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Autore: Echan    13/09/2012    2 recensioni
Storia partecipante al contest "Un treno per..." di Esis. Prima classificata.
Heaven e Jude vivono come fossero fratelli, da tanto tempo. Jude non vede dalla nascita e i suoi occhi sono sempre stati quelli di Heaven, la sua vita ha sempre girato attorno a lei. La ragazza, però, sta per raggiungere la maggiore età, e con essa l’indipendenza e la voglia di farsi una vita sua. Ciò la costringe a lasciare Jude.
"« Il paradiso è forse qualcosa che posso immaginare come lo immagini tu… » Tolse le dita dalle labbra di lei, e si sedette nuovamente sul davanzale. «… eppure quando penso al paradiso, penso a te. » Rise, Jude, ma Heaven non lo fece; rimase seria e si mise in ginocchio, avvicinandosi di più a lui. « Buffo, no?! Tra tante cose che potrei immaginare, per una volta che non ho restrizioni, immagino te[...]"
Genere: Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo della storia: Sapresti raccontarmi il colore del fumo?
Introduzione: Heaven e Jude vivono come fossero fratelli, da tanto tempo. Jude non vede dalla nascita e i suoi occhi sono sempre stati quelli di Heaven, la sua vita ha sempre girato attorno a lei. La ragazza, però, sta per raggiungere la maggiore età, e con essa l’indipendenza e la voglia di farsi una vita sua. Ciò la costringe a lasciare Jude.
Genere: Triste, commedia.
Rating: Giallo
Avvertimenti :I ragazzi sono in casa famiglia ed hanno la stessa età. E’ un piccolo chiarimento, perché non dichiarato esplicitamente nella storia.
Prompt luogo: Tower Bridge, Londra.
Prompt oggetto: Una pipa.
Prompt canzone: I believe i can fly, R.Kelly.

 
 



« Ehi, Heaven, c’è puzza di fumo… » Lei si voltò, la sua espressione conteneva un accenno di stupore. « … cos’è? È tornato Chad? » La ragazza puntò lo sguardo in direzione della cucina.
«Sì, Jude, Chad è appena rientrato. » Sorrise lei, per poi portare le gambe al petto ed affondarci il viso dentro.
Erano entrambi sul davanzale della finestra, era il loro punto d’incontro ormai da anni. In quell’enorme casa quello era l’unico posto in cui si poteva stare tranquilli. Lì Jude e Heaven passavano intere sere, assaporando il colore del cielo, udendo la consistenza delle stelle.
“Come fai?”Le aveva chiesto tante volte lei, ma Jude non le aveva mai risposto.
« Dovrebbe smetterla di fumare quella dannata pipa, oppure prima o poi gli si foreranno i polmoni! » Disse lui, incrociando le braccia al petto. Teneva una gamba piegata e l’altra ciondolava giù dalla finestra. Heaven rise, riportando il viso in alto per guardarlo. Aveva una risata dolce, ma allo stesso tempo fragorosa; quando Heaven rideva Jude pensava a quanto fosse bella la sua voce, a tutte le notti in cui l’aveva sognata.
Era bella Heaven, per Jude. 
« Sapresti raccontarmi il colore del fumo, Heaven? » La ragazza lo guardò, gli occhi di lui erano aperti come sempre, vispi, vogliosi di vedere cose che mai avrebbero potuto vedere.
« E’ brutto. E’ triste, sembra un infelice ricordo, un qualcosa che svanisce per poi ricomparire sotto forma di qualcos’altro. Ha un colore triste, Jude. Fa schifo! Lo definirei il colore del nulla… eppure mi affascina molto, il fumo in sé. » Jude si portò una mano sotto al mento, sorrise.
« Mhm, e tu di che colori pensi sia il nulla? » Heaven non lo sapeva, lo aveva sempre immaginato grigio, ma non poteva sapere come fosse veramente il nulla. Lui sì, lui lo sapeva; e lei stava cercando di insegnargli qualcosa a lei ignoto.
« Ho sempre pensato sia del colore del fumo… grigio, Jude. » Lui scese dal davanzale e appoggiò i gomiti su di esso, poi mise il viso sul palmo della mano. « Allora credo sia grigio anche per me! ». Sorrise e anche Heaven lo fece.
