Blackmoody’s Fanfics Corporation presents
むかし,むかし
. C’era una volta .
O1.
一番章
.When
day starts to shout out loud .
In primavera,
sebbene ciò non fosse poi un grande dispiacere, le giornate nel Rukongai si
somigliavano quasi tutte. In primavera, così come durante le altre stagioni
dell’anno, le ore trascorrevano indolenti, senza scossoni o grandi notizie, con
il solito passaggio della solita gente; poteva capitare che un acquazzone
improvviso rompesse la monotonia e costringesse i contadini a lavori non
previsti, oppure che una rissa di strada calamitasse l’attenzione generale,
mentre si aspettavano con ansia le feste, i matrimoni, persino i funerali, e le
promozioni di giovani valenti al rango di Shinigami.
Ma per il resto
del tempo, niente cambiava in quei quartieri dalle vie polverose e assolate,
sotto quel bel cielo immenso.
Anche Hisana,
che da undici anni vi abitava, non ricordava alcun avvenimento importante né
degno di menzione: lei viveva nel Venticinquesimo Distretto, uno dei più
tranquilli se paragonato al Settantottesimo, la zona malfamata da cui era
fuggita al più presto – pur lasciandovi qualcosa.
E pure quella
mattina, esattamente come ogni altra, stava camminando con calma lungo la
strada principale del quartiere, recando con sé due ceste di verdura fresca e
canticchiando piano tra sé. Pareva, comunque, che ci fosse del nuovo nell’aria:
diversi passanti si erano fermati a parlottare vicino ai banchi del mercato,
con espressioni interessatissime dipinte in viso. Hisana se ne stupì, ma non si
fermò a chiedere spiegazioni a chicchessia, dato che le due ceste iniziavano a
pesarle e la rufia di cui erano fatte le grattava la pelle delle mani, cosa che
le faceva desiderare unicamente di arrivare subito a casa.
Per fortuna
Asami le corse incontro per aiutarla, chiamandola a gran voce: - Forza, forza,
ti stai perdendo notizie incredibili! – la esortò.
Le prese una
cesta e la precedette sotto la veranda ombreggiata che conduceva alla loro
abitazione, i lunghi capelli rossastri che le sventolavano, sciolti, sulla
schiena e il passo veloce; Hisana sorrise, affrettando il proprio. Non
avrebbero potuto essere più diverse: lei mora, dai grandi occhi scuri, compunta
e sensibile, fin troppo ingenua; Asami dalla testa color rame bruciato, gli
occhi chiari, che parlava senza peli sulla lingua, onesta, cinica e pratica.
Nessuno avrebbe scommesso mezzo yen sulla loro amicizia, eppure era stato
grazie a questo che Hisana aveva trovato sopportabile la vita lì: ora
dividevano una casa piuttosto grande e spoglia assieme ad altre donne e ragazze
e ad una famiglia numerosa, e non c’era giorno in cui Asami mancasse di darle
una mano.
- Hisana,
finalmente! – la accolse la più anziana, visibilmente su di giri. Erano tutte
riunite nella saletta d’ingresso, cicaleggiando senza posa.
La giovane
poggiò la cesta a terra e si passò le dita sulla fronte per rinfrescarla: -
Cosa succede, Junko-san?
Non fece a tempo
a finire la frase che l’intera popolazione femminile presente nella sala prese
a risponderle all’unisono, senza lasciar capire mezza sillaba di ciò che le
stavano realmente dicendo; riuscì a cogliere soltanto un paio di parole, con
molte probabilità “erede” e “matrimonio”. Infine fu la stessa Junko a zittire
le altre con un richiamo esasperato e a spiegarle a modo la situazione che
tanto le rendeva euforiche:
- Ci è giunta
voce del ritorno dell’erede della famiglia Kuchiki, Hisana – disse in tono
appena distaccato – Ha trascorso tre mesi nel mondo materiale, da quando i suoi
nobili genitori sono morti, allenandosi per mantenere la posizione di
Vicecapitano che gli è stata assegnata. Adesso è di nuovo qui, o meglio nella
sua tenuta… e uno degli stallieri ci ha riferito che i suoi zii e il suo
precettore lo stanno mettendo già alle strette.
