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Autore: Msstellina001    25/09/2012    5 recensioni
Vi siete mai chiesti cosa accadde ad Arizona Robbins durante i suoi primi mesi al Seattle Grace Hospital, tutto quello che le accadde sin dal suo primo giorno e che negli episodi televisivi non hanno fatto vedere, ma hanno solo accennato? Ho pensato un po' e mi sono fatta una mia idea!
Ammetto però, che è la prima volta che scrivo, quindi non aspettatevi chissà cosa!
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Vorrei ringraziare tutti quanti. Chi legge, chi segue questa storiella, chi ha recensito e chi l’ha messa tra i preferiti. Molto probabilmente non vi piacerà Arizona in alcuni punti, mi dispiace, ma è l’idea che mi son fatta di lei! Buona lettura e grazie ancora a tutti.
 

PENSA ALL’AFRICA
 
Mi rigirai per la settecentesima volta sul letto.
Quella notte, diciamo dopo cinque giorni di stanzetta e case di altre, era la prima notte che passavo da sola.
In casa mia, sola.
Nel mio nuovo appartamento a Seattle, sola.
Avrei dovuto dormire tranquilla, eppure mi sentivo, in un certo modo, sola.
Non era una solitudine fisica, era una cosa che sembrava stare nel mio cuore, nel mio animo.
Era come avere la sensazione di essere nel posto sbagliato. Era come se non mi sentissi parte di questo posto.
Non mi era mai capitata una cosa simile.
Non volevo qualcun’accanto a me, non era questo di cui avevo bisogno, la solitudine che provavo non poteva essere riempita da dieci minuti in un letto.
Avevo passato le ultime notti a svegliarmi prima dell’alba per andarmene velocemente dalla stanza, senza svegliare nessuno. Per non sentirmi dire, rimani, resta con me. Non era l’altra parte di me che io cercavo.
Avevo bisogno di sentirmi veramente utile per qualcuno. In ospedale avevo tanti pazienti, che dipendevano da me. In soli cinque giorni il mio nome, o meglio il mio soprannome: pattini a rotelle, era sulla bocca di tutti.
Ero trattata da tutti con grande rispetto e nessuno osava contraddirmi, in cinque giorni ero riuscita a farmi accettare da medici e infermieri, persino la Dottoressa Bailey mi aveva accettato, tanto che parlò bene di me a Jackson e sua madre.
Per tutto il reparto di pediatria sembrò una sorta di benedizione.
Non che mi servisse, sapevo come farmi accettare, ma una mano non si rifiuta mai.
In tutto questo, sentivo che potevo fare molto di più, e mi sentivo incompleta, e sola.
Mi alzai dal letto incapace di rimanere sdraiata ancora per altri due minuti. Era buio, dalla finestra non entrava un filo di luce, era proprio notte fonda.
Pigiai la luce della sveglia che illuminandosi mi disse che erano solo le tre del mattino, avevo ancora quattro ore prima di potermi riempire la testa con il caos dell’ospedale.
Andai in cucina e mi versai un bicchiere d’acqua, le pareti verde pastello del salotto mi donarono un po’ di serenità, ma non quella necessaria per farmi addormentare.
Presi il computer mi sistemai sulla poltrona, cominciai a vagare in internet.
L’università di Yale aveva iniziato un nuovo trial clinico sulle cellule staminali, quella di Harvard si preparava a rispondere con un trial sulla ricostruzione del pancreas in seguito ad un trauma.
Mi misi a leggere i vari siti di ricerca pensando che magari in uno di questi avrei trovato la soluzione alla mia "solitudine". Sembrava un'impresa ardua, c'erano grandi ricerche agli inizi, importanti sperimentazioni quasi alla fine, ma niente che attirasse la mia attenzione.
Allora cercai di distrarmi in un altro modo, basta ricerca, basta sperimentazioni; di pazienti a cui pensare ne avevo abbastanza,provai a rilassarmi con un po’ di musica, la mia passione segreta
 Non ero molto intonata, ero una di quelle persone che non cantano sotto la doccia, ma ascoltare della musica che t’invade l’anima e ti libera da ogni pensiero, era il mio passatempo preferito.
Non ero una persona da musica a tutto volume e poi era notte fonda, forse era meglio non rischiare di svegliare i vicini, così presi le cuffie e le inserii nel computer. Ero indecisa su quale canzone sentire, me ne piacevano così tante che avevo solo l’imbarazzo della scelta.
Decisi di affidarmi al destino, pigiai il tasto riproduzione casuale, misi il puntatore su play, chiusi gli occhi e appoggiai la testa all'indietro. La musica partì provando a riempirmi la mente.
 
