Otto piccoli negretti
se ne vanno a
passeggiar,
uno, ahimè, è rimasto
indietro
solo sette ne restar.
Era già un pezzo che l’agente aveva riposto
l’arma nella
fondina, ritenendo inutile tenerla ancora puntata contro il vuoto, e
aveva
iniziato a guardare in giro con curiosità, come un turista
avrebbe fatto in
visita alla Casa Bianca. Ed effettivamente quella villa ne reggeva il
confronto, maestosa com’era.
Forest salì una doppia rampa di scale trovando alla sua
sinistra due grandi finestre arcuate. Si fermò di fronte ad
una di esse ma
fuori non si vedeva nulla se non le sagome nere degli alberi stagliate
contro
un cielo altrettanto scuro. Sbuffò lasciando un alone sul
vetro freddo.
Poi
proseguì quella sorta di tour, sperando di finirlo al
più presto.
Dopo aver sbirciato in quasi tutte le sontuose camere di
fronte alle quali passava, la sua attenzione fu calamitata da una
curiosa
stanza dalla forma ad “L”. Un terzo delle pareti
era coperto da un’intrecciata
decorazione verde pallido mentre la porzione restante era tinta di un
beige
scuro. La cosa che colpiva di più l’osservatore
era però l’illuminazione.
Sul soffitto erano installate delle sbarre in ferro battuto
che facevano da supporto a dei faretti, ognuno dei quali puntava il
proprio
fascio di luce al centro del quadro che incontrava sulla parete
opposta,
creando così un particolare gioco di luci e ombre in tutto
l’ambiente.
Forest notò subito, appollaiati accanto ai fari, diversi
uccelli scuri, corvi sicuramente, che, non appena si muoveva,
emettevano
striduli gracchi.
Di avvertimento?
L’agente avanzò lentamente lungo la prima parte
della stanza,
incuriosito dai dipinti che sembravano raffigurare le varie fasi della
vita di
un uomo. Svoltato un angolo sulla destra, fu accolto da un altro gruppo
di
uccelli, appostati come sentinelle sopra di lui. Arrivato in fondo,
Forest
osservò l’ultimo dipinto. Allungò un
braccio fino a sfiorare la tela con i
polpastrelli quando un forte gracchiare lo fece sussultare.
Sollevò gli occhi
al soffitto e guardò i corvi.
“Ehi, state calmi! Non sto facendo nulla di male..”
Riprovò ad avvicinare la mano ma ancora una volta si
levarono urla di protesta.
A quel punto Forest alzò le mani in segno di resa e disse
“Va bene, va bene! Non tocco niente...Siete proprio dei
custodi inflessibili,
eh?”
Si voltò per tornare indietro dandosi dello stupido per aver
discusso con degli uccelli, nonché per essere sceso a patti
con loro.
Svoltato nuovamente l’angolo dei versi acuti lo costrinsero
a sollevare lo sguardo ed esclamare “Beh? E ora che ho
fatto?”
I suoi interlocutori si agitarono un po’ sopra le sbarre che
li reggevano, sparpagliando piume nere ovunque e fissandolo con una
strano
luccichio vermiglio negli occhi.
Accortosi di ciò, Forest deglutì e disse
“Va bene, ragazzi.
Ho capito. Forse ho invaso il vostro territorio...ma sono pronto a
togliere il
disturbo, ok?”
Si voltò con lentezza, per evitare un’ulteriore
reazione
negativa da parte degli animali, ma ebbe appena il tempo di poggiare la
mano
sulla maniglia che quelli gli furono subito addosso in un turbinio
oscuro.
Forest
si sentì pizzicare e tirare la pelle del viso e delle
braccia, con le quali
cercava di ripararsi. Dopo qualche momento di confusione e qualche
brusca
piroetta riuscì a scrollarseli di dosso, uscire dalla stanza
e sbattergli la
porta contro.
Rimase a fissarla per diversi secondi cercando di riprendere
fiato.
“Ehi, che diavolo vi è preso?!”
sbraitò contro la porta
chiusa, dietro la quale si sentivano ancora gracchiare furiosamente i
corvi.
L’agente sbatté più volte le palpebre,
ancora sorpreso per
la violenza degli animali, poi si incamminò lungo il
corridoio alla fine del
quale aveva visto esserci una porta che doveva condurre
all’esterno.
Aveva
decisamente bisogno di una boccata d’aria.
Uscì sul grande balcone ornato da svariate piante rampicanti
avvolte alla balaustra in un contorto intreccio di foglie e rametti.
Forest
prese posto su di una sedia di legno dalla vernice scrostata, gettata
in un
angolo, e reclinò per un momento la testa
all’indietro lasciando che la brezza
lo accarezzasse e, con la sua freschezza, arrecasse un po’ di
sollievo alla sua
pelle in fiamme.
Ma non poteva mica
filare tutto liscio, no?
Passò qualche minuto lì, seduto, immerso in un
silenzio
interrotto solo dal vento che scoteva leggermente le fronde degli
alberi.
D’improvviso un ticchettio regolare gli fece drizzare il capo
per mettersi
all’erta. Aguzzò la vista e la luce della luna lo
aiutò ad individuare la fonte
di tale rumore. A diversi metri di distanza da dove sedeva lui era
atterrato un
corvo che, avendolo notato e forse riconosciuto come intruso,
cominciò a
saltellare verso di lui colpendo con le zampe artigliate le assi di
legno del
pavimento.
A quella vista Forest sbuffò sonoramente.
“E tu cosa vuoi? Ho già discusso con i tuoi amici
pennuti
quindi stammi alla larga!”
Quello continuò imperterrito ad avvicinarsi mentre altri
corvi atterrarono vicino ad esso, con grande disagio
dell’agente.
Li fissò per un attimo in silenzio, abbandonandosi poi ad
una risata nervosa.
Che situazione
ridicola... Mettersi a tu per tu con dei
pennuti!
Mentre il piccolo stormo si avvicinava sempre più Forest
ripensò ai quadri che aveva visionato poco prima.
Cosa rappresentavano?
Infanzia.
Si, c’era un bambino in fasce cullato dalla madre.
Il corvo in testa al gruppo seguitò la sua avanzata
gracchiando di tanto in tanto.
Età adulta.
Ricordava di aver visto un giovane uomo in eleganti abiti di
fine Ottocento.
Un altro corvo si avvicinò zampettando velocemente.
Vecchiaia.
L’anziano del dipinto gli era sembrato triste, ormai
rassegnato al
vicino epilogo.
Forest si alzò di scatto, rovesciando la sedia, e
indietreggiò fino a toccare la ringhiera con la schiena.
Dietro di lui, il
vuoto.
E l’ultimo?
Cosa c’era nell’ultimo dipinto?
Forest cercò di focalizzare l’immagine del quadro
appeso
alla parete in fondo mentre i corvi, quasi si fossero messi
d’accordo,
spiccarono il volo in contemporanea contro di lui.
Oh, si...certo. La
morte, ovviamente.
Quale realistica rappresentazione!