« Cos’è che ti affascina del fumo? » Lei si portò una mano al petto, si girò in direzione di Chad. Guardò la pipa e il fumo che fuoriusciva da essa. Fluttuava vicino al viso grasso di loro padre, si divideva, poi scompariva. Le pareva che il fumo disegnasse alberi, alberi grigi che erano destinati a smaterializzarsi, a scomparire.
« Sembra pura vita che si consuma, che diventa nulla, vita che diventa passata. » Jude si voltò verso di lei, provò ad immaginarsela, bella come lo era la sua voce. La immaginò con la frangia spettinata ed il viso candido. Pensò ad Heaven come se lei fosse l’unica cosa bella che aveva.
« Io non paragonerei mai il passato al nulla…»Disse. La ragazza lo osservò sbalordita, spalancò gli occhi e avvolse le mani attorno alle ginocchia; lo guardò, guardò il suo sguardo puntato verso di lei che scrutava invano la sua immagine.
« … se il passato non esistesse, io dimenticherei come si fa ad immaginare. La vita sarebbe tutta uguale, perché io la passerei a impararlo nuovamente, per poi dimenticare tutto. Il passato costruisce le basi per il futuro, Heaven. »
La ragazza rimase ammutolita, conosceva Jude e sapeva che ogni cosa detta da lui l’aveva provata sulla sua pelle centinaia di volte. Le piaceva tanto lui, le insegnava cose che nemmeno nel liceo che frequentava le sapevano insegnare: riusciva a farle vedere le cose con occhi diversi, con occhi spenti.
« Heaven. Heaven significa paradiso… » Lei annuì, per istinto, incurante del fatto che lui non potesse vederla. Eppure Jude lo percepì, annuì a sua volta e si avvicinò a lei.
Si avvicinò tanto, a lei.
Il ragazzo le poggiò le dita della mano sulla fronte, le fece scorrere sulla superficie del viso di Heaven. Gli occhi spalancati della ragazza, si richiusero non appena le dita fredde di Jude gli si posarono sulle labbra.
Lo faceva spesso, delineava con le dita il suo viso; ma mai con tutta quella delicatezza, a Heaven parve unica.
« Il paradiso è forse qualcosa che posso immaginare come lo immagini tu… » Tolse le dita dalle labbra di lei, e si sedette nuovamente sul davanzale. «… eppure quando penso al paradiso, penso a te. » Rise, Jude, ma Heaven non lo fece; rimase seria e si mise in ginocchio, avvicinandosi di più a lui. « Buffo, no?! Tra tante cose che potrei immaginare, per una volta che non ho restrizioni, immagino te. Non so dirti se vesti di bianco o di nero, so solo che sei bellissima. »Lei lo abbracciò. Forte, con tutta l’energia che poté metterci. Un abbraccio carico d’amore, di dolore ma anche di tristezza. Profumava di buono, aveva sempre detto Jude. Profumava di tutto ciò che può profumare. Sapeva di sapone, d’erba tagliata e di rugiada. I suoi capelli erano morbidi come può esserlo una carezza. Ed era bella.
Era bella Heaven, per Jude.
 « Heaven, tu tra una settimana compi 18 anni, vero? » La ragazza strizzò gli occhi e strinse l’abbraccio. Non voleva dirglielo, l’avrebbe abbandonato, loro che condividevano lo stesso letto da anni, che avevano parlato per intere notti; che avevano sempre desiderato essere fratelli per davvero.
« … te ne vai via, Heaven? »
 Lo sapeva che la risposta era affermativa, che dopo una vita trascorsa assieme, vedendo ragazzi lasciare la casa dopo aver raggiunto la maggiore età, anche lei sarebbe andata via. Lui non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe mai potuto farlo, era incapace di vivere da solo. Ma lo era anche senza di lei, senza Heaven. Lo sapeva, doveva andare così, era giusto.
Eppure il tacere di Heaven lo rassicurò, “La quiete prima della tempesta!” l’avrebbe descritta Chad; ma a Jude piacque tanto da volerci morire all’interno. Sarebbe rimasto su quel precipizio in eterno, se ciò poteva servire a farla rimanere.
Rimasero così per alcuni minuti, poi Jude lo sentì; sentì piccole goccioline tiepide infiltrarsi nel tessuto della maglia. Piangeva, ma lo capì solo da quello, lei non singhiozzava. Piangeva in silenzio, aveva allentato l’abbraccio, ed ora dolcemente con le braccia cingeva il corpo del ragazzo.
