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Autore: cath_onthehills    17/09/2012    4 recensioni
Al termine della saga di Cell, in televisione appare l'immagine di Vegeta che riflette su se stesso. "Non combatterò più" è la frase che più mi ha colpita. Ma cosa succede quando ritorna da Bulma, la stessa donna che aveva lasciato tempo prima? Una FF che racconta i sentimenti di Bulma nel momento in cui l'orgoglioso Principe decide di tornare da lei, e di come ha vissuto quei mesi senza l'uomo che continuava ad amare, nonostante il dolore.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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[N.d.A.: Ho modificato appena un paio di elementi, ad esempio il fatto che Vegeta non abbia mai visto il piccolo Trunks quando, dal breve scambio di battute dei due quando si incontrano prima dell'arrivo dei Cyborg, si capisce bene che in realtà non è così. Mi sono presa questa piccola libertà per rendere la vicenda leggermente più drammatica (come se non lo fosse già xD). ]

___

Aprì gli occhi, svegliandosi nell'oscurità. Ancora prima di vedere, ancora prima di voltarsi e trovare l'altra parte del letto occupata, sentì che c'era qualcosa di diverso, quella mattina. Il suo animo era più tranquillo e, per la prima volta da mesi, non fu invasa da quel cupo malumore che l'attanagliava ogni mattina al risveglio. Sapeva, ora, di non essere sola.
Mentre la poca luce cercava di farsi largo tra le fessure della tapparella, andando in tal modo a colpire e marcare i confini degli oggetti, conferendo alla stanza lo strano aspetto di un quadro in bianco e nero, Bulma si voltò dall'altra parte, scorgendo i lineamenti dell'uomo che dormiva tranquillamente al suo fianco. Il suo petto si alzava e abbassava lentamente sotto alle coperte, seguendo l'andamento dei respiri, mentre un leggero russare riempiva il silenzio attorno a loro.
Bulma appoggiò leggera un bacio sulla sua spalla: aveva bisogno di toccarlo, di sentire che era vero, che non era solo un parto della sua mente. Aveva bisogno della sua concretezza, dopo tutti quei mesi di assenza.
La sua mente, contro la volontà della donna, decise di andare indietro, invadendo la sua testa di ricordi terribili, dai quali Bulma non vedeva l'ora di liberarsi. Rivide l'espressione dell'uomo nel momento in cui gli aveva confessato di aspettare un bambino, quello sguardo duro e indifferente che aveva accompagnato la notizia. Rivide se stessa svegliarsi una mattina, vittima di una nusea terribile, e trovare l'altra metà del letto vuota. L'aveva cercato, per casa, nella Gravity Room, per la città. Aveva aspettato per giorni perché tornasse. I giorni erano diventate settimane, e le settimane mesi.
Il suo pancione continuava a crescere, ospitando il figlio dell'uomo che l'aveva lasciata senza nemmeno degnarla di una spiegazione.
La sofferenza che si portava dentro era grande, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di provare compassione per lei. Se c'era qualcosa in cui lei e quell'uomo erano simili, era proprio questo: l'orgoglio. Bulma riusciva ad essere orgogliosa e caparbia come lui, alle volte. Nessuno la vide mai piangere: riservava la notte, a quello. Sola nella sua stanza, accarezzando la pelle tirata sulla sua pancia, e sperando che la nascita di quella creatura l'avrebbe distratta dal ricordo di suo padre.
Per poco era stato così: quando aveva visto venire al mondo quel bambino, il suo bambino, ogni pensiero si era rivolto a lui. Dovette adattarsi a nuovi ritmi, a mettere il piccolo prima di se stessa, a svegliarsi in continuazione di notte e a puntellarsi di giorno per non addormentarsi. Ma ben presto Trunks, questo era il nome del piccolino, cominciò a mostrare la sua natura Saiyan: mangiava in continuazione e aveva una forza maggiore di quella dei neonati. In più, aveva ciò che contraddistingueva la razza di suo padre: la coda.
Bulma non ebbe dubbi a riguardo: decise di tagliargliela pochi giorni dopo la nascita. Da sola, non avrebbe saputo affrontare una trasformazione quale quella di cui era stata spesso testimone. Forse, se lui fosse stato ancora lì, avrebbe fatto una scelta diversa, consapevole che lui sarebbe riuscito a risolvere quella situazione, in caso. Ma lui non c'era.
