Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: elenacarax    14/09/2012    1 recensioni
Carmela e Giosuè hanno trascorso metà della loro vita sposati. Hanno entrambi quarant'anni e le cose non vanno più come un tempo. Carmela è nervosa, scorbutica e stanca di suo marito, dei suoi toni e dei suoi giochetti. Giosuè è un Peter Pan, innamorato della moglie per chissà quale assurda combinazione del destino e intenzionato a fare di tutto per cancellarle quel broncio perenne.
Vent'anni insieme sono tanti, questo è un piccolo stralcio di come diventa la vita dopo il fatidico grande bacio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Non piangere salame dai capelli verde rame
 

 
Le gambe penzolano oltre il parapetto blu. Il bordo è rialzato ed effettivamente le cosce così schiacciate sembrano larghe a dismisura, con la pelle distesa e i nei in evidenza. Quasi le tiro indietro, ma poi ci ripenso perché alla fine non c’è nessuno su cui fare colpo e di cui vergognarsi.
Punto gli occhi sul legno chiaro della superficie, solcato da piccoli buchetti da tarlo. Ce ne sono tanti, uno esattamente equidistante dalle due estremità, un altro a cavallo sul piano orizzontale e quello verticale, proprio sulla dolce curva del legno. Tre, cinque, sei, sette..
-Carmen bella, che stai guardando?- Giosuè si affaccia dall’alto con il suo fare impiccione.
-I buchi- la mia voce fuoriesce come un sussurro, che ha il solo intento di discolparsi e liberarsi di quella domanda, senza realmente voler arrivare all’orecchie dell’altro.
-Come scusa?- il tono cuorioso, petulante, sempre lo stesso.
-I buchi! Giosuè teniamo sta barca da due anni e già tiene i buchi!- il tono nervoso, scocciato e irritato, sempre lo stesso.
Giosuè fa una pausa con lo sguardo stranito e poi alza le spalle. –E vabbè Carmè, anche i tarli dovranno sopravvivere in qualche modo..-
La stupidità di quest’uomo non smette mai di lasciarmi senza parole; come la sua capacità di non concordare mai con le mie proteste e il modo in cui mi sorprende ogni volta con una scusa diversa, con questa sua mania di giustificare qualsiasi cosa nel tentativo di far sgretolare le mie lamentele.
Giosuè armeggia con le corde della vela maestra, poi torna in cabina e lo sento scavare nel borsone di plastica dell’ikea stracolmo di roba che ci siamo portati dietro. Un fruscio di tessuto, carta e vetro dei sottaceti.
Non lo sopporto, questo dondolare continuo, questo barcollare avanti e indietro sotto al sole cocente di metà luglio. C’è sempre questo caldo continuo che invade ogni tessuto e si attanaglia alle caviglie e alla nuca come una brutta piovra che non si stacca più. Fosse per me non butteremmo mai l’ancora e passeremmo la giornata a fare avanti e indietro da un posto all’altro a caso, giusto per sentire quel venticello carino che si alza.
Passo il dito sul legno. C’è un buco più grande degli altri, sono due intersecati uno nell’altro.
Adesso se fossi una scritticiucola o una dopata di storie probabilmente mi metterei a creare una metafora carina da proporvi su due buchi che si intersecano e sembrano segnati da questo destino che li lega con la forza.. ma io ho passato la maturità con un 62 dato per pietà e un libro fuori dalla scuola non l’ho mai neanche aperto quindi vedo solamente un tarlo antipatico che ha fatto due buchi attaccati.
-Carmelinda! Guarda qui!- La voce di Giosuè arriva addosso con quella punta di gioia e entusiasmo di troppo che non perde mai.
Sono quindici anni che mi domando da dove la cacci, quell’euforia perpetua che butta dentro qualsiasi cosa fa.
-Carmelinda! Guarda che se continui ad osservarli non è che se ne vanno eh.. non sei mica la fata turchina- Giosuè fa una pausa molto eloquente –cioè.. almeno non in questa situazione- la sua voce si distende, lasciando a intendere la comparsa di un sorriso sul suo volto. Un sorriso molto malizioso, questo è sicuro.
