librerie e divani all’apparenza molto costosi riempivano la stanza.
«La ringrazio per essere venuta. Sa, è importante che la gente sappia come opera la polizia della città, soprattutto di questi tempi» disse Irons impegnandosi in un sorriso finto e sgradevole.
“Sì, come no! A questo interessa solo imbalsamare cervi e fare la bella faccia davanti ai cittadini” pensò Susan disgustata dall’odore di sudore che emanava il capo.
«Non deve ringraziare me, ma la stampa che le ha concesso questa intervista».
Irons parve irritato dall’atteggiamento di Susan che ovviamente si teneva a debita distanza.
“Come se non fossi io a decidere chi e cosa ci sarà sulla rivista”.
«Brian Irons» disse porgendole la mano.
«La sua fama la precede» rispose lei, stringendo la sua mano sudaticcia e pelosa.
«La prego, si sieda» la invitò mostrando i divani che a prima vista sembravano sudici quanto lui.
Susan si accomodò su una poltrona al centro della stanza trattenendosi dal fuggire da quel posto, e frugò nella borsa in cerca del proprio taccuino. Sperò in cuor suo che quell’intervista non durasse fino a notte.
 
Jeremy si accomodò alla sua scrivania nell’ufficio della sezione sud del dipartimento. La signorina Vickers era senza dubbio una donna interessante fisicamente e, molto probabilmente, anche dal punto di vista intellettuale. Ripensò alle sue sottili labbra rosee, ai suoi occhi nocciola da cerbiatto, ai suoi lunghi capelli lisci che scendevano lungo il collo, sulle spalle scoperte, raggiungendo il vistoso ma non volgare decolleté. La sua voce incerta aveva fatto breccia nel suo cuore: non poteva resistere alle donne timide e dolci. Tuttavia qualcosa gli diceva che la timidezza le appartenesse solo alla lontana. Aveva sempre creduto nel destino e in quel caso aveva giocato a suo favore. Era destino che avesse sbattuto contro quella donna; era destino che lei fosse stata in quel corridoio proprio in quel momento; era destino che lui fosse stato convocato dal capo proprio quando lei doveva andarci.
“Perché Susan era lì? Per quale motivo era stata invitata nell’ufficio del capo?” pensò Jeremy grattandosi la testa assiduamente.
«Non avrai mica i pidocchi?!» sbottò un ragazzo entrando nell’ufficio principale.
«Sì e sto per spedirtene qualcuno su quella testa vuota!» scherzò Jeremy fingendo di lanciare qualcosa.
«Cosa voleva il capo?»
«Rompere le palle, come al solito! Quell’uomo è peggio di una sanguisuga: se ti si appiccica non ti molla più» rispose Jeremy facendo una smorfia.
«Saputo qualcosa del caso Montague?»
«Zacary, perché non vai dal signor Montague e gli chiedi se per caso ha rubato allo Stato tre milioni di dollari?»
«Sei più simpatico del solito! Qualcosa è andato storto?»
«No, sto solo pensando a una donna fantastica con cui devo uscire venerdì sera» rispose sognante immaginando già l’incontro romantico con Susan.
«Te lo ripeto per l’ultima volta: Sarah Carter non vuole uscire con te!» ribatté Zacary intonando una cantilena.
«Ma non pensavo neanche a quella santarellina della Carter! Stavo parlando di Susan Vickers, una donna stupenda e affascinante»
«Susan Vickers? La sorella di Brad Vickers della S.T.A.R.S.?»
«La conosci?» , Jeremy si destò dal suo sogno e squadrò il collega con aria torva.
«Direi! Ci sono usciti un annetto fa, ma lei era più rigida di uno stoccafisso»
«Zacary, se una donna non viene a letto con te, non vuol dire che è rigida, significa che tu sei veramente palloso! Hai ventiquattro anni e non sai neanche come si corteggia una donna! Scommetto che hai sfoggiato la tua pessima battuta del pescatore»
«Mi sembra ovvio! Le donne non sanno resistere al mio umorismo!»
«Oh, Zacary… tu non hai nessun umorismo!»