La faccia di Heaven era priva di espressione, gli occhi chiusi piangevano lacrime di cui la proprietaria non si era minimamente accorta. Una sorta di scossa poi, di vibrazione la svegliò dal suo stato di trans. Un singhiozzo, piccolo impercettibile; piangeva anche lui, anche Jude.
Sciolse l’abbraccio, e lo guardò. Il viso immobile, gli occhi chiari, lo sguardo fisso e le lacrime: microscopiche lacrime gli inumidivano gli occhi. Asciugò le proprie con la manica della maglia, tirò su con il naso e si risedette. Lui rimase fermo, lei si affacciò alla finestra.
« Cosa si vede da questa finestra, Heaven? » La voce del ragazzo tremava. Lei rimase a contemplare il panorama.
« Me l’hai chiesto mille volte, si vede il Tower Bridge, Jude » Un singhiozzo, lui sorrise. Sorrise tra le lacrime, impercettibilmente.
« Andiamoci, Heaven. » Lei si voltò, e lo guardò perplessa. Si avvicinò a lui, e lo fissò dritto negli occhi. Poteva percepire tutta la sua angoscia, forse superiore a quella che provava lei stessa.
Annuì per riflesso incondizionato, prese la mano di Jude e si avvicinò lentamente alla poltrona su cui giaceva Chad. Una pipa spuntava da dietro il faraonico schienale verde mela, oramai spenta, oscillava su e giù, seguendo i movimenti della mandibola dell’uomo che si contorceva, mente lui sognava.
Jude strinse la mano di Heaven. La pipa cadde.
Il tonfo parve quasi ovattato alle orecchie dei due ragazzi. Si guardarono, apparentemente allo stesso modo, ma in realtà in due modi completamente diversi, anche se entrambi gli sguardi piangevano intensamente.
Uscirono dalla porta d’ingresso con calma e silenzio. Il passo di Heaven era irregolare, scoordinato, impreciso, stanco.
La porta si richiuse alle loro spalle: un piccolo scatto, e si fermarono per un istante.
La ragazza pensò alla sua vita in quel momento. Pensò a quello che stava facendo, da cosa stava scappando, o da cosa credeva di star fuggendo. Percepì la mano di Jude che allentava la presa, ma lei la rafforzò, si girò. Sorrise, non riusciva a capire come poteva ancora sorridere dopo tutto quello che stava accadendo.
« Sei bellissima quando sorridi. »
La fronte di lei fece tramutare l’espressione che aveva prima, in una tanto diversa da far stonare il sorriso che stava sfoggiando. Un misto di stupore e dolcezza.
« … ma come- »
Lui avvicinò la mano libera al suo volto, le toccò gli angoli delle labbra, le parole che Heaven voleva pronunciare le morirono in gola, vide per un momento il viso della ragazza, Jude, ornata da quel sorriso amaro.
Quella notte Londra non pareva più la solita Londra. Il rumore notturno dell’autostrada pareva cessato, o forse offuscato dal grido di dolore che riecheggiava imponente, nel corpo di Jude. I singhiozzi che prima temeva di emettere, si erano tramutati in piccole sensazioni, scosse, che il cuore gli provocava. Camminarono per minuti, o ore, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo. Il Tower Bridge distava una mezz’ora di macchina da lì, ma tutto in quel momento sembrava durare secoli eppure, allo stesso tempo, pareva troppo veloce.
Arrivarono davanti all’imponente costruzione, la tiepida brezza autunnale riscaldava l’aria di quella fredda Londra.
Salirono velocemente, inciampando nella loro consapevolezza, e in quella che non avevano ancora, o che magari era nascosta da qualche parte, nei loro cuori così vogliosi di crescere quanto di fermarsi in quell’istante.
Non sentirono fatica, nel mentre accompagnavano i movimenti dell’altro in quella salita, avrebbe forse significato per loro una sorta di illusione.
Arrivarono sul ponte con il volto asciutto, l’aria lì era fredda ed aveva bloccato le lacrime che fino a poco prima lo solcavano tristemente. Heaven lasciò la mano di Jude, che incerto mosse un passo in avanti andando a toccare la ringhiera quasi ghiacciata. Un brivido lo pervase, fino ad arrivare alla punta delle dita che andarono ad afferrare con decisione quel gelido ferro.
La ragazza guardava davanti a sé, immobile. Il cielo si fondeva con l’acqua, tanto da sembrare un tutt’uno, le sponde stradali del Tamigi erano ormai vuote. Una Londra stranamente silenziosa, che permetteva di far arrivare ai timpani solamente il rumore dell’acqua, che lenta scorreva sotto ai piedi dei ragazzi.
