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Autore: The DogAndWolf    13/09/2012    4 recensioni
Stalker. L'incubo di molte persone.
In questa parodia analizzo in modo demenziale e profondamente nonsense alcuni tipi di stalker con cui sono venuta a contatto, in prima persona o tramite amici.
Ogni capitolo tratterà di uno stalker diverso e quindi avrà personaggi diversi, ispirati per lo più a miei amici e conoscenti.
Questa storia è dedicata a tutti quelli che come me hanno dovuto sopportare questa piaga almeno una volta nella loro vita. E agli altri dico solo di ritenersi estremamente fortunati.
Genere: Demenziale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo è dedicato a Mizar19, Lely1441, Everett e angel87. Ragazze, senza di voi questa storia non esisterebbe affatto. Sono davvero contenta di avervi conosciute quasi per caso e di aver iniziato a chattare con voi. Ogni tanto il mio karma mi concede lampi di inaspettata fortuna e la vostra amicizia è uno dei più belli<3
Ora basta con questi sentimentalismi ed eccovi la storia che avete atteso così a lungo ù__ù


 
*****


Dlin dlon.
La ragazza bionda sbuffò contro quel rumore acuto, adocchiando appena sopra la propria spalla il vuoto della stanza. Ignorando il campanello, si concentrò nuovamente sullo schermo del pc. Lesse la battuta che la sua ragazza aveva appena scritto in chat, sghignazzando, e buttò con noncuranza la mano nel pacchetto di Gocciole che custodiva gelosamente al suo fianco.
Dlin dlon.
Lanciò uno sguardo omicida alla porta chiusa della sua stanza, senza muoversi dalla poltrona. Chi osava disturbare il suo sacro cazzeggio, citofonando non una ma ben due volte? Prese fiato e urlò il più forte possibile: «Mamma!». Nonostante ci fosse un piano e una porta a separarle sapeva che l’avrebbe sentita comunque: riusciva sempre a farsi sentire senza il superfluo bisogno di alzare le chiappe per andare a chiamarla “come Dio comanda” (citazione alla lettera della donna sopracitata).
Dorothea si ricordò improvvisamente che sua madre non era in casa. Maledicendo la propria memoria, tese l’orecchio sperando che chiunque avesse suonato non avesse sentito nulla e si fosse arreso, andandosene fuori dai piedi. Passò molti secondi immobile, un biscotto in mano, ancora integro per poco, ignorando momentaneamente la chat di Skype aperta. D’un tratto si alzò per andare a spiare il fantomatico disturbatore dalla finestra. Si ficcò la Gocciola in bocca, tenendola tra i denti per qualche istante, muovendosi silenziosa come un ninja per la casa fino ad arrivare a sbirciare tra le tendine, attenta a non farsi vedere. Il vuoto soleggiato del giardino la rassicurò immediatamente, i muscoli del suo corpo si rilassarono e se ne ritornò ciabattando nuovamente in camera sua, divorando placidamente il biscotto che aveva in bocca.
Si accoccolò nuovamente nella sua poltrona e alla prima occhiata che diede alla chat di gruppo lesse un messaggio di Diz: “Fregna? DOVE?!”.
Scosse la testa ridacchiando e prese un altro biscotto prima di rispondere. Lo sgranocchiò e appena le sue dita sfiorarono la tastiera, tutto divenne nero.
Luck. Runs. Out.
 
Doreah: aheopseioi94904ridioopddòèpàdlòcfllòdflòdssddsdklklsd
*** Chiamata di gruppo ***

 
Un brivido gelido e apparentemente immotivato corse per la schiena di Danielle. Si aggiustò gli occhiali squadrati sul naso, guardando nervosamente lo schermo, indecisa se rispondere o no alla chiamata di gruppo iniziata dalla sua ragazza probabilmente per errore.
 
