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Autore: Rota    22/09/2012    1 recensioni
[Kagami + Kuroko + Seirin]
Il committente aveva richiesto alcuni ingredienti per una ricetta curativa che si trovavano solo in quella zona, aggiungendo ai soldi della ricompensa anche la succosa prospettiva di un ottimo rimedio per le ferite d'arma da taglio nelle zone più delicate del corpo. Riko aveva molto insistito perché il Seirin accettasse una missione del genere e Hyuuga l'aveva fatto non troppo di buon grado. Raccogliere qualche radice ostica, pescare un paio di rospi arancioni e prendere alcune uova di un uccellaccio particolarmente poco socievole rappresentava in sé una richiesta alquanto semplice, ma contando che la zona era detta maledetta da tutta la gente dei villaggi attorno il capitano capiva bene come mai nessuno l'avesse ancora accettata prima di loro.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: margherota

*Titolo: 'Cause I can't justify the way everyone is looking at me

*Fandom: Kuroko no Basket

*Personaggi: Kagami Taiga, Kuroko Tetsuya/Demone!Kuroko, Altri

*Generi: Fantasy, Angst

*Avvertimenti: Bi- Shot, AU, What if...?

*Rating: Giallo

*Credits: Somewhere I belong, Linking Park

*Note: Penultima Bi-Shot appartenente alla saga fantasy, tutta dedicata al Seirin (L) Il fatto che abbia lasciato la Yosen per ultima ha un suo senso – che magari già qualcuno, leggendo la fanfic sulla Too, potrebbe aver già intuito. Detto questo.

Il Seirin sarà il vero protagonista della mia saga, quelle che ho ascritto fino ad oggi erano soltanto delle anticipazioni, come ho provveduto a dirvi spesso. Ho cercato tra le altre cose di dare a questa breve long un gusto più “canonicamente” fantasy, leggendo spero capirete cosa intendo.

E niente, buona lettura :)

 

 

 

 

 

I will never know
myself until I do this on my own
And I will never feel,
Anything else until my wounds are healed

 

 

 

Tra i rumori di zoccoli che calpestavano sempre più faticosamente il terreno molle di fango, si sentì il barrito del corno impetuoso di Hyuuga che cercava di attirare su di sé quanta più attenzione possibile: Izuki, che sempre viaggiava a fianco del capitano, aveva intravisto una cortina di nebbia davanti a sé ed era quindi bene che i componenti della sua compagnia si concentrassero vicini a lui prima di disperdersi per quei posti sconosciuti senza la possibilità d'essere recuperati.

Sentì rispondere per primo un trillo di donna e quando l'uomo sporse il viso all'indietro, solo per qualche istante, intravide la robusta puledra chiara di Riko che galoppava leggera. La sua padrona aveva gravato i suoi fianchi con buste d'erba essiccata e pochi filtri liquidi per i malanni interni, tanto da renderla il destriero più leggero del piccolo branco, ed era sicuramente una cosa funzionale che la curatrice della compagnia avesse un mezzo di locomozione rapido e agile.

Ci furono poi Mitobe e Koganei, assieme, avvolti nei loro mantelli su quei due cavalli scuri mezzi storpi – probabilmente mai si erano allontanati troppo da Junpei e quindi avevano saputo rispondere prontamente al richiamo. Il cuoco e l'artigliere, d'altronde, erano sempre stati vigili e attenti a ogni possibile comando.

Un nutrito profondo annunciò l'arrivo del primo paladino, armato del suo grande martello e dello scudo luccicante di fianco, con quel sorriso tanto presente che a tratti diveniva davvero irritante. Senza indugi, Teppei si mise di fianco al capitano e prese l'andatura del suo cavallo proprio con l'intenzione di rimanergli vicino.

Rimaneva soltanto una persona da aspettare.

Il gruppo rallentò il passo fino a renderlo quasi nullo, specialmente quando la nebbia si presentò davanti ai loro occhi come un unico grande muro bianco. Sbuffando quanto l'animale che montana, Hyuuga rivolse uno sguardo assassino a tutto ciò che lo circondava.

-Dov'è quello stupido di Kagami? Non ha sentito il mio richiamo?-

Il cavallo scalpitò, in linea con i sentimenti quasi isterici del cavaliere, al che Teppei rise palesemente e tentò di tranquillizzare il giovane uomo con un tono di voce amichevole e cordiale.

