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Autore: Giuls Koshka    16/09/2012    4 recensioni
Anastasia è la Granduchessa di Russia. Ivan Braginsky è una potente nazione. Tra i due si instara un potente rapporto, capace di superare pregiudizi e superficialità. Un rapporto che imparerà a entrambi a sognare, a sperare, illudersi magari. Perchè è questo che ci rende realmente in grado di vivere.
Lui e Anastasia sono simili, in fondo. Entrambi desiderano sognare. Illudersi. Vivere.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NDA: a fine capitolo ci sono le varie annotazioni che possono tornare utili per comprendere meglio la storia.
Dunque, ho scritto questa fanfiction perché adoro la storia della famiglia Romanov, e ho immaginato che tra la più piccola delle sorelle e Ivan potesse esistere una sorta di legame. Preciso, non mi rifaccio al mito che dice che Anastasia si sia salvata dalla strage e sia ancora viva.
Spero che vi piaccia e mi farebbe piacere se recensiste perché mi ci sono impegnata molto. Buona lettura.
 

Mi hai insegnato a sognare.

“Signore…”
Il soldato, paurosamente sporco di sangue, si inginocchiò. Una lacrima solitaria scese sulla sua guancia e cadde a terra, mentre si copriva il volto con le mani.
Ivan lo guardò incuriosito. “Da dove vieni? E’ sangue quello che hai addosso?”
L’ uomo, quasi in stato catatonico, guardò dritto di fronte a sé. I suoi occhi superavano la nazione che aveva di fronte, si posavano su ricordi tremendi.
“Vengo da Ekaterinburg. Ciò che ho addosso è il sangue della famiglia Romanov”.
Russia sussultò.
Anastasia.
Con un’ altra lacrima, il soldato  parve tornare in sé. 
“La prego, la prego. Sono venuto qui per chiederle aiuto. Nella camionetta alle mie spalle…” Si volse a guardare la vettura che aveva guidato per chilometri nella steppa. “Lì dentro ci sonola Granduchessa Anastasija Nikolaevna e lo zarevič, Aleksej Nikolaevič.  Sono morti. Io…” cominciò a singhiozzare. “Io non volevo che facessero loro ciò che hanno fatto allo Zar e al resto della famiglia. Fatti a pezzi, bruciati. Signore, è stato orrendo” le lacrime di orrore non lasciavano dubbi sulla veridicità delle sue parole.
Ivan corse nella direzione indicatagli dall’ uomo che, tra i singhiozzi, lo seguì.
Affacciandosi al suo interno, lo spettacolo che si volse ai suoi occhi gli fece rivoltare lo stomaco.
Alessio era completamente sfigurato dalle ferite d’ arma da fuoco sul volto e su buona parte del corpo. L’ unica cosa che permise alla nazione Sovietica di identificarlo come pretendente al trono fu una catenina d’ oro. Ricordò di quando il ragazzo, contento, l’ aveva mostrata a tutte le persone presenti a palazzo, dicendo che quello era il suo piccolo tesoro. Rabbrividì, e non per il freddo (in quella notte di Luglio si percepiva appena).
Accanto a lui era distesa la Granduchessa. Anastasia, bella come sempre, anche negli abiti sporchi di sangue. Anche con quella terribile smorfia di dolore sul viso.
Russia chiamò a gran voce alcuni dei suoi domestici, che, immediatamente, lo raggiunsero.
“Date degna sepoltura a questi cadaveri” disse con la solita voce priva di espressione, distogliendo lo sguardo dai due ragazzi nella carrozza.
Mentre camminava verso casa un urlo lo fece tornare sui suoi passi. Olga, la cameriera più anziana della tenuta, copriva gli occhi con le mani, e gridava: “боже мой*, i figli dello Zar! I figli di Nicola e Alessandra!” Ivan provava un affetto viscerale per quella donna che era arrivata a suo servizio non ancora diciottenne. Erano passati quasi cinquant’ anni da allora, e per tutto quel tempo si era presa cura di lui. Non riusciva a vederla così sconvolta.
Le cinse le spalle con un braccio e cercò di allontanarla.
Poi lo vide.
Il torace di Anastasia si era alzato e abbassato. Poi, ancora più impercettibile, un gemito.
“E’ viva! Forza, portatela dentro! Salvate la Gran Duchessa!”