Dany: Tutto a posto? ò____ò
 
Cercò di tranquillizzarsi: sicuramente le era caduto qualcosa sulla tastiera oppure la battuta di Diz aveva fatto esplodere la sua ilarità in modo così scomposto da provocare quelle lettere a caso.
Ogni cosa che si diceva non riusciva né a calmarla né a sconfiggere il presentimento che l’attanagliava. L’ansia che cresceva di secondo in secondo la spinse ad accettare la chiamata.
«Doreah?» chiamò incerta.
La voce di Deb O’Connelly, soprannominata Doc perché fresca di laurea da biologa, fu l’unica che le rispose, in tono nervoso trattenuto a stento: «Potrebbe essere un calo di zuccheri?».
Un silenzio pesante cadde in chat: tutte sapevano come le parole “calo di zuccheri” e Dorothea fossero su due pianeti lontani anni e anni luce. Doc cercò qualcos’altro per rassicurare l’amica, ma non trovò nient’altro da dire.
«Magari è corsa in bagno…» esordì Diza, poco convinta.
Deboli rumori di trascinamento e spostamento provennero dal microfono di Dorothea.
«Doreah?» chiamò nuovamente Danielle, sperando con tutta se stessa in una risposta.
Ancora silenzio.
Poi si sentì picchiettare sulla tastiera.
Perché non parlava? Non si era accorta di essere in chiamata di gruppo?
Appena videro che la ragazza stava scrivendo un messaggio tutte si sentirono un po’ più sollevate, attendendo di sapere cosa fosse successo.

 
Doreah: Venite a cercarmi per trovarla

L’orrore generale crebbe ulteriormente quando il suo account si disconnesse.
«Oddio!» esclamò Doc.
«Ma… che… Cristo?!» boccheggiò Dany, fissando lo schermo quasi tra le lacrime provocate dall’ansia. Afferrò il cellulare componendo il numero della sua ragazza a memoria, con dita tremanti.
«Ma Robin?» chiese Diza, perplessa, notando l’assenza dell’altra ragazza.
«Si stava facendo una doccia…» rispose prontamente Deb.
Sentendo la linea occupata per l’ennesima volta, Danielle gettò il telefonino sul letto, con rabbia, ringhiando: «Bene! Finirà domani mattina, allora!». Tirò un sospiro tremante e mormorò: «Ragazze, non riesco a chiamare Dorothea…».
 
La bionda fischiettò una canzoncina natalizia, saltellando allegramente nel suo accappatoio per la camera da letto. Mise il piede su qualcosa di ignoto e rischiò di scivolare inevitabilmente a terra sul proprio didietro. Miracolosamente i suoi riflessi resuscitarono per qualche breve istante, permettendole di aggrapparsi all’ultimo momento alla scrivania lì accanto, salvandola dalla rovinosa caduta. Si rimise in piedi lanciando insulti incomprensibili (tra cui un: «Porca Pina!») e brontolando versi rabbiosi senza alcun significato, massaggiandosi il polso dolorante della mano grazie alla quale si era tenuta in piedi.
Abbassò lo sguardo con l’intento di urlare contro all’oggetto che la stava per uccidere, trovando una lettera. La raccolse da terra divisa tra l’istinto di farla in mille pezzettini per aver attentato alla sua vita e la curiosità. Quest’ultima vinse e la ragazza aprì la busta.
Via De Meis 72/D”. Robin osservò il foglietto asettico, soffermandosi perplessa sulle minacciose lettere chiaramente ritagliate da giornali e riviste, chiedendosi cosa potesse significare quell’indirizzo stranamente familiare. Si guardò attorno ragionando su chi potesse aver messo una cosa del genere sotto la porta della sua camera. Controllò ogni angolo della casa, non trovando il minimo indizio, aprì persino la porta d’ingresso sbirciando il nulla fuori in giardino. Le sue gambe la portarono automaticamente davanti al suo armadio e si vestì con la mente al biglietto.
Con la sua tipica flemma, ciabattò fino alla poltrona davanti al pc in stand-by. Agitò bruscamente il mouse per rianimare lo schermo e il tuuuuuu-tuuuuuuu della chiamata in attesa rischiò di provocarle un infarto, facendole quasi versare il suo amato tè alla pesca sulla tastiera. Accettò istantaneamente la chiamata, dando un’occhiata alle ultime cose scritte dalle sue amiche.
«Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio…» stava sussurrando nel panico Danielle.
«Donne! Perché siamo in chiamata?» esordì esitante e flebilmente la bionda.
«Rob! Dove cazzo eri? Porca di quella puttana in calore!» la aggredì Dany, ormai isterica.
«Ehi!» si lamentò docilmente Robin, rispondendo: «Ero nella doccia… che è successo? Dov’è Doreah?».
Quella domanda zittì persino gli improperi di Danielle.
L’inquietudine raggiunse anche la nuova arrivata nel silenzio innaturale della chat.
«Non sappiamo…» replicò infine Doc. Subito Diz le diede manforte spiegando: «Stavamo chattando tranquillamente quando Dorothea ha iniziato a scrivere cose a caso, poi quel messaggio strano e si è disconnessa subito dopo…».
Robin deglutì, la gola improvvisamente secca: «Avete provato a telefonarle?».
«Suona a vuoto, Cristo!» ringhiò Dany, disperata.
Ancora silenzio. Nessuna volle dire quello che ormai tutte avevano capito: la ragazza era stata rapita.
Qualcosa scattò nel cervello di Rob, che si voltò verso il foglietto alla sua destra. Domandò con voce tremante: «Ragazze? Anche sotto la vostra porta c’è una busta?».
 