Non fisicamente, almeno. Perché il suo ricordo tornava a tormentarla ogni notte, e non aiutava il fatto che il piccolo avesse il suo stesso sguardo.
Il tempo era passato, ed era arrivato il giorno in cui si sarebbe avverata la profezia fatta loro da quello strano ragazzo che era apparso sulla terra tre anni prima: l'arrivo di temibili Cyborg.
Bulma non ebbe dubbi a riguardo: si sarebbe presentata anche lei il giorno dell'appuntamento. Voleva sapere che aspetto avrebbero avuto questi temibili esseri, avrebbe detto così. Tutti avrebbero creduto che fosse una sconsiderata a presentarsi così con il bambino solo per curiosità, ma la cosa non le importava. Le bastava che nessuno capisse la verità.
Voleva rivederlo. E voleva che lui vedesse suo figlio.
Nel momento in cui le era apparso davanti, il suo cuore non aveva potuto fare a meno di battere all'impazzata, ma esternamente cercò di mantenere un contegno e un atteggiamento distaccato, come se avesse superato quella storia senza troppi problemi.
Non ebbero tempo di parlare, o anche solo di cominciare ad averne voglia. Gli eventi successivi li avrebbero portati in un pericolo ben maggiore: l'arrivo di Cell.
Bulma seguì da casa il torneo, preoccupata per le sorti dell'uomo e del ragazzo che tre anni prima si era presentato ed era risultato essere suo figlio del futuro. Improvvisamente, tutti i contatti si erano interrotti e la televisione continuava a mostrare uno schermo nero. Nero come la paura che Bulma provava.
Tutto finì, non sapeva bene come. Tutti tornarono a casa, e ripresero a vivere come se niente fosse. Ma per lei non poteva essere così. Lui era tornato. L'aveva trovato sulla porta, e nulla in quello sguardo ricordava la fierezza e il cinismo proprio dell'uomo.
Bulma non sapeva che cosa fosse successo, ma era consapevole che qualcosa era cambiata, in lui. Gli permise di fermarsi lì, lasciando che sua madre provvedesse a preparargli un letto nella Gravity Room. L'aveva riaccolto a casa, sì, ma non ancora nel suo cuore. Aveva sofferto troppo perché le cose tornassero in un attimo com'erano prima.
Per qualche settimana vissero così: insieme, ma conducendo vite separate. Eppure Bulma riusciva a scorgere momenti in cui l'uomo sembrava quasi dolce nei suoi confronti, o in quelli del bambino. Ormai, per lei, era sempre più difficile passargli accanto senza provare di nuovo tutte quelle sensazioni che avevano stravolto il suo animo tre anni prima.
Una sera, alla fine, dopo aver messo a dormire il piccolo Trunks, Bulma si era diretta in cucina per prendere un bicchier d'acqua, e vi aveva trovato Vegeta. I due si erano osservati per qualche momento, uno in piedi di fronte all'altra, incapaci di dare un suono conreto ai loro pensieri.
Fu lui a interrompere il silenzio, pronunciando il suo nome, come se fosse la cosa più bella da dire, ma allo stesso tempo la più difficile.
Bulma lo fermò, con un gesto della mano. "Tu te ne sei andato. Senza dirmi niente. Mentre aspettavo tuo figlio." Finalmente aveva pronunciato quelle parole, quelle tremende parole che avevano occupato le sue notti.
L'uomo era rimasto in silenzio, e Bulma capì che non aveva alcuna motivazione che potesse giustificarlo. E capì, improvvisamente, che le stava chiedendo scusa. Senza parlare, senza accennare un gesto, nel suo strano modo da Saiyan.
E il suo cuore fu pronto a perdonarlo. Ciò che seguì non furono ulteriori parole e chiarimenti, ma gesti concreti. Entrambi dovevano riempire lo spazio che, per troppo tempo, li aveva tenuti separati.
La donna sorrise, ripensando alla notte appena trascorsa. Si chinò nuovamente, cominciando a lasciargli qualche bacio sul collo. L'avrebbe tormentato finché non si fosse svegliato. Avrebbe continuato a tormentarlo anche dopo, chiedendogli nuovamente ciò che aveva ottenuto la notte precedente.
E l'avrebbe tormentato tutti i giorni, senza permettergli di andarsene nuovamente. Ma sapeva, con una strana consapevolezza, che non se ne sarebbe andato. Non più.
Era lì per restare. A poco a poco sarebbero riusciti a risolvere i loro problemi. lei stessa avrebbe superato il dolore provocato dalla sua assenza. Avrebbero ricominciato dall'inizio, e questa volta per sempre.
   
 
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