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Autore: Blackmoody    09/04/2007    7 recensioni
C'era una volta una giovane donna del Rukongai.
C'era una volta un giovane nobile dallo sguardo freddo.
C'era una volta una fiaba dal finale triste.
Questa è la storia del loro incontro e di tutto ciò che dopo accadde.
La storia mai narrata di Byakuya e Hisana. (spoiler ~ ep. 62)
| incompiuta |
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Byakuya Kuchiki
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Blackmoody’s Fanfics Corporation presents

 

Blackmoody’s Fanfics Corporation presents

 

 

むかし,むかし

. C’era una volta .

 

 

 

 

 

O1. 一番章

.When day starts to shout out loud .

 

 

In primavera, sebbene ciò non fosse poi un grande dispiacere, le giornate nel Rukongai si somigliavano quasi tutte. In primavera, così come durante le altre stagioni dell’anno, le ore trascorrevano indolenti, senza scossoni o grandi notizie, con il solito passaggio della solita gente; poteva capitare che un acquazzone improvviso rompesse la monotonia e costringesse i contadini a lavori non previsti, oppure che una rissa di strada calamitasse l’attenzione generale, mentre si aspettavano con ansia le feste, i matrimoni, persino i funerali, e le promozioni di giovani valenti al rango di Shinigami.

Ma per il resto del tempo, niente cambiava in quei quartieri dalle vie polverose e assolate, sotto quel bel cielo immenso.

Anche Hisana, che da undici anni vi abitava, non ricordava alcun avvenimento importante né degno di menzione: lei viveva nel Venticinquesimo Distretto, uno dei più tranquilli se paragonato al Settantottesimo, la zona malfamata da cui era fuggita al più presto – pur lasciandovi qualcosa.

E pure quella mattina, esattamente come ogni altra, stava camminando con calma lungo la strada principale del quartiere, recando con sé due ceste di verdura fresca e canticchiando piano tra sé. Pareva, comunque, che ci fosse del nuovo nell’aria: diversi passanti si erano fermati a parlottare vicino ai banchi del mercato, con espressioni interessatissime dipinte in viso. Hisana se ne stupì, ma non si fermò a chiedere spiegazioni a chicchessia, dato che le due ceste iniziavano a pesarle e la rufia di cui erano fatte le grattava la pelle delle mani, cosa che le faceva desiderare unicamente di arrivare subito a casa.

Per fortuna Asami le corse incontro per aiutarla, chiamandola a gran voce: - Forza, forza, ti stai perdendo notizie incredibili! – la esortò.

Le prese una cesta e la precedette sotto la veranda ombreggiata che conduceva alla loro abitazione, i lunghi capelli rossastri che le sventolavano, sciolti, sulla schiena e il passo veloce; Hisana sorrise, affrettando il proprio. Non avrebbero potuto essere più diverse: lei mora, dai grandi occhi scuri, compunta e sensibile, fin troppo ingenua; Asami dalla testa color rame bruciato, gli occhi chiari, che parlava senza peli sulla lingua, onesta, cinica e pratica. Nessuno avrebbe scommesso mezzo yen sulla loro amicizia, eppure era stato grazie a questo che Hisana aveva trovato sopportabile la vita lì: ora dividevano una casa piuttosto grande e spoglia assieme ad altre donne e ragazze e ad una famiglia numerosa, e non c’era giorno in cui Asami mancasse di darle una mano.

- Hisana, finalmente! – la accolse la più anziana, visibilmente su di giri. Erano tutte riunite nella saletta d’ingresso, cicaleggiando senza posa.

La giovane poggiò la cesta a terra e si passò le dita sulla fronte per rinfrescarla: - Cosa succede, Junko-san?