«Ahahahahah! Sei mia prigioniera!» urlò la figura incappucciata, certa di svegliare la ragazza davanti a lei, seduta su una sedia in legno abbastanza mal ridotta, con le mani legate dietro allo schienale e la testa a penzoloni.
Doreah continuò bellamente a dormire, indisturbata.
«… ehi? Ehi! Parlo a te! Svegliati!» gridò con voce stridula, poi, incoraggiata da un movimento della bionda, si presentò pomposamente: «Sono la Postina, il tuo peggior incubo! Muahahahah!».
Un forte lamento a metà tra un ringhio e un miagolio infastidito provenne dalla ragazza, che mormorò: «No. Ancora cinque minuti…». Detto questo calciò istintivamente verso la fonte di disturbo, colpendo in pieno il polpaccio della bassa sagoma scura, che iniziò a saltellare goffamente reggendosi la gamba ferita mentre elencava improperi che non si potevano definire volgari. Tra un «Accidenti!» e un «Maledetta!» si allontanò da Dorothea, fulminandola con odio puro.
 
Le scaglie verdi da rettile della dragonessa adolescente risplendevano alla luna mentre sorvolava la città, trasportando, con i suoi due fratelli (uno bianco perla e l’altro nero come la pece), la loro padrona. La scena era pervasa da una solennità orgogliosa quasi regale, lo sguardo serio e concentrato di Danielle fisso sull’orizzonte.
«Doron, Faral, Calxion! Atterrate laggiù!» ordinò, indicando loro un punto sul marciapiede. I tre draghi obbedirono lasciandola al suolo per poi mettersi a volare placidamente intorno a lei.
La bionda si voltò verso la ragazza già lì: Doc la aspettava da un po’ di tempo, con un particolare fucile a tracolla sulla schiena. Dany cercò di spiegarsi l’arrivo così tempestivo della bruna, ma, non trovando e non vedendo nulla nei paraggi, chiese: «Come sei arrivata? ».
«Ho testato il teletrasporto che ho messo a punto con un mio amico fisico: io ho pensato alla scomposizione e ricomposizione molecolare mentre lui a come trasportarli.» rispose, per poi osservare l’abbigliamento di Danielle che per la prima volta in vita sua era riuscita ad azzeccare un abbinamento di colore senza l’ausilio delle sue amiche. «Wow, bella la camicia! Hai scelto benissimo!» si stupì Deb.
«Questa? Davvero? Ho preso cose a caso mentre uscivo nella fretta: temo sia casuale…» replicò, arrossendo lievemente per l’affermazione.
«Oh…» fece scoraggiata Doc.
Il silenzio imbarazzato venne interrotto da un trottare strano, accompagnato da dei grugniti inquietanti.
«Cos’è?» chiese perplessa Dany, cercando la fonte del rumore che stava preoccupando persino i suoi draghi.
Dall’angolo della strada spuntò fuori un bestione enorme: un cinghiale che avrebbe potuto ribaltare un camion con una sola carica saltellava verso di loro, lanciando versetti acuti e grugnendo ad ogni passo. Una figura esile veniva sballottata sulla larga schiena dell’animale, rimbalzando a tempo con i versi che provenivano dalla bestia. La ragazza che cavalcava a pelo il cinghiale indossava un elmo con due alte corna di cervo e portava un gigantesco martello da guerra sulla schiena.
Deb e Danielle fissavano la scena ammutolite dalla sorpresa quando un’altra figura si fece strada dietro alla prima. Questa volta era una ragazza piuttosto alta su un tozzo pony che rimbalzava allegro e spensierato. Il vento notturno scompigliava i corti capelli di Diza, che teneva una mazza chiodata sopra alla testa, impaziente di spaccare crani.
Le due cavalcature si fermarono davanti alle due ragazze in piedi sul ciglio della strada. Robin fu la prima a scendere sul marciapiede, barcollando goffamente sotto il peso dell’elmo e del martello più grosso e alto di lei.
Le quattro ragazze entrarono nell’edificio, tutte con un’espressione determinata e seria in volto (occasione più unica che rara). Appena varcarono la soglia diciotto uomini che fissavano il vuoto le attaccarono, quasi passivamente quanto degli zombie.
 
