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Autore: Hika86    25/09/2012    0 recensioni
[50/50 capitoli COMPLETA][0/5 capitoli extra IN CORSO] Un filo ci lega alla persona cui siamo destinati: non importa il tempo che dovrà passare o le distanze che ci separano. Ma se questa persona fosse proprio davanti a noi e non riuscissimo a riconoscerla? Se la considerassimo antipatica tanto da non degnarla neanche di uno sguardo? E se l'avessimo trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? E ancora, cosa dice che non l'abbiamo già persa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si svegliò e cominciò la mattinata come ogni giorno, ma non potè fare a meno di girarsi a guardare la porta d'ingresso ogni tanto, per vedere se la maniglia si abbassava o se si stava per aprire in silenzio. Quando accade lei era in bagno a lavarsi i denti e non appena senti chiudersi l'uscio si sciacquò la bocca e corse all'ingresso. Ying si stava togliendo le scarpe dopo aver sollevato il trolley sul gradino di casa. «Ti sei ripresa vedo» le disse la cinese con un sorriso, quando la vedi comparire in corridoio
«Ying» sussurrò Erina prima di raggiungerla e passarle le braccia attorno al collo e stringerla forte
«Cos'è successo?» domandò quella allarmata e l'unica risposta che ebbe fu un cenno del capo da parte della coinquilina, segno che non c'era nulla che non andasse. «Cos'hai? Ti sono mancata?» ridacchiò allora. «Guarda che non ci credo nemmeno un po', avevi una compagnia cento volte meglio»
«Perchè te ne sei andata?» chiese la rossa senza lasciarla andare
«Per lavoro» rispose subito
«Non mentirmi» la ammonì Erina. «So che non è vero. La cartella dei progetti era sotto il giornale sulla scrivania e tu non partiresti senza. Voglio sapere perchè» insistette. Ying salì il gradino si casa e le passò le braccia intorno ai fianchi, abbracciandola stretta. Era la seconda volta in pochi giorni che la cinese si comportava a quel modo: solitamente non avevano molti contatti fisici nonostante fossero amiche ormai di vecchia data. "Cos'è successo?" si domandava "In questi giorni l'ho sentita tremare di rabbia e ha pianto anche se non ha voluto condividere con me le sue lacrime. Ora questo. Se le fosse capitato qualcosa ed io, presa dai miei problemi, non me fossi accorta? Non potrei perdonarmi per un atteggiamento tanto egoista".
«Perchè ti voglio bene, Eri» fu la risposta che Ying infine le diede «E perchè non sopporto di vederti triste. Tu dovresti sorridere sempre sai? Se tu sei felice allora lo sono anche io, Eri. Se ti sento ridere, viene da ridere anche a me, se ti sforzi e metti tutta te stessa in qualcosa, sento di voler fare lo stesso e allora comincio a fare del mio meglio»
«Sembra tanto un discorso da fidanzatini» ridacchiò allora Erina. Era un discorso dolce, come dolce fu il gesto con cui la coinquilina sciolse il loro abbraccio per prenderle il viso tra le mani. «Sei felice?» le domandò guardandola negli occhi a breve distanza
«Sì, ma sono preoccupata per te» le rispose arricciando il labbro. «Adesso andrai via di nuovo?». Le poche volte in cui aveva cominciato a vedere qualche ragazzo Ying si era sempre allontanata nelle prime settimane. Non era discrezione, non voleva lasciarle casa libera, era proprio insofferenza. Erina era abituata ormai alla gelosia che la sua amica provava per lei, ma sperava che quella volta non se ne fosse andata. Anche quello però era un desiderio egoista.
«Non ce n'è bisogno. Non sarà un fidanzato che si farà vedere spesso, e suppongo che il più delle volte vi incontrerete altrove data la vita che fa» le rispose Ying scuotendo il capo. «E poi ho accettato l'offerta dell'ufficio»
«Hai deciso di farti assumere definitivamente? E' la prima volta, pensavo avresti cambiato ancora»
«Non posso continuare ad essere indecisa. Ora dovrò impegnarmi seriamente e quindi casa mia mi serve, non te la lascerò» le disse per poi schiacciarle le guance tra le mani per farle fare una smorfia
«Auuuh» boffonchiò Erina
«Sù, preparati o farai tardi al lavoro» sospirò infine la cinese lasciandole andare il viso e girandosi subito a recuperare la valigia.