Non fece a tempo a finire la frase che l’intera popolazione femminile presente nella sala prese a risponderle all’unisono, senza lasciar capire mezza sillaba di ciò che le stavano realmente dicendo; riuscì a cogliere soltanto un paio di parole, con molte probabilità “erede” e “matrimonio”. Infine fu la stessa Junko a zittire le altre con un richiamo esasperato e a spiegarle a modo la situazione che tanto le rendeva euforiche:

- Ci è giunta voce del ritorno dell’erede della famiglia Kuchiki, Hisana – disse in tono appena distaccato – Ha trascorso tre mesi nel mondo materiale, da quando i suoi nobili genitori sono morti, allenandosi per mantenere la posizione di Vicecapitano che gli è stata assegnata. Adesso è di nuovo qui, o meglio nella sua tenuta… e uno degli stallieri ci ha riferito che i suoi zii e il suo precettore lo stanno mettendo già alle strette.

Hisana sbattè le palpebre, perplessa: - Alle strette per fare cosa? – la interruppe. Non coglieva il motivo per cui questa storia le eccitasse così tanto.

Asami, che fino a quel momento era stata zitta, sbuffò e rispose con voce piatta: - Vogliono che prenda moglie.

- Esatto! – saltò su una delle ragazze – E siccome il suo clan è legato al nostro quartiere… potrebbe anche scegliere una di noi!

- Io non l’ho mai visto, ma dicono sia bellissimo! Ah, sarebbe un sogno! – rincarò una seconda con fare stridulo.

Di nuovo, tutte si misero a vociare in maniera indistinta, mentre Hisana tentava di esprimere il proprio vago parere e l’anziana Junko le osservava sorniona.

Non che alla giovane donna importasse molto di quella notizia: non sapeva nulla dei Kuchiki, o di quel loro fantomatico erede in cerca di una sposa, e soprattutto era più che sicura che le sue compagne si stessero entusiasmando per un pugno d’aria. Quale nobile le avrebbe mai degnate di uno sguardo?

- Per gli Dei del cielo, piantatela! – tuonò d’improvviso Asami, fronteggiando il gruppo con le mani sui fianchi – Siete assolutamente patetiche ad aspettarvi qualcosa in tal senso. Pensate forse che Kuchiki-sama si prenderà il disturbo di calcolare voi? Siamo soltanto popolane, diamine, un po’ di realismo!

Hisana la guardò stupita: era proprio ciò che avrebbe detto lei, se non fosse stato per il carattere remissivo che aveva.

Una tipa alta e robusta le si mosse incontro, bellicosa: - Se non ribatti non sei contenta, eh? Ti faccio presente che qui nel Venticinquesimo non siamo così povere! Patetiche, dici? Allora tu lo sei quanto noi, Asami! – replicò con una certa violenza, come se quell’osservazione le avesse dato un notevole fastidio.

- Non tirarmi in mezzo, non sono interessata a quel damerino – la rimbrottò la rossa – Vi ho semplicemente esposto la mia modestissima opinione. Poi, è ovvio, sono fatti vostri se deciderete di giocarvi il suo favore a colpi di figure ignobili.

Con quella frase le mise a tacere per un paio di minuti, il tempo necessario per prendere Hisana per un polso e dirigersi con lei verso l’interno della casa:

- Noi togliamo il disturbo. Con permesso…

Richiuse alle proprie spalle la porta scorrevole appena prima di udire, al di là, uno scoppio di voci arrabbiate e, se possibile, anche più stridule del normale; ma ormai lei e l’amica erano al sicuro dalle ripicche delle altre, pensò Asami mentre si accomodava a sedere sul tatami consumato della camera in cui dormiva con Hisana, annodandosi i capelli in una coda bassa. La seconda la imitò dopo un attimo di esitazione, tormentandosi il ciuffo che le ricadeva davanti agli occhi.

- Le hai fatte davvero infuriare, sai – osservò con un mezzo sorriso ammirato.

Asami scrollò le spalle: - Ne vado fiera. Mi davano troppo sui nervi con quei discorsi. O forse secondo te ho esagerato?

Hisana fece un cenno di diniego: - Assolutamente no. La penso come te sulla questione – rispose.

- E allora perché non ti sei fatta sentire pure tu?

- Perché mi avrebbero sbranata, esaltate com’erano!

- Ma dai. Ci saremmo sostenute a vicenda.

- Beh, alla fine hai parlato per tutte e due, Asami. Meglio, no?

