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Autore: Ale_kiss_    23/09/2012    0 recensioni
-Che vuole da me …?- domandai tremante. Fece un passo avanti e si rivolse a tutti nonostante solo io la capissi.
-Lo tiene lui. È suo prigioniero da quasi sempre. Ha portato il suo corpo nella propria dimora dopo aver bruciato il vostro palazzo. Vuole parlarti Erika, si tratta proprio di questo!-
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- ... Ti prego … posso darti il mio aiuto …-
- Non importa, l’hai già fatto!-




Lanciai un grido e mi svegliai tutta sudata. Di nuovo quell’incubo. Da troppo continuava. Dal giorno stesso in cui quella scena si era mostrata ai miei occhi. Immediatamente ero fuggita impaurita, come una codarda, senza distruggere quell’essere che per un attimo mi aveva guardata negli occhi. Forse era solo una mia impressione, forse non mi aveva notata. Avevo rimesso piede in quel posto solo qualche settimana prima, finita la lunga agonia che mi aveva accompagnata quegli anni.                                                                                                                                                                                 
Mi guardai attorno. La camera era vuota, c’ero solo io. La finestra era aperta e il vento scuoteva le tende con delicatezza. Mi alzai e indossai le ciabatte. Presi una giacca e l’infilai. Mi strinsi ad essa ed uscii in terrazza. Il giardino era tranquillo, i cani dormivano e le guardie sorvegliavano il cancello, tutto uguale a sempre, troppo uguale. Da quattordici anni, tre settimane, due giorni, nove ore e ventisette minuti era tutto sempre uguale. Mezzanotte in punto, mi svegliavo sempre a quell’ora, minuto più minuto meno. Ero sempre più pallida, mi cibavo poco e non uscivo quasi mai, a parte la notte quando ero fatta alzare da quelle terribili angosce.  Era l’unico momento, da quando ero tornata, in cui mettevo il naso fuori di casa. Tutto poteva ricordare lui e non avevo alcuna intenzione di volerlo ricordare, mi mancava già troppo. Volevo solo rivederlo, volevo riaverlo al mio fianco, volevo che mi mordesse e succhiasse il sangue e dopo poco essere chiamato a rapporto e lasciarmi sola mentre correva dietro come un cagnolino a “lei”. La porta della mia camera scricchiolò. Ecco, parli di “lei”...
Non mi girai. Sapevo chi era e sapevo che mi avrebbe raggiunta senza che glielo dicessi. Così fece: chiuse la porta e mi raggiunse alla terrazza. Si appoggiò alla ringhiera. Continuai a guardare la fontana in centro al giardino. Era nuova, prima non c’era. Una volta c’era la statua di lui … ma l’avevo distrutto dopo una litigata. Quando ero tornata, tutto era in ristrutturazione. Erano a buon punto ma ci sarebbe voluto molto tempo. Marcus aveva bruciato tutto dopo averlo ucciso … Selene e Michael erano riusciti a resuscitare moltissima gente con l’aiuto di Viktor.
- Dovresti smettere di pensare a lui- iniziò Selene.
- Sarebbe come smettere di respirare-, la guardai scettica e lei sospirò. Iniziò anch’essa a guardare il giardino. Sapevo che voleva sicuramente dirmi qualcosa e fremevo di curiosità ma non dovevo farglielo capire, si divertiva a tormentarmi.
- Per quanto ancora pensi di usare i suoi indumenti? Sono quattordici anni che ne usufruisci quasi fossero tuoi- disse rivolgendosi alla giacca che avevo addosso. Nonostante l’avessi lavata milioni di volte, percepivo ancora il suo profumo o forse, era solo una mia impressione. Stava di fatto che mi ostinavo a pensare che lui fosse ancora vivo.
- Oh, non è un tuo problema, infine non ne faccio nulla di male!- mi strinsi nelle spalle con aria offesa. Lei scosse la testa facendo una flebile risata e si rigirò verso il panorama. Poi diede le spalle al giardino, appoggiandosi con i gomiti alla ringhiera. Io la guardai a braccia conserte.
- Ti va di andare a passeggiare in giardino?-
***
Avevo accettato la proposta ed ora eravamo lì a girare attorno alla fontana. Con i cani che ci stavano affianco stando attenti che non ci facessimo male. Tutto era tranquillo, sin che Selene non interloquì.