Un ricordo si fa spazio tra i mille pensieri e si impone su tutti gli altri.. quel Capodanno di anni fa, sembra davvero una vita, il tavolino di quella stanza d’albergo a Praga ricoperto da più bottiglie di champagne rigorosamente vuote. Come diamine mi era venuto di travestirmi da fata turchina? D’accordo che ero ubriaca, ma il pomeriggio quando ero uscita appositamente e mi ero messa alla ricerca di un negozio di travestimenti ero perfettamente sobria. Mi avevano osservato con una strana luce negli occhi, i proprietari del negozio, due anzianotti corpulenti con lo sguardo malizioso per una giovane novella sposa che l’ultimo dell’anno compra maschera e tubino celeste, con tanto di bacchetta magica annessa..
Vite fa.
-Carrnelinda! Guarda qui su!-
-Giosuè mi chiamo Carmela sono trent’anni che te lo ripeto..- mio malgrado mi volto, perché so bene che può andare avanti per ore ed ore quando non gli si dà ascolto.
È fermo con i piedi abbronzati ancorati al legno stabilmente, come se la barca non stesse ondeggiando senza sosta. Si è cambiato il costume, e forse sarebbe stato meno imbarazzante vederlo nudo. Probabilmente a mio nipote piacerebbe tanto: gli arriva sino al ginocchio ed ha un grosso squalo disegnato sul sedere intento a mordergli una chiappa ferocemente.
Giuro che questo non gliel’ho comprato io.
-Ma che ti sei messo addosso, Giosuè?-
Alza una mano in aria e fa un gesto di noncuranza.
-L’ho comprato la settimana scorsa su ad Ischia in un negozio di sport. Bello vero? Comunque guarda qua cos’ho imparato a fare!- Non aspetta mai che risponda, accavalla i discorsi, mischia gli argomenti. Ha sempre questa voglia di dire, di fare, questo portale sempre aperto che trabocca di nuove idee.
Lancia una pallina celeste in aria, che va a confondersi con il colore del cielo. Ne lancia un’altra gialla e ancora una verde e un’altra rosa. Le afferra, le rilancia, in una danza che non riesco a capire bene. Comincia ad ondeggiare assieme alle palline e le fissa con sguardo assorto e labbra aperte. Non ho mai smesso di osservarle, quelle labbra, sono carnose ma non enormi, e rosa scuro, sempre un po’ screpolate da farti venir voglia di ammorbidirle in continuazione. L’oggetto del mio desiderio e del mio nervosismo perpetuo.
Continua a muoversi in sincronia con le palline e con la barca allo stesso tempo in una scena al limite dell’assurdo per un quarantenne inoltrato.
Me lo diceva mia zia Pina... ‘nun t’o spusà a chill! È mezu pazz!” con tanto di dito in aria per enfatizzare il tutto.
Non l’aveva mai abbandonata, quell’aria spensierata, Giosuè. Se ne stava sempre per metà sulle nuvole nel mondo dei ragazzini in fissa per i trucchetti e le barzellette. Si è inventato giocoliere adesso, ma la settimana scorsa era equilibrista e quella prima ancora ballerino di breakdance. È così stressante dover vivere con un bambino…
È stata la sua aria leggera a prendermi, vent’anni fa. Quest’allegria perpetua che aveva aperto uno spiraglio di una vita lontana dai dissapori dell’età adulta e dalla chiusura di quel basso nei quartieri Spagnoli dove abitano ancora mamma e papà. È triste campare in una stanza condivisa coi tuoi genitori e con altri due fratelli. È amaro sentirsi il soggetto di una ricerca sfrenata al miglior offerente.
Il meccanico no... forse è meglio il figlio del macellaio che guadagna bene.. però sai che puzza le mani a fine giornata, no che schifo Pina... a questo punto il figlio di Peppe il fioraio non sarebbe meglio?
Giosuè è stata la via di fuga. Aveva gli occhi azzurri nascosti dietro un paio di occhiali marroni e i capelli sparati in testa.
Non mi ha mai guardato male per il posto in cui vivevo, anche se lui abitava in un appartamento a due piani in collina. Veniva a casa a chiedermi di uscire con lui, e io lo mandavo a quel paese, ogni volta. Lui rideva, ma poi tornava sempre..
 