A fire burns
Water comes
You cool me down
When I'm cold inside
You are warm and bright
You know you are so good for me

 
La musica mi entrò nella mente, provando a invadermi anche il cuore.
Era questo che mi serviva? Qualcuno giusto per me? Veramente la vita si basava sull’amore?
Quello che mi serviva era veramente qualcuno che mi completasse?

You know there's no need to hide away
You know I tell the truth
We are just the same


Anche il destino mi diceva che dovevo trovare qualcuno che fosse un tutt’uno con me.
Lo diceva davvero o me lo stava solo immaginando? Magari il buio e il momento e il periodo di novità stavano solo cercando di suggestionarmi. Stavo interpretando male le parole perché ero condizionata dal momento. Magari era così.

You know
When you're on your own
I'll send you a sign
Just so you know
I am me, the universe and you

Quella canzone stava esagerando, come avrebbe mai potuto un'altra persona colmare il vuoto, creare un tutt’uno con me, io che ero in pratica perfetta, che non sbagliavo mai. Davvero l’amore poteva risolvere ogni problema?
"Io credo di no!" dissi ad alta voce rivolgendomi al muro di fronte.
Chiusi la playlist brutalmente, mi strappai le cuffie dalle orecchie, molto più confusa di prima, la testa mi faceva anche male. L’orologio del computer segnava le cinque e mezza, avevo vagato per siti scientifici per ore senza trovare un’ispirazione o una risposta, ma una canzone mi aveva distrutta e ingarbugliato la mente in soli due minuti.
Stavo per chiudere il computer quando vidi un’icona che lampeggiava sulla barra del desktop.
Ci cliccai sopra e un bambino di colore mi sorrise dallo schermo.
La solita pubblicità che ricerca fondi puntando più sulla pena che sull'amore e il vero desiderio di far del bene.
Poi però il mio occhio cadde sulla parola “chirurgia pediatrica” e poi su "borsa di studio Carter Madison".
Il mio cuore perse un battito, che fosse un segno del destino per dirmi di continuare a leggere o fosse solo dettato dalla stanchezza, non me lo chiesi neanche, continuai a leggere.
Era un bando per ricevere una borsa di studio e poter andare a lavorare in Africa a fare grandi interventi su bambini che non vedevano un bicchiere d'acqua per giorni, figuriamoci un chirurgo pediatrico.
Fare domanda non era neanche così complicato, e i requisiti li avevo tutti.
Sarei dovuta andare in Africa per tre anni, neanche tanto, considerando che non c’era nessuno ad aspettarmi a casa per ora e non sarei stata io a mettermi in cerca di qualcuno, non ora che aveva capito qual era il mio sogno.
Cominciai a compilare la domanda via web, ma avevo a malapena scritto il mio nome che un noiosissimo rumore interruppe il silenzio della mia casa.
Era la sveglia che mi diceva che dovevo alzarmi per andare al lavoro, ma lei era ignara del fatto che io stavo prendendo il mio futuro tra le mani e che molto probabilmente il mio lavoro sarebbe cambiato al più presto e molto in meglio.
Andai in camera e la spensi, ormai era tardi, dovevo prepararmi e andare a occuparmi dei miei piccoli umani Statunitensi, poi avrei pensato a quelli Africani.
Arrivai all’ospedale in perfetto orario, il reparto era tranquillo, i miei pazienti stavano bene, tutto era calmo. Davvero troppo tranquillo.
In ospedale questo momento è detto “la quiete prima della tempesta”, tutta la calma fa solo presagire qualcosa di brutto da un momento all’altro. Decisi di approfittare di quel momento per provare nuovamente a compilare la domanda per la borsa di  studio. Mi ero appena seduta alla scrivania che il mio cercapersone squillò, mi chiamavano dal pronto soccorso.
Arrivata lì, mi accorsi che era una mattinata molto movimentata per quel reparto. Chiesi a un’infermiera quale fosse l’emergenza e lei m’indicò una bambina. Al fianco della quale, oltre alla madre, c’era Izzie Stevens.
Proprio la tirocinante con la testa tra le nuvole mi doveva capitare? Il destino stava congiurando contro di me, e ci stava riuscendo alla grande!
“Salve sono la dottoressa Robbins!” Mi presentai alla madre, poi mi rivolsi alla Stevens: “Qual è il problema?”
