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Autore: Ely_fly    14/09/2012    2 recensioni
Sono tornata con una nuova fic... Non odiatemi!
Stavolta si tratta di una Robin X Raven.
Raven viene ferita gravemente durante un attacco e la sua guarigione sembra impossibile. Riuscirà Robin a rassegnarsi o farà di tutto per salvare la sua "amica"?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I am not an angel and I will not be one till I die: I will be myself.
Jane Eyre
[Charlotte Brontë, Jane Eyre]

«Raven!»
Sentendo il suo nome la ragazza si voltò, ma era troppo tardi.
Sentì qualcosa bruciarle la schiena e poi cadde a terra. La testa sbatté contro l’asfalto con un rumore sordo. Le si appannò la vista. Tentò di riscuotersi e di usare i suoi poteri, ma al solo pensiero di aprire la bocca e parlare si sentì venire meno. Vide qualcosa (o qualcuno, non seppe identificarlo) atterrare accanto a lei. Cercò ancora una volta di richiamare i suoi poteri, ma dalla bocca le uscì soltanto un fiotto di sangue. Sentì le sue forze farsi sempre più deboli. Sbatté le palpebre per cercare di snebbiare la vista, ma vide solo un’ombra indistinta chinarsi su di lei.
 
«Raven!»
Stavolta la voce era decisamente vicina e perfettamente riconoscibile: “Robin” pensò, cercando di chiamarlo. Ma dalle sue labbra sgorgò un fiume di sangue. Quel sapore le dava la nausea. Tentò di nuovo di chiamare il ragazzo, ma sentì il gusto metallico del suo sangue sulla lingua. Le ombre intorno a lei si fecero più cupe e fitte. Sbatté le palpebre ancora una volta, poi chiuse gli occhi.
 
«Raven!»
Il leader dei Teen Titans si chinò sulla figura immobile della ragazza, pregando che non fosse accaduto il peggio. Le sollevò la testa dalla strada, appoggiandola alla sua spalla. Quel movimento causò una nuova fuoriuscita di sangue dalla bocca della maga. Il liquido, denso e caldo, impregnò la divisa del ragazzo, che non se ne curò: il fatto che perdesse ancora sangue indicava che la ragazza era ancora viva. Si lasciò scappare un sospiro di sollievo, prima di realizzare quanto gravi dovessero essere le ferite. Non le restava molto tempo, bisognava portarla in ospedale subito.
Sollevò lo sguardo e cercò i suoi compagni: vide che erano riusciti a mettere k.o. due delle tre creature che avevano attaccato la loro città, mentre l’ultima era riuscita a fuggire. Intuendo la loro prossima mossa, li fermò: «Titans! Dobbiamo portare Raven in ospedale. È ferita troppo gravemente per i nostri macchinari!»
Cyborg e gli altri lo raggiunsero immediatamente: nella foga del combattimento non si erano accorti che la maga fosse stata colpita così violentemente.
Il leader sollevò delicatamente la ragazza, un braccio dietro la sua schiena e l’altro dietro le sue ginocchia e la consegnò a Cyborg: «Portala all’ospedale più vicino.»
«E tu cosa farai, Robin?» gli chiese Starfire, vedendolo allontanarsi.
«Ho una faccenda da sbrigare» rispose cupo il ragazzo, senza voltarsi.
«Robin!» tentò di richiamarlo l’aliena. Ma lui era già scomparso all’orizzonte.
«Ora non c’è tempo, Star. Di lui ci occuperemo dopo. Prima dobbiamo pensare a Rae» le disse Beast Boy, posandole una mano sulla spalla e guardando tristemente il corpo privo di sensi che Cyborg teneva tra le braccia.
«Sbrighiamoci» disse gravemente il mezzo-robot, dirigendosi con passo pesante verso la T-Car e caricando rapidamente la ragazza che considerava alla stregua di una sorella minore. «Beast Boy, mi raccomando, tienila bene. Balleremo un pochino!» esclamò poi, mettendosi alla guida e cominciando a sfrecciare per le vie di Jump City, ignorando bellamente tutti i divieti esistenti, come pure i semafori.
Arrivarono all’ospedale nel tempo record di due minuti e venticinque secondi (cose che nemmeno un’ambulanza!) e subito Raven, ancora incosciente, venne consegnata ai medici del pronto soccorso che la mandarono d’urgenza in sala operatoria.
I tre Titans si sedettero sulle scomode seggiole della sala d’attesa, aspettando pazientemente notizie da uno e dall’altro fronte.
 
