Ecco
quello che mi succede fra un esame a l’altro.
Ma voi siete carini e commenterete
lo
stesso, vero?
Una
camicia, una valigia e un rasoio
Una
camicia, una valigia e un rasoio.
John
Hamish Watson non aveva bisogno di molto per il
suo viaggio, solo l’essenziale per stare comodo, per muoversi
rilassato.
Da
quando era tornato da Reichenbach, tutti avevano
iniziato a comportarsi in modo strano, pensava il dottore. Le persone
sembravano tese in sua presenza, come se tenessero in mano qualcosa di
fragile
e bollente allo stesso tempo.
“Non
pensi anche tu che sia strano, Irene?” Chiese
il dottore rivolgendosi alla foto sulla vecchia scrivania di legno: un
amorevole
e non richiesto lascito post mortem di Sherlock Holmes. Per
ricordargli, con il
suo consueto tatto, chi era davvero importante nella sua vita.
“Davvero
non saprei John! Non sono mai stata brava a
giudicare le persone.” Rispose annoiata la fotografia.
“Piuttosto,
tu e la tua dolce metà avete mai pensato
di ridecorare? La vostra tappezzeria è così
lugubre ... ” Watson
la ascoltava distrattamente, mentre
decideva quale valigia era meglio usare: una capiente ma un
po’ logora, o una
di dimensioni ridotte ma elegante e ben fatta?
Si
girò verso la foto per chiedere un parere ma,
ovviamente, Irene si era già dileguata. Sospirò:
sapeva dove cercarla. Spostò
delicatamente in un angolo i fagotti di stoffa che aveva poggiato per
terra e,
poiché erano ancora umidi, stette bene attento a che non
macchiassero il grande
tappeto blu: era il preferito di Mary e un altro regalo del suo caro
amico. Tra
le altre cose, Watson detestava il blu. Il dottore scostò un
grande drappo
dallo specchio poggiato alla parete, e osservò la sua
immagine riflessa.
“Hai
un aspetto terribile John. Spero tu abbia il
tempo di pulirti perché siamo già in
ritardo!”
Nel
riflesso dei suoi occhi, lo sguardo penetrante
di Irene lo misurava con disappunto.
“…
Quale valigia mi consigli?”
“Chiaramente
la marrone è la più capiente.”
“Mary,
però, preferisce l’altra: lei ama le cose
belle e capisci che non potrei mai fare qualcosa per renderla triste,
soprattutto perché questa volta è una cosa che la
riguarda da vicino … sai, per
le tutte le cose successe ultimamente …”
La
donna annuì comprensiva.
“Vada
per la più piccola allora. Stringendo dovresti
riuscire comunque a renderla abbastanza confortevole.”
Il
dottore fece un cenno di assenso con il mento e, risolti
i suoi dilemmi estetici, prese un 78 giri dalla sua collezione e mise
in
funzione il grammofono: Shubert -“La trota”.
Tornò
al cumulo di fagotti. Gladstone mugolava in
giardino.
“Il
cane non viene?” La voce di Irene scivolava innaturalmente
distorta fuori dal corno del grammofono.
“La
signora Hudson sta venendo a prenderlo. Non
credo che lui possa accompagnarci per dove siamo diretti.”
Irene
rimase in silenzio e piano, quasi timidamente,
la musica tornò nella testa di John.
Era
bello starsene tranquilli per un po’, poter
riflettere. Da quando era tornato era diventato impossibile avere tempo
per sé
stesso, era sempre circondato da così tante persone
… All’inizio
c’erano stati solo i parenti in
processione, vestiti di nero e con gli occhi perennemente arrossati. I
loro
fazzoletti impregnati di lacrime che non aveva mai visto loro versare.
Poi
erano arrivati i compagni del reggimento e il lucore delle loro
medaglie sulla
divisa, lo sguardo amareggiato di chi ha visto cadere in guerra un
compagno
senza che questi avesse la dignità che una morte eroica
pretendeva. I suoi
colleghi della facoltà di medicina, tutti, chissà
perché, con un libro sotto il
braccio e uno stetoscopio al collo, che insistevano
sull’importanza di
auscultare e di discutere in segreto. E alla sua porta avevano bussato
ancora,
ancora e ancora. Ed erano sempre di più e sempre
più sconosciuti e sempre più
parole e più riposo, più luce, più
silenzio, meno ricordi e meno dolore. Mary
piangeva ogni notte. Lui non capiva bene ma sapeva di dover incastrare
la testa
fra i cuscini e tentare di chiudere il mondo fuori: non voleva
impazzire come
gli altri. Era a quel punto era arrivata Irene. Non Sherlock, ma Irene.
Si
chiedeva spesso il perché.
“Sai,
Sherlock Holmes odia la banalità.” Gli aveva
detto Irene.
“Io
sono banale” Le aveva chiesto atono Watson.
Irene
non rispose.
Non
era importante, comunque. Stava per dimostrare
il contrario, si disse sorridendo. Avrebbe fatto a tutti una grande
sorpresa.
Con
l’arrivo di Irene l’orrore delle sue giornate
era terminato. Parlavamo di libri e di politica e del tempo, e il
dottore non
si annoiava più. Non giocavano mai a scacchi. Inoltre,
trascorso qualche giorno
dalla visita inaspettata, Mary aveva anche smesso di piangere.
Le
giornate del dottore erano proseguite tranquille
fino a quella mattina, quando la musica di Shubert lo aveva svegliato.
Irene lo
osservava dallo specchio sventolando due biglietti.
“Un
viaggio” aveva detto “partiamo oggi”
aveva
detto.
“Quando
hai comprato i biglietti?” le aveva chiesto.
“Sei
uscito ieri, mentre dormivi.”
“Penso
sia tutto a posto.”Disse Watson mentre
sistemava gli ultimi fagotti nella valigia.
“
Lo sai ” disse Irene “ Lo sai, a me non piace
nuotare, non sono molto brava. Ma da quando conosco Sherlock Holmes mi
sono
spesso trovata nelle circostanze di dover fare cose che non volevo. Mi
irrita,
mi fa sentire stupida, ma non riesco proprio a smettere di esaudire
ogni suo
desiderio. Per questo io ora sono qui con te: è solo
perché lo vuole lui.”
Watson
aveva appena finito di lavare accuratamente
le mani, togliendo ogni residuo di sporcizia.
“Lo
so. Io so perfettamente cosa vuoi dire e so
perfettamente cosa desidera Sherlock. Per questo io ora sono qui con
te.”
Sorrise allo specchio e si sistemò con cura i capelli.
Irene
sbuffò.
“Ora, John
Hamish Watson, smettila di rimirarti nello specchio, dobbiamo
andare.” Il
dottore si voltò e vide la donna al suo fianco, bellissima
ed elegante, come lo
era sempre stata.
Lui
annuì. Pulì bene il rasoio dal sangue,
infilò la
camicia pulita e controllò che Mary stesse comoda nella
valigia. Sì, Irene
aveva ragione: aveva a malapena il tempo di accompagnare la sua
amatissima
moglie in giardino, sotto l’ombra degli alberi. La nave non
aspettava. E di
questo periodo, gli avevano detto, l’acqua delle Reichenbach
era
particolarmente gelida. Ci avrebbe impiegato un po’ a
incontrare di nuovo Mary,
calcolò. Ma non era importante, lei avrebbe capito. Del
resto lui e Sherlock
non si vedevano da un po’.
Una
camicia, una valigia e un rasoio.