“Giuly Graham, anni nove, è caduta dalla scala a pioli che stava in giardino, secondo i raggi X c’è una frattura composta di tibia e perone, ma l’ho fatta chiamare in caso volesse controllare se ci fossero danni a livello interno”.
Dopo aver ascoltato le parole della Stevens, feci un sorriso a Giuly e cominciai a visitarla, ma da quello che vedevo, non c’erano altri problemi. Durante la mia visita, notai che la Stevens era distrattissima, non prestava minimamente attenzione a quello che facevo, sapevo che era fidanzata con Karev, magari avevano litigato e per questo era così distratta, ma non mi fidavo a lasciarle la bambina tra le mani, così decisi di portare io stessa Giuly, in ortopedia.
Mentre salivamo con l’ascensore, la bambina si mise a parlarmi del viaggio in Canada che aveva fatto con i genitori ed io le raccontai che molto presto sarei andata in Africa a salvare bambini più sfortunati di lei, ai suoi occhi diventai un’eroina! Proprio quello che serviva per il mio ego un po’ smisurato! Poi mentre ci avvicinavamo a reparto, vedendo che cominciava ad agitarsi, mi misi a parlare di cartoni animati e fatine, e vidi i suoi occhi illuminarsi, e così, riuscii a calmarla.
In reparto ci venne incontro un’infermiera, mora, capelli corti, un po’ mossi, una faccia che avevo già visto.
“Dottoressa Robbins?! Come mai è venuta di persona?”
Non saprei dire se fosse più buffa l’espressione sorpresa che fece nel vedermi portare una paziente o il fatto che mi avesse riconosciuta al primo sguardo.
“Lei il mio nome come lo conosce?” le dissi non riuscendo a trattenermi, ma poi aggiunsi: “ Non credo di essere né la prima, né l’ultima dottoressa che accompagna di persona i propri pazienti no?”
“Oh sicuramente, ma da Pattini a rotelle … scusi, da una dottoressa come lei, non me lo sarei mai aspettato! Comunque io e lei ci siamo già conosciute, da Joe, lei stava con una ragazza, e non ha fatto molto caso a me!”
Disse, come se stesse parlando del tempo, aveva una bella faccia tosta la ragazza, e dall’aspetto minuto che aveva non lo avrei mai detto.
Le sorrisi, un sorriso che m’illuminò il volto, era da tanto che non sorridevo in quel modo. La musica o l’Africa stavano facendo effetto, ma io preferii scegliere quest’ultima.
“Bene allora, faccio caso a lei ora, visto che con la ragazza è durata un giorno, magari con lei durerà, non so, due giorni?!”
“Mi sta già liquidando dottoressa?! Piacere Coleen!” e allungò la mano verso di me.
Io stavo per stringerla quando rimasi quasi folgorata, alle spalle dell’infermiera si era come materializzata la specializzanda triste della caffetteria.
Mi ricordai di dover respirare, ma l’aria sembrava non volerne sapere di entrare, mai una persona aveva fatto un effetto del genere su di me.
Coleen mi guardò, si accorse che qualcosa non andava, si girò a guardare, con la mano ancora protesa verso di me, chi fosse la causa di quella reazione. Quando capì chi avevo visto, abbassò la mano sconsolata.
“Le sceglie bene le sue prede, dottoressa?” Sentii che disse come se mi stesse parlando da una lontana galassia.
Osservai la ragazza dal camice azzurro prendere una cartella dal bancone, si passò una mano sulla fronte, sembrava distrutta, gli occhi scuri, l’espressione sconfitta, cercava di farsi piccola, ma a me sembrava di leggerle l’anima e leggevo grandi cose, grandi desideri.
 Mi trovai a pensare che avrei esaudito tutto ciò che voleva, le avrei regalato la luna se avesse voluto, avrei, avrei …
Scossi la testa per cercare di tornare in me, quando ritornai a guardare verso il bancone lei si stava allontanando, non sapevo nulla di lei, ma in quel momento avrei fatto la cosa più stupida, anche cominciare a urlare tutti i nomi esistenti al mondo pur di avere una chance per farla girare.
All’improvviso mi sentii osservata, distolsi lo sguardo dalla schiena della ragazza triste e girandomi trovai gli occhi di Coleen che mi fissavano.
Sapevo che non avevo fatto una bellissima figura, stavo flirtando con lei e mi ero bloccata in quel  modo, poi senza motivo, perché non c’era motivo di reagire in quel modo.