Un sorriso sadico si disegnò sul volto della Postina all’annuncio che diede alla sua prigioniera: «Sono venute a salvarti finalmente. Pensavo ti avessero dimenticata».
Dorothea rispose tranquillamente al sorriso, con chiara strafottenza, ribattendo sicura: «Diciamo che ci speravi ardentemente… soprattutto che Danielle mi avesse dimenticata».
Il cambio di espressione fu repentino, quasi violento. Paura e sorpresa passarono chiaramente nei suoi occhi scuri nella penombra della stanza. «C-come fai a saperlo?  C-cioè…volevo dire. Come fai ad essere così sicura che il vero obiettivo di tutto questo è Danielle?».
Doreah le rivolse uno sguardo di cupa sopportazione, indicò il muro davanti a lei, totalmente ricoperto di scritte: principalmente il nome della propria ragazza ripetuto un’iperbole di volte e cuoricini ovunque. La bionda rivolse di nuovo lo sguardo azzurro alla sua carceriera, chiedendole con tono insofferente: «Me lo hai chiesto seriamente?».
Il panico nello sguardo dell’altra era ormai chiaro, così come l’imbarazzo. Era come se tutta l’invincibile segretezza dei suoi piani fosse stata irrimediabilmente compromessa da quella piccola dimenticanza.
 
«YAAAAAY».
L’urlo quasi bestiale provenne dalla ragazza bionda quando abbassò il martello sulla testa dell’ultimo nemico, che si tramutò istantaneamente in carta come gli altri diciassette prima di lui.
«Uff… ma quanti cazzo erano?» si stiracchiò Diza, appoggiando la propria arma a terra.
Deb rialzò il fucile, sparando in direzione della ragazza bruna, colpendo qualcosa dietro di lei. L’ultimo nemico si rannicchiò a terra mentre la sua pelle si ricopriva di orrende pustole che crebbero ad una velocità impressionante, mentre lui rantolava agonizzante. Quando anche lui si disintegrò in pezzetti di carta simili a coriandoli incolori, la ragazza che l’aveva ucciso rispose: «Diciannove. Ho la strana impressione che un record sia appena stato superato…». Si guardò intorno, perplessa dalle sue stesse parole per un secondo.
«Che gli hai sparato?» domandò preoccupata Robin, fissando i foglietti a terra dove si era appena dileguato l’essere.
«Peste bubbonica» rispose con un sorriso tranquillo.
«M-ma… non è c-contagiosa?» la fissò sconvolta Diza.
Deb scosse la testa, tranquillizzandole: «Non c’è niente di cui preoccuparsi: quest’arma simula solo i sintomi su ogni tipo di forma senziente o meno. Se ci pensate non avrei mai potuto contagiare dei pezzi di carta come sembrano essere ‘sti cosi, no?».
Diz alzò le mani in segno di resa mentre Robin esclamò: «Ok, ok, ci fidiamo, Doc».
Danielle, che era rimasta un po’ in disparte, senza parlare fino a quel punto, terribilmente preoccupata per la sorte della propria ragazza, allora fece notare alle altre: «Non sentite un rumore strano? Come uno svolazzare d’ali…».
Il rumore, in effetti, si stava facendo sempre più forte e non era certamente prodotto dai tre draghi di Dany, seduti accanto alla loro padrona, che annusavano con curiosità l’aria e che sembravano sempre più eccitati all’avvicinarsi dello svolazzare.
Tre draghi della stessa stazza sbucarono da un corridoio laterale, seguiti da tre ragazze bellissime. In un secondo di confusione pura Danielle e Robin si ritrovarono completamente sole sul pianerottolo: i cuccioli della prima si erano volatilizzati seguendo a ruota i loro simili, emettendo versi euforici e ruggiti strani; Diza e Deb erano state totalmente rapite dalla bellezza delle altre tre ragazze e costrette da qualche illusione bizzarra ad andar loro dietro con esclamazioni che suonavano stranamente come: «Oddio!» e «Gnocca ovunque!».
Un silenzio sconvolto seguì il dileguarsi delle loro compagne di avventura. Dany fu la prima a riprendersi e a chiedere: «P-perché stavano seguendo degli origami svolazzanti con q-quelle espressioni da lobotomizzate? C-che Cristo è successo?».
Un farfugliare confuso di Robin le rispose: «Rossa… era rossa. Ross-… ah… era. Limoncello» e il borbottio divenne un incomprensibile piagnucolio dolorante e acuto.
Danielle si girò verso l’altra ragazza, trovandola a fissare il luogo in cui erano sparite tutte quante con una lacrima che le scendeva indifferente su una guancia. «Robbie? Rob? Robin? Che… che stai dicendo?».
Si voltò faticosamente verso la sua amica, rispondendole, totalmente sconvolta, quasi in lacrime: «Erano delle ragazze bellissime. Erano…».
«Erano fogli di carta svolazzanti!» esclamò Dany, per poi comprendere e sussurrare: «Un’illusione! Ma perché a me non ha fatto effetto?». Le ragazze erano solo tre, non quattro. Erano state fatte per fermare tutte tranne una. Tranne lei. Chi aveva rapito Dorothea voleva che solo lei arrivasse a salvarla. Un brivido freddo le percorse la schiena a quest’inquietante consapevolezza.
Eppure Robin aveva resistito a quell’incantesimo. Doveva avere un autocontrollo incredibile a giudicare dallo stato in cui erano state ridotte le altre due loro amiche e i draghi. Danielle sorrise a Robbie, quasi commuovendosi: «Hai ignorato l’illusione per l’affetto che provi per la tua sorellona! Riusciremo a salvarla anche grazie a questo tuo gesto altruista e coraggioso!».
Un’altra lacrima seguì la prima sulla guancia di Robin, sempre immobile nella stessa posizione, rigida e dolorante. D’un tratto confessò: «Dany, in realtà… In realtà non ho seguito quella ragazza solo perché mi si è bloccata la schiena».
 