Evidentemente non c'era nulla che non andasse, si era solo allontanata per darle una possibilità di chiarirsi con Sho e aveva pensato di accampare una scusa per non far sentire Erina in colpa. Insomma tutto sembrava tornato normale e se ne convinse quando si affacciò un ultima volta alla cucina per salutare la coinquilina e poi andare ad infilarsi le scarpe ed uscire. Poi però la cinese le fece una domanda. «Se non vedessi Sakurai san da tanti giorni e io ti chiamassi perchè ho bisogno di te, cosa faresti?». Erina girò la testa verso la cucina, ma dall'ingresso non poteva vedere il tavolo a cui l'amica era seduta. Sbattè le palpebre, confusa. «Verrei da te» le rispose mettendo la mano sulla maniglia. Era la risposta che avrebbe sempre dato se quella domanda le fosse stata fatta ogni volta che si era innamorata di qualcuno, eppure quella volta, prima di aprire la porta, sentì che c'era anche un'altra verità. «Però penso che cercherei di vedere anche Sho kun. Per pochi minuti, facendo venire lui... ma non rinuncerei»
«Ho capito» rispose la cinese. «Buona giornata»
«Io vado!» esclamò uscendo finalmente di casa.

Aveva indossato un completo giacca e pantalone quel giorno. Nel pomeriggio avrebbe avuto a che fare con uno dei clienti più affezionati della compagnia, ma anche uno dei più tosti. A lei non era mai piaciuto, era sicuramente una persona onesta., ma con lui più ci si mostrava femminili e carine, più era probabile non si venisse nemmeno considerate. Quella di certo non era una buona giornata per farsi maltrattare: era lunedì ed era appena tornata al lavoro dopo essersi ripresa miracolosamente dalla febbre che l'aveva soggiogata per alcuni giorni.
Ad un certo punto, in quella mattinata, invece di mandare la stagista a fare le fotocopie ci andò di persona e se la prese comoda, lanciando occhiate a destra e a sinistra, per controllare chi passasse nel corridoio. Infine, intorno alle 10, vide un po' di gente avvicinarsi allo stanzino dove tenevano i bollitori e le tazze, quindi lasciò che la macchina facesse il suo lavoro e si avvicinò anche lei. «Fujimiya san?» disse comparendo sulla soglia, senza perdere tempo
«Erina san, buongiorno» sorrise lui dolcemente «Ti sei ripresa vedo. Come stai?»
«Meglio grazie. Hai un momento?» domandò guardando le colleghe e i colleghi con lui, avevano smesso di chiacchierare da quando era comparsa
«Certamente, mi scusate?» fece inchinandosi leggermente e seguendo Erina in corridoio.
La rossa tornò nella stanza delle fotocopie. «Ti spiace se parliamo mentre finisco questo lavoro?»
«Tranquilla, è bello vedere che sei appena tornata e ti dai subito da fare» scosse il capo lui appoggiandosi poi ad un tavolo poco lontano. Erina chiuse la porta e respirò profondamente. "Bene, senza pensarci. Uno, due, tre...". «Non ci sarà più nulla tra di noi» gli disse velocemente. Fujimiya la guardò sorpreso. «Dovevo dirlo, mi spiace» si giustificò Erina «Però ora lascia che mi spieghi»
«Sono un po' confuso effettivamente» ammise l'uomo arrossendo gradualmente
«Fujimiya san, mi piacevi molto. Ho sempre pensato tu avessi un debole per me e nei tuoi confronti ho avuto un atteggiamento tale che speravo ti facesse capire che anche io ero interessata. Non l'ho fatto per prenderti in giro, ma perchè provavo sul serio qualcosa per te» spiegò facendo fotocopiare un altro gruppo di fogli nel frattempo «Ma ora la situazione è diversa da prima e se io ho interpretato correttamente i tuoi gesti è giusto che io ti dica perchè il mio comportamento non sarà più lo stesso. Cambiare radicalmente il mio modo di fare con te, senza dire nulla, potrebbe essere molto scortese e ti rispetto troppo per cominciare semplicemente ad ignorarti» concluse tornando a girarsi verso di lui. Avrebbe preferito continuare ad osservare la luce della macchina che catturava l'immagine die fogli da copiare, perchè aveva paura di sapere con che occhi l'uomo la stesse guardando, ma l'unico modo per fugare ogni dubbio e provare la sua sincerità era parlargli guardandolo in faccia.
