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Autore: Klainbow    19/09/2012    2 recensioni
Salve! Ho iniziato a scrivere questa storia dal punto di vista di Cato, questo diario, per far emergere il vero Cato, il ragazzo che vedo coi miei occhi, al mondo e difenderlo dagli insulti a cui è soggetto spesso. Spero vivamente di riuscire a farvi capire la sua vera essenza e cosa vuol dire per me.
Spero che gli faccia onore.
Se vi va, lasciate una piccola recensione. :')
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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Mi chiamo Cato, Distretto 2. Vengo da una famiglia ricca. Non come quelle di Capitol City, ovviamente. Ma viviamo bene. Almeno loro sì. La nostra casa è situata in uno dei posti più belli e prestigiosi del distretto. C'è una vista sull'Osso a cui pochi possono mirare e la mia camera è abbastanza grande, per rinchiuderci dentro i miei pensieri e lasciarli graffiare i vetri delle finestre. Non mi è mai mancato niente. Tranne l'amore. Non quell'amore soffocante di cui tutti si stancano prima o poi. Ma quell'amore che sta nella delicatezza di uno sguardo premuroso nei tuoi confronti.

Non so bene perchè sia venuto al mondo. So solo che sono stato un favorito anche prima di nascere. Mio nonno lo era. Mio padre lo è stato. I miei due fratelli lo sono stati. L'ultimo di loro nella scorsa edizione. E hanno tutti vinto gli Hunger Games. Per decenni e decenni. Una volta ho sentito da mio fratello che solo il primo anno dei giochi non si offrì volontario nessuno della mia famiglia. Ma la cosa è sempre rimasta un mistero. Spesso anche macabro. E' quasi come una corda che non può spezzarsi. Una successione a cui non puoi sfuggire. Una maledizione più grande degli Hunger Games. Perchè se non vieni estratto da quella stupida ampolla, puoi sentirti al sicuro per un altro anno. A meno che tu non appartenga alla famiglia più sparlata del distretto. Nel bene o nel male, lo è sempre stata. Ma in realtà ci temono tutti. E non hanno tutti i torti. Anche io lo farei. E sarà meglio che abbiano paura di me. Perchè ucciderli non mi riuscirebbe difficile. Ecco. Ecco un altro attacco d'ansia e cattiveria. Ossessione, anche. Sì, spesso non mi sento molto lucido. Come nessuno che conosco, d'altronde. Ma non mi interessa nessuno di loro. Ne tantomeno mi sono mai informato di questo mistero che poi, mistero non è. Preferisco il silenzio. Preferisco la solitudine. Preferisco tacere. Sì, a volte tacere mi aiuta. Anche se sbaglio. Perchè chi tace acconsente. Ed io acconsento a tutto ciò che mi ordinano. Se qualcuno entrasse in questa casa, capirebbe. Capirebbe che scappare sarebbe l'unica opportunità per salvarsi. Ma per salvarti devi aver bisogno di un piano. Ed io sono solo Cato, qui. Il meno furbo. Il.. bambino della situazione. Il fratellino minore. Non mi lasciano mai solo. Perchè sanno. Sanno che potrei scappare. Non è rimasto più nessun altro. E questo vuol dire che toccherà a me. Passerà una sola estate. Un'estate non diversa dalle altre, però. Non cambierà nulla. Poi sarò costretto ad offrirmi volontario. Ho già alcuni ordini, oltre a quello di partecipare a tutte le sessioni di addestramento che posso. Non piangere, per nessuna ragione al mondo. Non provare pietà. Sporcarmi il più possibile di sangue non mio. Uccidere nel modo più agghiacciante che posso. In questa casa si parla di una questione più grossa di me, ecco. E la cosa che forse mi spaventa di più, è di sentirmi cattivo per davvero. Perchè in realtà sono pronto e ho voglia di togliermi di torno questa questione e tornare indietro. Ma adesso vorrei non ritornare. Ne parlano tutti, qui. Sono sempre oggetto di pettegolezzi. E mia madre ne va abbastanza fiera. A lei non le importa di me. Anzi, forse si. Forse è l'unica che si preoccupa di chiamarmi quando il pranzo è in tavola. Sono io che il più delle volte mi rifiuto di sedermi tra di loro. Non riesco a simulare una conversazione con nessuno di loro. Non ci sono mai riuscito. E questo mi rende più forte. Tutti parlano dello spietato Cato che si offrirà volontario per sete. Sete di sangue. Un guerriero, direbbe mio padre. Mentre io guardandomi allo specchio non vedo niente di più di un ragazzo che vorrebbe vivere diversamente. Che voleva scegliersi una vita migliore. Che voleva essere libero ma che è costretto a fare anche le cose più semplici e basilari. Ormai non sono felice da quando ero piccolo. Ricordo a malapena quei momenti. Sorridevo per un palloncino colorato. Per una carezza. Per un bacio della mamma. Ma nè una carezza nè un bacio ho più ricevuto. Da nessuno dei miei familiari.
-''Cato, devi andare a lavorare al mio posto, vedi di sbrigarti.''
Bene, ecco mio padre che mi chiama. Ed ecco un altro giorno in cui dovrò lavorare al suo posto. Mi manca chiamarlo PAPA'. Perchè in effetti non ho più avuto la possibilità di chiamarlo per davvero. Perchè se lo chiamo, lui non c'è. Ma la cosa più dolorosa, quella che mi lacera dentro, è l'impossibilità di guardarlo negli occhi. L'ultima volta che lo feci, fui picchiato. Schizzi di sangue sono ancora impressi nella mia mente. E vicino al mio letto, il muro ingiallito un po graffiato e grattato dal tentativo di mia madre di nascondere il sangue, mi ricorda in ogni momento di stare attento a mio padre.

-''Non provare a guardarmi. Mai più. O finirai in una stanza senza cibo ne acqua per tutta la tua miserabile vita.'' Ed avevo dieci anni. Ne è passato di tempo. Ma il ricordo è ancora vivo.

E nella mia mente l'immagine si presenta come un lago di sangue che sporca avidamente la neve candida. Un immagine che tutte le notti mi viene incontro. Che tutte le notti mi fa sanguinare inspiegabilmente una parte del mio corpo. Si, sono la neve. Impregnata di sangue. Simbolo che mi permette di percepire che sono segnato a vita. Simbolo che mi fa capire che posso solo annegare in quel lago e mai più risalire a galla. Se non da morto.  

  
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