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Autore: kithiara    14/09/2012    1 recensioni
Venti secondi non per pensare.
Venti secondi per agire.
Venti secondi per non morire.
Venti secondi…solo venti.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao,
è da un po’ di tempo che questa storia giace silente nei meandri del mio portatile, ma non mi decidevo mai a pubblicarla, forse perché non avevo trovato una fine che mi soddisfacesse, forse perché più che una storia sul cast di Vampire Diaries è un po’ più un prologo ad un’eventuale storia…che però non ho nel modo più assoluto idea di come continuare, quindi penso che rimarrà una semplice one shot che spero vi piacerà comunque.
Vediamo se riuscite ad indovinare chi è il personaggio sorpresa, la descrizione che troverete spero gli renda giustizia, non so nulla del suo carattere che comunque non ha molta importanza per la trama, ma saprete il nome solo alla fine, tuttavia…non andate a sbirciare!!
Buona lettura e se lasciate una recensione, sappiate che mi fate felice…in ogni caso.
 
Chiara

 
 
 
TWENTY SECONDS
 
 
Venti secondi non per pensare.
Venti secondi per agire.
Venti secondi per non morire.
Venti secondi…solo venti.
 
Uno.
La terra trema.
Le mie gambe tremano, così forte che stare in piedi è praticamente impossibile.
 
Due.
Il mio cuore batte all’impazzata, la testa pulsa, le orecchie ronzano e lo stomaco sta facendosi un giro di giostra.
 
Tre.
Mi guardo attorno frastornata, il senso dell’orientamento completamente andato a farsi benedire.
Poi due mani mi afferrano, mi bloccano…e ritrovo l’equilibrio.
 
Quattro.
“Tutto bene?”
Una voce, chiaramente maschile. La sua voce.
Annuisco tremante, le parole che non trovano la strada per uscire.
 
Cinque.
“Ok. Dammi la mano, usciamo di qui.”
 
[Neanche cinque minuti prima.]
 
Sono contenta.
Anzi più che contenta direi che sono euforica, il colloquio sembra essere andato bene e ci sono buone speranze che mi assumano.
Sono così felice, che passerò sopra al fatto che le porte dell’ascensore mi si sono appena chiuse in faccia senza che nessuno abbia avuto il buon gusto di riaprirle per aspettarmi.
Attenderò il prossimo, tanto non ho fretta.
Ah eccolo.
Quando le porte si aprono, quasi vado a sbattere contro un’anziana signora che, tutta impettita, mi fissa senza spostarsi di una virgola.
“Deve scendere?”le chiedo gentilmente, scostandomi per lasciarla passare.
“No.”È la sua risposta secca, gli occhietti acquosi puntati con insolenza su di me.
 
Continua a non volersi muovere.
Sono fin troppo cordiale, sto resistendo all’impulso di urlarle addosso di cavarsi dalle palle.
Lo farei se solo…non mi ricordasse mia nonna.
Piuttosto strano, visto che mia nonna non è assolutamente una vecchia e acida arpia.
 
Ok, la cosa sta diventando ridicola.
Sto per dirle qualcosa, quando lei mi anticipa.
“Allora signorina, o si sbriga o qui facciamo notte!”
Sgrano gli occhi scioccata.
Prego?? Ma vaff…
“Sarebbe molto più semplice se lei si togliesse da lì davanti.”
 
Lo giuro, non sono stata io!
Anche se avrei tanto voluto farlo.
Mi sporgo di lato per vedere chi ha parlato, mentre l’anziana donna si gira a sua volta, sorpresa da tanta impudenza.
 
Il colpevole è lì, tranquillamente appoggiato alla parete di fondo dell’ascensore, le mani affondate nelle tasche dei jeans.
E’ un ragazzo sui trent’anni, che pare appena uscito da una rivista di moda…corti capelli biondi, occhi verdi, barba leggermente incolta e quell’aria da  affascinante spaccone che fa sciogliere le donne.
Rimango per un attimo a fissarlo a bocca aperta, ma la chiudo di botto quando mi rendo conto di star facendo la figura del pesce lesso.
Mia madre me lo dice sempre, non sta bene fissare la gente!
Eppure quel ragazzo sembra essere fatto per essere fissato…
 
Approfittando di quel momento di distrazione della vecchia cariatide, salgo sull’ascensore, posizionandomi sul fondo proprio a fianco dello sconosciuto a cui rivolgo un sussurrato “Grazie” mentre la donna non smette di borbottare frasi del tipo “la gioventù di oggi”, “non c’è più rispetto” e “dove andremo a finire”.
Ci guardiamo di sottecchi, accennando alle sue spalle un sorriso divertito, poi il mio sguardo si posa di nuovo a terra, mentre sento una vampata di rossore riscaldarmi il viso.
Le porte si riaprono di lì a poco per farla uscire e a me sovviene di non aver prenotato la mia fermata.
Per fortuna pare che il -1 sia anche la sua destinazione.
 