Hisana sbattè le
palpebre, perplessa: - Alle strette per fare cosa? – la interruppe. Non
coglieva il motivo per cui questa storia le eccitasse così tanto.
Asami, che fino
a quel momento era stata zitta, sbuffò e rispose con voce piatta: - Vogliono
che prenda moglie.
- Esatto! –
saltò su una delle ragazze – E siccome il suo clan è legato al nostro
quartiere… potrebbe anche scegliere una di noi!
- Io non l’ho
mai visto, ma dicono sia bellissimo! Ah, sarebbe un sogno! – rincarò una
seconda con fare stridulo.
Di nuovo, tutte
si misero a vociare in maniera indistinta, mentre Hisana tentava di esprimere
il proprio vago parere e l’anziana Junko le osservava sorniona.
Non che alla
giovane donna importasse molto di quella notizia: non sapeva nulla dei Kuchiki,
o di quel loro fantomatico erede in cerca di una sposa, e soprattutto era più
che sicura che le sue compagne si stessero entusiasmando per un pugno d’aria.
Quale nobile le avrebbe mai degnate di uno sguardo?
- Per gli Dei
del cielo, piantatela! – tuonò d’improvviso Asami, fronteggiando il gruppo con
le mani sui fianchi – Siete assolutamente patetiche ad aspettarvi qualcosa in
tal senso. Pensate forse che Kuchiki-sama
si prenderà il disturbo di calcolare voi?
Siamo soltanto popolane, diamine, un po’ di realismo!
Hisana la guardò
stupita: era proprio ciò che avrebbe detto lei, se non fosse stato per il
carattere remissivo che aveva.
Una tipa alta e
robusta le si mosse incontro, bellicosa: - Se non ribatti non sei contenta, eh?
Ti faccio presente che qui nel Venticinquesimo non siamo così povere!
Patetiche, dici? Allora tu lo sei quanto noi, Asami! – replicò con una certa
violenza, come se quell’osservazione le avesse dato un notevole fastidio.
- Non tirarmi in
mezzo, non sono interessata a quel damerino – la rimbrottò la rossa – Vi ho
semplicemente esposto la mia modestissima opinione. Poi, è ovvio, sono fatti
vostri se deciderete di giocarvi il suo favore a colpi di figure ignobili.
Con quella frase
le mise a tacere per un paio di minuti, il tempo necessario per prendere Hisana
per un polso e dirigersi con lei verso l’interno della casa:
- Noi togliamo
il disturbo. Con permesso…
Richiuse alle
proprie spalle la porta scorrevole appena prima di udire, al di là, uno scoppio
di voci arrabbiate e, se possibile, anche più stridule del normale; ma ormai
lei e l’amica erano al sicuro dalle ripicche delle altre, pensò Asami mentre si
accomodava a sedere sul tatami consumato della camera in cui dormiva con
Hisana, annodandosi i capelli in una coda bassa. La seconda la imitò dopo un
attimo di esitazione, tormentandosi il ciuffo che le ricadeva davanti agli
occhi.
- Le hai fatte
davvero infuriare, sai – osservò con un mezzo sorriso ammirato.
Asami scrollò le
spalle: - Ne vado fiera. Mi davano troppo sui nervi con quei discorsi. O forse
secondo te ho esagerato?
Hisana fece un
cenno di diniego: - Assolutamente no. La penso come te sulla questione –
rispose.
- E allora
perché non ti sei fatta sentire pure tu?
- Perché mi
avrebbero sbranata, esaltate com’erano!
- Ma dai. Ci
saremmo sostenute a vicenda.
- Beh, alla fine
hai parlato per tutte e due, Asami. Meglio, no?
- Sei
impossibile… - commentò la rossa ridacchiando.
Nell’ingresso
pareva tornata una parvenza di quiete. Si avvertivano ancora passi concitati e
brandelli di frasi, però i rumori della strada avevano di nuovo preso il
sopravvento: carri e cavalli che transitavano sul suolo secco – ed era facile
immaginarsi la polvere che alzavano nell’aria; i richiami degli artigiani, il
martellare argentino di un fabbro su chissà quale katana, le risate di un gruppo
di bambini che correvano lungo la via principale.