Jude pressò la mano sul ferro, sorrise. Heaven si svegliò dal suo stato di trance e si girò verso il ragazzo. Si chiedeva da talmente tanto tempo il perché delle cose, che in quel momento le pareva tutto così dolcemente assurdo.
Si avvicinò a lui, sporgendosi un poco dalla ringhiera. In quel punto l’illuminazione del ponte faceva brillare l’acqua, la sua mania di fotografare in quel momento le sembrò un’idiozia. Come potevano dei momenti rimanere impressi in un’immagine? Infondo gliel’aveva spiegato, Jude. Lui le cose riusciva a fotografarle senza macchina, volle provarci. Chiuse gli occhi.
L’acqua, un brivido, la luce che le ricadeva sulle palpebre sigillate, un clacson, qualcosa di caldo che le si posava sulla spalla, il freddo di quella sera, la voce di Jude che le diceva che senza di lei non ce l’avrebbe fatta. Aveva appena scattato una foto.
Aprì gli occhi, focalizzò l’oggetto caldo sulla sua spalla. La fronte di lui era posata lì, i suoi occhi erano chiusi e le mani dolcemente cingevano la vita di Heaven. Tornò a guardare il cielo, privo di stelle, blu come non c’era nient’altro di così blu.
Sorrise.
« Non c’è niente da ridere, sono profondamente triste. » Lei sobbalzò, non era possibile. Poi sorrise di nuovo.
« Jude, come fai? » Lui alzò la testa, lasciò la presa, afferrò la ringhiera e si mise seduto su di essa. « Intendi come faccio a fare battute poco spiritose in questo momento, come faccio a stare seduto in equilibrio su questa sbarra spessa nemmeno due millimetri o come farò a scavalcarla!? » Rise beffardo, e si sbilanciò verso il fiume.
« Ehi, non fare pazzie! » Nel giro di due secondi, la mano di Heaven stringeva quasi meccanicamente il polso del ragazzo, che però era in piedi, sicuro, all’esterno del ponte.  « Ma quali pazzie, potrei andare a fare le parallele o qualcosa di simile, magari mi prenderebbero per un film che non potrò mai guardare. Roba tosta! » Rise. Heaven rimase ferma. «… comunque sia, come faccio a fare cosa? » La sua espressione era tornata seria, rigida.
« Ah, sì. Come fai a… percepire un sorriso…?». Un attimo di silenzio, che alla ragazza parve infinito, in quel momento si chiese se un attimo poteva durare minuti e viceversa, se il tempo fosse solo una misurazione idiota che aiutava solo lo stress ad aumentare, se il tempo si fosse fermato da secoli, ma contemporaneamente tutto continuasse a crescere. Poi una risposta arrivò, secca, impetuosa:
« Non lo percepisco, un sorriso lo si sente. Sinceramente? Non ne ho la più pallida idea. E’ un qualcosa che si fa, credo che tutti possano. » Heaven lo guardò, fiduciosa e impaurita allo stesso tempo, scavalcò tremante la ringhierà, e si aggrappò con forza alla magliadi Jude.
«… voglio provarci. » Chiuse gli occhi, l’acqua sembrava essersi ghiacciata. Faceva freddo.
«Certo che la vita è strana. In certi momenti troppo lenta, in altri troppo veloce. Sicuramente è anche un po’ sadica, quando aspetti qualcosa di bello pare fermarsi, quando non vuoi che accada qualcosa va velocissima. Assurda. » Lei abbassò la testa, immaginando di guardarsi i piedi, ed immaginando Jude vicino a lei.
Immaginò il suo viso chiaro, i suoi occhi, i capelli morbidi e scuri che gli ricadevano delicatamente sulla fronte. Pensò a quanto per lei fosse bello. Pensò a quanto la bellezza esteriore fosse superficiale, alle persone che lo prendevano in giro ed a tutta la forza che aveva, Jude.
Era forte Jude, per Heaven.Quanto può esserlo un fiore che cresce tra la neve, o una farfalla che nasce tra la tempesta. Eccezionale, ed era forse quell’eccezione a farlo apparire così forte di fronte a lei.
Lo baciò, spontaneamente, senza pensarci. Lo baciò perché le parve la cosa più naturale da fare in quel momento, e forse perché era un qualcosa che desiderava fare da tanto tempo.