Dovevo cercare di convincermi che non c’era motivo per reagire così.
Pensa all’Africa, mi dissi, pensa all’Africa, sembrava funzionare.
Chi era quella donna per farmi reagire in quel modo? Nessuno, non era nessuno.
Pensa all’Africa.
La mia mente stava tornando lentamente alla normalità, il mio cuore ancora batteva velocemente, ma feci dei respiri profondi per calmarmi e far tornare tutto alla normalità.
E’ tutto dato dalla pressione, cercavo di convincermi, pensa all’Africa, dovevo mangiare più a colazione, non è nulla.
“Dottoressa Robbins sta bene?” Mi chiese Coleen con un tono molto sommesso, come se avesse paura di svegliarmi.
“Sì, sì, sto bene, scusami, mi sono, mi ero, mi sono bloccata” Cercai di risponderle balbettando.
“Sì l’ho notato che si era bloccata, e posso anche capirne il motivo!” Nella sua voce notai una nota di amarezza.
“No non c’è nessun motivo, non è nessuno, niente, non è niente” Far uscire le parole mi era costato veramente un grandissimo sforzo.
“Dottoressa stia tranquilla! Non fa quell’effetto solo a lei sa? Ma, mi creda, per adesso, è meglio se la lascia in pace, è distrutta, porterebbe nel baratro anche lei, mi creda. Non è una persona adatta a lei” Mi disse con lo sguardo verso il basso.
Avevo la mente annebbiata, perché mi diceva così, per cercare di riportarmi verso di lei, o perché teneva a me e non voleva farmi soffrire?
Che cosa stavo pensando? Da quando in qua permettevo a qualcuno di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare? Pensa all’Africa.
“Chi l’ha distrutta?” Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
“E’ stata lasciata nel parcheggio, da, una dottoressa, come si chiamava? Erica Hanh. Come la storia è finita, l’ha distrutta, è scoppiata a piangere in sala operatoria. Nessuno ce la farebbe a risollevarla, si è già sconfitti in partenza.” Disse le ultime parole cercando i miei occhi.
Ebbi la sensazione che volesse cercare di convincermi di non fare nulla con quella ragazza, come se io avessi l’obbligo di ascoltare un suo consiglio.
La scrutai, cercando di capire la sua vera intenzione, era un consiglio o cercava solo di allontanarmi dalla ragazza? Pensa all’Africa.
“Ok non importa, senti, la bambina, prendi la cartella, pensateci voi al gesso, è tutto scritto qui, io, io, devo andare.”
Mi voltai e mi precipitai verso l’ascensore, non era al piano, pigiai nervosamente il pulsante.
La mia testa era satura di pensieri, era tutta in confusione. Pensa all’Africa.
Mai mi era capitato che una ragazza mi facesse questo effetto, cos’era un colpo di fulmine? Pensa all’Africa.
Era la mia anima gemella? Pensa all’Africa.
Era solo perché avevo bisogno di stare con qualcuna? Pensa all’Africa.
Dipendevo davvero così tanto da qualcun’altra? Pensa all’Africa.
L’ascensore si aprì, mi precipitai dentro, e appoggiai la testa alla parete in fondo all’ascensore.
Cominciai a respirare con la bocca aperta, gli occhi chiusi, sentivo gli ingranaggi dell’ascensore lavorare, cercavo di riempirmi  la testa con quei rumori, dovevo smettere di pensare a lei, e pensare che il mio progetto fosse solo uno, l’Africa.
All’improvviso una mano si appoggiò sulla mia spalla.
Mi girai di scatto, trovandomi a fissare negli occhi una ragazza dal camice blu, capelli lunghi, mora, una bellezza molto normale. Ci volle un po’ per metterla a fuoco, ma alla fine la riconobbi.
Era la ragazza che avevo visto uscire dalla camera di Tia qualche giorno prima.
“Dottoressa Robbins, la posso aiutare?” Disse con tono compassionevole.
“Sì che puoi.”
Mi gettai sulle sue labbra, fu un bacio violento, non c’era amore, non c’era sentimento, c’ero solo io e il mio bisogno di riempirmi la mente.
Mi concentrai sulla sensazione delle mie labbra sulle sue, del suo respiro dentro la mia bocca, delle mie mani sui suoi fianchi.
Mi dovevo riempire la mente di sensazioni forti, non volevo amore, dovevo essere brutale, la spinsi verso la pulsantiera e schiacciai il tasto di stop. L’ascensore si bloccò ed io mi persi in lei, brutalmente.
 