-Non ti arrabbiare, Hyuuga! Sai com'è fatto quel ragazzo! È bravissimo a far roteare quella spada ma in quanto ha cavalcare è peggio di un uomo con una gamba sola!-

Junpei gli riservò un'occhiata davvero assai malefica ma purtroppo non poté dargli torto. Stava cominciando a pentirsi d'aver arruolato un così goffo cavaliere, anche se doveva ammettere che l'impressione che gli aveva dato all'inizio era davvero ottima. Se continuava a rallentarli a quel modo, al termine della missione avrebbe dovuto dirgli che poteva tornarsene al suo villaggio che alla compagnia del Seirin davvero non serviva più.

Stava continuando a fare questo tipo di pensieri quando finalmente sentì avvicinarsi il passo pesante di un cavallo molto carico e non particolarmente avvezzo a quel tipo di terreno. Lentamente, la figura rossiccia del cavalier Kagami Taiga si stagliò di contro alla selva scomposta che componeva tutto il paesaggio.

Come prima cosa gli arrivò un oggetto non meglio identificato in faccia da parte di Riko che, non contenta, gli urlò anche contro per cinque minuti buoni quanto fosse importante la puntualità e la disciplina quando si faceva parte di un gruppo. Terminato questo, anche Hyuuga volle mettere del suo e rincarare la dose con l'ennesimo sguardo omicida e le minacce di morte non troppo velate.

Una volta finita anche la parte del capitano, il gruppo si rimise in cammino.

 

Era rimasto davvero esterrefatto quando aveva visto Taiga brandire la sua spada, sul momento certo non aveva potuto nasconderlo.

Si erano iscritti a quel torneo, lui e Teppei, mirando senza troppi scrupoli al premio in palio, capace di dar da mangiare alla compagnia per parecchio tempo e di fornire alla curatrice tutto il quantitativo necessario a comprare erbe davvero utili per decotti vari e ricette di pozioni di cui non sapeva neppure l'esistenza. Contavano sull'esperienza acquisita in quegli anni passati in giro per il mondo più che sulla forza fisica in quanto consapevoli che in uno scontro vero la prontezza di spirito e le capacità intuitive contavano più di quello che ci si sarebbe mai aspettato.

Fu una fortuna per loro poter assistere all'incontro tra Kagami e il suo avversario dagli spalti: la mera energia non avrebbe fatto alcun effetto su di loro, perché troppi erano stati di sbruffoni incompetenti comparsi sulla loro strada, ma entrambi avevano intuito la forte predisposizione al combattimento corpo a corpo che quel ragazzo aveva, dimostrata nei gesti e nell'attitudine istintiva, e la sua adattabilità a qualsiasi tipo di avversario.

Mostrava anche palese inesperienza su cosa fosse un combattimento in condizioni reali, e questo lo si vide soltanto ad un certo punto, ma Hyuuga era speranzoso che con qualche aggiustamento e un buon maestro accanto Taiga sarebbe diventato uno spadaccino davvero utile alla sua compagnia, ed era stata quella speranza ad averlo spinto a fare la sua proposta di arruolamento.

A vedere quello stesso ragazzo così promettente litigare col suo cavallo che non ne voleva assolutamente sapere di continuare a camminare nel fango con tutto il peso che aveva sul dorso, tra scudo, mantello e armi varie, forse Junpei considerava anche l'ipotesi di essersi fortemente sbagliato. Specialmente quando, all'ennesimo colpo di redini, il cavallo si arrabbiò tanto da dare un morso al suo cavaliere e a farlo finire per terra, gambe all'aria.

 

Sul fuoco, l'acqua della pentola bolliva lenta e tranquilla mentre Rinnosuke aggiungeva qualche pallida radice appena sbucciata, trovata in giro e tagliata all'occorrenza, per dare più corpo al pasto da consumare. Appena dietro, Hyuuga e Izuki erano ancora intenti a studiare la cartina e a pianificare l'azione del giorno seguente onde evitare imprevisti che avrebbero impedito il corretto svolgimento della missione; la nebbia aveva rallentato non poco il cammino e non avere punti di riferimento precisi rendeva difficile ogni manovra concreta.