«Finalmente ci incontriamo!» esclamò con chiara eccitazione nella voce la Postina vedendo Danielle varcare l’ingresso. Il suo tono cambiò drasticamente quando notò Robin subito dietro alla ragazza: «Tu! Come è possibile? Erano illusioni create ad hoc, ho scelto le ragazze perfette!».
Rob alzò lo sguardo, ringhiando tra i denti, una mano sulla schiena e l’altra che stringeva il martello da guerra: «Non mi far pensare a quello che mi sono persa, grazie».
«Doreah! Resisti, ti liberiamo subito!» urlò Dany alla propria ragazza, determinata come non mai.
«Tranquilla, amore! Sto bene, mi sono divertita tantissimo: la tua fan qui è proprio idiota! Pensa che ti ha creato una specie di altarino su un muro e poi ha incorniciato tutti gli articoli del giornale che parlano di te! Pure l’annuncio che avevi messo per ritrovare i tuoi dr-…» ridacchiò con gusto Dorothea, prendendo in giro la pateticità della ragazza che l’aveva rapita.
«Taci, maledetta idiota!» esclamò la Postina, sicuramente paonazza sotto il cappuccio che le nascondeva il volto, e il sorriso di Doreah si fulminò di colpo tramutandosi in un’espressione gelida che avrebbe potuto far rabbrividire persino i più coraggiosi. Ma non i più stupidi a quanto pare.
La Postina si rivolse nuovamente a Danielle, quasi balbettando per l’emozione: «Ho fatto tutto questo solo per farti capire tutto quello che provo per te! Sarei disposta a far di tutto pur di-…».
«No, scusa un attimo…» la interruppe improvvisamente Robin, inclinando la testa come un cagnolino perplesso: «Vuoi forse dirmi che hai fatto tutto questo casino per arrivare a Danielle? Che hai rapito la sua ragazza per conquistarla?!».
Ci fu un momento di silenzio in cui la Postina sembrò riconsiderare il suo piano per capire cosa non andasse in esso per poi rispondere, esitante: «Ehm… sì».
«Ora basta, mi hai stancata!» annunciò cupa Doreah, alzandosi dalla sedia come se nulla fosse.
«Ma… quando ti sei liberata?» farfugliò sorpresa la ragazza, convinta di averla tenuta prigioniera fino a quel momento.
La bionda scrollò le spalle, incenerendo con uno sguardo assassino la Postina, che fece un malfermo passo indietro al suo: «Hai fatto dei nodi di merda, mi sono liberata dalle corde nel sonno mentre tentavi di svegliarmi». Avanzò minacciosamente verso la sconosciuta incappucciata, ringhiando: «Mi hai rapita e ci sono passata sopra. Mi hai legata ad una sedia e ci sono passata sopra. Mi hai svegliata e ci sono passata sopra. Ma questo è troppo.».
«C-che vuoi fare?» chiese spaventata la Postina, indietreggiando sempre di più, fissando con orrore il braccio teso di Dorothea verso di lei, la mano aperta come se fosse pronta ad afferrare qualcosa.
«Non ti permetto di darmi dell’idiota. Ma, soprattutto, non ti permetto di provarci con la mia ragazza di fronte a me!» le gridò addosso Doreah, gli occhi azzurri che brillavano d’ira pura.