«Va bene» annuì lui «Immaginavo che prima o poi avremmo fatto questo discorso, quindi non sono del tutto sorpreso. E' Sakurai san, giusto?»
«Non c'entra lui. Il punto è che mentre siamo stati lontani mi è piaciuta un'altra persona e ho seriamente sperato che mi ricambiasse. A quel punto non sarei tornata a farmi corteggiare da te in nessun caso, nemmeno se non avesse ricambiato» si spiegò, pur provando un po' di vergogna perchè quello era l'atteggiamento che invece aveva avuto prima di conoscere i sentimenti di Sho con certezza.
«La macchina ha finito» le fece notare lui
«Ah, è vero. Grazie» rispose Erina piegandosi a raccogliere le fotocopie fatte e spegnendo l'apparecchiatura. Anche se ormai aveva detto ciò che doveva dire continuava ad essere tesa e ora non sapeva nemmeno cos'altro aggiungere, quindi rimase in piedi a pareggiare i fogli tra di loro per perdere tempo.
«Erina san» la richiamò Fujimiya
«Sì?» fece sbirciando nella sua direzione
«Ti ringrazio per la tua sincerità, ora potesti lasciarmi un po' da solo?» le chiese guardando fuori dalle finestre della stanza. La ragazza si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo. Sapeva che sarebbe stato difficile, le era difficile dire di no a qualcuno o accettare di dover far soffrire qualcuno, ma non aveva idea di come potesse fare per alleviare quel dolore. «Per favore» insistette lui. A quelle parole Erina si inchinò ed uscì dalla stanza lasciandolo solo.
Non c'era nulla che potesse fare, era qualcosa che avrebbe dovuto affrontare da solo.

Kokoro osservava estasiata l'uomo che gironzolava per il negozio osservando ogni angolo o passando la mano su ogni ripiano in legno. «Sul serio hai ideato tu questa presentazione?» domandò questi guardando i dolci esposti nella vetrinetta del bancone
«Alcuni sì, altri sono frutto della fantasia della maestra e ho voluto tenerli così. Non voglio cancellare il suo lavoro e poi li ho sempre trovati belli» rispose Kokoro indicando i dolci in questione
«Doveva essere una grande donna» annuì Shimizu sensei osservandoli
«Le devo molto, è vero» annuì la ragazza con un sorriso sulle labbra. Aveva cominciato a poter parlare della maestra con più serenità solo recentemente, pian piano il suo animo superava la perdita e Kokoro riusciva a pensare al futuro con sempre minor angoscia.
«Cosa ne dice?» domandò accorgendosi che Shimizu sensei era rimasto in silenzio per qualche minuto
«Sei veramente brava. Sì vede che qui lavoravano due donne, ogni cosa ha un tocco molto femminile» le rispose annuendo
«Pensa che dovrei farli più... maschili?» domandò ansiosa e lui scoppiò a ridere
«Non siamo più a scuola Hanayaka san» le disse «Capisco che essendo stato tuo insegnante, ed essendo più anziano, continui a provare un po' di deferenza, ma preferirei che pian piano cercassi di considerarci alla pari. Ti riesce difficile?»
«Non saprei...» sospirò la ragazza intrecciando le dita delle mani in grembo, rimanendo in piedi dietro il bancone
«Allora prova a pensare che io ho più esperienza, è vero, ma tu sei anche il mio datore di lavoro: il negozio è tuo, non mio, io lavoro per te. Questo dovrebbe pareggiare i conti»
«E' vero, ma infondo io le sto chiedendo disperatamente una mano, mi sta quasi facendo un favore. Se non faccio qualcosa questo posto dovrà chiudere presto o tardi» spiegò abbassando lo sguardo. L'uomo raddrizzò la schiena e sospirò profondamente. «Sei proprio cocciuta Hanayaka san» le disse guardandola in faccia con un'occhiata triste. «Mi accompagni fuori così fumo una sigaretta?»
«Certo, ne approfitto per farle vedere il giardino sul retro» annuì Kokoro e gli fece cenno di seguirla.
Attraversarono la cucina e si fermarono sui gradini di pietra lasciando aperta la porta così da poter sentire se qualcuno entrava in negozio. Quel giorno il tempo era variabile e leggermente più fresco. Ormai l'autunno era cominciato, anche se da poco, e il salice del giardino non sembrava voler ancora abbandonarsi alla nuova stagione: le sue foglie insistevano a mostrare un verde brillante.