 
 
Intanto Robin era all’inseguimento della creatura aliena che li aveva attaccati poco prima e che aveva ridotto Raven in fin di vita. Il ragazzo ormai non pensava più, la rabbia aveva preso il sopravvento sulla sua normale pacatezza, l’istinto dominava sulla ragione: si muoveva meccanicamente, seguendo le tracce di quell’essere, ignorando qualsiasi cosa che non c’entrasse con l’alieno.
La creatura sembrava non accorgersi della sua presenza dietro di lui e si muoveva per le vie della città seguendo uno schema mentale ben preciso, che lo condusse in uno spiazzo erboso poco fuori dal centro città, accanto ad un casolare abbandonato. Qui finalmente si fermò e cominciò a tracciare dei segni sul terreno, in una sorta di rito di evocazione.
Robin rimase a guardarlo per un po’, pensando che le mosse di quella cosa gli ricordavano tanto quelle che ogni tanto faceva Raven.Raven. Il pensiero della maga lo fece concentrare nuovamente sul suo obiettivo: quell’essere doveva pagare per averla ridotta in quello stato. Digrignò i denti in un ghigno selvaggio, poi, estraendo il suo bastone da combattimento, si lanciò contro l’alieno, cogliendolo di sorpresa e scaraventandolo lontano dal circolo che aveva inciso nella terra.
La creatura lo guardò sorpresa: l’ultima cosa che si aspettava era di essere attaccata da un banale essere umano. Intanto, il ragazzo-meraviglia continuava il suo attacco, guidato dalla forza della disperazione.
L’alieno cercò in tutti i modi di evitare i colpi del ragazzo, ma la furia e il dolore che lo guidavano erano superiori alle sue forze. In breve l’alieno si ritrovò inchiodato al suolo dai Birdarang* di Robin, che lo sovrastava con il bastone in mano, pronto a dargli il colpo di grazia. In quell’istante il ragazzo sembrava un angelo della morte, con il sangue di Raven a macchiargli la divisa.
Il leader dei Titans sollevò il bastone e cominciò a calarlo, godendosi il terrore negli occhi dell’alieno.
 
In quell’istante il suo trasmettitore suonò: il bastone si fermò a un centimetro dal petto della creatura aliena, che ringraziò il suo dio alieno (o quello che era), mentre il ragazzo rispondeva alla chiamata.
«Che c’è?» domandò secco, aprendo l’apparecchio.
«Robin, dove sei finito? I medici ci vogliono parlare d’urgenza, ma ho preferito aspettare il tuo ritorno» spiegò concitato Cyborg, cercando di intuire dove potesse trovarsi il ragazzo-meraviglia.
«Che cosa è successo?» ringhiò il ragazzo, senza perdere di vista l’alieno.
«Sembra che ci siano state delle complicazioni, dovute all’entità della ferita, ma non mi sono fatto dire tutto. Come ti ho detto, aspettavo te» rispose il mezzo-robot.
«Cosa vuoi dire con complicazioni, Cyborg?» domandò gelido l’altro ragazzo, sentendo il cuore farsi sempre più pesante.
«Non lo so, te l’ho detto! Ma se per caso trovi quell’alieno tornando qui, portalo con te. Potremmo aver bisogno di interrogarlo» disse l’altro, prima di aggiungere: «I medici hanno fretta, Robin. Vieni qui subito.» La comunicazione venne chiusa e Robin si lasciò sfuggire un ghigno di rabbia e dolore, oltre che di sadismo: «A quanto pare qualcuno lassù ti vuole bene. Verrai con me a farti un giretto a Jump City, contento?» sibilò, mentre stordiva l’alieno con un colpo alla tempia e rimuoveva i Birdarang che lo bloccavano a terra. Si caricò il corpo inerte su una spalla, come un sacco, poi premette il pulsante del telecomando che aveva in tasca e pochi secondi dopo la sua motocicletta comparve volando davanti a lui. Doveva davvero ringraziare Starfire e la tecnologia di Tamaran per questo. Con uno sbuffo caricò il suo prigioniero sulla moto, poi salì e mise in moto. Partì con una sgommata e dopo appena quattro minuti (aveva trovato traffico sulla via principale) era davanti all’ospedale.
 