Alla mora quella
vita piaceva, così semplice e serenamente monotona. Eppure, dopo le parole
delle sue coinquiline, si ritrovò a constatare per la prima volta quanto
distante fosse la sua esistenza da quella di un nobile come il Kuchiki-sama
tanto decantato: forse non sarebbe
stato male, vivere nell’altro modo.
- Hisana.
La voce, adesso
bassa e con una punta di imbarazzo, di Asami la fece quasi sobbalzare: - Cosa
c’è?
L’amica mosse
nervosamente lo sguardo, senza posarlo su di lei: - In realtà i motivi per cui
mi sono incazzata sono due – disse.
- Sul serio? E
quale sarebbe allora il secondo?
- Il fatto è
che… se soltanto capitasse per davvero una simile opportunità… - iniziò a
spiegare Asami, giocherellando con un pezzo di stuoia - … se veramente fosse
possibile, vorrei che fossi tu la
donna scelta da quel nobile, Hisana. Sei l’unica tra noi che potrebbe e
dovrebbe esserlo –
L’interessata
ebbe un moto di sorpresa quasi spaventato: - Non dire sciocchezze, ti prego! –
protestò.
- Non è una
sciocchezza! Sei bella, elegante e gentile, Hisana, e chi se ne frega se abiti
qui nel Rukongai. Metti che quel damerino venga da queste parti…
- Non verrà, lo
sai che stiamo parlando di un’ipotesi senza senso.
- Metti che accada l’improbabile –
insistette Asami – Non avrà occhi che per te.
Hisana intrecciò
le dita, fissandosi le mani in silenzio, e si alzò in piedi, per andare a
sbirciare fuori dalla stretta finestra della camera da cui filtrava il sole:
- Non
m’importerebbe di essere scelta. Mi piace vivere qui, credo. E comunque,
nemmeno sappiamo come sia lui – mormorò.
La rossa rise
piano in uno sbuffo: - Penso che non rimarresti delusa, stando a quanto
raccontano.
- Saresti così
felice, Asami, se mai dovessi sposarlo? – domandò la mora d’improvviso.
- Mi
dispiacerebbe perderti – rispose l’altra – ma tu avresti finalmente una
famiglia vera, e gli Dei, come me, sanno quanto te lo meriteresti.
E gli Dei, come me, sanno quanto te lo meriteresti.
No, lei non si
meritava affatto di essere più felice di Asami, delle sue coinquiline, del
resto di coloro che vivevano in quei quartieri cadenti.
Non lei, che
aveva abbandonato la sola persona che potesse chiamare “famiglia”, la sola
persona che le era rimasta. Sua sorella.
A volte ancora
lo sognava, il momento in cui era corsa via dopo averla lasciata ai bordi di
un’ennesima strada polverosa, nel Settantottesimo Distretto: gli occhi grandi
che la fissavano con una certa perplessità fiduciosa, la sua fretta nel
nascondere il foglio strappato con su scritto il nome della bambina tra le
pieghe della coperta in cui l’aveva avvolta, e poi i suoi passi rapidi che
battevano sul selciato, un nodo a stringerle la gola.
Da una parte era
convinta di non aver sbagliato. Non aveva niente che potesse permetterle di
sfamare entrambe, ed era di salute cagionevole; con ogni probabilità, si
ripeteva, se l’avesse tenuta con sé avrebbe condotto sua sorella alla morte;
così, invece, forse si era salvata.
Ma la verità era
che il senso di colpa non le aveva dato più pace da allora: per questo non era
affatto sicura di meritarsi nulla di buono dal mondo.
- Tanto non
succederà mai una cosa simile – disse infine, tornando a rivolgersi all’amica.
Questa scrollò
le spalle nel suo modo inconfondibile: - Staremo a vedere. Io sono fiduciosa,
Hisana.
Lei rise: - Lo
so, lo sei per entrambe!