 
 
 
 
 
                              
 
Se ne sta lì, con le gambe penzoloni e il berretto in testa a guardare l’orizzonte.
Ogni tanto sbuffa, forse per se stessa, forse per farmi sentire quanto si sta scocciando. Ma io lo so bene. Abbiamo una barca a vela di venti metri e siamo in giro per le Eolie, ma a lei non va di uscire per mare. C’è un sole che in una settimana potresti diventare scuro come un marocchino ma per Carmela fa troppo caldo. 
Con lei è un continuo regalare a chi non sa apprezzare. Con lei è un continuo dare il pane a chi non ha i denti. Eppure, non capisco ancora perché, io non mi scoccio mai di imboccarla.
È così bella, con quello short bianco che fa tanto ragazzina e la canottiera turchese che dona alla perfezione con la carnagione abbronzata.
Detesta stare al sole, non riesce mai a star ferma. Ci si mette pure col pensiero, ci prova, si distende, sistema l’mp3, la crema, lo spruzzino e il ventaglio. Ma a intervalli regolari di 5 minuti si alza sempre per fare un servizio diverso: recuperare un oggetto mancante ed indispensabile, fare la pipì o prepararsi uno spuntino.
A Napoli la chiamano ‘arteteca’, la continua mania di muovere qualcosa, spostare, spostarsi. Diciamo anche che Carmela potrebbe esserne la portabandiera.
Me la ricordo, quella bambina quasi mulatta con la coda di cavallo raccolta in un fiocchetto che si divertiva ad allungare il piedino e fare lo sgambetto ai passanti. L’aveva fatto pure a me, un giorno che ero entrato a casa sua al volo con il fratello Michele per prendere un succo di frutta. Eravamo tutti sudati e affaticati, con la polvere e lo sporco attaccati addosso per quella partita di calcetto giocata nello slargo lì vicino. Lei si era appostata accanto alla porta e aveva allungato il piedino racchiuso in una scarpetta bianca. Vedendomi inciampare, compiaciuta, aveva detto ‘E tu chi sei?’.
Quanto era carina, con quel vestitino rosso ciliegia e lo sguardo maligno.
Lei doveva sapere. Chi entra in casa mia? Chi passa nel vicolo e butta l’occhio in sala da pranzo? Chi osa?
Dove l’hai comprata quella maglietta? Chi te l’ha fatta venire adesso la fissa dello skateboard? Che palle la barca, che schifo il tonno in scatola.
Se ne sta lì con le spalle ricurve e si osserva il polso, quella piccola mezzaluna tatuata di sbieco. La voleva lì tutto a sinistra, a destra si è fatta tatuare una frase che dice ‘la notte vale tutto’.
Fa tanto bad girl, ne sono consapevole. Ma dopotutto credo che quell’incisione la rappresenti molto più di tante altre frasi. Adora la notte, in città esce in continuazione e va fuori con le amiche a bere, a ballare, a volte trascina anche me ma so che si diverte di più quando non ci sono quindi spesso la lascio sola. Forse le manca la movida notturna, ma non ha smesso di restare alzata.
Se ne sta sempre sveglia a guardare la luna e pensare chi sa cosa. Mi sembra tanto che di notte sia l’unico momento in cui sopporta questa barca. Sguscia fuori dal letto senza preoccuparsi di non fare rumore e sale a prua, ad abbracciarsi le ginocchia al petto.
Spesso la osservo, da lontano, senza lasciare che mi veda. Mi godo quei piccoli momenti in cui la mia Carmela sembra una persona così sola e bisognosa d’amore. Più la osservo più capisco che io non riesco a darglielo, quell’amore.
-Giosuè alza un po’!- Carmela si desta dalla sua catatonia e sapevo che sarebbe successo. Comincia a seguire il ritmo con la testa e si sporge verso la cabina da cui proviene la musica.
-Presto!- si spazientisce, nervosa. Mi affretto a dare sfogo al buon e vecchio Battisti, perché so che per lui mia moglie il volume non lo risparmierebbe mai.
-.. come ho fatto non so! Una ra.. gione vera non c’è, lei era bella peròò- Carmela incespica nelle parole della canzone perché non è mai stata capace di memorizzare un testo. Mi fa sorridere, perché sono anni che la ascolta e il modo in cui ci inciampa dentro è così tenero..
-Ma che disperazione, nasce da una d.. distrazione, era un fuoco.. gioco, non era un fuoco!- Si aggiusta un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, applicata. Ha una voce calda, non ha la minima idea di cosa il ritmo sia ma non ha paura di stonare. Lo fa e basta, senza problemi, senza preoccuparsi di mascherarlo.