- Sei impossibile… - commentò la rossa ridacchiando.

Nell’ingresso pareva tornata una parvenza di quiete. Si avvertivano ancora passi concitati e brandelli di frasi, però i rumori della strada avevano di nuovo preso il sopravvento: carri e cavalli che transitavano sul suolo secco – ed era facile immaginarsi la polvere che alzavano nell’aria; i richiami degli artigiani, il martellare argentino di un fabbro su chissà quale katana, le risate di un gruppo di bambini che correvano lungo la via principale.

Alla mora quella vita piaceva, così semplice e serenamente monotona. Eppure, dopo le parole delle sue coinquiline, si ritrovò a constatare per la prima volta quanto distante fosse la sua esistenza da quella di un nobile come il Kuchiki-sama tanto decantato: forse non sarebbe stato male, vivere nell’altro modo.

- Hisana.

La voce, adesso bassa e con una punta di imbarazzo, di Asami la fece quasi sobbalzare: - Cosa c’è?

L’amica mosse nervosamente lo sguardo, senza posarlo su di lei: - In realtà i motivi per cui mi sono incazzata sono due – disse.

- Sul serio? E quale sarebbe allora il secondo?

- Il fatto è che… se soltanto capitasse per davvero una simile opportunità… - iniziò a spiegare Asami, giocherellando con un pezzo di stuoia - … se veramente fosse possibile, vorrei che fossi tu la donna scelta da quel nobile, Hisana. Sei l’unica tra noi che potrebbe e dovrebbe esserlo –

L’interessata ebbe un moto di sorpresa quasi spaventato: - Non dire sciocchezze, ti prego! – protestò.

- Non è una sciocchezza! Sei bella, elegante e gentile, Hisana, e chi se ne frega se abiti qui nel Rukongai. Metti che quel damerino venga da queste parti…

- Non verrà, lo sai che stiamo parlando di un’ipotesi senza senso.

- Metti che accada l’improbabile – insistette Asami – Non avrà occhi che per te.

Hisana intrecciò le dita, fissandosi le mani in silenzio, e si alzò in piedi, per andare a sbirciare fuori dalla stretta finestra della camera da cui filtrava il sole:

- Non m’importerebbe di essere scelta. Mi piace vivere qui, credo. E comunque, nemmeno sappiamo come sia lui – mormorò.

La rossa rise piano in uno sbuffo: - Penso che non rimarresti delusa, stando a quanto raccontano.

- Saresti così felice, Asami, se mai dovessi sposarlo? – domandò la mora d’improvviso.

- Mi dispiacerebbe perderti – rispose l’altra – ma tu avresti finalmente una famiglia vera, e gli Dei, come me, sanno quanto te lo meriteresti.

E gli Dei, come me, sanno quanto te lo meriteresti.

No, lei non si meritava affatto di essere più felice di Asami, delle sue coinquiline, del resto di coloro che vivevano in quei quartieri cadenti.

Non lei, che aveva abbandonato la sola persona che potesse chiamare “famiglia”, la sola persona che le era rimasta. Sua sorella.

A volte ancora lo sognava, il momento in cui era corsa via dopo averla lasciata ai bordi di un’ennesima strada polverosa, nel Settantottesimo Distretto: gli occhi grandi che la fissavano con una certa perplessità fiduciosa, la sua fretta nel nascondere il foglio strappato con su scritto il nome della bambina tra le pieghe della coperta in cui l’aveva avvolta, e poi i suoi passi rapidi che battevano sul selciato, un nodo a stringerle la gola.

Da una parte era convinta di non aver sbagliato. Non aveva niente che potesse permetterle di sfamare entrambe, ed era di salute cagionevole; con ogni probabilità, si ripeteva, se l’avesse tenuta con sé avrebbe condotto sua sorella alla morte; così, invece, forse si era salvata.

Ma la verità era che il senso di colpa non le aveva dato più pace da allora: per questo non era affatto sicura di meritarsi nulla di buono dal mondo.

- Tanto non succederà mai una cosa simile – disse infine, tornando a rivolgersi all’amica.