Asami si unì
alla risata e la raggiunse alla finestra, cambiando di botto argomento e
cominciando a scherzare su un evento del giorno prima. Trascorsero le due ore
che le separavano dal pranzo in assoluta tranquillità, ripensando appena a
quella conversazione pressochè irreale.
O almeno, questo
fu quello che a vicenda si lasciarono involontariamente credere.
Kuchiki Byakuya
si concesse un profondo sospiro, mentre percorreva con andatura lenta i
corridoi ariosi della residenza di famiglia, rimasti tali e quali a come li
aveva lasciati, tre mesi addietro: erano freschi, ombreggiati, con il tatami
che scricchiolava piacevolmente sotto i piedi, e odorosi di legno scuro, tanto
che spesso amava sedervisi a leggere, magari presso le verande da cui entrava
un po’ di vento. E avrebbe preferito fermarsi lì anche adesso, piuttosto che
recarsi a pranzo nella sala centrale, dove lo attendevano il fratello del suo
defunto padre, sua moglie e l’anziano precettore che lo seguiva da anni. Sapeva
bene di cosa gli avrebbero, di nuovo, parlato, e ciò non lo entusiasmava
affatto. Non che lui si entusiasmasse mai, a dire il vero: ma quella faccenda
del matrimonio era proprio difficile da digerire. Era appena tornato, era pure
salito al rango di Vicecapitano della Sesta Divisione, e aveva solo venticinque
anni. C’era davvero una tale fretta di farlo ammogliare? si chiedeva.
Naturalmente non avrebbe pronunciato parola riguardo a queste sue riserve. Era
così abituato a dare la priorità all’obbedienza e all’onore e alla lealtà
assoluta verso chi considerava suo “superiore”, che per lui era normale
trattenersi dal controbattere per sé stesso. Perciò, anche questa volta avrebbe
inghiottito il boccone amaro e avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco.
- Ti stavamo
aspettando, Byakuya – lo accolse l’uomo più attempato, i folti baffi canuti che
tremavano ad ogni parola.
- Yumiyoshi-san.
Nobili zii. Vi domando scusa.
Il giovane
sedette al basso tavolo di legno dorato, senza permettere al proprio bel viso
di tradire il minimo senso di fastidio: non sopportava di avere puntati contro
gli occhi indagatori e austeri dell’uomo e della donna che, pur essendo suoi
ospiti, si comportavano come se avessero preso il posto dei suoi genitori.
- Byakuya,
nipote – lo interpellò subito Kuchiki Nobuo – Ho qualcosa da comunicarti prima
di iniziare il pasto.
Lui chinò la
testa in segno di accordo, e l’altro riprese: - Abbiamo già discusso delle
nozze cui è opportuno tu provveda presto. Ora, sappi che nei giorni a venire
avremo modo di presentarti le eredi di alcune delle migliori famiglie della
Seireitei. La riteniamo un’ottima occasione perché tu possa scegliere una degna
sposa, e ricorda, nipote, che questo è ciò che anche mio fratello e tua madre
avrebbero desiderato.
- Non lo metto
in dubbio – commentò Byakuya a mezza voce. Fuori da quella stanza si avvertiva
una tale pace, gli venne da pensare.
Suo zio si mosse
inquieto sul cuscino di seta sul quale sedeva e si schiarì la gola: - L’intero
casato è fiero di te, nipote. Ecco il motivo per cui nessuno sarebbe contento
di un tuo matrimonio di poca rilevanza. Lo capisci, immagino, e credo che
nemmeno tu ti accontenterai con facilità – concluse sorridendo.
Sua moglie,
piegando il collo sottile, approvò in silenzio quelle parole, mentre l’anziano
Yumiyoshi scoccò un’occhiata quasi rassegnata al giovane, giocherellando come
in imbarazzo con le bacchette poggiate accanto alla coppa di riso; Byakuya, dal
canto suo, rispose al teatrino che aveva di fronte con un gesto vago e ambiguo,
preferendo non sprecare fiato. Oh sì, era vero, lui non si sarebbe
accontentato: avrebbe semplicemente ubbidito, ancora una volta.