Flashback

Anastasia, di soli quattordici anni, ai bordi della lussuosa sala da ballo guarda estasiata le coppie di ballerini volteggiare per la stanza.
Shvibzikche!” Una voce alle sue spalle la fa sussultare.
“Ivan!” la principessina stringe forte la nazione dagli occhi viola, la quale ricambia con affetto.
“Anja, perché non sei a ballare? Ti piace così tanto!” 
“Nessuno mi invita, mi reputano troppo piccola. E nessuno mi fa dei complimenti! Tanya e Olya hanno ricevuto molti complimenti” poi, avvicinandosi sulle punte all’ orecchio del suo amico, aggiunge, un po’ malignamente: “Maria, invece, è stata per più di un’ ora ad aspettare che qualcuno le si avvicinasse, ma, dato che nessuno sembrava intenzionato a rivolgerle la parola, ha finto un mal di testa ed è tornata in camera nostra!”
Ivan ride scompigliando i capelli della graziosa ragazza che gli si trova di fronte. “Cara, se ti può interessare io ti trovo bellissima, molto più bella di Tatiana e Olga” pronuncia quelle parole con una dolcezza fraterna.
“Bugiardo! Lo dici solo perché sei mio amico” dice in tono scherzoso e poi, sorridendo maliziosamente, sussurra nuove parole al suo orecchio: “Sarei molto contenta se tu mi invitassi a danzare con te. Davvero molto contenta”.
Lui ride e le prende la mano, ma lei la ritira. Vuole un invito come si deve, gli dice.
Russia, per accontentare quella ragazzina impertinente che tanto adora, si inginocchia.
“Serenissima Granduchessa Anastasija Nikolaevna di Russia, meraviglioso bocciolo di…” si ferma un attimo cercando il nome di un fiore. “…rosa, sono degno di ricevere l’ onore di un ballo con lei?”
“Certo, mio cavaliere” risponde lei porgendogli una manina guantata.
Ballano a lungo. Volteggiano tra i ballerini nella sala, parlando e ridendo, ignorando gli sguardi incuriositi dei presenti.
“Ivan, devo chiederti una cosa”.
L’ uomo guarda incuriosito la ragazza che danza tra le sue braccia.
“Per favore, quando diventerò grande sposami” dice lei, rimanendo tranquilla.
Quella richiesta lo coglie di sorpresa e lo porta a pensare alla sua sorellina, che gli chiede sempre la stessa cosa. Ma Anastasia non è sua sorella, lui lo sa bene. Specchiandosi nei dolci occhi verdi di lei desidera di poterle dire che lo farà. Ma non può.
“Anja, sai bene che non possiamo… io sono una nazione e tu sei una principessa” taglia corto, la voce piena di rimpianto.
Lei però, non lo accetta. Si stacca da lui in fretta, e scappa via verso un angolo del salone. Senza una parola.
La raggiunge, lei è girata. Le poggia una mano su una spalla ma lei si scansa, e Ivan intravede gli occhi colmi di lacrime.
Si vorrebbe scusare, ma non è colpa sua. Lui è una nazione, lei una principessa. Non può esserci futuro.
Purtroppo, si trova a pensare improvvisamente, sorpreso da se stesso.
La voce di lei interrompe il filo dei suoi pensieri.
“Ti prego, ti prego almeno promettimelo. Mentimi. So che non è possibile, so che non succederà mai, ma io voglio illudermi. Voglio sognare. Come tutte le ragazze della mia età. Come tutti. Sembra che non mi sia permesso neanche questo. Non posso, perché sono la Granduchessa. Non ti senti mai schiacciato dal peso della tua posizione?”
Eccome se ci si sente Ivan. Sente che non potrà mai avere quello che hanno gli altri. E’ destinato a vivere per sempre solo. Solo, solamente perché è diverso.
Lui e Anastasia sono simili, in fondo. Entrambi desiderano sognare. Illudersi. Vivere.
“Te lo prometto Anja. Se è quello che vuoi, ti sposerò. Ma quando sarai grande” le sorride mestamente.
La ragazza sta per aggiungere altro, sta per saltargli al collo e stringerlo, ma viene fermata da una voce alle sue spalle.
“Anastasia, vieni, dobbiamo fare la foto di famiglia” suo padre la guarda per un attimo e poi si rivolge a Ivan, salutandolo in modo formale. Nella sua voce si nota il timore, quello che tutti provano in sua presenza. Quasi tutti. Anja non potrebbe mai avere paura di lui, che è il suo unico vero amico. Che è l’ uomo di cui è innamorata, da sempre.
“Ricordati la tua promessa” gli sussurra mentre gli passa vicino,  appoggiata al braccio del padre.
“Sempre!” esclama lui sorridendo, come sempre, ma con gli occhi seri di chi non sta mentendo.
Per sempre.