-Non piangere,.. salame, dai capelli... verde... rame... vabbè ma non ha senso non è possibile...- Ci ritenta ma è la strofa più infame della canzone questa. La mia risata si libra nell’aria.
Carmela si alza all’in piedi, probabilmente vuole scendere ed alzare un altro po’ il volume della radio per accogliere l’arrivo del ritornello.
Si aggiusta il pantaloncino e si abbassa la maglietta. –lo sai che t’amo, io ti amo veramente..- lo dice a nessuno, perché ne è passato di tempo da quando ci dedicavamo le canzoni.
Così mi avvicino di qualche passo e mi rivolgo a lei –Eppur mi son scordato di te.. come ho fatto non so- mimo la canzone con un sorriso –t’ho fatto pianger tanto perché.. io sono un brrruto - la guardo con sguardo cattivo e lei poggia le mani sui fianchi, lasciando a intendere che sono poco credibile.
Sposta le mani e le alza al cielo, in un moto di vita così raro in lei. Canta e grida, ondeggia le braccia al cielo assieme ai fianchi –UN TUFFO DOVE L’ACQUA è PIU’ BLU! NIENTE DI PIUUUUUU- muove anche il sedere a destra e sinistra in una mossa piuttosto buffa che non può che farmi scoppiare a ridere a crepapelle.
Battisti, buon anima, che tu sia benedetto.
Carmela fa un passetto di lato per recuperare l’equilibrio perso in una giravolta un po’ azzardata. Distorce il volto consapevole di quello che sta per succedere.
La sento imprecare -Ma che marin..- e dentro in acqua con tanto di vestiti e berrettino.
-Carmela! Ma mica ti dovevi buttare veramente!-
Mi sfilo le ciabatte, prendo la rincorsa e la raggiungo.
-Ma che cazzo..- Carmela riemerge, scostandosi i capelli appiccicati sulla fronte
 –Giosuè! Ma che ti sei buttato a fare? So nuotare!- mi guarda la maglietta bagnata da sotto al cappellino, divertita e stranita.
-Non so..supporto morale?-
La sua risata si diffonde nell’aria come la più dolce delle melodie, e per me lo è davvero.
Risaliamo a bordo, con tutti i vestiti appiccicati addosso. È così bella, con la canottiera tutta trasparente. È così affascinante, mentre si scrolla di dosso l’acqua come un cagnolino bagnato.
Non va ad asciugarsi, si sfila i vestiti e va a sedersi a prua.
È davvero troppo, in costume al tramonto con i capelli al vento..
-Guarda che bel tramonto Giosuè - non urla, non sbraita, parla, sussurra e lascia che la sua voce venga trasportata fino a me. Come posso non accogliere quest’invito? Come posso non sedermi accanto a lei e cingerle le spalle, nella speranza che appoggi il suo capo su di me?
Le bacio la testa, i capelli bagnati e le sposto una ciocca fastidiosa dagli occhi. So che l’avrebbe fatto lei lo stesso, perchè i capelli davanti agli occhi non li ha mai sopportati.
Carmela mi guarda con uno sguardo dove c’è tutto scritto, ci sono i trent’ anni in cui ci conosciamo, i venti da cui siamo sposati, i quindici da quando non mi sopporta più, i dieci da quando suo fratello Michele è morto, i cinque da quando non viviamo più a Napoli, i sei mesi da quando non facciamo l’amore, i due da quando non ci baciamo con la lingua. C’è una vita assieme, c’è tanto fastidio, un pizzico di rassegnazione, una manciata di tristezza mescolata a una briciola di tenerezza e l’ombra di un sorriso.
-Teneva proprio ragione Lucilio...- aggrotto le sopracciglia, perché Carmela non ha mai citato nemmeno il salumiere all’angolo, figuriamoci un latino.
Mi accarezza la faccia con tutta la mano, passandomi il palmo dalla tempia al mento. Continua a guardarmi –Odi e t’ami! È possibile davvero...-
 
 
-Piacere, mi chiamo Giosuè e voglio diventare l’uomo della tua vita-





Note:
mannaccia, non riesco a togliere il corsivo.
Allora, vorrei specificare un paio di cose. 
Punto primo, mi spiace per i tratti di dialetto napoletano presenti, so che possono suonare pesanti per uno che non è del posto. Non li ho modificati perchè credo che rendano meglio la condizione di Carmela. Al proposito, il verbo 'tenere' al posto di 'avere' è uno di quelli.
Mi sono discostata dal mio stile perchè solitamente non scrivo nè in prima persona nè al presente.
Spero che vi sia piaciuta, a me è piaciuto scriverla e soprattutto mi sono intenerita nella parte finale (come si può notare).
Ou revoir! 



  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: elenacarax