Questa scrollò le spalle nel suo modo inconfondibile: - Staremo a vedere. Io sono fiduciosa, Hisana.

Lei rise: - Lo so, lo sei per entrambe!

Asami si unì alla risata e la raggiunse alla finestra, cambiando di botto argomento e cominciando a scherzare su un evento del giorno prima. Trascorsero le due ore che le separavano dal pranzo in assoluta tranquillità, ripensando appena a quella conversazione pressochè irreale.

O almeno, questo fu quello che a vicenda si lasciarono involontariamente credere.

 

 

Kuchiki Byakuya si concesse un profondo sospiro, mentre percorreva con andatura lenta i corridoi ariosi della residenza di famiglia, rimasti tali e quali a come li aveva lasciati, tre mesi addietro: erano freschi, ombreggiati, con il tatami che scricchiolava piacevolmente sotto i piedi, e odorosi di legno scuro, tanto che spesso amava sedervisi a leggere, magari presso le verande da cui entrava un po’ di vento. E avrebbe preferito fermarsi lì anche adesso, piuttosto che recarsi a pranzo nella sala centrale, dove lo attendevano il fratello del suo defunto padre, sua moglie e l’anziano precettore che lo seguiva da anni. Sapeva bene di cosa gli avrebbero, di nuovo, parlato, e ciò non lo entusiasmava affatto. Non che lui si entusiasmasse mai, a dire il vero: ma quella faccenda del matrimonio era proprio difficile da digerire. Era appena tornato, era pure salito al rango di Vicecapitano della Sesta Divisione, e aveva solo venticinque anni. C’era davvero una tale fretta di farlo ammogliare? si chiedeva. Naturalmente non avrebbe pronunciato parola riguardo a queste sue riserve. Era così abituato a dare la priorità all’obbedienza e all’onore e alla lealtà assoluta verso chi considerava suo “superiore”, che per lui era normale trattenersi dal controbattere per sé stesso. Perciò, anche questa volta avrebbe inghiottito il boccone amaro e avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco.

- Ti stavamo aspettando, Byakuya – lo accolse l’uomo più attempato, i folti baffi canuti che tremavano ad ogni parola.

- Yumiyoshi-san. Nobili zii. Vi domando scusa.

Il giovane sedette al basso tavolo di legno dorato, senza permettere al proprio bel viso di tradire il minimo senso di fastidio: non sopportava di avere puntati contro gli occhi indagatori e austeri dell’uomo e della donna che, pur essendo suoi ospiti, si comportavano come se avessero preso il posto dei suoi genitori.

- Byakuya, nipote – lo interpellò subito Kuchiki Nobuo – Ho qualcosa da comunicarti prima di iniziare il pasto.

Lui chinò la testa in segno di accordo, e l’altro riprese: - Abbiamo già discusso delle nozze cui è opportuno tu provveda presto. Ora, sappi che nei giorni a venire avremo modo di presentarti le eredi di alcune delle migliori famiglie della Seireitei. La riteniamo un’ottima occasione perché tu possa scegliere una degna sposa, e ricorda, nipote, che questo è ciò che anche mio fratello e tua madre avrebbero desiderato.

- Non lo metto in dubbio – commentò Byakuya a mezza voce. Fuori da quella stanza si avvertiva una tale pace, gli venne da pensare.

Suo zio si mosse inquieto sul cuscino di seta sul quale sedeva e si schiarì la gola: - L’intero casato è fiero di te, nipote. Ecco il motivo per cui nessuno sarebbe contento di un tuo matrimonio di poca rilevanza. Lo capisci, immagino, e credo che nemmeno tu ti accontenterai con facilità – concluse sorridendo.

Sua moglie, piegando il collo sottile, approvò in silenzio quelle parole, mentre l’anziano Yumiyoshi scoccò un’occhiata quasi rassegnata al giovane, giocherellando come in imbarazzo con le bacchette poggiate accanto alla coppa di riso; Byakuya, dal canto suo, rispose al teatrino che aveva di fronte con un gesto vago e ambiguo, preferendo non sprecare fiato. Oh sì, era vero, lui non si sarebbe accontentato: avrebbe semplicemente ubbidito, ancora una volta.