- Non hai proprio intenzione di rifarti una vita Erika? Sono tanti quattordici anni, e ancor di più l’immortalità che ti sta di fronte. Vuoi sprecarla in questo modo?- la fissai un po’ confusa. Non capivo cos’importasse a lei della mia vita. Non poteva pensare alla sua? Io ero felice così, o almeno credevo …
- Se amare vuol dire sprecare la vita allora sì, la voglio sprecare- sbuffò e mi guardò incrociando le braccia. La sua espressione era strana, le labbra leggermente inclinate in una piccola smorfia. I capelli un po’ scompigliati ma illuminati delicatamente dalla luce della luna quasi fosse una bellissima dea della guerra.
- Erika, amare una persona che sia ancora tra noi. Lui ormai non c’è più, devi fartene una ragione!- a quelle parole le lacrime affiorarono. Iniziai a tremare.
- No! No! No! Non è vero!-
- Erika!-
- No! Kraven è vivo! È vivo!-
- Erika ti prego!- provò a prendere la mia mano ma gliela schiaffeggiai via e iniziai a gridare ancora più forte.
- Lui tornerà! Tornerà! È vivo! Lo so! È vivo!-
- Erika! L’hai visto tu stessa morire!-
- No! Lui è vivo!- e corsi via in camera piangendo disperatamente mentre Selene gridava il mio nome supplicando di calmarmi ma le chiusi le porte in faccia e la sua voce scomparve.
Mi buttai sul letto e iniziai a gridare di gola battendo i pugni sul cuscino. È vero, l’avevo visto io stessa morto. Avevo visto la sua testa a terra e il corpo inanime ancora al muro. Ero scappata via, impaurita dal mostro che lo aveva ucciso. Non mi aveva vista ma avevo rischiato. Nonostante ciò mi ostinavo ad ascoltare il mio cuore dire che Kraven era vivo e a dispetto del sapere che non era la verità io, ci credevo. Sentivo che era da qualche parte vivo e cercava di tornare a casa. Perché Selene doveva dire che era morto? Non poteva credere con almeno un briciolo di lei che fosse ancora vivo? Già, lei detestava Kraven e poi era felice, aveva Michael al suo fianco. Governavano affiancando Viktor che era tornato in vita dopo aver ricomposto la sua testa al suo corpo.  Sapendo che nessuno più lo voleva uccidere si era riappacificato con Selene ed evviva la bella famiglia. Io, intanto, ero rimasta sola, non avevo più nessuna ragione di vita, se non la flebile aspettativa che lui tornasse ma era solo un pensiero, un sogno, nulla più. Mi alzai e mi sedetti alla scrivania. Aprii il cassetto ed estrassi un album di fotografie. Lo aprii. La prima era in bianco e nero, sfocata e pure scattata male: era Selene, quella volta che la costrinsi a mettersi un abito elegante. Era impacciata e il suo sguardo pareva volesse bruciare l’obiettivo. La seconda era sempre in bianco e nero. Ritraeva sempre Selene con una pistola in mano. Era all’allenamento al poligono, pronta in posizione. Selene era la mia migliore amica e anche l’unica a dirla tutta. Non so se lei mi considerasse come un’amica, forse per lei ero solo una compagna di squadra, o forse non ero niente, solo una persona con la quale viveva. Selene non era solo la mia migliore amica, era anche la mia avversaria: Kraven era innamorato di lei. Non capivo se fosse vero amore, probabilmente era solo una sorta di attrazione e desiderio di potere, dato che lei era la figlia adottiva del capo. Sapevo solo che di me non gli interessava niente, se non quelle rare volte che aveva bisogno di sfogarsi e allora usufruiva di me. Senza andare nei particolari mi risvegliavo la mattina nel suo divano sfinita e drenata a causa dei suoi continui morsi ma per me era il paradiso fattosi attimo.                                                                                                                                                                   
Innumerevoli foto erano in bianco e nero e ritraevano per la maggior parte me e Selene. Ce n’era una che mi aveva scattato lei, dove ero in mezzo alla gente nel grande salone, vestita da festa. Ero rimasta un po’ stupita a vederla con la macchina fotografica e la mia faccia era uscita alquanto strana. Dopo un po’ iniziarono quelle a colori e la prima di esse ritraeva Kraven seduto ad un tavolo, se ben ricordavo. Stava pensando se il giovedì avrebbe potuto insegnarmi ad usare una pistola. Era solo un modo per stare con lui ma aveva accettato alla fine ed ero riuscita a rubargli un bacio dall’angolo destro delle labbra. Se n’era andato senza dire niente ma sapevo che da quel giorno aveva capito che mi ero invaghita di lui. “Mossa falsa Erika ma cerca di rubargliene un altro!” mi ero detta. Poi ero andata in camera e l’avevo trovato seduto sulla mia poltrona, senza la giacca e la camicia aveva tre bottoni mollati. Credevo che anche lui ricambiasse. Non era così. 