Le labbra di Heaven erano fredde e morbide contemporaneamente. Jude rimase per un momento immobile, poi si fece trasportare da lei, come in balia di quel bacio, che cessò poco dopo.
Il ragazzo si toccò delicatamente le labbra, la immaginava seria, con gli occhi chiusi ancora rivolta verso di lui. Così bella da sembrare finta, vestita dei sbagli che commetteva sempre, abbellita ancor di più dal coraggio di andare avanti.
« Stai sorridendo! » Jude scoppiò a ridere. Si girò verso il fiume e chiuse gli occhi.
« E tu stai barando. Non usare più stratagemmi di questo tipo, prova a sentirlo, senza che accada per forza qualcosa. »
Heaven strinse più forte la maglia di Jude, si sentiva tremendamente in colpa, non poteva lasciarlo sarebbe stato un gesto imperdonabile. Qualsiasi cosa fosse accaduta, lei l’avrebbe protetto, in cambio di tutto ciò che lui le insegnava ogni giorno, da sempre. «Ti porto via con me, Jude, non posso lasciarti. Non ora. »
Lui tremò, un tremore che durò un attimo. La consapevolezza di essere caduto in una trappola, dolcissima, ma comunque dolorosa, lo fece girare nuovamente in direzione della ragazza. Era cascato nella trappola più pericolosa e bella in cui poteva mai cascare: l’amore. Ed anche Heaven lo era, intrappolata.
« Sembra quasi la scena di un libro, Heaven, pare tutto un sogno. » Lei sorrise, pensò a quanto quel sogno potesse essere bello. E che se fosse stato un libro, lei lo avrebbe letto.
Il ragazzo alzò la testa, l’aria si stava facendo sempre più fredda. Sentiva la pressione della mano di lei sul petto, stava tremando. Pensò alla sua vita, a quanto Heaven l’aveva resa piena, d’amore, di bellezza. Ricordò quella notte di primavera, i suoi appena compiuti quattordici anni,  in cui l’aveva sentita piangere sotto le coperte. Era rimasto fermo, ed aveva fatto finta di dormire. Il mattino dopo si era svegliato da solo, aveva sentito Heaven scordare la merenda sul tavolo della cucina ed uscire di casa senza pettinarsi, tirando su con il naso. Si ricordò di come la notte seguente fosse successa la stessa cosa, e di come lei lo aveva abbracciato in preda ad un incubo. Al risveglio lui non gli avrebbe detto nulla, e lei si sarebbe scordata di nuovo la merenda davanti al grosso viso paffuto di Chad, che la fissava vigile.
Aveva passato tutta la sua vita ad ascoltarla, e sentirla. Parlando con lei per intere sere, ma mai di lei. Pensando a come poteva essere lei a scuola senza mai scoprirlo. Tornò indietro con gli anni a quella volta in cui avevano suonato a casa e lui aveva aperto la porta, sentendo una voce maschile chiedere chiaramente di Heaven. Di come lei lo aveva salutato prima di uscire e a quella notte in cui rimase da solo per ore, sentendola tornare alle quattro del mattino, per poi cadergli di fianco ancora vestita.
Si mise una mano sulla fronte e pensò a quanto si era sentito stupido, ma a come avrebbe continuato per sempre ad amarla così, in silenzio. Sentirsi improvvisamente un personaggio della storia che si amava ascoltare era come poterla finalmente vedere.
Per Jude, Heaven era speciale, quanto per Heaven lui poteva esserlo. Rifletté su come lei lo aveva sempre trattato, su come lo aveva sempre fatto sentire, speciale ma non diverso. Ed era bello, venir definito eccezionale da una bambina che ti guardava indicare le costellazioni che vedere non potevi. Che ti chiedeva di rifare tante volte un gioco, per poi andare davanti alla finestra e farsi descrivere i colori. Imparare a vedere senza farlo ed impararlo da chi non si rendeva conto di insegnarlo. Era questo il bello di Heaven, riusciva a fare cose stupefacenti, credendo che le uniche cose incredibili erano quelle che sapevano fare gli altri.
E ogni volta che se la immaginava, la immaginava con quegli occhi vispi, dello stesso colore che poteva avere il vento o la musica, con quel profumo buono che aveva sempre avuto, e con quella voce calda, che lui amava.
« Stai sorridendo, Jude. »
Jude amava Heaven, perché Heaven amava Jude.
 
 
 
Grazie a tutti
"Un treno per..." original contest di Esis.
 
 
 
 
 
 
 
  
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