«Allora vediamo come se la caverà il signor donnaiolo! Fidati di me: è una donna impossibile e troppo piena di sé»
Detto questo Zacary uscì dall’ufficio di Jeremy.
Nonostante le parole del giovane, non parve essere turbato né tantomeno scoraggiato. Lui dopotutto sapeva di essere una persona piena di fascino e divertente: non avrebbe avuto problemi.
Si alzò dalla sedia, prese una borsa nera posta sulla scrivania, e uscì dall’ufficio. Nella stanza c’erano ancora due poliziotti della sezione investigativa: Edward Elliot e David Ford. Li salutò augurandogli una buona serata e raggiunse l’atrio dal quale uscì dal dipartimento di polizia.
 
L’intervista con Irons fu più breve di quanto si aspettasse. Il capo della polizia si rivelò solamente pieno di sé e mostruosamente spilorcio. Sembrava che la polizia di Raccoon fosse lui in persona, senza contare le persone che ci lavoravano dentro. La squadra di tattiche speciali non era nemmeno lo sfondo del suo grande lavoro per la cittadinanza. Ma secondo Susan il lavoro più grande che potesse fare era farsi una doccia ogni tanto. In generale, nulla di ciò che era appena uscito dalla bocca di Irons poteva interessarle. Uscita dall’ufficio del capo, si diresse all’atrio senza più deviazioni, decisa a tornare a casa per un po’ di meritato riposo. Appena varcò la porta d’ingresso, una voce familiare disse: «Sembra che il destino ci porti sempre sulla stessa strada, bella signora».
Jeremy Marcus stava in piedi davanti a lei, appoggiato all’arcata del cancello principale.
«Oppure è il belloccio che pedina la bella signora» ribatté Susan con tono soave.
«E chi mi assicura che non sia la bella signora a pedinare me, il belloccio affascinante e sexy?», Jeremy punzecchiò Susan che parve molto divertita dal suo modo di fare.
«Ho tre cose da dirti. Punto primo: come siamo modesti, caro signor belloccio! Punto secondo: le donne mature non si mettono a pedinare un uomo conosciuto da un’ora» Susan si interruppe per osservare la faccia incredula di Jeremy.
«E punto terzo?» chiese sicuro che l’ultima sentenza sarebbe stata a suo favore.
«E… smettila di chiamarmi “bella signora”! A venerdì sera Jeremy Marcus».
Susan scomparve dietro il cancello centrale del dipartimento.
«Le donne intraprendenti mi fanno impazzire, ancora di più di quelle timide» parlò Jeremy ad alta voce osservando la sua preda allontanarsi verso il tramonto.
Susan udì le ultime parole di Jeremy e si sentì lusingata. Era finalmente arrivato il giorno in cui qualcuno la sorprendeva con un modo diverso di interagire. Non era il solito imbranato che mugugnava a stento qualche parola sperando che lei accettasse di uscire. Il loro primo incontro era stato un vero e proprio botto. C’era stata quella scintilla che aveva acceso la sua speranza, e a quanto pare anche quella di Jeremy. Sviò tra le strade illuminate dal sole che restava placido sull’orizzonte. A quell’ora la città sembrava stregata: le persone ancora in giro si ritiravano per la cena, gli alberi si muovevano lenti come se cercassero il proprio ritmo, le tenebre prendevano possesso dei vicoli più nascosti. Per Susan ogni tramonto era uno spettacolo senza pari.
Passando per le strade di Raccoon le vennero in mente strani pensieri. Pensò a come dovesse essere se un giorno il sole tramontasse e non sorgesse più. La città avrebbe vissuto nelle tenebre. Per quanto romantico potesse essere girare nell’illuminata Raccoon City, non riuscì a trattenere un brivido di paura a quel pensiero. Salì sul treno diretto alla torre dell’orologio. La linea era sempre molto popolata, ma in quel momento sembrò essere deserta. Susan guardò l’orologio e si accorse che prima della partenza mancavano tredici minuti, motivazione per cui forse le vetture erano ancora vuote. Prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e compose un numero. Sembrava particolarmente impaziente mentre gli squilli rimbombavano nel suo orecchio. Il telefono squillò a lungo, come sempre. Ogni volta si chiedeva come mai ci mettesse tanto a rispondere. D’accordo il lavoro, ma lasciar squillare il telefono più di un minuto le parve strano.