La cosa peggiore
era che lo avrebbe fatto in maniera spontanea, non indotta da altri, poiché il
lato severo del suo carattere sembrava avere sempre e comunque la meglio sul
resto, spingendolo a mostrarsi e, in fondo, ad essere freddo e distaccato verso tutto ciò che lo circondava,
dall’esterno e dall’interno.
Avrebbe
sicuramente preso moglie secondo i voleri della famiglia, osservato ogni regola
nobiliare e cortese che la situazione richiedeva.
Lo avrebbe
fatto, lo sapeva, e con ben poche probabilità se ne sarebbe pentito. Come al
solito.
Dal capo opposto
del tavolo, il precettore battè piano le mani e mormorò: - Vi auguro buon
appetito.
- Douzo – dissero all’unisono il giovane,
Kuchiki Nobuo e sua moglie, concentrandosi sul lauto pasto e senza più parlare;
Byakuya ne fu molto sollevato.
Quando il pranzo
fu terminato si ritirò in fretta nell’ala della dimora a lui riservata, e
trascorse le rimanenti ore della giornata a leggere sulla soglia della veranda
che volgeva a sudovest, la schiena contro la parete legnosa e fresca; se non
leggeva, non pensava: semplicemente, osservava il cielo e le cime degli alberi
mutare colore e ombra col passare del tempo, finchè non vide accendersi le
prime lanterne nei giardini e nelle sale. L’aria si era fatta fresca.
Hisana, due
giorni dopo la memorabile scenata svoltasi riguardo alla notizia su
Kuchiki-sama, si recò nella zona di campagna che circondava il Venticinquesimo
Distretto e che si stendeva appena sotto le imponenti mura del Seireimon:
doveva acquistare verdure ed uova fresche da un contadino di conoscenza di
Junko-san, prima di tornare a casa. Era pomeriggio inoltrato, e la leggera
foschia che iniziava a salire in cielo preannunciava un’inaspettata notte
nebbiosa. Avrebbe dovuto sbrigarsi, altrimenti avrebbe rischiato di rimanere
bloccata fuori sino all’alba, quando la luce le avrebbe permesso di ritrovare la
strada. Ma era piacevole camminare tra l’erba morbida, e la grande muraglia a
difesa della Seireitei aveva, come sempre, catturato la sua attenzione; la
affascinava e spaventava al contempo, facendola sentire incredibilmente piccola
e sperduta, e incuriosita da quel luogo che le era negato vedere.
Il luogo da cui,
in quello stesso pomeriggio, Kuchiki Byakuya uscì a cavallo, desideroso di
respirare qualcosa di diverso dagli odori della dimora familiare o della sede
della Divisione cui apparteneva. E poi, gli capitava così di rado di cavalcare:
i destrieri erano di norma poco usati, nella Soul Society.
Frattanto, la
ragazza si era fermata a scambiare due parole con l’anziano fattore,
conversando in tono calmo sulla stranezza di quel tempo, sulle ultime indiscrezioni
trapelate dall’Accademia di Arti Spirituali e, come prevedibile, circa il
giovane nobile. E poiché parlare in quel modo era piacevole, Hisana non si
accorse tanto presto che il sole stava ormai tramontando e che la nebbia si
stava addensando piano, nascendo dal suolo e dall’erba:
- Per gli Dei! –
esclamò nel darsene avviso – Ogawaru-san, mi dispiace, devo correre a casa.
Il vecchio
annuì: - Ti ho trattenuta troppo, Hisana-chan. Sta’ attenta mentre torni.
La mora lo
ringraziò in fretta delle verdure, delle uova e dell’ospitalità, e uscì svelta
dalla piccola casa illuminata, immergendosi nel crepuscolo umido e perlaceo.