Mentre attendeva che Shimizu sensei si decidesse a dire qualcosa, la ragazza osservò il tavolo e le sedie in ferro battuto dipinte di bianco e ingombre di fogli cadute. Là, in primavera, aveva invitato Masaki a mangiare del gelato. Non era passato molto tempo, ma quando pensava a quante cose erano successe le era difficile pensare che si erano conosciuti solo in Marzo di quello stesso anno.
«Te l'ho detto l'altro giorno» disse Shimizu sensei dopo essersi acceso la sigaretta e aver dato i primi tiri. «Mi hanno licenziato e io non so cosa devo fare. Non scherzavo l'altro giorno quando ti ho raccontato della mia situazione: cosa dovrei fare ora? A chi mi devo rivolgere? Per quanto io sia una persona con esperienza nel campo, trovare lavoro non mi sembra così facile, ormai ho una certa età e poi c'è crisi. Improvvisamente...» l'uomo fece una pausa e si rigirò la sigaretta tra le dita, osservandone la punta bruciata. «Mi sento impotente. Sconfitto» ammise infine.
Kokoro guardò la ghiaia ai piedi dei gradini e non disse nulla: sapeva cosa significava essere presi dallo sconforto e dalla depressione quando improvvisamente sembrava crearsi terra bruciata intorno a sè.
«Però mi stai dando una speranza. Chiaramente puoi licenziarmi quando vuoi, non ti sto dicendo questo perchè tu ti senta in colpa e mi tenga qui per sempre»
«Non ho pensato a niente del genere!» esclamò subito Kokoro
«Lo so. Quello che intendo dire è che voglio che tu sappia queste cose per capire che anche io mi sento in obbligo nei tuoi confronti. Non sono solo io che vengo ad aiutarti a non far fallire questo negozio, ma anche tu stai aiutando me a non fallire come uomo» le spiegò infine, spegnendo la sigaretta sotto la suola. «Maestro e allieva. Una ragazza in difficoltà e un uomo che la aiuta. Un uomo che sembra essere arrivato al capolinea e una ragazza che gli propone un nuovo inizio» elencò parlando piano. «E' un rapporto intricato quello che si sta formando tra noi. Capisco che sia difficile capire come comportarsi, ma quel che penso è: la situazione è già difficile per entrambi, dobbiamo complicarla ancora di più mettendoci a pensare chi sia più debitore all'altro?»
«Ha ragione» annuì Kokoro sollevando le spalle
«Lasciamo che sia un rapporto alla pari e che uno di noi sia il capo nel campo che gli compete: sono disposto ad insegnarti ancora e a darti una mano, così come tu sei disposta a pagarmi per il mio lavoro e a darmi di che vivere»
«D'accordo, potrei metterci un po' ad abituarmi. Avrà ancora pazienza con me?» chiese la ragazza annuendo e sorridendo all'uomo al suo fianco
«Lo farò» rispose quello.
Kokoro sorrise e si rimise in piedi per rientrare in cucina, aveva dei pacchetti da finire prima che cominciasse il pomeriggio. «Shimizu sensei» pronunciò con un filo di voce, tirando fuori i fogli di carta per le confezioni
«Anche "Shimizu san" va bene, altrimenti confonderai i clienti»
«Potrebbe esserci un altro grave problema a cui lei non può rimediare» ammise
«E' il campanello quello che sento?» chiese lui girandosi verso il negozio
«E' permesso?» chiese una voce in quella direzione subito dopo
«Arrivo» rispose. «Può continuare lei, torno subito» disse all'uomo, prima di affrettarsi a passare nel negozio, dietro il bancone. Guardando verso l'entrata non potè fare a meno di sorprendersi. «Eri chan!?» esclamò sgranando gli occhi.

Non vedeva l'amica da parecchio tempo e ora, senza alcun preavviso, spuntava nel negozio, sorridente come non mai. «Che ci fai qui a quest'ora?» le domandò Kokoro notando che era ora di pranzo
«Sono in macchina» rispose la ragazza indicando la vettura parcheggiata a lato della strada, davanti alla pasticceria. «Non ho tanto tempo in pausa pranzo, ma volevo venire a trovarti» disse poi con un sorriso raggiante
«E ti sei fatta tutto il viaggio fino a Chiba solo per vedermi?» chiese sbalordita
«E' tanto che non ci vediamo» spiegò la rossa facendosi scura in viso. «Non volevo parlare di nuovo al cellulare e non volevo aspettare il week end per chiederti di uscire e vederci. Ho sbagliato?»