Più o meno c’ero riuscita, avevo calmato i pensieri.
Sinceramente se provavo a pensare alla ragazza triste, un brivido mi scorreva lungo la schiena, ma era qualcosa di sopportabile. Ora avevo un altro pensiero che mi occupava la mente al pari di quello.
L’Africa.
La sera, nella calma del mio reparto, riaprii la pagina web della domanda e la compilai.
Prima di premere il tasto d’invio mi fermai a fissare lo schermo.
Era veramente quello che volevo? Volevo passare veramente tre anni in Africa? Quella ragazza, perché mi aveva sconvolto tanto?
Decisi che sarebbero state domande senza risposta, o che semplicemente non avevano bisogno di risposta, il mio progetto adesso era l’Africa, solo quello importava.
Pigiai il tasto d’invio.
Era fatta, l’Africa mi aspettava, se fosse andato tutto bene. Molto probabilmente non avrei visto più quella ragazza, e se l’avessi rivista, sapevo che mi sarebbe bastato pensare all’Africa.
Avevo un’altra notte di reperibilità, non volevo tornare a casa da sola, meglio non rischiare, avevo l’Africa, ma era meglio rimanere qui dove potevo tenere sottocontrollo i miei pensieri.
Mi avvicinai alla porta della stanzetta, nessuno mi fermò, sentii i muscoli rilassarsi al solo contatto con il materasso, considerando che non dormivo da ventiquattro ore era anche logico.
Chiusi gli occhi, e mi abbandonai ai sogni.
Una ragazza mi si avvicinava camminando sulla terra deserta, ero circondata da bambini di colore che mi sorridevano, la vidi farsi sempre più vicina, un leone ruggì, la riconobbi era la ragazza triste, un bambino mi tirò la maglia per farmi vedere il fiore che aveva colto, la ragazza allungò una mano verso di me, allungai le mie.
Un rumore improvviso mi fece svegliare, era il mio cercapersone che suonava.
 
 
 
 
La canzone, come credo la maggior parte di voi sappia, è: Universe& U.
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie mille a tutti.
A presto credo. (Non è una promessa ma ci proverò, l’ansia per la season premiere fa brutti scherzi e la fantasia galoppa)!
  
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