Il committente aveva richiesto alcuni ingredienti per una ricetta curativa che si trovavano solo in quella zona, aggiungendo ai soldi della ricompensa anche la succosa prospettiva di un ottimo rimedio per le ferite d'arma da taglio nelle zone più delicate del corpo. Riko aveva molto insistito perché il Seirin accettasse una missione del genere e Hyuuga l'aveva fatto non troppo di buon grado. Raccogliere qualche radice ostica, pescare un paio di rospi arancioni e prendere alcune uova di un uccellaccio particolarmente poco socievole rappresentava in sé una richiesta alquanto semplice, ma contando che la zona era detta maledetta da tutta la gente dei villaggi attorno il capitano capiva bene come mai nessuno l'avesse ancora accettata prima di loro.

Il rumore di due lame che cozzavano li raggiunse, esattamente come quello della forte risata di Teppei che incitava il proprio avversario a fare di meglio. Kagami sbuffò e si lanciò in avanti, vinto dalla provocazione dell'altro che senza troppi problemi sfruttò la potenza del suo slancio per farlo ruzzolare a terra e ridere ancora di lui – Kiyoshi sapeva essere particolarmente crudele quando ci si metteva d'impegno.

Koganei, troppo stanco per essere ancora ilare e rumoroso, sospirò pacifico e si portò nuovamente la pipa alle labbra, rilassandosi con i polmoni pieni di fumo e gli occhi chiusi. Pensava a quale bella storiella non aveva ancora raccontato ai suoi compagni, a quel bardo della taverna dove erano alloggiati due giorni prima, che aveva tentato di insegnargli un motivetto con le labbra e con il battito delle mani, che in quel momento proprio gli sfuggiva. Quando sentì Mitobe avvicinarsi a lui, con un sorriso e una scodella piena di zuppa tra le mani, piegò le labbra in un'espressione di ringraziamento e accettò di buon grado il pasto.

Si riunirono tutti attorno al fuoco, a far lavorare le mandibole e a raschiare con i cucchiai il fondo delle proprie scodelle, come al solito. Uniti come poteva esserlo la più salda di tutte le compagnie.

 

Kagami maledì, per la quindicesima volta dall'inizio di quella giornata, il proprio destino infausto. Il capitano del Seirin aveva pensato bene di dargli dell'idiota in maniera plateale e, siccome doveva rimanere coerente a sé stesso, aveva preferito mandarlo a raccogliere le uova dal nido di uno strambo uccello piuttosto che saperlo in prossimità di qualche pozza d'acqua con la possibilità che vi ci finisse annegato dentro o ancora peggio raccogliesse qualche erba velenosa al posto dell'essenza che andavano cercando.

Così il giovane uomo era andato alla ricerca di un nido di giunchi secchi dalla forma approssimata di una goccia ingrossata alla base, con un buco per l'entrata che rimaneva nella parte superiore. Riko l'aveva avvertito di non metterci la mano direttamente dentro, perché era possibile che i suoi padroni trovassero la cosa alquanto fastidiosa e cercassero di mozzargli qualche dito per ripicca. Così, prendendo l'elsa della propria arma, Taiga colpì il nido del malefico uccello e constatò che non fosse abitato da nessuno, allungò la mano e recuperò le uova che vi trovò dentro. Quattro in tutto. Le ripose in un sacco di pelle che Hyuuga gli aveva consegnato e si appropinquò sulla via del ritorno.

Fu così improvviso che all'inizio non capì neppure cosa stesse succedendo ma solo che una qualche bestia strana lo stava attaccando mirando agli occhi. Si accovacciò d'istinto a terra e si protesse il viso con un braccio e il proprio mantello, nascondendo quindi la faccia da altri eventuali attacchi. L'uccello non rinunciò e continuò a rivolgergli un urlo particolarmente acuto e isterico e a colpirlo con i suoi artigli e il becco uncinato.

Kagami si vide costretto ad una fuga rapida e immediata che lo portò, dopo un lungo vagare a destra e a sinistra, a perdersi totalmente in mezzo alla nebbia bianca.

 

Aveva cominciato a considerare l'ipotesi di chiamare aiuto urlando quando trovò davanti a sé l'inaspettata entrata di una grotta. Senza pensarci due secondi, vi andò dentro per trovare riparo da altri eventuali attacchi.

Si guardò attorno e vide rocce bagnate di umidità a formare pareti e suolo, un tunnel che sembrava non avere neanche un fondo e scendeva, scendeva sempre più. Un rumore d'acqua corrente lontano.