Salì di corsa i quattro piani di scale necessari ad arrivare al reparto di chirurgia, indicatogli da Cyborg qualche secondo prima, quando l’aveva chiamato per annunciargli di essere arrivato, trascinandosi dietro il corpo inerte dell’alieno, dedicandogli la cura che avrebbe riservato a uno scarafaggio morto. Anzi, probabilmente sarebbe stato più gentile con l’insetto defunto.
«Eccomi» disse gelido, raggiungendo i suoi amici e un medico in tuta verde da chirurgo.
«Finalmente!» esclamò Beast Boy, rimangiandosi poi quanto detto, una volta captato lo sguardo mortale che il suo leader gli aveva lanciato.
Il medico guardò preoccupato l’alieno ai piedi del ragazzo, che lo rassicurò: «Per ora è ancora innocuo, dottore. Non si preoccupi. Cos’è questa storia delle complicazioni?»
«Sì, ecco, proprio di questo dovevo parlarvi» disse il chirurgo, consultando una cartelletta. «Voi siete gli amici della signorina Roth, giusto?»
I Titans annuirono preoccupati: se la loro amica era in mano a quell’uomo erano a posto.
«Esatto. Che cosa ci può dire?» disse Robin, piuttosto concitato.
«Ecco, la signorina Roth ha perso molto sangue, davvero molto sangue e ha anche delle gravi ustioni sulla schiena. Per non parlare della commozione cerebrale che le è stata procurata dalla caduta sull’asfalto. Tuttavia non è questo a preoccuparci, tutt’altro.»
«E allora dove sta il problema?» chiese il ragazzo-meraviglia, quasi ringhiando.
«Il problema è che la signorina Roth non ha ancora ripreso conoscenza. Nonostante le ferite più gravi siano state suturate e curate nel migliore dei modi possibili.»
«Cosa vuol dire che non ha ripreso conoscenza?» domandò Beast Boy esterrefatto. Per quel poco che ne sapeva di ospedali, era normale che dopo essere entrati in sala operatoria si ricominciasse a stare bene.
«Vuol dire» spiegò pazientemente il medico «che i valori della vostra amica sono in perfetto ordine, così come le sue funzioni vitali. Dalle analisi risulta perfettamente sveglia e sulla via di guarigione. In realtà…» sospirò, facendogli cenno di seguirlo.
Arrivarono davanti ad una porta bianca, che l’uomo aprì, mostrando un letto su cui giaceva Raven, collegata a talmente tanti tubi da somigliare alla cartina di una metropolitana.
«In realtà… Questa è la situazione. Sembra che la signorina Roth si trovi in un coma autoindotto, del quale non ci è possibile determinare la durata. Mi dispiace» concluse il medico, uscendo poi dalla stanza e lasciandoli soli davanti a quella visione inquietante.
Raven, già pallida in buona salute, era quasi più bianca delle lenzuola che la coprivano; i suoi capelli viola, ormai lunghi fino a metà schiena, le contornavano il viso, facendolo sembrare ancora più cereo di quanto non fosse già. Almeno l’avevano ripulita dal sangue, pensò Robin, guardandola con occhi tristi e spenti. Una decina di tubi erano collegati a lei, alcuni fissati alle braccia da grossi pezzi di garza, che coprivano gli aghi. Era impossibile però non notare il liquido rosso che scorreva nei tubicini trasparenti. Ventose collegate a strani macchinari erano attaccate alla sua fronte, circondando la sua inconfondibile gemma rossa, che spiccava ancora più chiaramente del solito. Erano inoltre visibili parecchie cicatrici lungo le braccia nude.
I Titans stentavano a credere che quella fosse Raven, laloro Raven, l’immortale maga, figlia del grande demone Trigon, la principessa dell’Oscurità o la regina dei Ghiacci, come loro la chiamavano amichevolmente.
«Ragazzi, io… Io non ce la faccio, mi dispiace» singhiozzò all’improvviso Starfire, sfiorando una mano gelida dell’amica e poi scappando fuori dalla porta, in lacrime.
«Ci penso io a lei, la porto a casa. Ci vediamo là» disse Beast Boy, stringendo delicatamente una mano alla maga e soffermandosi sul suo viso esangue, prima di voltarsi e raggiungere l’aliena fuori dalla stanza.
 