La cosa peggiore era che lo avrebbe fatto in maniera spontanea, non indotta da altri, poiché il lato severo del suo carattere sembrava avere sempre e comunque la meglio sul resto, spingendolo a mostrarsi e, in fondo, ad essere freddo e distaccato verso tutto ciò che lo circondava, dall’esterno e dall’interno.

Avrebbe sicuramente preso moglie secondo i voleri della famiglia, osservato ogni regola nobiliare e cortese che la situazione richiedeva.

Lo avrebbe fatto, lo sapeva, e con ben poche probabilità se ne sarebbe pentito. Come al solito.

Dal capo opposto del tavolo, il precettore battè piano le mani e mormorò: - Vi auguro buon appetito.

- Douzo – dissero all’unisono il giovane, Kuchiki Nobuo e sua moglie, concentrandosi sul lauto pasto e senza più parlare; Byakuya ne fu molto sollevato.

Quando il pranzo fu terminato si ritirò in fretta nell’ala della dimora a lui riservata, e trascorse le rimanenti ore della giornata a leggere sulla soglia della veranda che volgeva a sudovest, la schiena contro la parete legnosa e fresca; se non leggeva, non pensava: semplicemente, osservava il cielo e le cime degli alberi mutare colore e ombra col passare del tempo, finchè non vide accendersi le prime lanterne nei giardini e nelle sale. L’aria si era fatta fresca.

 

 

Hisana, due giorni dopo la memorabile scenata svoltasi riguardo alla notizia su Kuchiki-sama, si recò nella zona di campagna che circondava il Venticinquesimo Distretto e che si stendeva appena sotto le imponenti mura del Seireimon: doveva acquistare verdure ed uova fresche da un contadino di conoscenza di Junko-san, prima di tornare a casa. Era pomeriggio inoltrato, e la leggera foschia che iniziava a salire in cielo preannunciava un’inaspettata notte nebbiosa. Avrebbe dovuto sbrigarsi, altrimenti avrebbe rischiato di rimanere bloccata fuori sino all’alba, quando la luce le avrebbe permesso di ritrovare la strada. Ma era piacevole camminare tra l’erba morbida, e la grande muraglia a difesa della Seireitei aveva, come sempre, catturato la sua attenzione; la affascinava e spaventava al contempo, facendola sentire incredibilmente piccola e sperduta, e incuriosita da quel luogo che le era negato vedere.

Il luogo da cui, in quello stesso pomeriggio, Kuchiki Byakuya uscì a cavallo, desideroso di respirare qualcosa di diverso dagli odori della dimora familiare o della sede della Divisione cui apparteneva. E poi, gli capitava così di rado di cavalcare: i destrieri erano di norma poco usati, nella Soul Society.

Frattanto, la ragazza si era fermata a scambiare due parole con l’anziano fattore, conversando in tono calmo sulla stranezza di quel tempo, sulle ultime indiscrezioni trapelate dall’Accademia di Arti Spirituali e, come prevedibile, circa il giovane nobile. E poiché parlare in quel modo era piacevole, Hisana non si accorse tanto presto che il sole stava ormai tramontando e che la nebbia si stava addensando piano, nascendo dal suolo e dall’erba:

- Per gli Dei! – esclamò nel darsene avviso – Ogawaru-san, mi dispiace, devo correre a casa.

Il vecchio annuì: - Ti ho trattenuta troppo, Hisana-chan. Sta’ attenta mentre torni.