Per qualche motivo, richiamò alla mente una scena vissuta qualche giorno prima, quando uno dei suoi compagni aveva innocentemente chiesto il motivo per cui quelle terre erano maledette. Un vecchio della locanda aveva raccontato col terrore dipinto sul volto dell'esistenza di un nero demone alato, una sorta di pipistrello enorme e terribile, e di una cosa strana chiamata Imperatore Celeste. Kagami non si ricordava bene tutti i particolari ma sembrava che questo tizio si fosse divertito a rendere senzienti alcune armi che poi, nel tempo, erano diventate abbastanza potenti da ribellarsi a lui e quindi da richiedere l'indipendenza. Cosa strana nel mondo divino, questo aveva scatenato l'ira funesta del loro creatore, che li aveva maledetti e cacciati dal suo regno, relegandoli quindi alla vita terrena e al contatto con gli uomini. Questo pipistrello, poi, sembrava non gradire troppo le visite inopportune e pareva in grado di staccare la testa a morsi a chiunque cercasse di penetrare il suo territorio senza permesso.

Kagami era uno stupido esaltato ma non abbastanza idiota da non comprendere che quella doveva essere senz'altro la fantasia romantica del bambino che fu e che probabilmente l'unica creatura davvero molesta che quella palude ospitava era l'uccello isterico che l'aveva seguito fin lì. Non di meno, considerò l'opportunità di trovare qualche tesoro succulento o qualche creatura effettivamente strana che poteva valergli uno scontro degno di questo nome – d'altronde era risaputo come certi luoghi ospitassero tesori e i loro guardiani, o almeno nella logica abbastanza distorta di quel paladino con poco senno.

Con un sorriso strano sulle labbra e la spada ben allacciata al fianco, Kagami iniziò la propria discesa.

 

La terza volta che scivolò dentro un burrone, percorrendo col sedere e la schiena tratti di roccia bagnata, capì di aver avuto non un'idea malvagia ma addirittura pessima. Inoltrandosi sempre più nelle profondità del terreno, aveva quasi perso totalmente l'uso della vista e procedeva a tentoni in un buio quasi completo. Sentiva sotto di sé lo scorrere lento dell'acqua e attorno percepiva il freddo della pietra. Sbatté più volte contro qualcosa di indefinito, che al tatto pareva duro e uniforme come tutto quello che lo circondava. Aveva tentato anche di tornare indietro sui propri passi, ma resosi conto che ciò era davvero impossibile l'unica soluzione nella quale sperava era di trovare un'uscita secondaria e da lì poi tornare al campo base. Immaginava già ciò che Hyuuga gli avrebbe detto e ciò che Riko avrebbe minacciato alla sua persona, eppure la preoccupazione più intensa che poteva colpirlo in quei momenti non era tanto un futuro prossimo quanto l'immediata difficoltà nel non riuscire neanche a capire in cosa il proprio piede avesse inciampato, di tanto duro, per farlo ruzzolare a terra per la quarta volta di fila.

Sapeva che ciò che stava vivendo era una di quelle prove in cui le persone perdevano sé stesse: nella buia disperazione si smarrivano oltre che l'orientamento anche il senso e la ragione, divenendo non altro che pallide ombre in cerca di qualcosa di irrecuperabile. I labirinti della mente trovavano il loro inizio in una perdizione fin troppo fisica, nella mancanza di rassicurazioni basilari come la fede e il cibo, la luce e la voce altrui. Ne aveva sentite di storie a tal proposito, racconti più o meno ammiccanti di peccatori che si erano lasciati vincere dalle ombre.

Non era quello il suo caso: ne era più che sicuro. Per incoscienza o naturale stupidità, non c'era buio che potesse sconfiggerlo, non finché teneva salda per sé la propria motivazione, il proprio orgoglio e la propria arma.

Scivolò ancora, in un masso appena sporgente dal pavimento, e con un ruzzolo andò a sbattere forte la testa contro una pietra. Cadde di peso al suolo e la forza di gravità lo spinse ancora in basso, lungo una discesa che lo portò a mescolarsi al fango e ad altri detriti più grossi.

Cadde, da quella che a stento riconobbe essere una cascata, in un largo lago sotterraneo.

 

Lo svegliò un'insolita luce pallida che gli colpiva direttamente il viso e le palpebre. Appena aperti gli occhi, sentì a stringergli le membra un dolore acuto, capace di imbambolarlo per qualche istante e costringerlo ad un'immobilità spiacevole. La luce proveniva dall'altro, da una fessura larga del soffitto.

