15/09/2012
3 recensioniI fiori sarebbero sbocciati, le nuvole se ne sarebbero andate e il vento si sarebbe calmato con il morire della sua tristezza. Sembrava che il mondo girasse nell’attesa della sua felicità.
E quando si decise a sorridere, il tempo cessò di esistere e il respiro non fu più necessario.
Capii che quel sorriso mi sarebbe bastato a vivere u
n’eternità.
Quella ragazzina timida, con i capelli davanti agli occhi, mi aveva rubato il cuore e io dovevo proteggerla affinché non si ammaccasse.
Io la amavo perché tra noi c’era un legame invisibile, impercettibile che ci univa in ogni momento. E sentii per la prima volta che sapevo cosa fare.
Il mio dovere di lì in poi sarebbe stato quello di renderla felice, e proteggerla da ogni persona irrispettosa, malvagia che le si avvicinasse.
Così, in una casa di periferia con i muri scrostati, io amai per la prima volta. Ci amammo a lungo.
Facevo attenzione a non farle male, perché non lo avrei sopportato nemmeno io. Era la cosa a me più preziosa, e ne ero geloso come di un lingotto d’oro.
Ma Bea era meglio di un lingotto d’oro. Lei era più preziosa.
Ma per quanto la amassi, la desiderassi, la venerassi, il fato ha un modo strano si scaraventarti addosso le cose.
Bea morì con mio figlio in grembo il ventisette gennaio del 1942.
Adesso, dopo settant’anni dalla morte di quella ragazza, i suoi occhi socchiusi dopo quel pomeriggio nella casa abbandonata di una Barcellona bellica mi seguono e io non ho la dignità di guardarli, perché non ho mantenuto la mia promessa. Non l’ho protetta.
Bea, ti ho amato come mai e spero che dovunque tu sia ti arrivi il mio pensiero. Dì a nostro figlio Juliàn che sono orgoglioso di lui, comunque lui sia.
Adesso vi raggiungo, tuo futuro marito e tuo futuro padre.
Quella ragazzina timida, con i capelli davanti agli occhi, mi aveva rubato il cuore e io dovevo proteggerla affinché non si ammaccasse.
Io la amavo perché tra noi c’era un legame invisibile, impercettibile che ci univa in ogni momento. E sentii per la prima volta che sapevo cosa fare.
Il mio dovere di lì in poi sarebbe stato quello di renderla felice, e proteggerla da ogni persona irrispettosa, malvagia che le si avvicinasse.
Così, in una casa di periferia con i muri scrostati, io amai per la prima volta. Ci amammo a lungo.
Facevo attenzione a non farle male, perché non lo avrei sopportato nemmeno io. Era la cosa a me più preziosa, e ne ero geloso come di un lingotto d’oro.
Ma Bea era meglio di un lingotto d’oro. Lei era più preziosa.
Ma per quanto la amassi, la desiderassi, la venerassi, il fato ha un modo strano si scaraventarti addosso le cose.
Bea morì con mio figlio in grembo il ventisette gennaio del 1942.
Adesso, dopo settant’anni dalla morte di quella ragazza, i suoi occhi socchiusi dopo quel pomeriggio nella casa abbandonata di una Barcellona bellica mi seguono e io non ho la dignità di guardarli, perché non ho mantenuto la mia promessa. Non l’ho protetta.
Bea, ti ho amato come mai e spero che dovunque tu sia ti arrivi il mio pensiero. Dì a nostro figlio Juliàn che sono orgoglioso di lui, comunque lui sia.
Adesso vi raggiungo, tuo futuro marito e tuo futuro padre.