La mora lo ringraziò in fretta delle verdure, delle uova e dell’ospitalità, e uscì svelta dalla piccola casa illuminata, immergendosi nel crepuscolo umido e perlaceo. Era convinta che, camminando di buon passo, sarebbe arrivata prima che scendesse il buio; ma la strada era più lunga di quanto ricordasse, e la bruma era maledettamente veloce ad addensarsi, e lei finì oltre i margini del sentiero battuto. Non si fece però prendere dal panico, nonostante la sua apparenza fragile: venne colta soltanto da un senso di impotenza, all’idea che probabilmente si sarebbe vista costretta a vagare per alcune ore per trovare un aiuto o, magari, la via giusta. Il problema reale era che aveva preso a fare freddo, e che le gocce di nebbia le pungevano addosso al pari dei ciuffi invisibili d’erba, già bagnati. Poi, scivolandovi sopra, mise un piede in fallo e cadde in un fosso terroso, lasciandosi sfuggire un grido: non se lo aspettava. E doveva essersi ferita la caviglia destra, giacchè le doleva in maniera sospetta.

Rimase pertanto ferma, semidistesa tra le zolle di fango secco, per una manciata di lunghi minuti, in attesa di recuperare le forze e il coraggio di rialzarsi e riprendere il cammino. Tutt’intorno c’era un profondo silenzio, spezzato a tratti dai primi trilli degli uccelli notturni e da vaghi rumori provenienti, forse, da qualche casa che la nebbia nascondeva. Ma ad un tratto un suono diverso dagli altri e ben più netto di essi le giunse alle orecchie: i colpi sommessi degli zoccoli di un cavallo e, ad accompagnarli, quelli ancora più lievi di passi umani. Qualcuno si stava avvicinando al punto in cui Hisana si trovava.

Aguzzando la vista attraverso la cortina biancastra, la giovane donna scorse una figura alta e sottile, e una debole luce tremolante, e si azzardò a lanciare un breve richiamo d’aiuto in quella direzione; la figura e la macchia di luce si fermarono, come incerte sul da farsi, e infine cominciarono ad avanzare verso di lei.

- Chi c’è là? – domandò una voce calma e profonda. Un uomo, di certo non avanti con gli anni. Hisana si mise in ginocchio, barcollando.

- Vi prego, non potreste darmi una mano? – disse di rimando.

L’altro le giunse finalmente davanti, e la ragazza potè vedere chi fosse. Ed ebbe un bizzarro sussulto di stupore: chi aveva parlato era in effetti alto e slanciato, avvolto in un mantello e in una lunga sciarpa di colore chiaro, un pugno elegantemente stretto attorno alle redini di un destriero scuro e uno a tenere alta una piccola lanterna di metallo. La guardava anch’egli con una certa sorpresa dipinta negli occhi allungati, ciocche di capelli corvini che gli ricadevano sul volto e sulle spalle, spiccando sul tessuto. Per un istante Hisana credette che fosse uno spirito della nebbia. Perché era fiero, solenne, e bello.

E Kuchiki Byakuya si scoprì a pensare una cosa molto simile, nell’osservare quella donna esile comparsa d’improvviso.

 

 

 

 

一番章~おわり

(fine I capitolo)

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

Sono contenta di essere riuscita a partire con questa fic su Byakuya e Hisana, dopo un sacco di tempo che la avevo in mente!

Anche perché morivo dalla voglia di scrivere qualcosa su Bleach, e loro sono tra i miei personaggi preferiti; la loro storia, inoltre, è forse tra le più belle,

in mezzo alle tante “sottostorie” della serie: o sarà che sono io a vederla così…

Comunque, dal momento che Kubo-sensei non ce l’ha mai narrata per intero, mi sono immaginata come avrebbe potuto essere l’incontro tra Byakuya e sua moglie,

e com’è che si sono innamorati. Magari è andata in modo del tutto diverso, ma come possiamo saperlo?

Perciò spero che vi piacerà la mia versione dei fatti (ergo, ditemi cosa ne pensate, pliiiiiz).

Il titolo “Mukashi, mukashi” significa, appunto, “c’era una volta” – letteralmente “tempi lontani”: l’ho scelto perché, in fondo, la loro storia è simile ad una fiaba,

con la ragazza del popolo e il giovane nobile che si amano a vicenda… una fiaba della Soul Society.

Mi auguro di poterne trarne pure una doujinshi delle mie, prima o poi – lasciatemi disegnare cose bleachooooooose!

A risentirci alla fine del secondo capitolo (vero?); grazie per aver letto sin qui.

yours Black ~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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