«No, no. Non volevo dire quello, scusa» scosse il capo la ragazza. «Mi fa piacere vederti, sono solo preoccupata. Ti sei appena ripresa dall'influenza e in quel poco tempo di pausa che hai, ti fai tutto il viaggio fin qui»
«Non stare a pensarci: se voglio vedere un'amica lo faccio. Su vieni qui» la incitò la rossa, tornando a sorridere e facendole segno di uscire da dietro il bancone
«Spero che almeno tu non abbia rischiato un incidente lungo la via» le disse sorridendo divertita. Quando la raggiunse, l'amica la strinse in un abbraccio inaspettato e Kokoro rimase sorpresa da quel gesto. «E' successo qualcosa?» domandò con un filo di voce, improvvisamente spaventata
«No, mi sei mancata» rispose Erina senza sciogliere il suo abbraccio
«Anche tu» ridacchiò ricambiando quella stretta. «Ti offro un tè, lo vuoi? Ti presento anche una persona...»
«Non sei sola?» domandò la ragazza sciogliendo l'abbraccio e guardandola in viso, con improvvisa urgenza
«No, ho trovato qualcuno che mi aiuterà a mandare avanti il negozio e...»
«Allora devo dirti una cosa prima» annunciò.
Kokoro si sporse in cucina chiedendo a Shimizu sensei di occuparsi delle confezioni per lei, mentre era occupata, quindi chiuse la porta e andò ad aprire quella che portava alla sala di tatami, in cui la maestra serviva il te e i dolci ai clienti che venivano lì a rilassarsi. Era dalla sua morte che non apriva gli shoji della sala dal te e dentro c'era il buon odore di paglia secca e trattata della pavimentazione. Trovandosi a mezzo metro da terra, le due ragazze si sedettero sul gradino ai piedi del quale i clienti lasciavano le scarpe e lì, una a fianco dell'altra, si raccontarono tutto ciò che era successo in quei giorni.
Kokoro raccontò della pace trovata con Masaki e della distensione che finalmente sentiva ne loro rapporto. Le accennò solamente al fatto che avevano "fatto la pace e passato una bella serata", perchè si vergognava troppo per raccontarle di aver speso una notte intera nel letto di Aiba.
Dal canto suo Erina le raccontò della "trappola" di Ying e del weekend con Sho in casa. Le rivelò delle loro discussioni e di aver fatto così chiarezza nei sentimenti l'uno dell'altra. Con amarezza le raccontò della discussione avuta quella stessa mattina con il suo collega e del dolore che provava sapendo di averlo ferito. Kokoro potea capirla, perchè le era successa la stessa cosa con Makoto, mesi prima: non avrebbe saputo dire se un ragazzino rifiutato dalla ragazza per uci aveva preso una cotta soffrisse più o meno di un uomo rifiutato dalla donna che voleva sposare, ma di certo non era piacevole in nessun caso e per nessuna delle due parti.
Dopo tante tribolazioni, però, sembravano essere arrivate entrambe alla fine di un cammino difficile. Sentiva come se nei loro cuori si fosse creata una limpidezza perfetta che avrebbe loro permesso di affrontare le nuove sfide che quelle relazioni comportavano. Kokoro aveva conosciuto Erina per puro caso, grazie a Masaki, e a sorpresa aveva ritrovato in lei un'amica con cui condividere qualcosa di unico. Se pensava che in un primo momento l'aveva quasi odiata le veniva da ridere! Ma alla fine, dopo tanti sforzi, erano arrivate insieme a quel punto ed era sicura che si sarebbero sostenute a vicenda.
Essendo riuscita a costruire il rapporto che desiderava con l'uomo di cui era innamorata, avendo conquistato una nuova, preziosissima amica, e con Shimizu sensei che l'avrebbe aiutata a portare avanti il negozio evitando, forse, la bancarotta, Kokoro avrebbe dovuto sentirsi felice, ed in parte lo era, ma c'era ancora un problema da risolvere. «Eri chan, non vorrei annoiarti con una simile questione, ma non so a chi raccontarlo per avere un consiglio» esordì rivolgendosi all'amica con uno sguardo serio
«Di che si tratta?» domandò la rossa
«Buongiorno» dei clienti entrarono in quel momento e Kokoro sembrò perdere nuovamente la possibilità di confidare a qualcuno il suo problema.