-Non dovresti fare gesti avventati. Hai perso molto sangue dalla tempia.-

Kagami tentò di fare uno scatto e di rimettersi in piedi, per affrontare quel nuovo nemico sconosciuto, ma tutto quello che riuscì a fare fu tendersi e lanciare un lamento davvero poco eroico. Con lo sguardo, riuscì a delineare la direzione da cui quella voce insolita proveniva. La roccia buia sopra di sé pareva immobile come avrebbe dovuto essere sempre – e il ragazzo si convinse davvero che non fosse stata altro che la sua immaginazione a guardare.

Eppure, guardandosi attorno, si rese ben conto che qualcosa non andava: dal lago che ora si stendeva davanti a lui, era stato trascinato sopra un masso e allontanato dall'acqua di qualche metro, in modo che non ci fosse il pericolo che nel movimento lui ricadesse dentro il fluido freddissimo. Una cosa del genere certo non avrebbe potuto farla lui nell'incoscienza.

Tornò a guardarsi attorno, nella stessa direzione da cui aveva pensato essere provenuta la voce, e cercò nel buio qualcosa che potesse assomigliare ad una vaga forma di vita intelligente.

-Sei il primo che arriva a me in una maniera tanto stupida. Gli altri si reggevano ancora sui propri piedi e non avevano mai usato quell'entrata secondaria. Sono rimasto stupito dalla tua idiozia.-

Benché non la vedesse in faccia, Taiga già trovava estremamente irritante quella creatura. Nonostante il dolore e il poco equilibrio, si mise in piedi e fronteggiò la parete rocciosa.

-Chi diamine sei? Fatti avanti se ne hai coraggio!-

-Non hai bisogno di urlare in questo modo. Io sono qui.-

Voltando la testa di lato, si rese conto di avere una sagoma corporea al proprio fianco. Con uno strillo e un salto, andò lontano ed estrasse l'arma dalla fodera, ma tutto quello che vide ad attenderlo fu un ragazzetto pallido e poco vestito che lo guardava con un'espressione particolarmente incolore.

Gli sbraitò contro, ancora nervoso, mentre riponeva con una certa stizza la spada.

-Chi diamine sei, tu?-

Quello lo guardò fisso negli occhi prima di piegarsi in un leggerissimo inchino, e la luce riflessa nell'acqua che gli colpì la testa fece brillare di un azzurro opaco i ciuffi dei suoi capelli.

-Mio padre mi ha chiamato Kuroko Tetsuya.-

Kagami lo guardò abbastanza perplesso prima di capire cosa stesse intendendo.

-Mio padre... tu sei una delle armi dell'Imperatore Celeste, giusto?-

-Definire me “arma” non è propriamente esatto, ma il mio creatore e padre è quello che voi umani definite Imperatore Celeste, sì.-

Taiga si avvicinò a lui, per studiarlo meglio. Aveva la forma di un uomo molto giovane, alto poco più che un metro e mezzo, gli occhi grandi e il fisico esile. Non sembrava esattamente portato per maneggiare un'arma e non aveva per niente un'aria pericolosa. L'unica cosa che gli si leggeva davvero in faccia era un'indifferenza alquanto disarmante. L'uomo ne fu abbastanza offeso, in realtà.

-Pensavo tu fossi un mostro! Una creatura spaventosa e terribile, da abbattere!-

-Lo hanno pensato tutti quelli che mi hanno cercato volontariamente.-

Gli girò attorno, considerando lo strano gonnellino che aveva all'altezza della vita. Ora che ci faceva più attenzione, notò una sorta di lunga coda dello stesso colore della pelle e delle orecchie lunghe e appuntite che uscivano dalla chioma dei capelli, due piccole corna tra i ciuffi. A guardargli bene le mani, notò degli artigli ricurvi.

Nonostante tutto, non sembrava affatto minaccioso.

-Cosa se ne faceva di te, l'Imperatore Celeste?-

-Usava me come usava tutti gli altri miei fratelli. Né più né meno. Ma io, a differenza loro, pot esevosere usato in qualsiasi contesto. Non è adattabilità a tutti i tipi di lotta: l'utilizzo che il mio possessore faceva di me rendeva la mia natura particolare e distante. Non sono uno che va maneggiato con forza, né adoperando quel tipo di tecnica che rende un colpo d'arma mortale. Sono vitale a modo mio.-

L'altro ragazzo lo guardò in silenzio ancora un attimo, continuando ad andargli attorno per poi fermarsi davanti a lui. L'aveva colpito il suo discorso, anche se non era sicuro di aver compreso proprio tutto quello che serviva. Certamente la regalità e l'orgoglio rimandavano ad una creatura degna della mano divina.