«Susan! Qual buon vento ti spinge a chiamare il tuo vecchio? Qualche ragazzo ha respinto la mia bella bimba?»
«Papà, non ho più otto anni! Se un uomo mi respinge è perché non capisce le mie qualità» rispose lei sorridendo.
«Ah, hai imparato tutto dal tuo vecchio. Allora, Susan, cosa mi racconti di nuovo?»
«Mi spiace non avervi chiamato in questi giorni, ma sono sommersa dal lavoro e so che anche voi state facendo gli straordinari per il vostro progetto di ricerca».
«Non ti preoccupare, cara. Noi stiamo bene, anche se il lavoro ci sta assorbendo. Alla stampa?»
«Prendetevi un po’ di pausa! Avete sempre lavorato giorno e notte. Ho appena finito di intervistare il capo della polizia Brian Irons, un uomo a cui la taccagneria fa un baffo».
«Ah ah ah! Ho sempre pensato che quell’uomo fosse un pallone gonfiato. In effetti è parecchio ciccione».
«Mi sta venendo il vomito, cambiamo discorso. Come procede lo studio di enzimi, vitamine e cos’altro non lo so?» domandò Susan mentre si picchiettava la gamba con una mano.
«A rilento, ma non ci lamentiamo. Per raggiungere un traguardo bisogna faticare. Vuoi che ti passi la mamma?» tagliò corto il padre.
«Sì, va bene. Mi raccomando, cerca di riposare e sentiamoci più spesso».
«Va bene, bambina mia. Ciao».
Qualche secondo di attesa e una voce femminile prese la comunicazione.
«Susy, mi fa piacere sentirti! Come stai? Il lavoro va bene? Hai trovato un uomo con cui condividere il resto della tua vita? E Brad? Non mi chiama mai quello lì! Appena lo vedi digli di chiamarmi che sono in pensiero per lui. E poi…»
«Mamma, calmati! Respira e adesso ascoltami. Io sto bene, il lavoro procede a gonfie vele, l’uomo della mia vita per ora è il giornale per cui scrivo e Brad se la cava. E tu, mamma, come stai?»
«Ah, io sto benone! Volevo solo essere sicura che ve la cavaste anche senza la vostra mamma».
«Certo, mamma! Avrei preferito sentire la tua voce di persona, ma il lavoro è importante quanto la famiglia» disse Susan con una nota di malinconia.
«Scusami un secondo, Susy».
La voce dall’altra parte della comunicazione si spense. Delle voci in sottofondo parlavano di qualcosa che Susan non percepì. Nel frattempo il treno si era popolato di gente che tornava a casa dopo la giornata lavorativa. Tra i passeggeri c’era anche Zacary Thompson. Fece di tutto per nascondersi dalla sua vista, fino a quando la madre riprese a parlare.
«Mi spiace, Susy, ma siamo stati convocati dal direttore. Deve essere una cosa molto importante. Devo lasciarti. Telefonami presto!»
La chiamata si interruppe senza neanche dare il tempo a Susan di ricambiare il saluto. Dentro di lei crebbe un senso di nostalgia per i genitori. Erano sempre stati vicini in ogni momento della sua vita e ora si trovavano a chissà quanti chilometri di distanza con le mani immerse in qualche soluzione.
In realtà, poco distante da quel treno, un uomo dava il permesso ai coniugi Vickers di lasciare l’area, dopo essersi accertato che non ci fossero state fughe di informazioni riservate.
“Perdonaci, Susan. Mentirti è stato necessario per il bene tuo e di tuo fratello. Un giorno, forse, potremo dirti la verità”. Richard Vickers ripeteva quella frase ogni volta che la figlia chiamava, e periodicamente cadeva una lacrima che solcava il suo viso stanco.
  
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