Si alzò dal gradino, per servire chi era appena entrato, ma quando spostò lo sguardo sull'entrata rimase nuovamente sorpresa. «Scusa l'intrusione» disse Jun, in piedi sulla soglia
«Matsumoto san?» domandò incredula.
Il ragazzo non era da solo, cui lui c'era una donna dall'aria familiare che si inchinò educatamente. «E' passato un po' di tempo da quando ci siamo viste. Buongiorno» saluto. Le era familiare, ma non riusciva assolutamente a ricordare chi fosse. «Stavo per fare del tè, lo volete anche voi?» cercò di tergiversare
«Ahn san, Matsumoto san, come mai da queste parti?» domandò Erina, stupita quanto Kokoro
«Erina san? Potemmo chiedere lo stesso a te. Non lavori?» chiese Jun educatamente
«Sono in pausa» rispose la rossa
«Comunque siamo passatim perchè Ahn san voleva parlare con Hanayaka san» spiegò il ragazzo. A quel punto tutti guardarono le coreana e Kokoro riuscì finalmente a ricordarsi di lei: l'aveva vista la prima volta al rinfresco per il Kokuritsu e poi l'aveva conosciuta proprio lì, a Chiba, per puro caso. In quell'occasione era stata particolarmente minacciosa e lei si era sentita a disagio. Ricordando quell'episodio si sentì improvvisamente messa alle strette.
«Ti ricordi di me? Quando ci siamo conosciute eri la ragazza di Aiba chan, lo sei ancora vero?» domandò allora la straniera. In risposta Kokoro riuscì solo ad annuire. "Cosa può volere? Già all'epoca mi aveva redarguita, non voglio subire altre ramanzine proprio ora che tutto va per il meglio tra me e Masaki" riflettè stringendosi nelle spalle.
L'idea che tutto quello stesse succedendo con Shimizu sensei in cucina non le andava a genio. Non le sembrava il caso che scoprisse già che lei era la fidanzata di un personaggio famoso e che qualche membro degli Arashi passava di lì ogni tanto: doveva affrontare con lui quel discorso, ma con calma, non voleva scoprisse tutto per puro caso, sentendo la discussioni dalla cucina. «Sei venuta per parlarmi, ma forse non è il momento, nè il luogo più adatto» suggerì
«Non ho molto tempo libero a mia disposizione» si giustificò la ballerina e tanto bastò per farla sentire in colpa. Avrebbe voluto farla desistere, rimandando così a più tardi qualsiasi discorso volesse farle, ma così sembrava quasi la volesse cacciare dal negozio dopo che aveva fatto tutta la strada fin lì. Eppure non poteva lasciare che un qualsiasi discorso riguardante Masaki avvenisse lì, in quel momento. Anche Matsumoto doveva sparire dal nagozio.
In quel momento partì la suoneria di un cellulare. Kokoro vide Erina diventare bordeux e Jun trattenere una risata divertita: probabilmente la musica che aveva sentito era un pezzo degli Arashi. «Scusatemi» farfugliò la rossa uscendo dal negozio per rispondere. Approfittando di quell'attimo di distrazione, la pasticciera tornò dietro la bancone: stare lì le dava più sicurezza.
«In realtà stavo dando le indicazioni al nuovo impiegato del negozio e l'ho lasciato di là a lavorare prima che arrivasse Erina chan. Per questo non credo sia il momento adatto»
«Un nuovo impiegato?» domandò la coreana. «E Aiba chan lo sa?»
«Certamente» rispose Kokoro un po' risentita. Non doveva giustificare con lei ciò che diceva o non diceva a Masaki. «Prima di fare la proposta d'assunzione l'ho consultato» aggiunse prima di sobbalzare quando la campanella d'entrata suonò con violenza. Se si spaventava per così poco doveva essere proprio sulle spine.
Erina era rientrata in fretta ed era sbiancata in viso. «Eri chan, che succede?» domandò Kokoro sorpresa a rivederla in quello stato
«Tomomi» disse guardandola con gli occhi spalancati. Continuava a tenere in mano il cellulare aperto e la mano a mezz'aria, ma la telefonata doveva essere finita da un pezzo.
«Chi?» domandò Kokoro, spaesata
«E' una sua compagna di squadra» spiegò Jun. «E' successo qualcosa?»