I due ragazzi rimasti rimasero in silenzio a guardare la loro amica, sedendosi sulle sedie disponibili all’intero della stanza, ognuno ad un lato del letto. Continuarono ad osservarla a lungo, sperando in un qualsiasi cambiamento.
Quando il silenzio si fece troppo opprimente, Cyborg decise di spezzarlo: «Vedo che sei riuscito a prendere il bastardo che l’ha ferita.»
Robin sollevò lo sguardo dal viso di Raven e lo guardò con aria interrogativa. Il cyborg accennò all’alieno che giaceva ai piedi del ragazzo.
«Oh. Sì. Non è stato difficile» mormorò con tono incolore, tornando poi a guardare la maga, stringendole una mano fredda.
«Ti dispiacerebbe portarlo insieme a me alla Torre?» chiese ancora il mezzo-robot, guardandolo negli occhi. Be’, nella maschera.
«Non puoi farlo da solo?» domandò gelido Robin, nemmeno gli avessero chiesto di buttarsi dall’ultimo piano dell’Empire State Building senza nessuno dei suoi congegni per frenare la caduta.
«No, Robin» replicò calmo Cyborg. «Ho bisogno di aiuto e tu hai bisogno di cambiarti e di riposarti. Tenerti addosso il sangue di Rae non servirà ad aiutarla e nemmeno rischiare di essere ricoverato con lei.»
«Non posso lasciarla adesso, Cyborg. Devo restare con lei» replicò duro il ragazzo-meraviglia.
«Puoi e devi Robin. I medici la controlleranno tutta la notte e domani mattina potrai tornare qui a vegliarla. Ma adesso tu vieni a casa con me e non ci sono scuse» replicò altrettanto duro il cyborg.
Robin sollevò lo sguardo e fissò l’amico per un tempo che parve infinito. Poi, con uno sforzo immenso, si sollevò dalla sedia: «D’accordo, allora. Ma domani mattina tonerò qui, niente storie. È chiaro?»
«Chiarissimo» rispose il ragazzo bionico, alzandosi a sua volta e sfiorando la fronte del suo raggio di sole, come la chiamava lui. Raccolse da terra l’alieno e se lo caricò in spalla, senza il minimo sforzo, poi uscì dalla stanza, lasciando Robin da solo con la maga.
Il ragazzo-meraviglia strinse con delicatezza la mano della ragazza e si chinò per baciarla con dolcezza sulla fronte, mormorando: «Perdonami, Rae. È tutta colpa mia.»
Dopodiché uscì dalla stanza, raggiungendo l’amico che lo guardò e gli disse: «Non è colpa tua, Robin. Non avresti potuto prevederlo, nessuno di noi avrebbe potuto. Cerca di metterti in testa questo.»
Il ragazzo accelerò il passo, ignorandolo. Uscirono in silenzio dall’ospedale e sempre in silenzio si diressero verso la T-Car. Arrivarono velocemente alla T-Tower, sempre senza spiccicare parola e rinchiusero l’alieno in una delle celle in dotazione alla torre.
Dopodiché Cyborg si ritirò per la notte, ordinando a Robin di riposarsi. Il ragazzo-meraviglia fece solo un cenno con la testa e si diresse verso la sua camera.
 
Si fermò davanti alla porta di Raven. Vi appoggiò una mano inguantata e sporca di sangue. Guardò le macchie rosse, scuritesi durante il coagulamento, con sguardo vacuo.
«Avrei dovuto prevederlo» mormorò a se stesso, gettando uno sguardo triste al nome inciso sulla porta di metallo, prima di passare oltre ed entrare nella sua stanza, dove cominciò metodicamente a spogliarsi e a gettare la divisa insanguinata in un angolo. Non era ancora pronto a buttarla via nell’inceneritore dove solitamente buttava le divise distrutte durante i combattimenti.
No, quella divisa gli sarebbe servita da monito. Lo avrebbe spronato a cercare vendetta per Raven.
Si tolse anche la maschera dagli occhi e si buttò sotto il getto bollente della doccia, che cancellò le tracce di sangue che gli erano rimaste addosso. Apaticamente si asciugò e si preparò per la notte.
Si sdraiò nel letto e guardò il soffitto scuro, vedendosi passare davanti tutti i momenti passati con Raven, quelli belli e quelli brutti.
«Avrei dovuto prevederlo» mormorò ancora, prima di abbandonarsi a un sonno tormentato.
 
 
 
 
 
In ospedale, i macchinari collegati a Raven Roth, membro dei Teen Titans, registrarono un’improvvisa impennata dell’attività cerebrale, prima di tornare alla monotonia precedente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*I Birdarang sono quei cosini spastici che Robin lancia sempre, non so come chiamarli in italiano. Quei cosini rossi che sembrano delle T, per intenderci ^^
 
  
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