*

Ivan osservava il letto dove giaceva Anastasia, a pochi metri da lui.
Era più di un anno che non la rivedeva. Era meravigliosa, ancora più bella di quanto non la ricordasse ed era cresciuta. Il viso aveva perso ogni traccia infantile e, sebbene stesse dormendo, sembrava più matura, più consapevole.
Sussultò sorpreso quando, percorrendo il suo corpo con lo sguardo, i suoi occhi si incatenarono a quelli di lei, meravigliosi come li ricordava.
“Sei sveglia?” chiese lui con finta ingenuità, fingendo di non sapere quanto fossero state dolorose le ultime ore, di quanto fosse stato difficoltoso l’ intervento per tentare di salvarle la vita e di quanto dovesse soffrire sapendo ciò che era successo alla sua famiglia.
“I-ivan” disse lei con una smorfia di dolore e un gemito. Evidentemente i deboli anestetici che le erano stati somministrati non avevano sortito l’ effetto desiderato.
“Anja, credo che tu debba riposare, devi rimetterti e…”
“Ivan” lo interruppe lei. Voleva parlargli, sebbene, com’ era ben evidente, anche il solo muovere le labbra le provocasse un dolore insopportabile.
“Sono contenta di essermi risvegliata. Ma fa male. E ora, ora che non c’è più nessuno, mi rimani solo tu. Mi sei mancato così tanto” piangeva, ma non aveva la forza di singhiozzare. Le lacrime uscivano rabbiose dagli occhi, senza lasciarsi trattenere dal pudore e l’ orgoglio della ragazza.
“R-ricordi quando mi promisi che mi avresti sposato?” sorrise amaramente. Era giunto il momento di abbandonare anche le flebili speranze che la tenevano ancora legata alla spensieratezza della gioventù, era giunto il momento di diventare adulti.
“Lo farò. Ora, se tu lo vuoi. Mantengo sempre le promesse” si voltò verso la scrivania di fianco a lui e prese un pezzo di spago tra le cianfrusaglie. Ne tagliò due striscioline sottili.
“Granduchessa Anastasija Nikolaevna Romanova vuoi prendermi come tuo sposo?” le chiese e, mentre lei annuiva ridendo debolmente, le legò il pezzo di spago al dito. Poi fece lo stesso per sé.
“Ora siamo ufficialmente marito e moglie” la guardò, sperando di averla resa felice e nei suoi occhi lesse una muta richiesta.
Si chinò leggermente su di lei, facendo attenzione a non sfiorarla, per non farle male. Con una delicatezza di cui nessuno l’ avrebbe mai creduto capace, posò le sue labbra su quelle della ragazza, per un breve, tenero bacio.
Anja lo guardò, finalmente soddisfatta.
 
“Ora dormi, ti farà bene riposare” la nazione sovietica non era mai stata tanto premurosa nei confronti di qualcuno, né mai più lo sarebbe stata.
Quando fu certo che la ragazza dormisse si alzò, uscendo dalla stanza.

*

Anastasia morì quello stesso giorno, all’ alba. Le cure del medico non bastarono a salvare la fragile vita della giovane.
Lei e il fratello furono seppelliti alcuni giorni dopo nel bosco, vicino alla strada che li aveva portati, a bordo della camionetta, da Ekaterinburg fino a casa di Ivan.
Al loro funerale presenziarono solamente Russia, la sua servitù e il soldato che li aveva portati lì. Nessun altro lo seppe mai.

*

Ivan guardò la tomba silenzioso. Mentre tutti gli altri erano rientrati in casa, lui aveva deciso di passare ancora qualche istante di fronte a quelle due lapidi. In particolare, voleva stare qualche momento solo con Anastasia.
Lui, all’ apparenza, era privo di sentimenti profondi. Era un sadico,  silenzioso e strano ragazzo. Una grande e spaventosa nazione. Sorrideva sempre, e questo portava a credere che fosse sempre felice. Ma la realtà era ben diversa.
Ora più che mai. Perché aveva appena perso l’ unica persona che riusciva a mandare un po’ di luce alla sua anima buia.
“Addio, mia piccola shvibzikche”
Addio Ivan.

*

* боже мой: Dio mio!
Note:
-Tatiana (soprannominata Tanya) e Olga (soprannominata Olya) sono le sorelle maggiori di Anastasia, reputate molto belle. Maria, invece, ha solamente due anni più di lei e, soprattutto quand’ era più piccola, essendo grassottella veniva considerata meno bella delle altre sorelle. Alessio (Aleksej in russo) invece è il minore dei fratelli.
-Shvibzikche è uno dei soprannomi di Anastasia, che significa monella.
-Ekaterinburg è il luogo dove è stata tenuta prigioniera (per un breve periodo) e poi uccisa la famiglia Romanov.
  
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