«Era la nostra allenatrice al telefono. Tomomi è all'ospedale» spiegò allora Erina, girandosi proprio verso il ragazzo. Doveva essere l'unico lì dentro a conoscere quella ragazza.
«Ci lavora, Erina san, quindi è normale. O vuoi dire che sta male?» insistette Jun
«Ha detto che la stanno operando. Lavorava al pronto soccorso ed è stata aggredita, credo. Non ho capito bene» spiegò scuotendo il capo. «Devo andare da lei»
«Ma non devi tornare al lavoro?» chiese Kokoro guardando l'orologio
«Sì, è vero. Non posso assentarmi dopo che ho fatto dei giorni d'assenza» ammise infatti l'amica. «Ma come faccio? Tomomi non ha più i genitori e della sorella non so niente. Il contatto per i casi di emergenza è la nostra allenatrice, che però non può andare in ospedale ora perchè non è in città»
«Andiamo noi, tu la conosci no?» propose la coreana alzando lo sguardo su Jun. Questi la guardò sbattendo le palpebre e in un primo momento non rispose niente. Kokoro ebbe l'impressione che fosse impallidito anche lui e, se possibile, sembrava agitato tanto quanto Erina.
«Non posso lasciar andare voi, è una mia amica» precisò la rossa, ormai la paura era perfettamente udibile nella sua voce tremante. «Vorrà vicino qualcuno che conosce quando si sveglierà»
«Quindi è fuori pericolo?» domandò il ragazzo riprendendo a parlare
«No. Non lo so. E' ancora in sala operatoria sembra. Ma si sveglierà, non pensi?» chiese guardando prima Jun e poi Kokoro.
La giovane uscì ancora una volta dal bancone e raggiunse l'amica. «Vedrai che andrà tutto bene, è solo un incidente, ok?» la rassicurò toccandole la spalla. «Vieni in cucina, ti faccio chiamare dal fisso del negozio: avverti in ufficio che torni un po' in ritardo. Non voglio che guidi in questo stato, prendi i mezzi»
«E Tomomi?» domandò ancora la rossa
«Vado io».
A proporsi era stato Jun. «Mi conosce. Se dovesse svegliarsi prima del tuo arrivo almeno ci sarà qualcuno di amico con lei, poi tu raggiungi l'ospedale il prima possibile» le propose
«Ti dò l'indirizzo?» farfugliò quella. Kokoro la sentiva tremare leggermente: doveva essere una persona importante se Erina reagiva a quel modo. Eppure aveva la lucidità sufficiente per riaccendere il telefono e cercare l'informazione che le serviva.
«So dov'è, non ce n'è bisogno» rispose il ragazzo. «Yun chan, vado in taxi da solo, tu sei venuta qui con uno scopo ben preciso e non c'è bisogno che vanga con me»
«Sei sicuro?» domandò la coreana
«Sono sicuro. Quando torni non dire a nessuno dove sono, ci penso io ad avvisare chi deve essere avvisato»
«Va bene» annuì quella senza obiettare.
Kokoro la squadrò. Sembrava che niente di tutto quel che stava succedendo la turbasse e accettava le condizioni un amico speciale, come Jun, senza battere ciglio: probabilmente era abituata ad avere a che fare con gente dello spettacolo. "Aveva detto di avere un fidanzato in Corea. Magari è un attore o un ballerino, come lei".
«Grazie mille Matsumoto san» lo ringraziò Kokoro al posto di Erina, che sembrava il preda al panico. «Penso io a tranquillizzare Eri chan. Sicuramente verrà a darti il cambio appena finisce di lavorare»
«Yun, dai loro il mio numero di cellulare» disse Jun prima di fare un inchino rapido. «Allora vado» salutò prima di uscire.
Le tre ragazze rimasero sole nel negozio ed Erina sembrava ancora nel panico. «Lo facciamo ancora quel tè?» domandò Yun-seo. «Parleremo un altro giorno». Kokoro annuì e fece accomodare entrambe nella sala coi tatami.
Sembrava non esserci mai un attimo di pace: cercava di confessare il proprio problema e non ci riusciva, una coreana sconosciuta, ma molto vicina a Masaki, doveva parlarle e veniva interrotta dalla situazione d'emergenza di un'amica di Erina che sembrava stare molto a cuore a Jun. Avrebbero mai avuto un attimo di pace?

  
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