Era convinta che, camminando di buon passo, sarebbe arrivata prima che
scendesse il buio; ma la strada era più lunga di quanto ricordasse, e la bruma
era maledettamente veloce ad addensarsi, e lei finì oltre i margini del
sentiero battuto. Non si fece però prendere dal panico, nonostante la sua
apparenza fragile: venne colta soltanto da un senso di impotenza, all’idea che
probabilmente si sarebbe vista costretta a vagare per alcune ore per trovare un
aiuto o, magari, la via giusta. Il problema reale era che aveva preso a fare
freddo, e che le gocce di nebbia le pungevano addosso al pari dei ciuffi
invisibili d’erba, già bagnati. Poi, scivolandovi sopra, mise un piede in fallo
e cadde in un fosso terroso, lasciandosi sfuggire un grido: non se lo
aspettava. E doveva essersi ferita la caviglia destra, giacchè le doleva in
maniera sospetta.
Rimase pertanto
ferma, semidistesa tra le zolle di fango secco, per una manciata di lunghi
minuti, in attesa di recuperare le forze e il coraggio di rialzarsi e
riprendere il cammino. Tutt’intorno c’era un profondo silenzio, spezzato a
tratti dai primi trilli degli uccelli notturni e da vaghi rumori provenienti,
forse, da qualche casa che la nebbia nascondeva. Ma ad un tratto un suono
diverso dagli altri e ben più netto di essi le giunse alle orecchie: i colpi
sommessi degli zoccoli di un cavallo e, ad accompagnarli, quelli ancora più
lievi di passi umani. Qualcuno si stava avvicinando al punto in cui Hisana si
trovava.
Aguzzando la
vista attraverso la cortina biancastra, la giovane donna scorse una figura alta
e sottile, e una debole luce tremolante, e si azzardò a lanciare un breve
richiamo d’aiuto in quella direzione; la figura e la macchia di luce si
fermarono, come incerte sul da farsi, e infine cominciarono ad avanzare verso
di lei.
- Chi c’è là? –
domandò una voce calma e profonda. Un uomo, di certo non avanti con gli anni.
Hisana si mise in ginocchio, barcollando.
- Vi prego, non
potreste darmi una mano? – disse di rimando.
L’altro le
giunse finalmente davanti, e la ragazza potè vedere chi fosse. Ed ebbe un
bizzarro sussulto di stupore: chi aveva parlato era in effetti alto e
slanciato, avvolto in un mantello e in una lunga sciarpa di colore chiaro, un
pugno elegantemente stretto attorno alle redini di un destriero scuro e uno a
tenere alta una piccola lanterna di metallo. La guardava anch’egli con una
certa sorpresa dipinta negli occhi allungati, ciocche di capelli corvini che
gli ricadevano sul volto e sulle spalle, spiccando sul tessuto. Per un istante
Hisana credette che fosse uno spirito della nebbia. Perché era fiero, solenne,
e bello.
E Kuchiki
Byakuya si scoprì a pensare una cosa molto simile, nell’osservare quella donna
esile comparsa d’improvviso.
一番章~おわり
(fine I capitolo)
Note
dell’autrice
Sono contenta di essere riuscita a partire con questa fic su
Byakuya e Hisana, dopo un sacco di tempo che la avevo in mente!
Anche perché morivo dalla voglia di scrivere qualcosa su
Bleach, e loro sono tra i miei personaggi preferiti; la loro storia, inoltre, è
forse tra le più belle,
in mezzo alle tante “sottostorie” della serie: o sarà che
sono io a vederla così…
Comunque, dal momento che Kubo-sensei non ce l’ha mai narrata
per intero, mi sono immaginata come avrebbe potuto essere l’incontro tra
Byakuya e sua moglie,
e com’è che si sono innamorati. Magari è andata in modo del
tutto diverso, ma come possiamo saperlo?
Perciò spero che vi piacerà la mia versione dei fatti (ergo,
ditemi cosa ne pensate, pliiiiiz).
Il titolo “Mukashi, mukashi” significa, appunto, “c’era una
volta” – letteralmente “tempi lontani”: l’ho scelto perché, in fondo, la loro
storia è simile ad una fiaba,
con la ragazza del popolo e il giovane nobile che si amano a
vicenda… una fiaba della Soul Society.
Mi auguro di poterne trarne pure una doujinshi delle mie,
prima o poi – lasciatemi disegnare cose bleachooooooose!
A risentirci alla fine del secondo capitolo (vero?); grazie
per aver letto sin qui.
yours Black ~