Mi concedo di dargli solo un’altra piccola occhiata.
E’ incredibilmente alto, almeno trenta centimetri più di me, constato dal mio modesto metro e sessantacinque.
Jeans stretti a fasciargli le lunghe gambe su un paio di scarponcini chiari di camoscio, una maglia dalle maniche lunghe bianca alla coreana sotto ad un gilet a righe blu e azzurre e una pashmina dagli stessi colori al collo.
Indubbiamente un tipo elegante, ma alternativo.
In quel momento si volta e mi sorprende a fissarlo, se gli dà fastidio proprio non lo dà a vedere, le labbra carnose distese in un sorriso sornione.
 
Per fortuna arriva il campanello dell’ascensore a liberarmi dall’imbarazzo.
Quando le porte si aprono, i corselli del garage interrato ci accolgono.
E adesso, chi si ricorda dove ho messo la macchina?
 
Guardo a destra e a sinistra cercando di fare mente locale, ma nulla.
“E’ disorientante vero?”chiede divertita una voce alle mie spalle
“Già.”Rispondo sovrappensiero senza nemmeno voltarmi.
“Che macchina stai cercando?”
“Una vecchia Ford…bianca.”Dico guardando sconcertata il numero inquietante di macchine bianche che mi si para davanti.
“Auguri.” Risponde ironico, poi vedendo l’espressione desolata sulla mia faccia, continua.
“Hai un antifurto? Magari potresti farlo suonare.”
“E’ una grande idea!”mi rianimo, recuperando le chiavi dalla borsa e azionando un pulsante sul telecomando.
Qualche fila più avanti, un antifurto inizia a suonare…la mia macchina!
“Bè, allora grazie.”Dico sorridendo, prima di incamminarmi in quella direzione.
Mi risponde con un cenno della testa e un sorriso perfetto di candidi denti bianchi.
 
Davvero non credo che riuscirò a dimenticarmi tanto presto di quel sorriso.
Sbagliato. Quando la terra inizia a tremare un attimo dopo, ho dimenticato persino qual è il mio nome.
 
[In questo momento]
 
Sei.
Mi sento trascinare verso un qualche punto alla mia destra, non m’importa di sapere dove, sono come un cucciolo che segue ciecamente il suo padrone.
 
Sette.
Inciampo in continuazione sul pavimento che trema e si squarcia, ma delle braccia forti mi sorreggono e mi rialzano ogni volta senza fatica.
“Coraggio, ci siamo quasi.”Mi rassicura con voce gentile.
 
Otto.
Gli allarmi delle auto, partiti tutti in contemporanea, saturano l’aria col loro rumore stridulo.
Vorrei tanto potermi fermare e tappare le orecchie, ma devo continuare a correre.
 
Nove. Dieci.
Pezzi d’intonaco iniziano a staccarsi dal soffitto, crollando rumorosamente a terra e sollevando grosse nuvole di polvere.
“Merda!”lo sento imprecare mentre si blocca all’istante.
Non avendo la stessa prontezza di riflessi, gli finisco contro la schiena e in quel momento i miei sensi, seppur annebbiati, registrano un gradevole profumo di acqua di colonia e tabacco.
E’ assurdo che il mio corpo reagisca in questo modo data la situazione…sarà colpa dell’adrenalina, penso tanto per assolvermi.
 
Undici. Dodici.
Si volta e mi afferra per le spalle; i suoi occhi verdi, ora così seri e concentrati, mi scrutano per capire se posso farcela.
“Dobbiamo arrivare alla rampa d’uscita. Credi di potercela fare?”chiede preoccupato
Annuisco convinta, cercando di recuperare un po’ di sangue freddo e ricacciando indietro le lacrime che sento pungermi gli occhi.
“Bene.”E mi sorride fiducioso.
Singhiozzo silenziosamente, riuscirò a non deluderlo?
 
