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Autore: HikaRygaoKA    19/09/2012    5 recensioni
Come Watson, con l'aiuto di Irene, capì quanto potesse essere utile un rasoio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco quello che mi succede fra un esame a l’altro. Ma voi siete carini e commenterete  lo stesso, vero?

 

Una camicia, una valigia e un rasoio

 

 

Una camicia, una valigia e un rasoio.

John Hamish Watson non aveva bisogno di molto per il suo viaggio, solo l’essenziale per stare comodo, per muoversi rilassato.

Da quando era tornato da Reichenbach, tutti avevano iniziato a comportarsi in modo strano, pensava il dottore. Le persone sembravano tese in sua presenza, come se tenessero in mano qualcosa di fragile e bollente allo stesso tempo.

“Non pensi anche tu che sia strano, Irene?” Chiese il dottore rivolgendosi alla foto sulla vecchia scrivania di legno: un amorevole e non richiesto lascito post mortem di Sherlock Holmes. Per ricordargli, con il suo consueto tatto, chi era davvero importante nella sua vita.

“Davvero non saprei John! Non sono mai stata brava a giudicare le persone.” Rispose annoiata la fotografia.

“Piuttosto, tu e la tua dolce metà avete mai pensato di ridecorare? La vostra tappezzeria è così lugubre ... ”  Watson la ascoltava distrattamente, mentre decideva quale valigia era meglio usare: una capiente ma un po’ logora, o una di dimensioni ridotte ma elegante e ben fatta?

Si girò verso la foto per chiedere un parere ma, ovviamente, Irene si era già dileguata. Sospirò: sapeva dove cercarla. Spostò delicatamente in un angolo i fagotti di stoffa che aveva poggiato per terra e, poiché erano ancora umidi, stette bene attento a che non macchiassero il grande tappeto blu: era il preferito di Mary e un altro regalo del suo caro amico. Tra le altre cose, Watson detestava il blu. Il dottore scostò un grande drappo dallo specchio poggiato alla parete, e osservò la sua immagine riflessa.

“Hai un aspetto terribile John. Spero tu abbia il tempo di pulirti perché siamo già in ritardo!”

Nel riflesso dei suoi occhi, lo sguardo penetrante di Irene lo misurava con disappunto.

“… Quale valigia mi consigli?”

“Chiaramente la marrone è la più capiente.”

“Mary, però, preferisce l’altra: lei ama le cose belle e capisci che non potrei mai fare qualcosa per renderla triste, soprattutto perché questa volta è una cosa che la riguarda da vicino … sai, per le tutte le cose successe ultimamente …”

La donna annuì comprensiva.

“Vada per la più piccola allora. Stringendo dovresti riuscire comunque a renderla abbastanza confortevole.”

Il dottore fece un cenno di assenso con il mento e, risolti i suoi dilemmi estetici, prese un 78 giri dalla sua collezione e mise in funzione il grammofono: Shubert -“La trota”.

Tornò al cumulo di fagotti. Gladstone mugolava in giardino.

“Il cane non viene?” La voce di Irene scivolava innaturalmente distorta fuori dal corno del grammofono.

“La signora Hudson sta venendo a prenderlo. Non credo che lui possa accompagnarci per dove siamo diretti.”

Irene rimase in silenzio e piano, quasi timidamente, la musica tornò nella testa di John.

Era bello starsene tranquilli per un po’, poter riflettere. Da quando era tornato era diventato impossibile avere tempo per sé stesso, era sempre circondato da così tante persone …  All’inizio c’erano stati solo i parenti in processione, vestiti di nero e con gli occhi perennemente arrossati. I loro fazzoletti impregnati di lacrime che non aveva mai visto loro versare. Poi erano arrivati i compagni del reggimento e il lucore delle loro medaglie sulla divisa, lo sguardo amareggiato di chi ha visto cadere in guerra un compagno senza che questi avesse la dignità che una morte eroica pretendeva. I suoi colleghi della facoltà di medicina, tutti, chissà perché, con un libro sotto il braccio e uno stetoscopio al collo, che insistevano sull’importanza di auscultare e di discutere in segreto. E alla sua porta avevano bussato ancora, ancora e ancora. Ed erano sempre di più e sempre più sconosciuti e sempre più parole e più riposo, più luce, più silenzio, meno ricordi e meno dolore. Mary piangeva ogni notte. Lui non capiva bene ma sapeva di dover incastrare la testa fra i cuscini e tentare di chiudere il mondo fuori: non voleva impazzire come gli altri. Era a quel punto era arrivata Irene. Non Sherlock, ma Irene. Si chiedeva spesso il perché.

“Sai, Sherlock Holmes odia la banalità.” Gli aveva detto Irene.

“Io sono banale” Le aveva chiesto atono Watson.

Irene non rispose.

Non era importante, comunque. Stava per dimostrare il contrario, si disse sorridendo. Avrebbe fatto a tutti una grande sorpresa.

 

 

 

Con l’arrivo di Irene l’orrore delle sue giornate era terminato. Parlavamo di libri e di politica e del tempo, e il dottore non si annoiava più. Non giocavano mai a scacchi. Inoltre, trascorso qualche giorno dalla visita inaspettata, Mary aveva anche smesso di piangere.

 

 

 

Le giornate del dottore erano proseguite tranquille fino a quella mattina, quando la musica di Shubert lo aveva svegliato. Irene lo osservava dallo specchio sventolando due biglietti.

“Un viaggio” aveva detto “partiamo oggi” aveva detto.

“Quando hai comprato i biglietti?” le aveva chiesto.

“Sei uscito ieri, mentre dormivi.”

 

 

 

“Penso sia tutto a posto.”Disse Watson mentre sistemava gli ultimi fagotti nella valigia.

“ Lo sai ” disse Irene “ Lo sai, a me non piace nuotare, non sono molto brava. Ma da quando conosco Sherlock Holmes mi sono spesso trovata nelle circostanze di dover fare cose che non volevo. Mi irrita, mi fa sentire stupida, ma non riesco proprio a smettere di esaudire ogni suo desiderio. Per questo io ora sono qui con te: è solo perché lo vuole lui.”

Watson aveva appena finito di lavare accuratamente le mani, togliendo ogni residuo di sporcizia.

“Lo so. Io so perfettamente cosa vuoi dire e so perfettamente cosa desidera Sherlock. Per questo io ora sono qui con te.” Sorrise allo specchio e si sistemò con cura i capelli.

Irene sbuffò.

 “Ora, John Hamish Watson, smettila di rimirarti nello specchio, dobbiamo andare.” Il dottore si voltò e vide la donna al suo fianco, bellissima ed elegante, come lo era sempre stata.

Lui annuì. Pulì bene il rasoio dal sangue, infilò la camicia pulita e controllò che Mary stesse comoda nella valigia. Sì, Irene aveva ragione: aveva a malapena il tempo di accompagnare la sua amatissima moglie in giardino, sotto l’ombra degli alberi. La nave non aspettava. E di questo periodo, gli avevano detto, l’acqua delle Reichenbach era particolarmente gelida. Ci avrebbe impiegato un po’ a incontrare di nuovo Mary, calcolò. Ma non era importante, lei avrebbe capito. Del resto lui e Sherlock non si vedevano da un po’.

Una camicia, una valigia e un rasoio.

  
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