Prima che la sconosciuta potesse dire qualcosa, i vetri dietro di lei si infransero in una pioggia cristallina e una macchia scura le piombò in testa ad una velocità supersonica, atterrando poi in mano alla bionda che l’aveva fronteggiata. Dorothea fece roteare il Mjöllnir con nonchalance, rimettendolo al suo posto, per poi voltarsi verso le due ragazze che avevano assistito allibite alla scena mentre l’altra crollava a terra perdendo i sensi.
La prima a riprendersi fu Dany che con lacrime di gioia e un: «Doreah!» si gettò tra le braccia della sua fidanzata.
«Non farmi preoccupare mai più così tanto!» disse poi Danielle stampandole un bacio sulle labbra.
Appena si fu scostata Doreah replicò con un ghigno furbo: «Ehi! Non è mica colpa mia se mi rapiscono psicopatiche isteriche!».
In quel momento due figure comparvero all’entrata della stanza: Deb e Diza, completamente spettinate, con un’aria persa e confusa e i vestiti in disordine.
Dorothea le osservò, chiedendo preoccupata: «Che vi è successo?».
Diz, frastornata, iniziò a dire: «L’ultima cosa che ricordo sono due ragazze che… che…» e deglutì.
Robin si premette le mani sulle orecchie, piagnucolando sconfitta, scuotendo la testa: «No! Io non ne voglio sapere nulla!».
Dany cercò di non scoppiare a ridere di fronte alla scena e allo sguardo della sua ragazza che non capiva cosa fosse successo. Le sussurrò piano: «Ti spiego dopo!».
«S-solo che poi… poi s-si sono trasformate in… in pezzetti di carta!» balbettò Deb e finalmente comprese girandosi lentamente verso Diz con un’espressione orripilata: «Erano… erano origami anche loro?!».
Tra Danielle che annuiva convinta, Robin che continuava a scuotere la testa traumatizzata con le mani sulle orecchie e gli occhi serrati e Doreah che iniziava ad afferrare il senso di quella stramba conversazione Diz realizzò: «Mi sono fatta un orig-…».
«Ragazze!» urlò preoccupata Rob.
«Sorellina, d’accordo, non ne parliamo più, tranquilla!» sghignazzò Doreah.
Robin le lanciò un’occhiataccia per poi spiegarsi: «Non quello. La tizia psicopatica! La… come si chiamava?».
«Marca da bollo?» tentò Dany.
«Cassetta delle lettere?» fece eco Dorothea.
«La Postina! È scomparsa!» esclamò Rob indicando il luogo dove era svenuta la sconosciuta: ora al suo posto c’era un biglietto minaccioso che recitava “Tornerò. La Postina.”.
Deb si avvicinò e lo prese in mano mentre una sensazione d’inquietudine dilagò nel gruppetto di ragazze. La certezza che sarebbe tornata incombeva su tutte loro come la certezza che la prossima volta sarebbe stata molto più preparata. Inoltre nessuna di loro avrebbe potuto riconoscere quella psicopatica visto che il cappuccio che indossava le aveva nascosto la faccia per tutto il tempo. Questo significava stare sempre e costantemente in guardia.
«Postina. Bah. È molto più realistico Cassetta delle lettere considerando la sua altezza!».
Scoppiarono tutte a ridere alla battuta di Doreah e ritornarono a casa.
   
 
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