Tredici. Quattordici.
Mi manca il fiato, sembra un’eternità che stiamo girando tra questi corselli, mentre in realtà sono solo pochi secondi.
Le scosse, la polvere che satura l’aria e la paura distorcono ogni mia percezione della realtà spazio-temporale.
Solo il contatto con la sua mano mi permette di andare avanti, di credere che ce la potrò fare ad uscire da questa maledetta trappola di cemento e lamiere.
 
Quindici.
Il rombo si è fatto assordante, ormai non riesco più a distinguere se sia quello delle travi del soffitto che crollano, delle auto che vengono sbalzate a destra e sinistra o quello del pavimento che cede sotto ai miei piedi.
E in tutto questo, la scritta USCITA sembra sempre di più un miraggio.
 
Sedici. Diciassette.
Non so dire se sia stato un caso, una sensazione o  piuttosto un fortunato segno del destino, ma proprio nell’attimo in cui sollevo gli occhi da terra, vedo con orrore i cavi elettrici di una delle lampade al neon che penzolano dal soffitto staccarsi e la lampada precipitare verso di noi.
“Attento, le luci!”Urlo atterrita per richiamare la sua attenzione.
Malgrado il frastuono che ci circonda, la mia voce riesce a raggiungerlo…appena in tempo.
Il lampadario si schianta a terra in un cumulo di vetri e lamiere, mandando scintille.
Si volta di scatto verso di me, negli occhi la stessa espressione di sollievo misto a paura di chi ha visto per un attimo tutta la propria vita passargli davanti agli occhi.
La stessa espressione che immagino possa vedere riflessa nei miei occhi.
Inizio a singhiozzare forte e lui fa una cosa che mi lascia completamente senza fiato…mi abbraccia, forte, molto forte, in silenzio.
Il suo corpo è caldo e terribilmente accogliente.
La sua bocca, vicina al mio orecchio, sussurra parole rassicuranti.
E il suo cuore batte veloce, in perfetta sincronia col mio.
Basta questo per farmi calmare quel tanto che serve per assimilare le sue parole.
“Andrà tutto bene, fidati di me. Ecco l’uscita.”
 
Diciotto. Diciannove.
I miei occhi si socchiudono istintivamente per proteggersi mentre corro fuori dalla penombra del corsello nella luce abbagliante del sole.
Aria.
Respiro a pieni polmoni mentre la terra ancora trema e sussulta sotto ai miei piedi. O è solo una sensazione?
A tratti già mi chiedo se non sia solo un’impressione, lo strascico del terremoto che il mio stomaco ancora non ha smaltito.
La mia mano è ancora stretta alla sua e solo questo, credo, mi ha impedito finora di lasciarmi cadere a terra.
Mi guardo attorno e vedo decine, centinaia di persone per strada, tutte con la stessa espressione negli occhi, un misto di terrore, rabbia e sollievo.
Terrore per l’esperienza vissuta, rabbia per l’impotenza davanti a tanta distruzione e tuttavia sollievo per la consapevolezza di essere sopravvissuti.
Fra tutti quei volti mi pare di scorgere anche quello dell’anziana donna dell’ascensore, sta bene e la sua aria smarrita cancella ai miei occhi il ricordo sgradevole del nostro primo incontro.
Quando il suo sguardo incrocia il mio, ci scambiamo un solidale cenno col capo, un muto segnale che dice tutto non dicendo niente, dice le nostre vite si sono sfiorate solo per pochi attimi, ma ti sono vicina e sono felice che tu stia bene.
Poi il mio pensiero corre a lui e così sposto lo sguardo sulla mia mano che stringe ancora convulsamente la sua, lasciandolo correre lungo il suo braccio, la sua spalla, il suo collo, fino ad arrivare al suo viso dove un sorriso sincero e due brillanti occhi verdi mi avvolgono col loro calore.
 
Venti.
Non so veramente cosa dire.
Grazie? Sembrerebbe banale.
Ti devo la mia vita? Troppo melodrammatico.
Incontarti è stato travolgente?Troppo stupido.
Sentendo le guance farsi sempre più roventi, sussurro solo il mio nome.
Mary.
Se non avessimo condiviso quello che abbiamo condiviso, questa scena sembrerebbe ridicola.
Fortunatamente però non è così.
Senza smettere di sorridere, né tantomeno accennando a voler sciogliere il contatto fra le nostre mani (e vi assicuro, ormai devo avergliela spappolata) lo sento rispondere.
Joseph.
Prima di chinarsi su di me e catturare la mia bocca in un tenero bacio a fior di labbra.
 
E in quell’attimo, il tempo che era sembrato come rallentato, riprendere a scorrere.




  
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