Chiusi l’album con un colpo e lo rinfilai nel cassetto ma quando toccai il pomello, ritirai la mano e riaprii il libro. Sfogliai velocemente le pagine e arrivai ad una foto. Mi scese una lacrima. Non sapevo chi l’avesse scattata. L’avevo trovata una mattina, guardando tra le foto della macchinetta digitale vent’anni prima dopo una notte passata con Kraven.  La mano di lui stesa sopra la mia. L’avevo stampata e inserita tra quelle pagine. La estrassi e rimisi al suo posto l’album. Asciugai la lacrima con la manica della giacca di Kraven e m’alzai. Andai verso gli scaffali sopra il mio letto e senza vedere cosa toccavo iniziai a cercare lo scotch. Trovato lo presi e dopo averne staccato un pezzo lo lasciai cadere a terra buttandolo sotto al letto con un leggero calcio. Attaccai la foto alla testiera del letto. Poi mi guardai allo specchio. Ero sciupata. Il mi viso era magro e pallido. Decisi che sarei andata a bere. Di sicuro tutti stavano dormendo a quell’ora così avrei potuto fare tutto con calma. Aprii la porta e la richiusi con estrema delicatezza. Scesi le scale. Era tutto buio. Dalle finestre entrava solo una sottile luce. Doveva essere quella del cielo. Continuai lungo il tappeto rosso che invadeva la stanza. Girai poi attorno alla seconda rampa di scale. La porta della cucina era chiusa ma da sotto si vedeva chiaramente che la luce era accesa. Forse Selene era ancora sveglia. Non avevo alcuna intenzione di parlarle! Si era comportata in maniera ignobile e non meritava il mio ascolto e men che meno le mie scuse! Era lei che doveva scusarsi e sarebbe venuta di sua spontanea volontà. Forse però … non dovevo comportarmi così con lei. Era l’unica persona che veramente mi ascoltava … Così scelsi di entrare. Appena aprii la porta, però non mi sarei mai aspettata di incontrare …
- Che ci fai ancora sveglia?- sbottò Viktor asciugandosi una goccia di sangue che gli scendeva dalle labbra. Io aprii la bocca ma nessun suono volle uscire. Lui mi guardava con la fronte corrugata e con le labbra contorte. 
- Avevo sete …- ammisi guardandolo negli occhi con sguardo tremante. Mi si avvicinò. Il rumore della suola sul pavimento mi faceva tremare. Mi prese un polso e alzò la manica.
- No! No! Ti prego non farlo!- gridai. Lui non mi ascoltò. Voleva sapere la verità e in questo modo mi morse con violenza il polso. Iniziai ad urlare. Sentivo i suoi canini freddi nella pelle e il sangue risucchiato. C’erte gocce abbondanti cadevano a terra e il suono era roco e scrosciante.  D’un tratto non udii più i suoni che mi circondavano. Gli occhi smisero di vedere. Solo la figura sfocata di Viktor rimase. Non differenziavo più l’azzurro pallido dei suoi occhi dal rosa-bianco del suo viso. Lui si staccò ed emanò una risata forzata. Strinsi il polso al petto sporcandomi completamente. Mi riprese il polso e lo strinse forte solo per farmi provare dolore. Iniziai a dimenarmi ma perdevo lucidità di attimo in attimo. 
- Ah e così è successo un'altra volta? Un’altra volta Kraven e la sua MORTE hanno invaso le tue notti?- guardai la pozza di sangue sottostante e mi rispecchiai. Di nuovo vidi il viso magro e sciupato. Buio. 














 

 
   
 
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