-Hai detto che altri prima di me sono venuti qui. Che fine hanno fatto?-

Si sentì un boato in lontananza quando Kagami ebbe l'ardire di pronunciare quella domanda, neanche fosse la dicitura di un qualche incantesimo strano. Il giovane uomo portò meccanicamente la mano all'elsa della spada e si guardò attorno, spaesato, senza capire cosa stesse succedendo.

Quando rivolse l'attenzione di nuovo al demone, questo sembrava appena appena desolato.

-Avrei dovuto dirtelo prima. Ogni tesoro che si rispetti ha il proprio custode. Quando mio padre mi separò dal mondo dei vivi e mi relegò quaggiù, fece in modo che non fosse facile infrangere i suoi divieti.-

Altro boato.

-Il mostro mangia-teste di cui tutti parlano quindi è il tuo custode?-

Ancora boato, assomigliante questa volta più ad un verso animale che a quello di un elemento naturale.

Sembrò quasi che Taiga, considerato il fatto nella sua completezza, avesse raggiunto una consapevolezza tutta nuova, tutta sua. E per qualche istante parve che i suoi occhi lampeggiarono di furore.

-Quindi c'è davvero un avversario da sconfiggere, quaggiù...-

-È abbastanza forte da ucciderti senza che tu riesca a sfoderare la tua stessa arma.-

Lo guardò male e collerico, quasi isterico.

-Continui a parlare in un modo sgradevole!-

Quella volta, assieme al boato, Kagami sentì chiaramente il rumore di acqua smossa, qualcosa che strisciava al di sotto della superficie del lago e si faceva sempre più vicina. Doveva prepararsi, assolutamente, o sarebbe stato mangiato prima di rendersene conto.

E come ogni favola che si rispetti, come ogni avventura degna di tale nome, arrivò il momento in cui l'elemento magico propose il proprio patto – come un piccolo elfo che poteva donare salvezza o distruzione con una domanda ben precisa e altrettanto crudele.

-Se tu mi prometti di portarmi in superficie e liberarmi, io posso aiutarti a sconfiggere il mostro.-

Nella concentrazione che stava preparando la sua mente alla battaglia, Kagami lo guardò un poco bieco.

-Tu non dovresti essere il tesoro?-

-Fidati di me. Io sono ciò che ti serve più in questo momento.-

Dovette guardarlo per qualcosa di più che mezzo secondo per cogliere qualcosa di diverso nel suo sguardo, qualcosa che lo intimorì e lo incuriosì al medesimo tempo. Alla fine, si convinse che non poteva temere nulla da una creatura come quella e non per malizia ma perché sembrava sapere esattamente cosa stesse facendo.

La sicurezza, d'altronde, era ciò che più gli serviva in quel momento.

-D'accordo, va bene.-

Fu magia, fu vera liberazione.

L'Arma Celeste fu accettata dal suo nuovo padrone.

 

-Non mi hai detto il tuo nome, cavaliere.-

-Io sono Kagami Taiga.-

 

Il Seirin non aveva spostato il proprio campo base neppure dopo che dall'ora d'incontro prefissata erano passati quasi due giorni, rivelando in quell'unico particolare l'indole comune che mai, mai avrebbe permesso a qualcuno di loro di abbandonare un compagno alla morte semplicemente perché ritardatario.

Hyuuga avrebbe detto sicuramente qualcosa, se ce ne fosse stato il tempo. Riko l'avrebbe picchiato nonostante le ferite del corpo. Shun avrebbe fatto qualche battuta circa la sua incredibile capacità di rispettare due regole semplici e lineari. Probabilmente anche Kiyoshi avrebbe detto qualcosa pur di non rimanere l'unico zitto.

Ma quando Kagami si presentò al capitano e al resto della compagnia con quei due nuovi tesori nessuno riuscì a criticargli alcunché. Da una parte la testa del pipistrello mangia-teste, con ancora la bocca da topo aperta e sanguinante; dall'altra, splendente come solo una fattura dell'Imperatore poteva essere, ben stretto tra le dita del nuovo Cavaliere, il nero Scudo Celeste.

 

 

 


I will never be
Anything 'til I break away from me
And I will break away,
And find myself today

   
 
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